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Qualche mese dopo aver pronunciato la sentenza di condanna, mio nonno è promosso e trasferito a Campi Salentina, capoluogo dell’omonimo mandamento. È fiero di andare a occupare quell’ambito e prestigioso posto, ma anche consapevole delle nuove sfide che lo attendono: i braccianti del Salento sono rinomati per essere teste calde, facili prede della propaganda bolscevica.

Distante una quindicina di chilometri da Lecce, Campi è uno dei paesi più grandi e prosperi del Salento, sia per via delle vigne e degli uliveti, sia grazie alla coltivazione e alla lavorazione del tabacco. Traino dell’economia salentina, il tabacco dà da mangiare non solo ai coloni e ai braccianti che lo coltivano, ma pure a decine di migliaia di tabacchine che, anche solamente per pochi mesi, lavorano ogni anno nelle due fabbriche campiote: quella della famiglia Reale di Lecce, gestita dai genitori di Carmelo Bene, e quella della famiglia del sindaco di Campi, don Giuseppe Guarino.

Quando mio nonno arriva in paese, non conosce ancora nessuno. Non sa attraverso quali delicati equilibri sindaci e prefetti riescano a salvaguardare l’ordine. Né ha la benché minima idea dell’impatto che possono aver avuto, nel mandamento, il caso Matteotti e le proteste e le manifestazioni dei socialisti e dei comunisti.

“Nell’assumere la reggenza di quest’importantissimo centro giudiziario, sento il dovere di rivolgere alla Signoria Vostra il mio primo saluto” scrive Arturo al sindaco di Campi non appena giunge in paese, chiedendogli un appuntamento. “Consacrerò tutto me stesso alla tutela dei diritti di queste laboriose popolazioni e all’inflessibile repressione dei reati senza distinzione di casta e di partito. Nell’esplicazione di tale difficile e delicato mandato, faccio pieno affidamento all’efficace e benevola cooperazione della Signoria Vostra per cui esterno, sin da ora, i sensi della mia distinta osservanza.”

“Tutta colpa dei bolscevichi” rimugina Arturo quel lunedì mattina, mentre si reca alla casa comunale di Campi Salentina per incontrare Giuseppe Guarino. Ha ricevuto lettere e omaggi dai sindaci e dai conciliatori di Novoli, Cellino San Marco, Salice Salentino e Squinzano. Francesco Orlandini, maresciallo maggiore di San Pietro Vernotico, gli ha fatto recapitare un telegramma particolarmente caloroso in cui si dice onorato di potergli presto stringere la mano, e assolutamente pronto alla cooperazione più stretta e più fruttuosa. Quanto a don Giuseppe Guarino, il sindaco di Campi, lo ha subito invitato in Comune, orgoglioso di conoscere finalmente il giudice Marzano di cui ha già tanto sentito parlare.

“Questa storia di Matteotti è stato un vero disastro!” si ripete Arturo attraversando via Umberto I e incamminandosi lungo via Vittorio Emanuele. Svolta leggermente a destra, arriva in piazza del Mercato, poi nella piazza principale del paese dove il palazzo comunale fronteggia la chiesa madre. “Più di quattro milioni e mezzo di italiani hanno votato per il PNF e i suoi alleati, e c’è chi continua a fomentare l’odio?”

Arturo sale lentamente i gradini, entra in Comune, sbuffa un poco, poi si sforza di sorridere. Vuole avere le idee chiare e cerca le parole giuste per presentarsi al sindaco. Ha bisogno di capire com’è la situazione all’interno del mandamento, chi sono gli eversivi, chi contesta l’autorità dello Stato, di chi ci si può o meno fidare. “Pare che don Giuseppe sia una brava persona” pensa mentre aspetta di essere ricevuto. “Pare che sia il cognato del camerata Starace” si rincuora entrando nell’ufficio di Guarino. “Se è così, potrò senz’altro contare sul suo appoggio.”

«Come le accennavo stamane, Campi è un paese tranquillo, giudice Marzano, nulla a che vedere con San Nicandro.» Dopo l’incontro in Comune, Giuseppe Guarino ha deciso di invitare mio nonno a casa sua, lo vuol presentare a donna Maria. Si è reso perfettamente conto dell’emozione del giudice quando gli ha confermato che sua moglie è davvero la sorella dell’onorevole Achille Starace.

«Eppure mi hanno parlato di alcune teste calde» dice il nonno dopo essersi accomodato sul divano. «Vecchi socialisti e comunisti che continuano a parlare di Matteotti come di un martire.» Appoggia il bastoncino sul bracciolo del divano, si sfila i guanti, si aggiusta con la mano destra la piega dei pantaloni.

«Qualche vecchio socialista c’è, sì! Ma non è a Campi che avrà problemi, Marzano. Forse a Novoli oppure in qualche altro comune. Ma è giunta anche qui notizia della sua mano ferma e sicura, giudice. La sua fama di ottimo e integerrimo magistrato l’ha preceduta. E poi, in questo mandamento, non sono le lotte politiche che interessano la gente. Roma è lontana, ancora più lontane sono le polemiche di palazzo. Il popolo ha bisogno di pane e lavoro, del resto gli importa poco. E questo, Mussolini l’ha capito perfettamente: fatti, non parole. A proposito, immagino sappia che i lavori per l’acquedotto sono a buon punto, l’acqua corrente dovrebbe arrivare a breve anche in paese.»

«Ottima notizia, sindaco. I bollenti spiriti, con l’arrivo dell’acqua, si dovrebbero in parte calmare. Per quanto riguarda invece la storia delle tabacchine, com’è la situazione? Mi hanno detto che sono sorte proteste, ci sono stati alcuni scioperi, pare che a Trepuzzi stiano addirittura organizzando un corteo, è così?»

«Dicerie, rumori, signor giudice. Qui a Campi, comunque, nessuno si lamenta. E ci mancherebbe pure! Quando si ha la fortuna di lavorare al caldo durante i mesi invernali, si ringrazia il cielo e si benedice la sorte, altro che proteste! Se vuole fare un salto nel mio tabacchificio, è il benvenuto. La fabbrica è proprio qui accanto, venga pure a vedere con i suoi occhi se c’è malcontento.» Guarino ride. Poi, rivolto alla moglie che è comparsa sulla soglia del salone con in mano una guantiera di dolci: «Non è vero, Maria?».

Il nonno si alza, aspetta che la moglie del sindaco appoggi le paste sul tavolino, le fa il baciamano, chiede permesso, si siede di nuovo.

«Pippi ha ragione, da noi regna la concordia» dice donna Maria. «Mescia Giacinta le tratta tutte con garbo, le nostre operaie. Se mai capita che ne rimproveri una, è solo perché si distrae oppure è svogliata. C’è bisogno di dedizione e di operosità quando si ha la fortuna di avere un lavoro, non trova anche lei, signor giudice? Quando ci si ferma, ci si annoia; e la noia è madre di ogni sciagura. Mio fratello lo dice sempre, dice che dovremmo tutti prendere esempio da Mussolini e dal suo dinamismo. Ma ha assaggiato i nostri biscotti e le nostre pasterelle secche?»

«Questi dolci sono squisiti, donna Maria» risponde il nonno prendendo un pezzo di pasta di mandorle. «Mi ricordano gli anni dell’infanzia. Quand’ero bambino e mia madre preparava le pasterelle secche, a casa era sempre una festa.»

«Merito della nostra Tatà.» Donna Maria solleva la teiera d’argento e gli serve una tazza di tè. «Ma dovrà tornare a trovarci a Natale, signor giudice, quando Tatà prepara i purciddhruzzi e le cartiddhrate. Se Dio vuole, anche quest’anno organizzeremo un gran ricevimento, e il giorno della Befana inviteremo pure le famiglie dei coloni, i bambini, i purciddhruzzi, li adorano. A proposito, lei ha figli? È sposato? Era da tanto che non tornava in Salento?»