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“I pochi ebrei residenti in Terra d’Otranto, perfettamente integrati da tempo immemorabile e per nulla distinguibili, continuavano a vivere tranquillamente svolgendo le loro consuete attività” scrive Tonino Guarino, il figlio del podestà di Campi, in Legami di sangue, il libro che dedica alla sua famiglia e nel quale, a più riprese, viene citato anche mio nonno. “Le facoltose famiglie Misraghi e Petrachi, pur essendo conosciute come ebree, non furono minimamente disturbate, erano sempre state vicino agli Starace, e continuarono ad esserlo” prosegue Tonino. Subito prima di aggiungere, parlando di suo zio: “Achille in famiglia non toccò mai l’argomento come se la cosa non riguardasse il Salento. L’unica novità sul territorio fu quel ‘razza ariana’ stampigliato sui documenti, a cui la popolazione non dette l’importanza che poteva assumere nelle altre parti d’Italia”.

Ottimo! penso lanciando per aria il libro. Ma come cazzo si fa a scrivere certe cose? E l’editore non ha detto nulla? Ha lasciato correre?

Negli anni Trenta, gli ebrei italiani residenti in Puglia erano pochi. Questo è vero. Lo confermano le famigerate statistiche stilate dai fascisti e i documenti dell’epoca: gli ebrei erano complessivamente 94 – molto pochi se si pensa agli 11.789 residenti in Lazio o ai 3460 del Veneto. Ma è anche vero che la campagna stampa pugliese a difesa delle leggi razziali fu estremamente violenta. Così com’è vero che l’eco data alla propaganda del salentino Starace “contro ogni forma di pietismo” fu impressionante. Per non parlare poi della persecuzione che subirono le famiglie ebree nel circondario di Lecce, Maglie e Galatone. Basti pensare al tenente colonnello Mosè Cohen che venne collocato a riposo, cancellando con un colpo di spugna il fatto che si trattasse di un ex combattente, mutilato di guerra e decorato al valor militare. Ma anche alla famiglia Agranati, che aveva in concessione una manifattura del tabacco e che, subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, venne internata nel campo di concentramento di Lacedonia.

«La storia non si cancella» aveva risposto il sindaco di Campi nel 2017 quando gli avevano chiesto come mai avesse deciso di dedicare una piazza a don Pippi Guarino. Ma allora perché, a Campi, alcuni pezzi di storia sembrano essere stati cancellati per sempre? Cos’è questa memoria a geometria variabile?

Non c’ero, se c’ero non ho visto, se ho visto non ricordo. Ma i “deliri di razza” di cui, a dire di Mussolini, “l’Italia non aveva bisogno” mietono vittime anche nel Sud Italia. E non importa che ci si sia comportati bene come cittadini, non importa nemmeno che, come soldati, ci si sia battuti coraggiosamente. Il semplice fatto di essere ebrei diventa, anche in Puglia, il segno dell’infamia.

Non c’ero, se c’ero non ho visto, se ho visto non ricordo. Ma i salentini c’erano, eccome se c’erano: non solo Achille Starace che firmò le leggi razziali; non solo Tonino Guarino che osa scrivere che suo zio non toccò mai l’argomento in casa – come se non parlarne in casa potesse cancellarne l’esistenza; ma anche mio nonno, che era procuratore del re, e quindi garante delle leggi e della loro applicazione; in fondo, i salentini c’erano tutti, con quel “razza ariana” sui documenti, certificazione di purezza e d’integrità. Tutti erano al corrente e tutti accettarono. Tutti sapevano e tutti collaborarono.

Riprendo in mano il libro di Guarino e rileggo il passaggio. “Gli ebrei in Terra d’Otranto non erano per nulla distinguibili”: cioè? Altrove lo erano? C’era qualcosa sul loro viso che li designava? “L’unica novità fu quel ‘razza ariana’ stampigliato sui documenti cui la popolazione non dette importanza”: cioè? Ti mettono un’etichetta, e tu non reagisci? Ti tranquillizza il fatto di essere “ariano” e non “ebreo”? E se invece fossi stato un “ebreo”? Ti saresti dovuto vergognare e nascondere oppure avresti dovuto mentire?

Quando non lo si rielabora, il passato ci agisce. Se non si decide di farci i conti, lo si tramanda di generazione in generazione. Quando ci si illude di averlo rimosso, riaffiora. E prima o poi c’è chi, il conto, deve pagarlo.