Il 28 novembre 1944, alle 10 del mattino, Arturo compare davanti alla Commissione di epurazione. La convocazione è arrivata tramite telegramma al procuratore di Lecce, che ha prima telefonato a mio nonno per avvisarlo, poi ha immediatamente inviato un telegramma di conferma: “Assicuro avere comunicato Sostituto Procuratore Marzano Arturo presentarsi codesta Commissione giorno 28 ore dieci Procuratore Regno De Mitri”.
Nel fascicolo personale di mio nonno conservato agli ACS, oltre alle copie conformi di una relazione preparata dalla direzione generale del personale del ministero di Grazia e Giustizia su richiesta dell’alto commissario aggiunto per l’epurazione, della domanda di Scoccimarro alla commissione, dell’atto di accusa e delle deduzioni difensive di mio nonno, c’è la copia originale di tutti i telegrammi ufficiali che il presidente Pagano inviò al procuratore De Mitri e che De Mitri inviò a Pagano. Nel fascicolo personale del sostituto procuratore regio Arturo Marzano c’è tutto, tranne ciò che disse mio nonno alla moglie e ai figli il giorno prima di essere ricevuto a Roma dalla commissione, quando uscì da casa con la valigia in mano per dirigersi alla stazione centrale di Lecce. C’è tutto, tranne ciò che, quel mercoledì mattina, Arturo disse davanti alla commissione. C’è tutto, tranne ciò che gli risposero il consigliere Ferranti e l’avvocato Tino, e ciò che il presidente Pagano ribatté di fronte agli accorati tentativi di Arturo di contestualizzare, spiegare o attenuare l’entità delle accuse che gli erano state rivolte.
Immagino mio nonno mentre abbraccia il figlio, spiegandogli che il papà tornerà presto, che non c’è motivo di piangere o di essere triste. Immagino mia nonna amareggiata, mentre con la mano sistema il bavero del cappotto del marito, raccomandandogli di non prendere freddo, di mangiare qualcosa, di non andare a letto troppo tardi. Immagino mio nonno l’indomani, in piedi di fronte alla porta di quella sala del ministero di Grazia e Giustizia, le mani sudate, il respiro corto. Lo immagino imbarazzato e teso, mentre ringrazia l’onorevole commissione di avergli dato l’opportunità di essere sentito personalmente e di chiarire meglio quanto già dichiarato nelle deduzioni difensive, senz’altro redatte in maniera troppo affrettata, a tratti forse anche confusa. Immagino il viso chiuso del consigliere di Cassazione Ferranti e dell’avvocato Tino. Immagino soprattutto lo sguardo severo di Giuseppe Pagano, il presidente della commissione, lui che si era sempre rifiutato di prendere la tessera del PNF, lui che, nel 1938, aveva deciso di disobbedire al guardasigilli non presentando alcuna dichiarazione attestante il fatto di non essere ebreo. Come poteva Pagano anche solo sopportare di guardare negli occhi questo magistrato indegno di servire lo Stato e che adesso, messo alle strette, cercava pateticamente di minimizzare la sua intensa e attiva partecipazione alla vita politica del fascismo? Immagino che ascoltasse appena le parole pronunciate a voce bassa da mio nonno, convinto che ormai fosse giunto il momento, per il sostituto procuratore Marzano, di assumersi la responsabilità del proprio operato e delle proprie scelte, esattamente come lui, nel 1938, insieme ai colleghi Brizzolari, Freri e Martorana, si era assunto la responsabilità della propria disobbedienza presentando autonoma domanda di collocamento a riposo prima ancora che fosse emanato il provvedimento di dispensa dal servizio per i magistrati ebrei.
Il 2 dicembre 1944, dopo aver firmato il verbale definitivo, Pagano, Ferranti e Tino chiedono al segretario di inviare copia della sentenza al procuratore del Regno di Lecce. Il 20 dicembre, il procuratore De Mitri riceve da Roma la comunicazione ufficiale: si prega di trasmettere le conclusioni cui è giunta la commissione al magistrato in oggetto, informandolo che, per ogni eventuale ricorso, ha a sua disposizione un termine di tre giorni.