Fondo Don Francesco
Superficie: Ha 5.14.53
Comune di Guagnano
Partita n. 7764
Foglio: 66, Particelle: 140, 146, 266, 291
Le prime pagine di un quadernino del 1975, che papà riserva alle terre di famiglia, sono precise, ordinate, piene di dettagli. Poi, come già nei quadernini degli anni Sessanta, inizia la confusione: vigneto vecchio, primitivo, negroamaro, sativo, avere, dare, vigilanza, spese varie... Pagine piene di conti, che faceva e disfaceva mille volte, chiuso nel suo studio, quando durante l’estate eravamo a Campi. I coloni sfilavano, bussavano, entravano, supplicavano, se ne andavano. Io, all’epoca, non capivo granché. Sapevo solo che papà, quando era nello studio con i coloni, non voleva essere disturbato. L’unico che aveva il permesso di entrare era l’Angiulino Cassone.
I ricordi che ho dell’Angiulino sono come sfocati. C’è una foto in cui ho tre anni e mezzo, i capelli corti, un vestitino rosso. Lui è lì, in piedi, gli occhi stretti per il sole, la pelle scura, grinzosa, il cappello in mano, i pantaloni di cotone marrone. Mamma gli aveva detto di smettere di chiamarmi “donna Michelina”: «Cos’è ’sto modo di chiamare la bambina? Lei è Michela! Niente donna e niente Michelina». «Va bene, donna Paola» aveva risposto lui, insistendo con quel “don” e quel “donna” che aveva sempre appiccicato addosso ai membri della famiglia di papà: donna Rosetta, don Arturo, don Ferruccio, donna Rosaria.
Un giorno, ero con la nonna e volevo giocare. Ma l’Angiulino mi aveva sgridato: «La nonna è anziana, è stanca, non la devi contrariare, donna Michelina». Sempre dalla parte della nonna. O di mio padre. Anche se mamma sostiene che era tanto una brava persona, e con lei era sempre stato accogliente, protettivo, paterno. «Ma chiamala Michela, Angiulino, quante volte ancora te lo devo ripetere?»
Fondo Tresca
Superficie: Ha 7.54.16
Comune di Campi
Partita n. 11417
Foglio: 6, Particelle: 81/B, 82/A, 84, 225, 226/A, 279/B, 300/B
Di Totò e del Tresca, i ricordi sono tanti. Spesso, nel tardo pomeriggio, insieme a mamma e Arturo accompagnavo papà in campagna. E mentre lui visitava la vigna con Totò – «Ma come fa Totò a camminare sulle zolle di terra senza scarpe, mamma? Non si fa male ai piedi?» – noi tre ci piazzavamo sotto l’albero dei fichi: Arturo si arrampicava e li buttava giù, io e mamma li mangiavamo, e a me, la sera, veniva spesso il mal di pancia, ma ingozzarsi di fichi appena colti era talmente bello che sopportavo persino la diarrea.
L’ultima volta che ho visto Totò è stato due anni fa. Ero con Jacques, eravamo entrambi in bici e, attraversando la piazza principale di Campi, l’avevo riconosciuto seduto su una panchina insieme ad altri anziani del paese. Ero scesa dalla bicicletta e mi ero avvicinata. Avevo capito, dal suo sguardo, che non sapeva chi fossi.
«Totò?» Gli avevo sorriso. Lui era rimasto impassibile. «Sono Michela, ti ricordi di me?» Mi aveva fissato stupito. «La figlia di Ferruccio Marzano, la nipote di donna Rosetta.» Si era alzato di scatto: «Donna Michela!».
Totò non mi aveva riconosciuto nemmeno nel 1993. Erano gli anni bui dell’anoressia, e papà si era fissato che, stando con lui, sarei guarita, sarei tornata a essere “la Michela di prima”: le anoressiche hanno problemi con la madre, lo aveva letto da qualche parte, e si era convinto che anche nel mio caso fosse così. E allora mi aveva portato a fare un giro a Campi, nonostante la casa fosse abbandonata ormai da anni. Totò mi aveva fissato pure allora.
«Com’è sciupata la Michela!» aveva detto a papà. «È cambiato tutto, sì» aveva mormorato lui, aggiustando il cappello di paglia sulla testa e guardando altrove.
Fondo Occhineri
Superficie: Ha 1.77.31
Comune di Campi
Partita n. 11417
Foglio: 11, Particelle: 249, 250, 251, 252
Un pomeriggio, papà discuteva con lu Rapanà. Io non ne volevo sapere di andare a giocare in giardino, ed ero rimasta in cortile. Di tanto in tanto, mi avvicinavo alla porta vetrata dello studio e origliavo. «La grandine, quest’anno, ha rovinato tutto, don Ferruccio» diceva il colono, che i soldi dell’uva, quel giorno, non ce li aveva. «E io i contributi unificati come li pago?» rispondeva papà. Che poi però non mi aveva voluto spiegare cosa fossero questi benedetti contributi unificati, e io c’ero rimasta male. La sola cosa che mi aveva detto era che la gente se ne approfittava, anche se io con la figlia dellu Rapanà ci giocavo sempre, e l’anno prima avevamo fatto insieme la vendemmia, salendo a piedi nudi sul camion pieno d’uva e pigiandola, nonostante le proteste di suo padre.
Fondo Fusaro
Superficie: Ha 5.25.92
Comune di Campi
Partita n. 11417
Foglio: 35, Particelle: 110, 111, 112, 113, 114
Via via, tutti i fondi sono stati venduti. A parte la casa di Campi – che ho voluto recuperare io –, non resta più nulla. C’erano i debiti, c’erano le tasse di successione, c’erano i pochi soldi che guadagnava all’epoca papà, c’era la difficoltà di tenere tutto assieme, c’era la voglia di buttarsi dietro il passato e cancellarlo.
E poi c’era la maledizione legata a questa terra: perdere la chance o perdere il padre, perdere un titolo o perdere un figlio, perdere la faccia o perdere la vita, perdere sempre, perdere comunque...