XII. GINEVRA

Il viaggio a Neuchâtel è stato una ricognizione strategica. Balzac ha studiato il terreno e ha stabilito che sarebbe molto favorevole a un attacco a fondo. Per far sì che la fortezza sia matura all’assalto e costretta alla capitolazione, il lungimirante tattico deve tornare a Parigi a rifornirsi di munizioni. Se dopo un mese o due vorrà presentarsi come amante, come aspirante a questa dama viziata, se vorrà essere commensale, trattato alla pari, nella famiglia di quei milionari, bisogna che si presenti in grande stile, che scenda a un grande albergo e faccia buona figura. Balzac ora sa qual posta sia in gioco, quanto redditizio socialmente e materialmente potrebbe diventare quel romanzo di vita e d’amore con Madame Hanska già iniziato in modo così promettente. Raddoppia pertanto la sua incomparabile energia e non esagera certo dicendo: «Alcuni amici miei sono stupiti vedendo la rabbiosa forza di volontà che dimostro in questi giorni».

Finalmente riesce, lui che di solito non sa salvarsi dai debiti e dagli impegni, a prender fiato finanziariamente. Trova un editore, o meglio una editrice, la vedova Béchet, che gli versa ventisettemila franchi per i dodici volumi degli Studi di costumi nel secolo XIX, i quali dovranno contenere una nuova edizione delle Scene di vita privata assieme alle Scene di vita provinciale e alle Scene di vita parigina. Si tratta in gran parte di vendita anticipata di un lavoro non ancora fatto, ma è comunque per quei tempi un contratto favoloso, che «avrà un’eco nel nostro mondo di invidie, di gelosie e farà ancor più gialla la bile di quelli che hanno l’audacia di voler procedere nella mia ombra…».

In questo modo Balzac è in grado di mettere a tacere almeno i creditori più insistenti; non naturalmente sua madre o la signora de Berny. E benché dopo il suo giubilo affrettato due settimane dopo debba annunciare: «Giovedì ho da pagare cinquemila franchi e non posseggo letteralmente un soldo», quelle «scaramucce alle quali è avvezzo» non lo turbano troppo. Sa ormai quanto potrà guadagnare in due o tre mesi col suo lavoro, sa pure che le giornate di Ginevra potranno decidere del suo prossimo avvenire e forse di tutta la vita.

Ora dunque bisogna lavorare giorno e notte. Quindici giorni di felicità da conquistare a Ginevra, ecco le parole che ho trovate impresse dietro la mia fronte e che mi hanno dato coraggio come non mai!

Stavolta Balzac non esagera. Non ha forse mai in vita sua lavorato con maggiore intensità e meglio che nell’ebbrezza di questo presentimento di non faticare soltanto per un onorario, per una temporanea liberazione, ma per raggiungere il più intimo sogno del suo cuore: la sicurezza definitiva. Le opere confermano quel che dice:

Credo che se ci penso affluisca più sangue al mio cuore, vengano più idee al mio cervello, più energie al mio essere, e non dubito che, animato da simile desiderio, io farò le più belle cose.

Balzac in quei mesi cerca di superare se stesso non solamente in senso quantitativo, ma anche in quello artistico e morale. Nei colloqui con la baronessa nelle sue lettere ha intuito in lei un certo disagio di fronte alle «opere frivole» come La fisiologia del matrimonio, ed è per lui un pensiero imbarazzante che la signora lo possa giudicare, mentre con lei si dà arie di puro e romantico amatore, dalle Sollazzevoli istorie di recente pubblicazione. Vuol dimostrarle d’esser capace anche di sogni nobili e grandi, pervaso di sentimenti umanitari e persino religiosi. Il Medico di campagna, questo libro austero e troppo grave per il suo pubblico d’allora, dovrà dimostrare che Balzac ha buttato giù gli altri lavori occasionalmente, in momenti d’allegria, ma che la sua vera forza resta rivolta a un vero ideale. In pari tempo porta a termine Eugenia Grandet, uno dei suoi capolavori immortali. Adduce così due nuove testimonianze inattaccabili del suo carattere, della sua forza artistica e del suo valore umano.

Mentre si appresta con audacia ed energia alla scena decisiva del suo romanzo d’amore, Balzac non manca di battere il ferro da lontano perché non si raffreddi. Ogni settimana manda alla sua «chère épouse d’amour» lettere ardenti in cui il «voi» è da tempo sostituito dall’intimità del «tu». Le assicura che per lui è iniziata «molto deliziosamente una nuova vita» e che lei è «la sola cara donna che esista al mondo». Tutto ama di lei, «il tuo accento un po’ forte, la tua bocca di bontà, di voluttà». È atterrito di «vedere quanto la sua vita sia di lei». «Non v’è più altra donna al mondo, non vi sei che tu». Assume sin dal principio la parte del «povero schiavo» sottomesso, del mugìk che osa alzare gli occhi verso la nobile padrona. Si dà a lei con le mani e i piedi legati per tutta la vita. Se gli dovessimo credere, dal principio del mondo mai un uomo avrebbe sentito così sconfinato amore per una donna. Ogni settimana, ogni giorno anzi, scaglia contro la lontana fortezza bombe incendiarie di questo genere: «Mi piaci ogni giorno di più, ogni giorno prendi meglio posto nel mio cuore: non tradire un amore tanto grande».

Per allontanare gli scrupoli sulla sua immoralità – con suo spavento la signora si è procurata una copia delle Sollazzevoli istorie – le assicura: «Tu non sai quanto sia vergine il mio amore», e le confessa: «Da tre anni vivo in castità come una vergine», il che è tanto più sorprendente, in quanto ha appena confidato a sua sorella di esser divenuto padre di un figlio illegittimo. Mentre cerca così senza scrupoli di infrangere con le artiglierie pesanti ogni resistenza della sua donna, lavora anche abilmente a porre mine sotterranee che gli dovranno aprir la via verso il tedioso consorte. Accanto alle lettere intime per «l’angelo del cuore» e «l’amor suo», ve ne sono anche con il «voi» contegnoso e il «Madame!», evidentemente destinate da essere lette dal signor Hanski. Esse devono suscitare l’impressione che il signor de Balzac nutra particolare simpatia per l’intera famiglia, compresi la figlia, la nipote, la dama di compagnia e persino il marito, e come intenda recarsi a Ginevra per trascorrere un paio di settimane in simile grata compagnia. Al signore, che raccoglie autografi, fa invio premuroso di un autografo di Rossini, mentre lo prega con commovente modestia di poter fare omaggio alla sua consorte del manoscritto di Eugenia Grandet. Che poi in quel manoscritto, sulla contropagina del frontespizio, sia segnato in segreto a matita il giorno dell’arrivo di Balzac a Ginevra, riman celato al benigno consorte il quale non sospetta che le due persone a lui da anni vicine, la moglie e la pia governante elvetica, possano dietro le sue spalle collaborare al grande romanzo del signor Balzac.

A dicembre i preparativi sono compiuti. Balzac ha voluto soltanto attendere a Parigi la pubblicazione di Eugenia Grandet, e il libro si è affermato come un trionfo tale da mettere in imbarazzo anche i più maligni suoi avversari e da rafforzare persino in misura insperata la cassa per il viaggio. Balzac non fu mai di miglior animo, di più lieto umore e di più tesa volontà che il 25 dicembre 1833, quando scende all’Hotel de l’Arc di Ginevra e vi trova come primo saluto un anello prezioso in cui è incapsulata invisibilmente una ciocca di capelli neri, un anello pieno di promesse, che Balzac accoglie come un talismano e che non sfilerà mai più dal dito.

Balzac si trattiene quarantaquattro giorni a Ginevra. Ma di ogni giornata, dodici ore sono per il lavoro. Insieme ai ditirambici annunzi di quanto sarà beato a Ginevra per la vicinanza del suo angelo, ha però comunicato a quell’angelo il proprio orario inesorabile, secondo il quale lavorerà anche a Ginevra dalla mezzanotte al mezzogiorno. Per Balzac il lavoratore, neppure il paradiso conosce ozio. Solo le ore del pomeriggio saranno dedicate amorevolmente alla famiglia Hanski o alla signora, mentre le altre spettano a un sentimento del tutto opposto: la vendetta. Balzac si è portato il manoscritto della Duchessa di Langeais, in cui rappresenta la sua mancata avventura con la duchessa de Castries, per rielaborarlo proprio lì a Ginevra, nella città dove gli è toccato il rifiuto definitivo e offensivo della duchessa. Non si accinge a quel lavoro senza una particolare intenzione: calcola senza dubbio di esercitare con quello una pressione psicologica sulla baronessa Hanska. Quando ogni sera le legge come un poeta sappia vendicarsi di una donna che ha voluto civettare con l’amore senza giungere alle concessioni estreme, la donna da lui amata, da lui desiderata e da cui esige impaziente la prova ultima dovrà sentirsi intimidita e anche preoccupata di vedersi esposta da una mano inesorabile al purgatorio del pubblico disprezzo. Se leggiamo le lettere di Balzac, vediamo con quanta abilità sappia mescolar le carte in questa partita. Da un lato mostrando alla donna desiderata l’odio – molto esagerato – contro la duchessa, le fa vedere quanto sia spietato contro una donna inesorabile; dall’altro l’entusiasmo – anche esso dai forti ritocchi! – con cui le parla di Madame de Berry le deve dimostrare quanto un poeta sappia esser riconoscente verso una donna che gli si è data anima e corpo senza esitazioni. Se anche nulla sappiamo delle loro conversazioni nelle poche ore furtive che la signora gli concedeva, non vi è dubbio che Balzac ha avuto anzitutto un fine: «costringere quell’angelo a scendere dal cielo in terra» e a concedergli ciò che la duchessa de Castries nella medesima città gli aveva negato. Dapprima – e lo vediamo dalle lettere e dalle implorazioni di Balzac – la signora oppone una decisa resistenza al suo desiderio, e si ha anzi l’impressione che le manchi la fiducia assoluta in Balzac. Biografi e psicologi hanno stoltamente disputato se la baronessa Hanska abbia mai amato Balzac, come se il concetto «amare» sia precisabile, limitabile, immutabile e non soggetto a oscillazioni, esitazioni e opposizioni. Essa era forse, come prova la sua vita ulteriore, d’indole fortemente sensuale, ma per nulla appassionatamente leggera; e sempre fu dominata dalla preoccupazione del suo stato sociale e del suo buon nome. Quegli occhi piccoli e miopi vedevan sempre chiaro e la fronte marmorea che Balzac ammirava con tanto fervore sapeva custodire freddamente i pensieri. Sin dal principio la signora Hanska mira a mantenere l’avventura, in cui finirà per impigliarsi più di quanto voglia, entro limiti non impegnativi, in pieno contrasto con Balzac che tende invece impaziente a soluzioni definitive. Di fronte a Balzac è sempre incerta, perché sente diversamente da lui, in sfere diverse, e diversamente lo giudica. Pur vedendone le varie debolezze, ammira il poeta Balzac, riconosce la sua grandezza tale da superar solitaria il secolo, e ciò negli anni in cui la critica parigina lo pone ancora con malignità e meschinità allo stesso livello di un Alexandre Dumas e di tutti gli altri romanzieri. Ma con lo stesso sguardo pericolosamente acuto lei intuisce gli elementi esagerati e ciarlataneschi delle sue estasi amorose. Ha un orecchio sempre più pronto per le sue piccole insincerità e menzogne occasionali; inoltre la sua natura aristocratica soffre delle cattive maniere, del cattivo gusto e della megalomania di quell’inguaribile plebeo, pur soggiacendo come donna al suo impeto erotico. Neppure l’incenso inebriante di cui Balzac impregna le sue epistole la induce a chiuder del tutto gli occhi. Aspira con vanitosa curiosità il profumo intenso e nuovo di quegli omaggi, ma non se ne lascia inebriare. Una sua lettera al fratello, scritta durante le giornate di Neuchâtel, ci mostra con quanta chiarezza lei abbia sin dall’inizio dominato la natura dei loro rapporti.

Ho fatto finalmente la conoscenza di Balzac, e tu mi chiedi se il mio engouement per lui, come tu lo chiami, continua o se ne son guarita. Ricordi di avermi predetto sempre che avrebbe mangiato col coltello e si sarebbe soffiato il naso nel tovagliolo? Bene: a quest’ultimo delitto non è giunto, ma si è reso colpevole del primo. Naturalmente ciò è sgradevole e molte volte, vedendolo commettere quelli che noi diciamo peccati di cattiva educazione, sono tentata di correggerlo, come correggerei Anna in caso analogo. Ma tutto questo non è che superficie. L’uomo ha in sé qualcosa che vale ben più delle buone o delle cattive maniere, ha genialità che vi elettrizza e vi trasporta in regioni intellettuali ben più elevate, ha il genio che vi fa uscire da voi stessi, che vi fa comprendere tutto quel che è mancato alla vostra vita. Tornerai a dirmi che sono «esaltata», ma ti assicuro che non è affatto così, poiché la mia ammirazione per lui non mi renderà mai cieca per i difetti di Balzac, che sono numerosi. Ma egli mi ama e io sento che quest’amore è la cosa più preziosa che mai abbia posseduto e che da oggi egli nella mia esistenza sarà come una torcia luminosa sempre fiammeggiante davanti ai miei occhi affascinati, ai miei poveri occhi che sono talvolta tanto stanchi di contemplare tutte le meschinità e le miserie del mondo e della gente da cui son circondata.

Dobbiamo ritenere più sincere queste righe della Straniera che non tutte le lettere di Balzac. Come donna essa ha naturalmente l’orgoglio di vedersi amata da un uomo di tale genio, ed è ambiziosa abbastanza per comprendere che la destinataria di simile corrispondenza diventa la custode di un documento imperituro e si trasforma lei stessa, la piccola ignota proprietaria d’Ucraina, la donna in realtà mediocre e improduttiva, in una figura storica. In fondo il suo atteggiamento ha una strana affinità con quello della duchessa de Castries, per la quale significò pure felicità e orgoglio essere desiderata, celebrata, idolatrata, persino assediata dal celebre poeta, ma che non sentiva per lui passione e furore erotico bastante a compromettersi. Anche lei si ritrae quando lui insiste: «Amiamoci e non rifiutarmi quel che fa tutto accettare!». Sente quanto sia penoso e disonorante recarsi velata, di nascosto dal marito e dalla figlia, con la complicità di una creatura servile, nella camera d’albergo di Balzac. Pare anche che talune vanterie o indiscrezioni di Balzac abbiano scosso la sua fiducia e che abbia paura di vederlo rivelare a parole o sfruttare letterariamente la sua dedizione. Ma lui le giura e spergiura che questa non farebbe che approfondire il suo amore e la sua riconoscenza.

«Vedrai che il possesso aumenta, ingrandisce l’amore… come dirti che son ebbro del tuo più sottile profumo e che, se ti avessi avuta mille volte, me ne vedresti ancor più inebriato…».

Così passano le settimane; da mezzanotte a mezzogiorno Balzac scrive il romanzo destinato alle stampe, descrivendo con ferocia la duchessa di Langeais che non concede l’estremo pegno all’amante; nel pomeriggio cerca di spezzare la resistenza di una donna che non vuole concedersi.

Ma stavolta la volontà di Balzac s’è trasformata in furore e finalmente la fortuna gli arride. Dopo quattro settimane di tenaci ripulse l’angelo adultero discende nella camera dell’Hotel de l’Arc.

«Ieri mi dissi tutta la sera: è mia! Oh! Gli angeli in paradiso non sono così beati come ero io ieri».

Il romanzo amoroso impostato romanticamente e costruito con maestria tecnica che Balzac s’era proposto di vivere ha ormai raggiunto il suo culmine. Balzac ha ottenuto l’inverosimile. Ha sognato che una donna mai vista prima dovesse essere giovane, ricca, bella e aristocratica e ha avuto ragione. L’ha voluta amante senza conoscerla ed è divenuta sua. La sua volontà demoniacamente forte ha trionfato: ha creato il suo amore da un’illusione facendone una realtà. Il suo romanzo non è mai ricco di sorprese, di tensioni, di esotismo e di varietà nei personaggi e nelle situazioni della Commedia umana.

Ma il romanzo non è giunto alla fine. Ha toccato solo la sua prima vetta. I due amanti si sono trovati, Eva e Honoré, si sono stretti in amplesso, si son giurati eterno amore ed eterna fede… ma che seguirà? Che faranno i due sognatori, trascinati dalla loro avventura, ebbri della loro passione? Dove si rifugeranno col loro amore? Eva seguirà Balzac a Parigi, abbandonerà il marito vecchio e non amato? Oppure, di idee più borghesi, chiederà il divorzio per diventare la legittima moglie di Honoré de Balzac, baratterà il castello in Ucraina e i suoi milioni con l’onore di quel nome glorioso? Che cosa faranno i due, che sembra non possano più vivere un giorno, un’ora divisi? Quale soluzione fantastica escogiterà Balzac il fantasioso?

Ma Balzac nel romanzo della sua vita, come del resto in tutti gli altri campi, è non soltanto un grande illusionista, è anche un grande realista. Nel piano della sua esistenza aveva posto sin dal principio «una donna e un patrimonio», e nulla eccita la sua passione per la signora Hanska quanto il fatto che essa è appunto la signora Hanska, una nobildonna e una milionaria. E neppure la «stella polare» pensa a stabilirsi in un appartamentino da piccolo borghesi a Parigi, per aprir la porta quotidianamente ai debitori di Balzac. Invece che sognare un rapimento, un duello, un divorzio o simili soluzioni romantiche, dopo il peccato originale i due innamorati stringono un patto ben chiaro e pressoché commerciale. Promettono di comunicarsi giorno per giorno i propri sentimenti e gli eventi della loro vita e si regalano previdentemente l’un l’altra una cassetta per conservarvi le epistole che si scriveranno fino… fino a che il signor Hanski avrà la compiacenza di non esser più d’impaccio. Nel frattempo cercheranno d’incontrarsi di tanto in tanto senza dar nell’occhio, e sempre in modo che la posizione in società della signora non debba soffrirne e che non sorga scandalo o pettegolezzo. L’unione per l’eternità di questo nuovo Abelardo con la nuova Eloisa avverrà appena la baronessa Hanska, per la morte del marito, diverrà signora di Vierzchownia ed erede di tutti i milioni.

Simile fidanzamento, dopo tanto spreco di sentimenti, potrà apparire a molti piuttosto freddo e calcolato. Ma Balzac nella sua ubriacatura non avverte gli aspetti sconcertanti della soluzione. Che cosa significano per lui un paio d’anni? Non crede che quel marito malinconico e malaticcio resista più a lungo. Il suo ottimismo incrollabile gli dice che dove un miracolo s’è avverato ne deve seguire un secondo. Dà una cordiale stretta di mano all’ignaro consorte che loro due nei pensieri hanno già sotterrato, lo ringrazia dell’ospitalità e di alcuni regali preziosi, poi la baronessa, col marito, la figlia e il seguito passano in Italia per un viaggio di piacere, mentre Balzac torna al suo scrittoio a Parigi.