LA MORTE DELL’INSEGNANTE DI GINNASTICA

Una primavera, proprio quando gli alberi stavano mettendo le foglie nella zona intorno a Cambrai, accadde qualcosa di strano e di tragico che sconvolse la scuola maschile per un lungo periodo di tempo; l’insegnante di ginnastica si impiccò nella palestra durante un fine settimana. Il custode lo trovò il sabato sera. Le ore di ginnastica furono temporaneamente sostituite nelle classi inferiori con ore di disegno, e le espressioni artistiche dei ragazzi erano caratterizzate quasi senza eccezione da motivi estremamente morbosi.

Il giorno dei funerali la scuola era chiusa. A giudizio del preside il tragico fatto era da mettersi in relazione con il fallimento di un esame, l’esame richiesto per diventare professore di ginnastica, ma molti avevano pareri diversi, in qualche modo collegati al boschetto che si stendeva un chilometro a ovest della scuola. Si trattava di una piccola macchia di bosco da taglio di neanche mezz’ettaro. Era lì che l’insegnante era solito condurre i suoi allievi la domenica. E molti erano convinti che fosse stato lui a tagliare il filo spinato intorno alla zona, messo dalla Höghus & Company perché la gente non facesse danni nel bosco prima del taglio. Ad ogni modo, l’opinione generale era che la tragica morte fosse stata quanto meno esagerata e in realtà totalmente inutile.

Il giorno del funerale Henri Pivot lasciò la città in compagnia della moglie Florence, detta Flo; erano invitati a cena da un amico d’affari di Henri, che lavorava nel ramo delle costruzioni. Il traffico era molto lento e c’erano spesso lunghe code ferme. Avevano davanti due ore di viaggio.

Quando Flo era di cattivo umore, il suo viso diventava più minuto e gli occhi più grandi, con una marcata piega all’ingiù vicino agli zigomi; Henri soleva scherzare sui drammatici occhi da mosaico di Flo. Anche la folta pettinatura si addiceva ad un mosaico, mentre gli occhiali non c’entravano per niente con il quadro d’insieme. Quanto a Henri, aveva quello che si sarebbe potuto definire un piacevole aspetto maschile, che ispirava fiducia e un po’ generico, di quelli che non restano impressi nella memoria.

“Ah”, disse Flo, “eccoci di nuovo fermi. Detesto stare in coda in macchina, è in qualche modo avvilente; non ci si sente liberi. Se abitassi in un’altra città, non me la sentirei di invitare la gente a cena. Avremmo potuto andare al funerale, invece.”

Henri disse: “Ma avevi detto che non era necessario.”

“Necessario e necessario, sono tante le cose che si dicono. E perché non ha invitato anche i ragazzi, dovevano pur mangiare anche loro, no? Si è dimenticata che abbiamo dei figli!”

“Ma non dovevano comunque andare da qualche parte a giocare a calcio? E che cosa gliene sarebbe importato dell’invito di Nicole?

“Henri, lo sai benissimo come si fa; uno invita perché l’altro possa gentilmente rifiutare e dopo sono tutti contenti.”

La coda riprese a muoversi. Dopo un attimo, Henri disse: “Lei non ti piace.”

“Ci siamo incontrate solo una volta. Dai Chatain. Non ne ho nessuna opinione.”

Il paesaggio intorno era piatto e vuoto, con gruppi ricorrenti di casermoni e di stazioni di servizio, sempre il solito, ripetuto come una trita conversazione da salotto, detta e ridetta, ripetuto e senza carattere.

“Henri”, disse Flo.

“Dimmi, tesoro.”

“Continuo a pensarci.”

“Lo so. I ragazzi hanno detto qualcosa, fatto domande?”

“No.”

“Ma comunque lo sanno?”

“Henri caro, lo sa tutta la scuola. Che orrore, qui. Dove sono le loro case?”

“Non hanno ancora incominciato a costruire, hanno solo tagliato.”

“Tagliato?”

“Sì, hanno tagliato il bosco.” Si accorse subito che quella risposta non era stata felice e aspettò rassegnato quello che lei avrebbe detto degli alberi e quello che lui avrebbe risposto – che per costruire le case eccetera, e che la gente era più importante degli alberi, che era diventata troppa e da qualche parte doveva pur abitare.

Ma Flo rimase in silenzio. Pulì gli occhiali con un angolo della gonna e solo dopo qualche chilometro riprese a dire che sarebbero comunque dovuti andare al funerale.

Lui obbiettò: “Non li conosciamo neanche. Nessuno avrebbe fatto caso alla nostra presenza.

“Henri. Non mi sento bene.”

“Ma non possiamo fermarci qui. Stai veramente male? Di solito non soffri la macchina.”

“Hai del cognac?”

“Nel cassetto del cruscotto.”

Il paesaggio desolato continuava.

“Sai una cosa?” disse Flo. “Questo invito a cena è to–tal–men–te superfluo.”

Lui radunò tutta la sua pazienza e rispose: “Ti sbagli. Non è superfluo. Se lavoro con Michel e loro ci invitano a cena, non è affatto superfluo che ci andiamo, e lo sai bene.”

“Sì, lo so, scusami, scusami. Voi avete le vostre case da costruire.”

“Flo, ti prego. Cerca di essere carina stasera. È importante, per me.”

“Certo. È vero. Cercherò.”

“Ti senti meglio adesso?”

“Forse un po’.”

“Flo, tesoro, non pensare a quello che è successo… a quel poveretto. Sono cose che capitano in continuazione, purtroppo. La gente è troppo debole, non ce la fa, si arrende. E tutto va avanti come sempre. Capisci, la vita continua, proprio come sempre. E fra qualche settimana avranno un nuovo insegnante di ginnastica.”

Flo si voltò di scatto verso suo marito, verso il suo profilo tranquillo, verso tutto ciò che in quel preciso momento le sembrava rappresentare e sbottò: “Niente sarà più come prima! E lui non era un debole, proprio per niente, era forte al punto che non poteva sopportarlo! E noi non l’abbiamo aiutato!”

Erano finalmente arrivati in un quartiere di graziose villette nei sobborghi della città; scesero dall’automobile, Henri prese i fiori e il cappotto di Flo e disse: “Ora facciamo del nostro meglio, d’accordo? E poi ce ne torniamo a casa e domani mattina potrai dormire quanto vorrai.”

La casa di Nicole e Michel era un capolavoro architettonico, un raffinato gioiello dove tutto era perfetto. A Flo venne da pensare a un vernissage, dove non sta bene andarsene finché l’espositore può accorgersi che te ne vai. Nicole somigliava alla sua casa, grande e bella e in qualche modo irraggiungibile.

“Florence”, esclamò, “cara, sono così contenta che Henri sia riuscito a portarla qui. Michel arriverà un po’ più tardi, purtroppo. Ha promesso di telefonare. Quelle spaventose conferenze. Sempre, sempre.”

“Lo so”, disse Henri. “Capisco benissimo. Business first! Che bella tavola, Nicole. Perfetta.”

Al termine della cena, Henri sollevò il bicchiere e con l’amabile disinvoltura che gli era tanto naturale ringraziò la padrona di casa e la paragonò a un gioiello perfettamente incastonato, rievocò con tocco elegante e spiritoso le battute di pesca con Michel di tanto tempo prima, raccontò l’ultimo aneddoto che aveva a che fare con l’edilizia e concluse con una citazione poetica che riguardava l’arrivo della primavera.

“Grazie amici cari”, disse Nicole, “grazie di cuore. Posso soltanto dire che è così piacevole avervi qui. E ora ci prendiamo una tazza di caffè e un cognac in soggiorno. Sono molto ansiosa di sentire che cosa dirà Florence dell’arredamento. Aspettate un attimo, un attimo solo, voglio prima accendere il riflettore.”

“Henri”, bisbigliò Flo. “Vado bene? Sto troppo zitta?”

“Vai benissimo. Va tutto benissimo. Tesoro, ricordati solo che per me è molto importante.”

Lei scivolò via dal suo braccio e disse: “Lo so, lo so, terribilmente importante. Voi costruite grandi case.”

Nicole fece ritorno, spiegando che il giardino avrebbe dovuto essere illuminato meglio, ma il riflettore non era ancora puntato perfettamente. Non dovevano far caso se entrava un po’ nella stanza.

Flo chiese: “Che cos’è che dovrebbe entrare? Quando arriva…”

“Che meraviglia, che autentica meraviglia”, disse Henri. “Che cambiamenti dall’ultima volta!”

Attraverso la vetrata si vedeva un quadrato d’erba, illuminato a giorno e circondato da un muro.

“Henri”, bisbigliò Flo. “Li hai in tasca tu…”

Le diede gli occhiali scuri.

Nicole parlava di monsieur Deschamps, della sua arte di arredare, originale e al tempo stesso misurata, un uomo prezioso, caro ma perfetto. Nessun elemento di disturbo, tutto pulito, vuoto e al posto giusto. “Guardate il viola e il marroncino dei lillà che sfuma sullo sfondo. Molto ben fatti, vero? Soprattutto i fiori appassiti.”

Flo ebbe improvvisamente difficoltà a fissare lo sguardo, a seguire il chiacchierìo troppo veloce della padrona di casa, e domandò timidamente: “Ma perché fanno anche dei fiori morti? E che cos’è che sfuma?”

Nicole proruppe in una delle sue risate alte e limpide: “Fiori morti? Ma amica cara, così naturalmente il resto sembra vivo! Prendete un cognac, vero?”

“Non per me, grazie. Devo guidare.”

“Ma Florence? Appena un goccio?”

“Sì grazie. E non c’è bisogno che sia solo un goccio.” Flo aggiunse lentamente: “Se solo potessi capire…”

Henri la interruppe: “Che peccato che Michel non ce l’abbia fatta ad esserci.”

“Sì, davvero. Ma ha promesso che cercherà di arrivare. Dio quanto sono stanca di tutte queste sue conferenze! Sempre conferenze, conferenze…”

“Certo, Nicole. Ne so qualcosa. Ma Michel conosce le sue responsabilità.”

Flo riprese: “Se solo potessi capire perché. Perché mai l’ha fatto…”

“Flo”, disse Henri. Ma lei continuò infervorandosi: “Perché! Non ci si va a impiccare per niente!” Vuotò il bicchiere e guardò dritto Nicole.

Nicole alzò lievemente le spalle, e dopo una rapida occhiata a Henri girò gli occhi da un’altra parte.

“Scusatemi, ma ho bisogno di parlarne, dobbiamo cercare di capire che cosa gli sia successo, non è così? Qual era il significato di tutto quello che diceva quando noi non lo ascoltavamo. Henri. Noi non lo ascoltavamo, ed era importante!”

Nicole tirò un profondo respiro e disse: “State parlando dell’insegnante di ginnastica dei vostri figli, vero? Ne ho sentito parlare. Un storia tristissima. Ma voi non lo conoscevate granché, no?”

Flo non le prestava attenzione. Con il viso sprofondato sotto la massa pesante dei capelli cercava di ricordare: “Era qualcosa d’importante su tutto quello che passa perché non si… No, aspetta. Lui era convinto che mentre si è vivi bisogna sempre… Che poi è troppo tardi? Henri? Che cosa c’era di tanto importante?”

Henri si voltò verso Nicole e spiegò rapidamente: “Andava in giro con una di quelle liste di protesta, sa. E voleva che i genitori degli allievi sottoscrivessero.”

“Ah, uno di quelli.”

Flo si raddrizzò ed esclamò: “E noi non l’abbiamo fatto!”

“Florence, amica cara, bisogna anche stare attenti a certe cose. Non si può mai sapere. Intendono sempre qualcosa di diverso da quello che dicono e poi si rimane implicati, io e Michel ne sappiamo di più della maggior parte della gente. Può avere a che fare con la politica.”

“No. Si trattava di un bosco.”

“Flo, tesoro, non aveva niente a che vedere con quella faccenda.”

Il telefono squillò e Nicole si alzò di scatto. Mentre era via, Flo chiese: “Vuoi dire col fatto che si è impiccato?”

“Flo, per favore, lascia perdere. Non ora.”

La loro ospite ritornò. “Uno che aveva sbagliato numero. Credevo fosse Michel. Non avete finito il vostro caffè? Ve ne aggiungo un goccio caldo?”

“Caffè”, esclamò Henri, “perché mai non si usano più i thermos? Ricordo com’era piacevole una volta, quando Michel ed io andavamo a pescare…”

E Flo ripeté: “Che cosa intendi quando dici che non aveva niente a che vedere con quella faccenda?”

“Niente. Credimi, proprio niente. Il bosco non c’entrava affatto.”

Nicole aprì la vetrata che dava sul giardino. Aveva cominciato a cadere una pioggerella sottile. Per un attimo si soffermò sulla soglia a respirare la mite e umida aria notturna. Sperò che Michel arrivasse presto a casa a darle una mano, desiderò che i suoi colleghi d’affari non sempre avessero mogli, la grande e bella Nicole desiderò ardentemente che tutta la sua costruzione di serenità e di bellezza fosse lasciata in pace, una vita il più possibile non toccata dalle cose brutte e incomprensibili che c’erano là fuori. Perché non potevano parlare di qualcosa di piacevole, sarebbe stato così facile?

“Boschi”, disse, allontanando impercettibilmente la bottiglia del cognac, “sono sempre stata affascinata dai boschi. Una volta io e Michel ci siamo presi un’intera settimana di riposo in Danimarca. Quegli incredibili boschi di faggi! Anche allora era primavera. Assolutamente incredibile. Henri, gradisce forse un sigaro?”

“No, ma guarda! è la vecchia marca che fumavamo io e Michel.”

Si sorrisero.

“Sapete una cosa”, disse Flo, “a me piace molto l’odore di sigaro. Mi dà la sensazione che non c’è nessuna fretta.”

“È verissimo”, esclamò Nicole, grata. “Non come le sigarette! Un po’ di acqua di selz?”

“No grazie.” Flo osservava la bella padrona di casa che d’improvviso sembrava così semplice e gentile; quasi timidamente le sfiorò la mano e le confidò: “Nicole, spero che comprenda. Non riesco a togliermelo dalla testa. Mi sento come se gli avessimo fatto del male, non sottoscrivendo.”

Il telefono squillò di nuovo e si trattava ancora di uno sbaglio. Quando tornò indietro, Nicole appariva alquanto contrariata. “Florence cara”, disse, “che differenza avrebbe fatto? Forse vi sareste sentiti meno in colpa. Fra parentesi, vi è mai capitato di pensare che avere sensi di colpa è piuttosto presuntuoso? Ho letto da qualche parte che quando qualcuno muore ci si sente comunque in colpa, sia che si sia stati gentili che scortesi, è semplicemente così e non è affatto cosa da prendere sul serio. I vostri ragazzi si sono sentiti in colpa? No. Probabilmente sono andati fuori a giocare al pallone o qualcosa del genere.”

Silenzio.

“Un momento”, disse Henri. “Adesso statemi a sentire. Tutt’e due. I suoi allievi sono andati a tagliare il filo spinato in un sacco di posti. E c’erano anche i nostri ragazzi.”

“Davvero!” esclamò Flo. “Stupendo! Ma come hanno fatto?”

“Con le cesoie”, suppongo. “Pensavo che avrebbe potuto consolarti.”

Flo scoppiò a ridere. “Vede, mia cara Nicole, loro l’hanno presa sul serio! È stata una dimostrazione di rispetto, no? Non hanno liquidato il tutto con un’alzata di spalle come una storia fastidiosa!”

Nicole arrossì lentamente. “Parlano anche di un qualche esame”, disse. “È possibile che sostengano effettivamente degli esami? Un comune insegnante di ginnastica? E lui non l’ha superato e se l’è talmente presa che è andato a… mio dio. Cos’è che avrebbe dovuto fare?”

Henri disse, molto bruscamente: “Arrampicarsi su una fune. Per diventare insegnante di ruolo.”

“E non ci è riuscito?”

“No. Ci provava tutti gli anni.”

“E così è andato a impiccarsi. Alla fune? Era troppo vecchio? O troppo grasso?”

Flo si alzò da tavola. “Era l’unica persona che io abbia mai conosciuto che prendeva così sul serio le cose che voleva e cercava di fare, da essere capace di morire per quelle! E nessuno l’ha aiutato!”

A quel punto Nicole si irritò sul serio e sbottò: “Be’, arrampicarsi doveva pur farlo da solo, o sbaglio?!”

“Nicole”, l’ammonì Henri.

Ci fu un attimo di silenzio, si sentiva solo il rumore delle automobili che sfrecciavano al di là del muro. Flo tornò a sedersi.

“Florence”, disse Nicole, “capisco che ha vissuto un’esperienza spiacevole, la capisco perfettamente. Ma gli avrebbe dato veramente tanto conforto vedere il vostro nome in una lista? Rifletta.”

“Non so. Forse ero io che avevo bisogno di conforto… Comunque non gli prestai ascolto. Disse qualcosa sul fatto che eravamo infelici e nemmeno lo sapevamo, perciò niente poteva migliorare… Che tutto poteva essere così semplice. Henri? Che cos’era, che era così semplice? Aveva a che fare con la natura?”

“Flo, non sarebbe ora di avviarci verso casa?”

“Quella moda verde è finita da un pezzo”, attaccò Nicole, ma venne impazientemente interrotta: “Verde, dice lei, verde! Lei non capisce! Fra parentesi qui non c’è un solo colore che assomigli al verde, neppure l’erba è verde come dovrebbe, ci sono solo quegli orrendi colori da architetto così di buon gusto! No, non dite niente, lo so che mi sto comportando male! Dove sono i miei occhiali, intendo gli altri, quelli che avevo quando siamo arrivati!”

Henri le passò gli occhiali e disse: “Nicole, penso proprio che dovremo avviarci.”

“Davvero? Avevo pensato a un piccolo spuntino di mezzanotte.”

“Un’altra volta. E poi ci sono i ragazzi, sa.”

“Certo, naturalmente. A proposito, come stanno?”

“Bene, benissimo.”

“Nicole”, disse Flo, “sono stata tremenda, lo so. Imperdonabile. Ma forse riuscirebbe a capire, se l’avesse conosciuto. In un certo senso era così innocente. E attento. Attento a tutto e pronto a osare. E adesso mi chiedo come potrà chiunque di noi riuscire in qualcosa se uno come lui non…”

“Cara Florence, naturalmente è scossa; certo è facile metter la gente a disagio e toglierle le sicurezze e giocare a Tarzan nel bosco e dire che tutto potrebbe essere così magnificamente semplice e felice e poi andare a impiccarsi solo perché non si riesce a salire su una fune! Questo si chiama imbrogliare, secondo me. E essere infelici senza saperlo, che idea! Se uno non lo sa, vuol dire che nemmeno lo è, infelice!”

“Certo che può esserlo!” gridò Flo. “E lui non ha imbrogliato nessuno, siamo noi che l’abbiamo imbrogliato!” Si allungò verso il cognac e si riempì il bicchiere. “Vorrei che qualcosa fosse così importante per me da essere capace di morire per quella!” Dopo di che se ne uscì dalle porte a vetri.

Squillò il telefono. Henri rimase in attesa, era molto stanco. Ecco di ritorno Nicole. Era Michel. Mandava i suoi saluti e diceva che sarebbe arrivato appena possibile. “Potete fermarvi ancora un attimo, vero? Solo uno spuntino notturno? Resterebbe così deluso.”

“Mi spiace, Nicole, ma dobbiamo proprio andare.”

Guardarono entrambi fuori in giardino. Flo non si vedeva.

Henri disse: “Forse possiamo aspettare un momento.”

“Non credo che sia realmente piovuto”, disse Nicole. “Abbiamo pensato a una piccola statua, lì fuori. Un fauno o un ragazzo con in mano un pesce.”

“Io penso che sarebbe meglio il pesce.”

“Crede? Dovrebbe stare al centro. Abbiamo tolto i cespugli perché erano così disordinati, mica si può vivere in una giungla, no?”

“No”, disse Henri.

“C’era un albero appena al di là del muro, ma faceva ombra a tutto l’angolo del caffè.”

“Naturalmente”, disse Henri. “Usciamo a prendere una boccata d’aria?”

Flo non si sentiva bene. C’era qualcosa che non andava nei suoi occhiali e i muri intorno al quadrato d’erba sembravano del tutto irreali, parevano avvicinarsi da ogni lato. In cima avevano cocci di vetro, per tutto il perimetro. Lasciò cadere il bicchiere sul pavimento di cotto del barbecue.

“Nicole! Adesso avrete altri cocci di vetro da mettere in cima al muro. Che muro orribile, spaventoso.” Flo si avvicinò a Nicole e continuò: “Che cosa direbbe se qualcuno, dico qualcuno, sorvolasse il vostro muro con un grande balzo, proprio sorvolasse, uno che fosse cento volte più saggio e più appassionato di noi, e che arrivasse, leggero come una piuma e libero, e rimanesse lì a guardare, dritto attraverso le cose, e capisse.”

Nicole rispose, a voce molto bassa e impietosa: “Con una liana, presumo? O forse una fune? Non è tanto facile cogliere le sue sottili allusioni, mia cara Florence, ma è a Tarzan che si riferisce, o a qualche sorta di Gesù o forse al suo meraviglioso insegnante di ginnastica?”

“A tutti!” gridò Flo. “A tutti! Ma se anche arrivasse, lei non lo riconoscerebbe né lo accoglierebbe! Lo so.” E si gettò lunga e distesa sul prato, con le braccia sotto il viso.

Henri disse: “Nicole, mi spiace.”

“Non si preoccupi. Io dimentico facilmente. Non volete fermarvi per la notte? C’è la stanza degli ospiti, non sarebbe nessun disturbo.”

“Grazie, grazie, ma dobbiamo veramente tornare a casa. Fra un attimo.”

“Ma non può starsene lì per terra, l’erba è tutta bagnata…”

“Lasciamola dormire.” Prese delicatamente Nicole per le spalle e disse: Nicole, lei è la moglie migliore che Michel potesse trovare. Siete fatti l’uno per l’altra. Anche io e Flo siamo fatti l’uno per l’altra. Non potremmo sederci qui un momento, senza bisogno di parlare? No, non dica niente. Restiamo in silenzio.”

Si sedettero su due sedie vicino al barbecue. La notte era insolitamente calda, per essere appena l’inizio della primavera. Si sentivano solo le automobili che passavano. Nicole si appoggiò contro lo schienale e chiuse gli occhi. “Henri? Sa a me fa un po’ paura quando di notte c’è un silenzio assoluto.”

“Sì?”

“Sì, mi pare un po’ terrificante. Minaccioso. Qui c’è sempre gente, Michel conosce così tante persone, ma quando se ne sono andati e lui dorme si sentono solo le automobili che passano, quasi tutta la notte. Ma in certe ore non si sentono neanche le automobili. Capisce, c’è un silenzio assoluto.”

Henri accese uno dei sigari di Michel.

La donna continuò: “Quell’albero che era là fuori e faceva ombra.”

“Sì, quell’albero.”

“Un ragazzino ci si arrampicò. I vicini lo avevano mandato qui a chiedere se anche noi avevamo la fogna intasata. E al posto di suonare il campanello, lui scavalca il muro con una fune.”

Henri disse: “Di sicuro stava giocando a Tarzan…” e s’interruppe di colpo. “E poi se n’è anche andato com’era venuto?”

“Non ho guardato.”

Flo si mise seduta sull’erba e domandò: “Allora, ce l’avevate la fogna intasata? No? Nicole, è stata una serata molto piacevole. Scuso noi. Scuso lei. Siamo tutti scusati.” Si alzò in piedi e rientrò in casa.

“Nicole”, disse Henri; cercava le parole e lei gli venne subito in aiuto: “Non c’è di che! È stato un piacere avervi qui. Dovete tornare qualche volta quando Michel è a casa. Avete preso tutto? Dimenticato nulla?” I suoi grandi occhi azzurri erano belli come sempre, senza un’ombra di disappunto. Aggiunse: “Sapete, amici cari, si dimentica così facilmente.”

In macchina Flo si addormentò. Dopo un’ora si svegliò e chiese: “Devo scriverle una lettera?”

“No, credo di no. Non è il caso di disturbare la gente che dimentica facilmente.”

“Perché non sei arrabbiato? Non potrai mai più portarmi da loro.”

“Certo che posso. E sarebbe meglio il più presto possibile.”

Lei lo squadrò un momento e poi riprese a guardare dritto davanti a sé, l’asfalto luccicava alle prime gocce di pioggia. Attraverso il finestrino semiaperto entrava un profumo di erba bagnata.

Dopo un po’, Henri raccontò che una volta quand’era piccolo si era arrampicato su un albero. E poi non aveva più osato scendere, ed era rimasto seduto lassù tutto il giorno.

“Avevo una paura tremenda”, disse. “Ma più di tutto avevo paura che mi avrebbero preso in giro.”

“E poi vennero a salvarti?”

“No. Scesi da solo, piangendo dalla paura. E poi mi arrampicai di nuovo, immediatamente.”

“Sì”, disse Flo. “Capisco.”

Adesso non c’erano più molte automobili che circolavano nella notte. Henri pensò a Nicole sdraiata ad ascoltare le macchine che passavano, una ogni tanto, rendendo ancora più grande la sua solitudine. Una donna magnifica, pensò. Probabilmente facile da viverci insieme. Io ho una donna difficile. Va bene lo stesso.

Nell’avvicinarsi alla città dove abitavano, disse quasi di sfuggita: “E quella storia di essere infelici senza saperlo?”

“Forse non è poi così grave”, rispose Flo. “Io non credo che sia grave, se lo si sa.”

I ragazzi erano già a letto. Henri puntò la sveglia e radunò le carte che gli servivano per il lavoro del giorno dopo. Il vestito di Flo si era macchiato di erba e di terra, Henri lo mise a mollo in bagno.