2. L’etica della rispettabilità

Veblen è molto duro nel descrivere una società che, in effetti, reprime sistematicamente le capacità creative delle donne, contrastando ogni loro eventuale desiderio di prender parte alla vita politica, di partecipare alla vita intellettuale, di percorrere tutto il training educativo, di entrare in professioni non solo prestigiose ma anche gratificanti. No, niente di tutto questo per le signore dell’Ottocento, se non in casi eccezionalissimi. «Sfere separate» è l’espressione che si usa per descrivere questo tipo di relazioni di genere: agli uomini il pubblico, il «fuori» della casa; alle donne il «dentro», la prigione della domesticità, una prigione dorata, certo, ma pur sempre una prigione (peraltro alle operaie o alle contadine va pure infinitamente peggio, perché oltre ad avere le incombenze della gestione domestica devono anche affrontare un lavoro che spacca la schiena). Tutte quante, poi, ricche o povere, sono marginalizzate non solo dalle pratiche sociali in uso, ma anche dalle leggi. In tutti gli Stati dell’Occidente le norme in vigore non attribuiscono alle donne il diritto di voto, e prevedono un diritto di famiglia in base al quale il capofamiglia comanda, mentre la donna è sotto il dominio dell’uomo, che sia il padre o che sia il marito.

Abitudini e norme, dunque, scandiscono una pesante asimmetria di genere. Gli uomini sono al vertice della gerarchia; le donne sono in posizione subordinata. Sfere separate, come si diceva; ma circondate da un imperativo etico che sembra valere per tutti, dettato da una sorta di mistica della rispettabilità. Le donne e gli uomini delle classi medio-alte devono apparire come persone assolutamente rispettabili. Ma che cosa significa «rispettabili»? Significa capaci di tenere un contegno coerente con un insieme specifico di valori che hanno molto a che fare con la dimensione della sessualità. L’onore, la castità, la virtù, la costruzione di un matrimonio equilibrato, finalizzato alla riproduzione e all’educazione dei figli: sono questi gli elementi essenziali della rispettabilità borghese nell’Europa dell’Ottocento.

Tuttavia anche questa austera etica della rispettabilità viene declinata secondo un doppio registro che prevede norme formali e informali molto meno esigenti per gli uomini che per le donne. Agli uomini si riconoscono libertà che alle donne sono assolutamente negate. Possono avere rapporti sessuali prima del matrimonio? Possono avere relazioni adulterine? Sì, gli uomini possono, senza troppi problemi. Le donne no, nella maniera più assoluta: la loro rispettabilità ne uscirebbe completamente distrutta.

Come la sintassi dell’apparenza, anche l’etica della rispettabilità è una relativa novità ottocentesca, almeno quando si considerino i comportamenti privati di uomini e donne delle élites nell’Europa del Settecento. Allora le signore delle famiglie aristocratiche o delle corti regali avevano delle opportunità che le loro nipoti ottocentesche non si sognano nemmeno: libertà di leggere, di organizzare salons in cui incontrare i migliori intellettuali dell’epoca, di discutere con loro, a volte di partecipare all’azione politica. E poi godevano di una libertà sessuale che nell’Ottocento scompare nella maniera più assoluta. L’adulterio nelle famiglie aristocratiche settecentesche era piuttosto normale, sia per gli uomini che per le donne; nei diari privati, nelle lettere e nelle opere letterarie dell’epoca se ne parlava con una leggerezza giocosa, come di una cosa che si poteva fare, al punto di essere perfino istituzionalizzata attraverso la figura del cicisbeo, che era una specie di amante socialmente riconosciuto. C’entrava la pratica dei matrimoni combinati. Nelle famiglie che contavano i figli e le figlie non si sposavano secondo la logica dell’innamoramento, bensì secondo le convenienze economiche e sociali delle famiglie. Erano i rispettivi genitori che si accordavano tra loro, spesso prima ancora che i promessi sposi potessero incontrarsi e conoscersi. Erano i genitori che organizzavano l’incontro dal notaio per sottoscrivere il contratto dotale, cioè il patto che conteneva gli accordi economici che erano il contenuto vero dell’alleanza matrimoniale. E così andava a finire che molto spesso i due sposi – quando si incontravano – scoprivano di non piacersi, di non avere gli stessi interessi, di non provare attrazione l’uno per l’altra. Di conseguenza, concepito il primo figlio, ciascuno dei due era libero di cercare l’amore (inteso come affetto e come attrazione erotica) dove meglio credeva: in questo contesto l’adulterio, dunque, non era tanto un capriccio, quanto un modo per riconquistare la propria integrità affettiva.

Nell’Ottocento la prospettiva cambia totalmente. Intanto i matrimoni combinati appaiono sempre più inopportuni. Un altro imperativo etico, quello dell’amore romantico, li rende obsoleti. Dall’inizio del secolo, con una inarrestabile progressione, nelle classi alte ci si comincia a sposare non perché lo abbiano deciso i genitori, ma perché l’amore spinge due anime reciprocamente incantate l’una verso l’altra. Ora, da un lato è chiaro che l’aura dell’amore romantico è stemperata comunque dalle convenienze sociali. È ben difficile che il figlio di un proprietario terriero, innamorato della sartina, riesca poi davvero a portarla all’altare; ed è altrettanto difficile che la giovinetta di buona famiglia, innamorata dello stalliere, ce la faccia a coronare il suo sogno. Quindi, l’amore romantico funziona, sì, ma tra coppie di persone che vengono dagli stessi ambienti sociali. Inoltre l’amore romantico non è una garanzia di riuscita per un matrimonio. Questa è una verità che molte coppie di inizio Ottocento scoprono molto presto. Così come fanno presto a ricorrere anch’esse all’adulterio come mezzo per riequilibrare una vita privata che si è messa sui binari sbagliati. Solo che nell’Ottocento l’etica della rispettabilità è terribilmente esigente con le donne, e se l’adulterio maschile è tollerato, quello femminile, invece, è considerato come una terribile colpa senza riscatto. Se nelle carte private o nelle opere letterarie settecentesche il tema veniva trattato con allegra nonchalance, nel XIX secolo se ne parla con i toni cupi del dramma. Molte fondamentali opere della letteratura ottocentesca descrivono storie di adulterio femminile che vanno a finire nella tragedia più nera, da Le affinità elettive a Il rosso e il nero, da Madame Bovary ad Anna Karenina, Effi Briest ed altre ancora. L’etica della rispettabilità ottocentesca è particolarmente esigente con le donne: le vuole caste, virginee, pure, buone madri, mogli integerrime. I mariti possono concedersi delle libertà; loro proprio no.