Una bella e soleggiata giornata di quasi estate, cerco di convincermi che è l’ideale per una gita fuoriporta, con scarsi risultati. Ho riempito la valigia con l’animo di chi prepara le sue cose per andare a chiudersi in un ospizio. Tutta questa luce, queste pareti bianche, questi mobili cromati e scintillanti stridono con il mio umore infondendomi un profondo senso di fastidio. Avrei voglia di buttare tutto dalla finestra. Passo davanti alla porta di Alda e inizio a contare, al due parte l’abbaiare baritonale di Filippo, Alda apre i molti chiavistelli e mi spalanca la porta con un entusiasmo che mi risulta sempre incomprensibile. Con la testa piena di bigodini e il viso ricoperto da una maschera color vomito mi abbraccia e mi bacia sulle guance, lasciandomi imbrattata su entrambe. Al resto provvede Filippo, appoggiando il suo bel testone peloso ai miei pantaloni che rimangono rigati della sua bava. Sono così commossa da tutto questo calore che mi metterei a piangere.
— Allora vai a fare una bella gita in montagna. Brava, verrei anch’io se non avessi così tanto da fare qui. — Che cosa abbia da fare nessuno lo sa.
— Ma se vuoi che io rimanga per darti una mano in qualsiasi cosa tu debba fare non hai che da dirmelo e io rimango. Sul serio!
— Ma cosa dici Stella? Tu devi andare, si tratta di lavoro dopotutto. Non preoccuparti per me, ho Filippo che mi aiuta. — Il cane abbaia, come per confermare. Alda mi allunga una terrina coperta da un tovagliolo con i generi di conforto per il viaggio, il quale dovrebbe durare circa un’ora. Nessuno mi trattiene quindi, non mi resta che scendere nel vicolo. Cammino adagio, un passo dopo l’altro, guardandomi intorno per fissare i dettagli nella mia memoria, come se non dovessi vederli mai più. E poi chissà, magari qualcuno mi chiama e mi dice che devo restare. In strada c’è Giacomo che mi aspetta, in mano ha un cartoccio con le paste per la colazione. È fresco, giovane, sorridente e pieno di energia, che rabbia che mi fa.
— Tesoro, le paste vanno bene ma io ho bisogno anche di un caffè. — Benito ci accoglie con gli odori della colazione e il rumore delle tazzine. Ma quanta fretta hanno tutti alla mattina, ingurgitano il caffè ancora bollente per correre a chiudersi negli uffici. Io me ne starei qui tutto il giorno. In un angolo scorgo Raimondo che appena mi vede fa per alzarsi e venire da me. Con una occhiata e un gesto perentorio lo induco a rimettersi seduto, non vorrei che la gente pensasse che mi faccio consigliare dalle carte come una qualsiasi sprovveduta, ho un’immagine da difendere io. Quando il caffè entra in circolo mi sento un po’ meno disperata.
— Allora Giacomo, non mi dovevi raccontare della miracolosa soluzione del caso di Leandri? Aspettavo una tua chiamata ieri sera, ma si vede che non hai trovato il tempo di farla.
Il mio tono sarcastico non intacca l’entusiasmo del mio bel ragazzo, eccitato come per una gita scolastica.
— A dire il vero ti ho chiamata diverse volte ma non mi hai mai risposto, secondo me avevi il telefono spento e se ci guardi bene direi che è spento pure adesso. Comunque fa lo stesso, ecco qua: ieri mentre tu eri alla Unimarket si presenta in studio una signora, così, senza appuntamento. Mi ha detto che ha visto la targa in ottone fuori dalla porta e siccome era da un po’ di tempo che ci pensava l’ha preso come un segno del destino ed è entrata.
— Lo sapevo io che quella della targa era una buona idea. Vai avanti.
— Lei naturalmente voleva parlare con te, ma io le ho detto che sono il tuo socio e che poteva parlare anche con me, che poi ti avrei riferito.
— Socio? Ma come ti sei permesso? — lo apostrofo con veemenza. Ma che arroganza, questo non può passare due mesi con me, quando torniamo da Badi toglie il disturbo. Giacomo pare non avere nemmeno udito le mie parole irose e continua a raccontare.
— Dunque, dicevo, la signora in questione mi racconta che ha un marito geloso, che però le è sempre andato bene anche così, ma da un po’ di tempo a questa parte è cambiato. Lei fa di tutto per rinfocolare i passati ardori del coniuge curando maggiormente il suo aspetto fisico mentre lui non solo non apprezza gli sforzi, ma anzi sembra allontanarsi sempre di più. Stai cominciando a capire? — Io capisco solo che gli metterei le mani attorno al collo e stringerei forte.
— È lei!
— Ma lei chi?
— La moglie di Leandri, proprio lei! Nessun tradimento, la signora sta solo facendo delle manovre per risvegliare l’interesse sopito del marito, e invece non fa altro che destare in lui sospetti di tradimento con il suo comportamento fuori dal normale. E lei è venuta proprio da noi per fare pedinare il marito, non ti pare un segno del destino?
— Ma quale destino? Sono due spilorci, hanno semplicemente cercato l’investigatore che costa meno. Però è stata davvero una botta di fortuna per noi, così risolviamo due casi senza muoverci dalla scrivania.
— Vedi che ho fatto bene a parlarle? Ti ho fatto guadagnare dei soldi senza sforzo, ha già firmato il contratto. — Sempre a parlare di soldi questo.
— Non le avrai detto che abbiamo un contratto anche con suo marito spero.
— Ma per chi mi hai preso? Certo che no. — E bravo il mio ragazzo.
— Sì, sì, dai, andiamo che siamo già in ritardo. — A dire il vero non abbiamo nessun orario, quando siamo poco distanti dal bar mi fermo.
— Tu avviati alla macchina che ti raggiungo tra un attimo, ho dimenticato gli occhiali sul tavolino. — Ritorno da Benito e mi avvicino a Raimondo prendendolo alle spalle. Il poveretto fa un balzo che lo porta a buttare per aria tutte le sue carte.
— Sei teso Raimondo, hai visto qualcosa che non va? Su di me magari?
— Senti Stella, tu però ti devi decidere, ti interessa il responso delle mie carte o non ti interessa?
Gli faccio segno di parlare piano.
— Ssssttt, ma cosa urli. Ci potrebbe sentire qualcuno.
— E allora? Non stiamo facendo niente di strano mi pare.
— Senti Raimondo, ora tu guardi quelle tue carte e mi dici se vedi un motivo, anche piccolo, anche solo il sospetto di un motivo per cui io non dovrei partire, e fai in fretta per favore. — Raimondo brontola, ma poi dispone le sue carte sul tavolo.
— Io vedo sempre le stesse cose, ma la decisione di partire oppure no la devi prendere tu, non certo le carte.
— Sei un uomo inutile, come le tue carte! — Me ne vado perché sento la collera salirmi in gola, però gli lascio sul tavolo la terrina con i generi di conforto che mi ha dato l’Alda, non posso certo presentarmi a Badi come un emigrante che si porta il cibo della sua terra.
È mai possibile che non ci sia nessuno che mi trovi un motivo per non partire?
Arrivo nel posteggio dove mi aspetta Giacomo con la sua auto. Apro lo sportello e rimango interdetta.
— E io secondo te dove mi dovrei sedere?
— Qui, basta che ti prendi sulle ginocchia due o tre nani e poi ci stai anche tu.
— Ma dove dobbiamo portarli tutti questi orribili nani di gesso? — La macchina ne è completamente piena.
— Le persone che li hanno consegnati in studio sperando in una ricompensa, quando ho detto loro che non erano quello che cercavo, si sono rifiutate di venirseli a riprendere.
— Praticamente gli hai dato l’occasione per liberarsi la cantina. E adesso dove andiamo? Alla discarica?
— No di certo, non farei mai una cosa del genere a dei poveri nani da giardino. Li libererò nei boschi intorno al lago di Suviana, lì staranno bene.
Lo osservo attentamente per capire se mi sta prendendo in giro: pare proprio di no.
— Ma ti senti bene?
— Benissimo. — Ma cosa mi doveva capitare, anche l’assistente che vuole liberare i nani da giardino. Ma in fondo che mi costa? Tanto nel bosco ci dobbiamo andare.
— Va bene, portiamo pure i nani, ma passiamo prima da casa di mio marito a cambiare la macchina, con la sua almeno posso stare seduta senza nani sulle ginocchia.
Salgo da Piero sperando che non ci sia nessuno in casa, impossibile visto che l’auto è parcheggiata nella via. Magari però dorme e se faccio piano non si sveglia. Infilo con cautela la chiave, apro con lentamente, non respiro nemmeno.
— Stella, sei tu? — Ma cos’ha questo, le antenne?
— Sì, sono io. Sono passata solo un attimo… senti un po’, ti serve la macchina?
— Veramente sì, dovrei usarla per andare al lavoro.
— Te ne posso lasciare una più piccola, per te è lo stesso vero? Io ho bisogno di un’auto spaziosa. — Speravo che il nostro dialogo si concludesse così, che non ci fosse bisogno di dare spiegazioni, invece Piero insiste per accompagnarmi fino all’auto, mi trovo quindi a dovergli motivare la presenza di così tanti nani di gesso. È strano però, pare non stupirsi affatto, credo che per quanto riguarda le mie faccende ormai non si meravigli più di niente, pure se mi presentassi con un cammello al guinzaglio non farebbe una piega. I due uomini trasbordano i nani con cautela, come si trattasse di cose fragili e preziose.
— Ti ringrazio Piero, sei stato molto gentile a prestarci la tua auto, comunque anche la Panda non è male, tanto tu devi farci solo poca strada no? E senti una cosa… — lo allontano dalle orecchie indiscrete di Giacomo.
— Pensi che ci sia qualche motivo per cui dovrei rimanere qui, non so, forse Simone ha bisogno di me, devi andare via qualche giorno per lavoro, oppure hai un brutto presentimento. Sei sicuro che vada tutto bene in casa? — Piero si mette a ridere e mi abbraccia.
— Se vuoi che ti dica di rimanere io te lo dico, questa è casa tua, puoi starci anche senza un motivo. Non sarà che hai paura di viaggiare fuori dalle mura di Bologna per caso? Dovete arrivare solo a Badi, in meno di un’ora sarete lì.
— Paura di cosa? Ma stai scherzando? Io lo dicevo per te, non volevo crearti problemi con la mia partenza, ma se dici che non c’è proprio nessun bisogno che io rimanga allora parto tranquilla. — Tranquilla no di certo, però parto.
— Parti tranquilla, risolvi il caso e torna qui. Io e Simone ti aspettiamo.
Che errore ho fatto, non si sarà illuso che voglio tornare a vivere con lui?
Allora scappo, come faccio sempre. Salgo in auto, metto in moto e parto sgommando, i nani cozzano nel bagagliaio, Giacomo impreca tra i denti.