CAPITOLO 18

Torno verso casa con le scarpe ricoperte di fango, così come il sedere e le mani. Mi trastullo con pensieri di vendetta nei confronti di Giacomo che mi ha trascinata in questo posto così fuori dalla civiltà. All’arrivo Dorella mi accoglie mettendosi le mani davanti alla bocca.

— Stella, ma cosa le è capitato? Ho visto Diletta tornare senza di lei e stavo per venirla a cercare.

— Non mi è capitato niente, se per cortesia mi mostra dov’è la mia camera mi farei volentieri una doccia.

— Ma certo, venga con me. — Mi accompagna lungo un corridoio, poi su per una scala, poi un altro corridoio e finalmente arriviamo alla mia camera. Chissà se troverò la strada per ritornare, questa casa sembra un labirinto infinito di camere.

— Stella, l’aspetto di sotto. Dopo pranzo vorrei portarla in giro e raccontarle della mia famiglia. — Chiudo la porta un po’ troppo in fretta e un po’ troppo maleducatamente. Per oggi della sua famiglia e di giri tra i boschi io ne avrei anche abbastanza a dire il vero, e non siamo nemmeno a metà giornata.

Mi butto direttamente sotto la doccia senza indugiare, perché se mi siedo sul letto temo di addormentarmi di colpo: questo posto mi sfinisce. Mentre mi asciugo tra i vapori del bagno cerco Silvia nello specchio, sulla sedia, dietro le tende, inutilmente: quella non si fa mai trovare quando avrei bisogno di un confronto. Finalmente riesco a stendermi di traverso sul letto, voglio chiudere gli occhi solo un pochino, rilassare le fibre del mio corpo, un attimo appena poi mi riprendo. Una musichetta molesta si insinua prepotente nelle mie orecchie disturbando le mie manovre rigenerative. Apro gli occhi di colpo, sporgo la testa verso il pavimento per recuperare il cellulare, e nel fare ciò mi accorgo che qualcuno mi sta osservando nell’ombra acquattato sotto il letto. Un tuffo al cuore, faccio uno scatto che mi porta a ruzzolare per terra fino a trovarmi vis a vis con l’intruso, anzi gli intrusi: una coppia di nani di gesso.

Ritrovo a poco a poco un battito cardiaco normale così riesco a rispondere al telefono: — Dimmi Giacomo, cosa c’è? Hai già finito la tua gita con i ragazzi?

— Ma certo, anche loro devono pranzare. Ti chiamo perché siamo tutti seduti a tavola e aspettiamo solo te per cominciare. Che stai facendo?

— Quello che sto facendo non ti riguarda, tu pensa a non disturbarmi e continua a fare domande in giro. Cominciate pure a mangiare senza di me, io non ho fame, semmai mangio qualcosa più tardi. — Vorrei avere il piacere di licenziarlo, è un vero peccato che non lo abbia ancora assunto. — Ah, Giacomo, è possibile che io abbia due nani sotto il mio letto?

— Sono stati di certo i ragazzi, forse non ho specificato che vanno messi solo nel bosco e non in casa — risponde ridendo.

— Ecco, specifica! E falli portare via questi due che mi inquietano.

Non ne posso più di lui, di nani, di laghi e di parenti. Sul cellulare spiccano diversi messaggi da aprire, uno è addirittura di Simone, mi commuove che senta il bisogno di comunicare con me: “Come stai? Qui tt bn. Quando hai tempo vieni per negozi con me? Devo comperarmi un po’ di roba da vestire”. Mi rendo conto che si ricorda di me solo quando devo aprire il portafoglio, ma non importa, anche questa è un’occasione per stare assieme che mi affretto a cogliere. Ai messaggi di mio marito rispondo con pochi monosillabi, giusto per fargli sapere che sono ancora viva. E questa chi è?

Ha trovato le informazioni che cercava? Posso considerare chiuso lo spiacevole inconveniente?”. È la responsabile della società Unimarket, quella del call center. La richiamo.

— Buongiorno sono Stella Spada, ho visto il suo messaggio.

— Buongiorno investigatrice. Non mi ha poi detto chi ha usato il cellulare aziendale per motivi personali provocando tutto questo scompiglio.

— Non gliel’ho detto perché mi è stato impossibile stabilirlo. Abbiamo chiuso il caso.

— Va bene, peccato però. Avrei voluto sanzionare chi si è permesso di fare una cosa simile con un bene aziendale, sarebbe servito di esempio anche per gli altri. — Ecco, appunto.

— Davvero un peccato che non sia necessario punire nessuno, comunque se vuole un consiglio faccia tenere i telefoni in un posto chiuso a chiave, così non ci sarà il rischio che questo si ripeta.

— Già fatto, non si preoccupi. La saluto investigatrice.

— Mi scusi, posso chiederle una cosa? Voi avete un’agenzia esterna che si occupa delle pulizie oppure è personale vostro dipendente?

— Per carità, abbiamo appaltato a una agenzia, ci mancherebbe altro che dovessi gestire anche quelli. Proprio ieri ho visto che hanno mandato una ragazza nuova, quella di prima hanno detto che ha avuto un incidente ed è ricoverata all’ospedale.

— Quale ospedale?

Mi vesto a tempo di record, lascio la valigia ancora da disfare ai piedi del letto, penserò a sistemare la roba al mio ritorno. Afferro la borsa ma non arrivo alla porta, c’è un ostacolo che me lo impedisce: Silvia.

— Adesso arrivi? Avrei voluto fare due chiacchiere prima, ma ora non ho tempo, devo andare. Fammi passare.

— È per quello che sono qui. Pensa bene a quello che vuoi fare, proprio ora che stavi riuscendo a cambiare. Non è questo che volevi?

— Devo solo andare a trovare un’amica in ospedale, tutto qui.

— No, non è tutto qui. Non andare, non riuscirai a fermarti.

— Non so di cosa stai parlando. Io devo andare, spostati.

Non si sposta, faccio qualche passo verso di lei e le passo attraverso, mentre lo faccio si dissolve come vapore. Riesco a ripercorrere i molti corridoi fino a scendere nella sala da pranzo. Il mio ingresso viene accolto con ovazioni e sorrisi, io però devo deluderli, non ho nessuna intenzione di fermarmi a mangiare con loro.

— Scusatemi tutti, devo tornare a Bologna per una cosa urgente che richiede la mia presenza. Rientrerò in serata. — Giacomo si alza in piedi e viene verso di me.

— Vi lascio qui Giacomo, lui è il mio assistente e porterà avanti le indagini in mia assenza. Perdonatemi, ci vediamo più tardi.

Giacomo rimane impietrito e a bocca aperta, gli altri si sono ammutoliti forse pensando a qualcosa da dirmi per fermarmi, io però non ho tempo di aspettare la loro reazione, in un attimo sono già fuori, metto in moto la macchina e parto. Silvia è seduta di fianco a me.

— Non vorrai fare il viaggio da sola vero? Così possiamo chiacchierare, magari posso darti qualche suggerimento — mi dice.

Le sorrido, mi ci voleva proprio un’amica in questo momento.