La domenica mattina presi un’imbarcazione fino all’approdo di Charing Cross e pranzai con i Newcomb a Savoy. La padrona di casa mi rimpinzò per bene e bevvi più vino di quanto fosse raccomandabile. Senza dubbio lei voleva conquistare le mie grazie per sé e il marito. Messer Newcomb mi era simpatico, ma non ero altrettanto sicuro di sua moglie, una donna cupa, aspra, dallo sguardo tagliente. Con me era il fascino fatto persona, ma trattava con severità la servitù ed era sempre pronta a rimproverare i figli.
Dopo mangiato mi mostrarono le due camere al primo piano della loro proprietà. Gli ambienti erano piccoli e si affacciavano su un passaggio pubblico che portava a un cortile con una pompa. Però erano puliti ed erano disponibili subito. Io e mio padre avremmo avuto stanze separate, cosa che desideravo immensamente. I rumori del torchio da stampa nell’officina al pianterreno avrebbero forse scoraggiato molti possibili affittuari, ma per il vecchio sarebbero stati familiari e benvenuti. Inoltre, durante il pranzo avevo saputo che la signora Newcomb aveva assistito il padre nei suoi ultimi anni, perciò era abituata ad affrontare i capricci degli anziani. Come ultimo vantaggio, l’alloggio era appartato ma comodo sia per Whitehall sia per la City.
Non indugiai oltre e lo affittai. I Newcomb conoscevano già la storia di mio padre, così non avrei avuto niente da nascondere con loro. Forse, pensai, mentre mi incamminavo per lo Strand un po’ incerto sulle gambe, il vento comincia a girare a mio favore.
Svoltai a sinistra e mi diressi verso le rovine annerite di St Paul e la città delle ceneri.
Cradle Alley era una viuzza stretta e dritta che partiva verso est da Coleman Street, in direzione di Austin Friars e Broad Street. La porzione occidentale era fiancheggiata da cumuli di cenere e detriti, che in parte occupavano ancora la carreggiata, riversandosi nel canale di scolo centrale tappato.
Mi incamminai per il vicolo, premendomi il mantello sul naso. Era tardi. Avevo impiegato più tempo del previsto per arrivare lì, perché le strade erano ancora bloccate dalle macerie. Ora mi pentivo di aver indugiato tanto dai Newcomb.
Riccioli di fumo si levavano dai focolai nascosti e si mescolavano alla foschia della pioggia e alla nebbia densa e nera del carbone che ammantava Londra anche prima dell’Incendio. Le macerie lasciarono spazio a una varietà di case e officine addossate le une alle altre su entrambi i lati della via.
L’edificio accanto all’insegna delle Tre Stelle era sulla sinistra, quasi in fondo. Era una costruzione stretta che si innalzava per quattro piani, i più alti aggettanti sulla strada. Non c’era traccia di un’attività o di un qualche commercio, né indizi sui suoi occupanti. Ma le finestre erano pulite e l’intonaco del timpano era stato imbiancato dopo l’Incendio. Sembrava curata, cosa che non si poteva dire della maggior parte delle case rimaste in piedi nella City.
Davanti a un portone sull’altro lato della via era accovacciata una donna anziana con gli occhi chiusi e la faccia grigiastra, la mano protesa a chiedere l’elemosina. Le lasciai cadere un penny nel palmo. Gli occhi si aprirono all’istante. Le dita si richiusero sulla moneta e la nascosero all’istante sotto il lurido mantello.
«Dio vi benedica, signore» borbottò.
«Chi abita lì, in quella casa alta?»
Alzò la testa. Un occhio era coperto da una patina grigia. «È la casa dei Quincy, signore». Protese di nuovo la mano, con il palmo verso l’alto. Il penny non c’era più.
Gliene diedi un altro. «Messer Quincy?»
«Il vecchio è morto e sepolto, ma continua a chiamarsi così».
«Chi ci abita?»
«La gente va e viene».
Abbassò le palpebre e io rinunciai a strapparle altre informazioni. Con un salto scavalcai il canale di scolo e bussai alla porta della casa alta. Si aprì quasi immediatamente. Il portiere mi scortò fino all’atrio mentre mi presentavo e spiegavo il motivo della mia visita.
L’interno mi colse di sorpresa, perché non corrispondeva all’esterno dell’edificio. L’atrio era spazioso e ben proporzionato. Diversi orologi scandivano i secondi. Il pavimento era di marmo a scacchi bianchi e neri.
Comparve un altro servitore, che si inchinò e mi invitò a seguirlo. Era alto, aveva il viso deturpato dalle cicatrici del vaiolo e il portamento di un soldato; non c’era niente di servile in lui. Salimmo un ampio scalone dai gradini bassi fino alla galleria del primo piano. Bussò a una porta e, senza aspettare una risposta, l’aprì e si fece da parte per lasciarmi entrare.
La signora Alderley era seduta davanti al fuoco in una poltrona alta con lo schienale intrecciato. Al mio ingresso posò un libro sul tavolino accanto a lei. Era vestita in maniera più semplice del solito, anche se gli abiti erano di ottima qualità. Rimasi sorpreso di non vedere traccia della cameriera né della padrona di casa.
Feci un profondo inchino. Quando alzai la testa, gettai una rapida occhiata all’ambiente. Era una stanza ampia, con il soffitto alto e sorprendentemente moderna. Di fronte alla porta due ampie finestre si affacciavano a nord sui tetti fino alle mura della City, punteggiate dalla tozza torre di Moorgate.
L’appartamento era arredato alla francese, con una stanza da disegno o salottino privato. Era lussuoso come quello di Barnabas Place, ma lo manifestava in maniera molto diversa. Barnabas Place guardava al passato per i mobili e le decorazioni, mentre questa stanza non avrebbe potuto essere più moderna. Alle pareti erano appesi molti quadri, per la maggior parte di soggetto classico, molti dei quali con dee o ninfe che esibivano le loro grazie.
Soltanto un pesante paravento di cuoio conferiva una nota antiquata all’insieme. Era collocato in un angolo della stanza; oltre la sua sommità si intravedeva l’architrave di una seconda porta. Era decorato con una scena di caccia, ma i rossi e verdi si erano scuriti con il tempo, fondendosi in un marrone spento.
La signora Alderley mi invitò a sedermi su un divano di fronte al fuoco, perpendicolare alla poltrona. «Siete stato gentile a venire, messer Marwood. Perdonatemi se vi ho convocato qui. Immagino che sarete curioso di conoscerne il motivo».
Per un attimo restammo entrambi in silenzio. A riposo il suo viso ovale sembrava quasi imbronciato. Gli occhi castani avevano palpebre pesanti. Quanti anni aveva? Trenta? Trentacinque?
Sospirò come se qualcosa la turbasse, e si agitò sulla poltrona. «Per prima cosa» disse, «ci sono novità sugli omicidi? Adesso ne abbiamo due, a quanto ho capito». Notando la mia espressione confusa spiegò: «Messer Williamson ha informato mio marito del secondo uomo, quando ieri si sono incontrati a Whitehall».
«Non ho saputo più niente, madam».
Le sue lunghe dita giocherellarono con un tassello sul bracciolo della poltrona. «La mia seconda domanda è questa: posso avanzarle una richiesta personale? E, qualunque sarà la vostra risposta, posso contare sulla vostra discrezione?»
Mi chiesi se sapesse che mi sarebbe stato difficile negarle qualcosa, soprattutto se lo chiedeva in tono così confidenziale.
«Certo» risposi.
La signora Alderley mi scrutò attentamente. «Mi aiuterete a ritrovare la nipote di mio marito?»
La guardai sorpreso. «Ma non è in campagna? Mi avevate detto che era da amici per ragioni di salute».
«Non era la verità. Allora? Mi aiuterete?»
Cercai di conservare un minimo di cautela. «Per quanto mi sarà possibile, madam. Ma è necessario che messer Williamson…»
«Non preoccupatevi di messer Williamson. Ma ricordate questo: lui non sa ciò che desidero da voi, né il perché. E non dovrà saperlo, finché io non deciderò altrimenti».
«E messer Alderley?»
«Non ne sa niente e per il momento vorrei che rimanesse all’oscuro».
«Madam» dissi, «ho bisogno di ulteriori informazioni prima di decidere come procedere».
Lei serrò la bocca, ma annuì. «D’accordo». Poi sorrise, increspando appena le labbra. «Per prima cosa, come vi è sembrato l’alloggio che avete visto oggi?»
«A Savoy?» Ancora una volta mi aveva colto di sorpresa. «Molto piacevole, madam. L’ho affittato».
«Vostro padre troverà confortevole la sistemazione, immagino» commentò. «In quanto stampatore, intendo. E ovviamente avevate bisogno di trovare qualcosa in fretta. Dopo l’Incendio è difficile trovare alloggi, soprattutto per uomini come vostro padre. Siete stato molto fortunato».
«Voi… voi ne eravate al corrente?»
«Sì. Potete anche considerarmi la mano della Provvidenza».
Mi ritrovai in piedi, fremente di rabbia e di timore per mio padre e per me stesso. «Perché, madam?» domandai. «Perché?»
«Sedetevi e ve lo spiegherò».
L’accontentai. Mentre mi sedevo, udii distintamente un’asse scricchiolare a poca distanza. Il rumore proveniva da dietro il paravento nell’angolo della stanza.
La signora Alderley si schiarì la voce, forse nel tentativo di coprire il rumore. «Ho fatto delle ricerche. E ho pensato di ricompensarvi in anticipo, in modo che capiste che non avreste perso nulla fornendomi il vostro aiuto».
Capivo molto più di questo. Lei sapeva chi era mio padre, e quanto fossero precarie le nostre condizioni. Se aveva il potere di aiutarci, avrebbe potuto anche farci del male.
Udii il fruscio di una sedia che veniva spostata dietro il paravento, poi dei passi pesanti. Balzai in piedi. Spuntò un gentiluomo. Era di mezza età e piuttosto in carne. Vestiva in maniera sobria, sebbene la sua faccia avesse il colore di chi si gode la vita e non ci fosse niente di puritano in lui. Sul mento aveva una verruca.
«Sono messer Chiffinch» si presentò.
Feci un profondo inchino, augurandomi che la mia paura non fosse troppo evidente. Un mistero era risolto, l’identità dell’uomo che era andato a trovare messer Williamson. Conoscevo Chiffinch di fama, se non di persona, come gran parte delle persone che lavoravano a Whitehall. Era il segretario del gabinetto reale, come lo era stato suo fratello prima di lui – l’uomo che controllava l’accesso privato al re.
«Vogliamo che andiate a Coldridge» disse.
«Coldridge, signore? Ma dove si trova?»
«È un luogo, non un uomo».
Lo guardai sgranando gli occhi. «Non capisco».
«È abbastanza semplice. Vogliamo trovare Catherine Lovett, la nipote della signora Alderley, e riportarla dai suoi amici. Bisogna agire con discrezione, perché la giovane dama sta per sposarsi e dobbiamo proteggere la sua reputazione da uno scandalo».
Mi inchinai di nuovo.
«Coldridge è una proprietà nel Suffolk» proseguì brusco Chiffinch. «Ora appartiene alla signorina Lovett ed è il luogo dove ha trascorso parte dell’infanzia. Sorge non lontano dal villaggio di Champney Crucis».
«Non possiamo essere sicuri che si trovi lì» disse la signora Alderley. «Ma potrebbe esserci andata… in cerca di rifugio».
«Rifugio da cosa?» chiesi.
«Nutre dubbi da fanciulla sulla propria adeguatezza al matrimonio, come capita a molte ragazze. Non c’è bisogno che vi dica quanto sia appropriato questo connubio con sir Denzil. La sua famiglia lo desidera e il promesso sposo non potrebbe essere più gentile o più premuroso nei suoi confronti. Ma uno scrupolo infantile deve averla momentaneamente disorientata».
«È naturale che una ragazza cerchi rifugio nel luogo dove è stata felice da bambina» intervenne Chiffinch. «E voi ne avete trovata anche la prova, non è così, madam?»
«È stato messer Marwood, non io, signore».
«Il foglio» dissi. «Nella cassa di Layne: “Coldridge PW”».
Lei annuì. «Nelle mani dell’altro servitore. Quel farabutto, Jem. Avevate ragione voi, Layne deve aver forzato la cassa e se ne è impossessato».
«C’erano anche sei ghinee» le ricordai.
«Un ricatto» disse Chiffinch. «Layne probabilmente era venuto a sapere che intendeva fuggire e ha cercato di estorcerle denaro per il proprio silenzio. La signorina Lovett l’ha pagato affinché tenesse la bocca chiusa. Ma Jem ha preferito essere sicuro che il suo silenzio fosse definitivo e lo ha attirato a St Paul. Nella concitazione di quella notte non gli sarà stato difficile nascondere un omicidio. È bastata una pugnalata».
«Ma uccidere un uomo per un motivo così futile…»
Chiffinch mi zittì con un gesto della mano. «Quel manigoldo era posseduto dal demonio. Se accettiamo che Jem ha ucciso Layne si spiegano molte cose, credo, compresa l’aggressione al vostro figliastro. Jem era violento per natura, e nutriva un attaccamento morboso per la signorina Lovett».
«Ovviamente mia nipote non sapeva niente di tutto ciò» precisò la signora Alderley.
Io rimasi in silenzio. Chiffinch mi guardò con i suoi grandi occhi umidi. Pensai al poveraccio che avevo visto frustare a morte a Barnabas Place. Non mi era sembrato malvagio, ma forse nessun uomo lo è sotto i colpi di una frusta.
«Ecco, Marwood» concluse Chiffinch parlando più lentamente, per dare enfasi alle sue parole. «Ora conoscete tutta la storia».
«Dovete andare a Coldridge per vedere se Catherine è lì, messer Marwood» disse la signora Alderley, guardandomi con severità. «La proprietà è stata data in affitto, credo, ma forse lei si è rifugiata da qualche conoscente d’infanzia, o da qualche vecchio servitore. Ditele che vi mando io, e che tutto è perdonato. Riportatela a casa. Ragionate con lei, ma se necessario costringetela. Potete prendere a servizio una donna perché si occupi di lei durante il viaggio. Messer Chiffinch vi fornirà il denaro e i documenti necessari».
«C’è una complicazione» disse Chiffinch. «È possibile che, cercando lei, troviate anche suo padre». Mi guardò e probabilmente lesse la confusione sul mio viso. «Thomas Lovett» aggiunse. «Il regicida. In quel caso dovrete lasciar perdere la ragazza, per il momento, recarvi dal primo giudice che troverete e far arrestare Lovett».
Chiffinch aveva affari da sbrigare altrove e mi lasciò solo con la signora Alderley. Restammo seduti in silenzio, ciascuno immerso nei propri pensieri.
«Catherine è una ragazza strana, messer Marwood» disse lei dopo qualche istante. «Piccola di statura, e per molti versi più una bambina che una donna. Il padre ha lasciato il suo segno su di lei».
«Anche lei appartiene alla Quinta Monarchia?»
«Niente del genere. Ciò che hanno in comune è molto diverso. Thomas Lovett era un capomastro, come suo padre prima di lui. Il suo lavoro era molto apprezzato ai tempi del vecchio re. Aveva viaggiato nel Continente, da giovane, e ne conosceva gli stili più recenti. Messer Inigo Jones in persona aveva un’ottima opinione di lui. Credo che sia questo ciò a cui pensa lei soprattutto, in cuor suo. A questo volgare, meccanico lavoro delle costruzioni».
«Una donna non può maneggiare uno scalpello» sottolineai. «Non può diventare capomastro come suo padre. È un’idea assurda».
«Suppongo che una donna possa maneggiare uno scalpello come chiunque altro» dichiarò la signora Alderley, con mia sorpresa. «Se intendesse dedicarsi a un lavoro così infimo e sporco. Ma non è ciò che voglio dire. A Barnabas Place Catherine continuava a scarabocchiare piani e progetti di edifici. Non in pubblico, ovviamente, solo quando era sola. Una volta l’ho sorpresa. E la mia cameriera mi portava i fogli scartati che aveva buttato via. Credo che la zia a Coldridge l’avesse incoraggiata a interessarsi di certe cose. Semplici castelli in aria, del tutto innocui, ma dubito che sir Denzil approverebbe. Gusti così strani, così poco femminili… Ha l’aspetto di una bambina e pensa come un uomo. Credo proprio che sarebbe stata più felice se fosse nata maschio».