Messer Hakesby non era stato bene negli ultimi giorni. Il tremito alle mani era peggiorato. Dormiva male, e il venerdì precedente era caduto dalle scale. Non era un bevitore, non più della maggior parte degli uomini, ma Cat si domandava se non fosse affetto dalla paralisi agitante di cui aveva sofferto il prozio Eyre a Coldridge.
L’ultimo anno della sua vita, lo zio si trascinava faticosamente per casa camminando a piccoli passi e lamentando dolori alle membra. Le sue mani tremavano talmente che alla fine la moglie aveva dovuto imboccarlo. A peggiorare il tutto, aveva cominciato a vedere cose inesistenti e a confondere la natura di quelle reali. Mamma Grimes, una vecchia che abitava nella tenuta, gli preparava infusi di erbe. La servitù diceva che era una strega o una donna saggia, secondo i casi. I suoi rimedi avevano alleviato un po’ i dolori, ma anche peggiorato le visioni.
Cat pregava che non fosse questo il destino di messer Hakesby. Non per il suo bene, ma per il proprio. Aveva troppo bisogno di lui. Non doveva ammalarsi e morire.
Il lunedì, il ragazzo che portava il latte disse che i garzoni di Fleet Street erano usciti a preparare un grande falò su uno spiazzo creato dall’Incendio in Harp Lane, a est di Fetter Lane. Era l’anniversario della Congiura delle polveri, la festa che celebrava il giorno in cui era stato sventato il complotto cattolico per far saltare in aria il re e il Parlamento, più di cinquant’anni prima.
I garzoni avevano realizzato un fantoccio della Meretrice di Babilonia vestita come il Papa di Roma, con tanto di tripla tiara e chiavi di San Pietro. John implorò la signora Noxon affinché permettesse al personale di uscire per un’ora la sera, dopo aver servito la cena, per andare a godersi lo spettacolo.
«A te piacerebbe venire, vero, Jane?» chiese rivolto a Cat. Era arrossito e la guardava con occhi trepidanti. «Sarà uno spettacolo straordinario. Scommetto che ci saranno bancarelle e altre attrazioni. Ci sarà tutto il mondo».
«Anche a me piacerebbe assistere» disse Margery.
«Se proprio volete, potete andarci tutti» disse la signora Noxon. «Ma soltanto per un’ora, e dopo aver sparecchiato la cena e preparato tutto per domattina».
Sempre lunedì, a metà mattina le condizioni di messer Hakesby peggiorarono improvvisamente. Lui fece chiamare la signora Noxon, che salì a trovarlo. Cat si chiese se avesse bisogno di un medico o quantomeno di un salasso. Ma quando scese, dieci minuti più tardi, la signora Noxon disse a Cat di salire nella camera di messer Hakesby a lavorare per lui per il resto della mattina, e se possibile anche per parte del pomeriggio. La signora Noxon sembrava soddisfatta dell’accordo, anche se avrebbe costretto tutti gli altri a fare gli straordinari, e questo fece intuire a Cat che messer Hakesby l’avesse pagata profumatamente.
Lo trovò alzato e seduto in poltrona. Portava ancora la camicia da notte e le pantofole, e aveva la faccia più scavata del solito. La pelle era secca e si staccava a scaglie, come una nevicata in miniatura, sulle spalle della vestaglia verde scuro.
«Non mi sento molto bene, Jane» spiegò in maniera del tutto superflua. La mano destra cominciò a guizzare convulsamente e lui se la premette sulla gamba con la sinistra. «Ho chiesto alla signora Noxon di permetterti di assistermi. Prendi il foglio che è sul tavolo, per favore. Quello sopra gli altri».
Lei ubbidì. Era uno schizzo approssimativo di una facciata che aveva proporzioni non dissimili da quelli della Banqueting House a Whitehall, ma in scala molto ridotta. Si trattava di un disegno a matita con le linee tracciate in modo un po’ incerto sulla carta, ma l’idea generale era perfettamente chiara. In basso, annotate a inchiostro, c’erano le misure delle dimensioni principali.
«Devo averne una bella copia prima di stasera» disse messer Hakesby. «Puoi farla tu?»
«Sì, signore». Cat rispose a bassa voce, tenendo lo sguardo a terra. Ma dentro di sé cominciò a sentire il battito dell’esaltazione.
«Lavorerai a quel tavolo e io sorveglierò il tuo operato. Prima dovrai segnare le misure, poi tracciare le righe a matita prima di usare l’inchiostro. Dovrà essere il più preciso possibile, dato che sarà mostrato al cliente».
«Il cliente, signore?»
«Un collegio a Cambridge. È soltanto una proposta, che potrebbe o meno portare a una commissione. Qui c’è il prospetto laterale della nuova cappella».
«Quella che sta progettando il dottor Wren?» chiese lei.
Messer Hakesby sbuffò e sulle sue guance comparvero chiazze rosse. «È più corretto dire che io e lui siamo impegnati insieme in questo progetto».
Cat fece una riverenza e si occupò dei preparativi, gettando occhiate furtive a messer Hakesby. Lui tornò ad appoggiarsi allo schienale e si massaggiò la fronte, causando un’altra spruzzata di neve. Un muscolo gli guizzò nella guancia. Un attimo più tardi si alzò con qualche difficoltà e si trascinò a passo malfermo fino al gabinetto. Dopo un lungo silenzio lei lo sentì liberarsi.
Quando tornò controllò i suoi progressi e ne sembrò soddisfatto. Mentre lei procedeva, lui prese un libro consumato e lo appoggiò al bracciolo della poltrona. Sembrava che stesse leggendo, ma non sfogliava nemmeno una pagina. Quando gli passò accanto per andare a prendere un temperino per affilare la matita, Cat gettò un’occhiata al volume. Notò senza sorpresa che si trattava del De Architectura di Vitruvio, il libro preferito di zia Eyre. Era un buon segno.
Firmitas, utilitas, venustas, pensò. Gli edifici dovrebbero essere come nidi di uccelli e api.
Il resto della mattinata passò piacevolmente. Il lavoro assorbiva Cat, portandola in un luogo dove preoccupazioni e doveri svanivano, lasciando solo il sussurro della matita sulla carta, il respiro di messer Hakesby e il progetto che prendeva forma sul tavolo davanti a lei.
A pranzo, lui le chiese di scendere a prendergli un vassoio con il pranzo. «Dopo potrai pranzare anche tu, riprenderemo a lavorare nel pomeriggio».
«Signore?» disse Cat, mentre liberava il tavolo per far posto al vassoio. «La cornice non è un po’ troppo ricca?»
«Di che cosa parli?» Lui sembrava perplesso. Si alzò dalla poltrona e si avvicinò a dare un’occhiata al disegno. «Che ne sai tu di certe cose, santo cielo?»
Lei fece un profondo respiro per farsi coraggio. «Avete detto che i pilastri tra le campate devono avere capitelli corinzi, signore. Ma la decorazione della cornice non distrarrà l’occhio, confondendo la mente?»
Lui guardò il foglio, corrugando assorto la fronte. «Sì» disse infine. «In effetti non ne ero molto sicuro neppure io. Lo farò presente al dottor Wren». La guardò di traverso. «Comunque lo avrei fatto in ogni caso».
«Sì, signore. Vi chiedo perdono».
«Però hai occhio, Jane, e questo è inestimabile».
La congedò e lei scese le scale fluttuando, felice come non era mai più stata dopo quei lontani giorni a Coldridge.
Gli orologi battevano le nove, una conversazione di campane che durò diversi minuti.
I tre servitori si incamminarono verso lo Strand. John portava un lume e un bastone con il puntale di ferro. Nei giorni di festa c’erano tafferugli, oltre ai consueti pericoli della notte. Margery gli stava accanto e Cat era tra Margery e il muro.
«Non c’è molta gente» disse Margery quando raggiunsero lo Strand.
Nessuno replicò, ma aveva ragione, pensò Cat. La strada era quasi deserta, a parte i soliti ricercatori di piacere, e qualche bottega che non aveva ancora chiuso. Carri e vetture passavano su e giù insieme a qualche cavaliere. Ma non c’era traccia della folla che lei si era aspettata, né quel senso di irrefrenabile, disordinata allegria che regnava per le strade nei giorni di festa.
I tre superarono Temple Bar ed entrarono in Fleet Street. Davanti a loro si apriva la desolazione della City, con lo scheletro minaccioso di St Paul appena visibile contro il cielo. Le macerie erano quasi completamente immerse nel buio. Pochi si avventuravano lì di notte.
«Dov’è il falò?» domandò Margery.
«Te l’ho detto, in Harp Lane» rispose John con una punta di ansia nella voce. L’uscita era stata una sua idea ed era responsabile del suo successo o del suo fallimento. «Tra un attimo lo vedrai».
Invece non videro niente. Oltre Fetter Lane le macerie si estendevano fino al canale del Fleet, e poi su per il pendio verso il muro della City. Non c’erano torce intorno a loro, non si sentiva baraonda nell’aria e soprattutto non c’era nessun falò a ridurre in cenere l’Anticristo di Roma dalla triplice corona.
Cat non sarebbe voluta andare con loro, ma adesso che l’uscita aveva perso il suo scopo si sentiva delusa.
«Avevano detto che sarebbe stato qui» disse John; era mortificato, un bambino privato del suo giocattolo e che per di più faceva la figura dello sciocco. «Devono averlo spostato».
Margery fermò una cameriera che usciva da una pasticceria tenendo su un braccio un cesto coperto. «Dov’è il falò?» le chiese.
La ragazza si strinse nelle spalle. «Non è venuto nessuno». Agitò il braccio libero in un gesto che racchiudeva la City e i dintorni. «Quest’anno niente falò. Nessuno vuole un altro incendio, giusto? Ne abbiamo avuto abbastanza».
John chinò la testa verso Cat. «Che cosa vuoi fare?»
«Tornare a casa» rispose Cat. «Ho mal di testa».
Nello stesso istante Margery propose: «Prima andiamo a mangiare qualche ostrica. Siamo a un passo dal ponte sul Fleet».
«Non abbiamo tanto tempo» obiettò John. «Jane, tu che cosa…»
«Ma dai, vuoi negarci questo piacere? Ce lo meritiamo. E poi conosco una scorciatoia». Margery gli strappò di mano il lume. «Seguitemi, ve la mostro».
«Non c’è tempo» ribatté lui. «E la signora Noxon…»
«Per le ostriche c’è sempre tempo». Margery imboccò il vicolo parallelo a Fleet Street, portando con sé il lume. Si girò a gridare: «Oppure che ne dite di un po’ di pan di zenzero?»
Gli altri due la seguirono meccanicamente. Il vicolo era stato ripulito dalla devastazione dell’Incendio. Cat inciampò sui ciottoli sconnessi e John le afferrò un braccio per sostenerla. Lei non si staccò. Questo, si accorse quando ormai era troppo tardi, gli infuse coraggio. Si fermò di scatto e la fece voltare con la schiena contro il muro.
«Jane, non ce la faccio più» bisbigliò. «Devo parlare. Altrimenti scoppio».
La luce scomparve dietro un angolo. L’oscurità li avvolse.
Lui le affondò le mani sulle spalle. Lei si frugò in tasca.
«Fatti baciare. Diventa la mia ragazza, te ne prego».
Avvicinò il viso a quello di lei. Il suo sudore era acre, indubbiamente maschile. Lei si sentì salire la nausea in gola. Lui la bloccò contro la parete. La sua guancia le sfiorò le labbra. Lei sentì la voce del cugino Edward che le sussurrava all’orecchio.
Grida quanto ti pare, tesoro mio. Nessuno ti sentirà.
Estrasse il coltellino dal fodero.
«Dolce Jane. Perdonami. Un bacio. Ti prego. Uno soltanto».
Una parte della sua testa ebbe il tempo di pensare che John non era come il cugino Edward, che era un uomo gentile e stupido, tanto sciocco e strambo da desiderarla, mentre Edward era un mostro che meritava di essere impiccato nonostante tutti i suoi bei modi.
Ma distinguere tra i due uomini non aveva importanza. John aveva fatto scattare dentro di lei, qualcosa che le impedì di avere il controllo su ciò che seguì, come una palla quando esce dalla canna di una pistola.
Le sue labbra avevano trovato il viso di lei. La sua bocca era aperta e umida. Uno dei suoi denti le graffiò il mento. John arrivò alle sue labbra.
La luce tornò. «Ehi, voi!» esclamò Margery. «Che cosa state…»
Lasciò la frase a metà. Cat estrasse il coltello e lo conficcò nella coscia di John. Sentì la punta scivolare sul tessuto delle braghe; poi la lama perforò la pelle al di sotto, e affondò nella carne e nei muscoli.
John lanciò un grido e con un balzo si allontanò da lei, afferrandosi la gamba.
Cat si liberò e fuggì di corsa nell’oscurità verso Fetter Lane.
Le strade erano piene di insidie.
Cat si rifugiò nei pressi di Harp Lane, a poca distanza da dove avrebbe dovuto esserci il falò, e si nascose in un angolo tra due muri. Aveva sperato di trovare solitudine lì, ma si accorse ben presto del suo errore. Tra le rovine c’erano persone invisibili – qualcuno ci viveva, forse tra le macerie della sua casa, altri frugavano tra i detriti. Per un istante ebbe la visione di cosa significasse essere davvero poveri, essere meno di una cameriera a Three Cocks Yard, per non parlare poi di una giovane ereditiera a Barnabas Place.
In una città perfetta, pensò, nel disperato tentativo di distrarsi, ci sarebbero state case modeste ma ariose per i poveri. Sarebbero state costruite con i mattoni e collocate su strade dritte ben drenate, con una pompa a ogni angolo. Non quei buchi fuligginosi nel terreno.
Firmitas, utilitas, venustas. Cat si aggrappò a quelle parole come se fossero un talismano che poteva proteggerla. Firmitas, utilitas, venustas. Le case per i poveri sarebbero state solide, utili e belle.
Cominciò a piovere. Stringendo in mano il coltello avanzò in maniera furtiva, tornando su Fetter Lane e poi, non sapendo che altro fare, fino a Three Cocks Yard. Bussò esitante alla porta.
La signora Noxon la fece entrare, una volta che si fu assicurata della sua identità. Nel vestibolo era accesa una sola candela. La padrona di casa sprangò la porta e mise il catenaccio. Quando si girò, a Cat bastò darle un’occhiata per capire che era al corrente di quanto era successo.
«Sono… sono tornati, signora? Margery e John?»
La signora Noxon annuì. «Ne riparleremo domattina» bisbigliò. «Ora va’ a letto, Jane».
Sputò il nome falso di Cat come se fosse un boccone di carne avariata.
Cat fece una riverenza. Aveva il mantello fradicio, l’orlo impiastricciato di fango e fuliggine. Anche la gonna era nelle stesse condizioni. Altri guai per il mattino dopo, pensò, e altro lavoro.
Scese in cucina a prendere la candela, poi salì le scale. Più saliva, più l’aria era fresca.
Con sgomento vide una lama di luce sotto la porta della soffitta che condivideva con Margery. Si fermò sul pianerottolo. Si sentivano dei rumori provenire dall’interno – passi, un respiro affannoso e un raspare, come se qualcosa venisse trascinato sulle assi del pavimento. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare Margery. Meglio farlo subito.
Alzò il chiavistello e aprì la porta. Una ventata d’aria fredda e umida la investì. La finestra era spalancata. C’era una candela sullo sgabello accanto al suo pagliericcio. La fiamma guizzò con violenza nella corrente d’aria e le ombre danzarono avanti e indietro sul soffitto inclinato. Margery era accanto alla finestra con un rotolo di carta in mano.
Cat vide una scatola – la sua scatola – aperta sul pavimento. Lo sgomento fu come un pugno allo stomaco e per un attimo lei boccheggiò come un pesce fuor d’acqua.
Quando la porta si aprì, Margery si voltò. Aveva la faccia bagnata di pioggia, o forse di lacrime. Strappò il nastro che teneva fermi i fogli e li gettò fuori dalla finestra.
Per un attimo le carte svolazzarono nell’aria, fiocamente illuminate dall’alone della finestra. Poi gli edifici mai costruiti e le strade mai tracciate svanirono nella notte.
Città perdute. Firmitas, utilitas, venustas.
«Ti odio» disse Margery in tono pacato, quasi colloquiale.