29.

Il mattino successivo alla catastrofica notte delle polveri, i lavori di casa ripresero come al solito. C’erano fuochi da accendere, letti da rifare, pasti da cucinare. Cat, John e Margery lavoravano in silenzio, evitando di guardarsi. John zoppicava leggermente e si teneva contro i muri, come un cane che abbia paura di essere frustato. Margery aveva la faccia rossa e gli occhi gonfi di pianto. Cat l’aveva sentita singhiozzare e tirare su con il naso per tutta la notte.

La signora Noxon non rivolse loro la parola, tranne che per impartire ordini. Per tutta la mattina la sua collera rimase sospesa sulla casa come una nuvola nera e minacciosa.

La finestra della soffitta si affacciava sul davanti della casa. Alle prime luci dell’alba Cat era uscita. Una livida luce grigia riempiva il cortile, sufficiente a farle vedere che i fogli erano ormai perduti, in balia del vento e della pioggia. Erano sparite anche la sua borsa di cuoio e i vestiti di ricambio.

La scatola di zia Eyre era appena fuori dalla porta d’ingresso. Era un oggetto delicato e l’impatto con il selciato l’aveva irrimediabilmente distrutta. Il suo contenuto era sparito. Niente più traccia del compasso normale, di quello a punte fisse, del goniometro e di un piccolo righello, tutti di ottone, oltre a una matita custodita in un astuccio d’argento.

Tutti i suoi beni adesso erano ridotti al contenuto della sua tasca: pochi scellini, un fazzoletto, la bambola Hepzibah, il coltellino, la cassa di Jem e la chiave per aprirla. La cassa era vuota, a parte il mantello grigio rubato, che era stato appeso sulla porta della soffitta.

Non le importava granché la perdita dei vestiti, ma soffriva per la distruzione della scatola di zia Eyre e per il furto del suo contenuto.

Cat si aspettava di essere frustata per la parte avuta nella storia e sentiva che Margery meritava lo stesso trattamento. Era possibile, addirittura probabile, che perdessero entrambe il lavoro.

Non era sicura di cosa sarebbe accaduto a John – forse sarebbe sfuggito al castigo corporale o anche a qualsiasi punizione, almeno in parte perché era un uomo e perché una donna lo aveva tentato. Era risaputo che le giovani donne erano creature lascive, che anelavano disperatamente a soddisfare le loro voglie e irretivano giovani innocenti. In realtà Cat non era consapevole di simili brame dentro di sé, ma accettava l’idea che potessero esserci da qualche parte, dal momento che tutti davano per scontata la loro esistenza. Da quando era morta la madre, il suo rapporto con Dio non era cambiato: la sua esistenza era possibile, ma per nulla probabile. Tuttavia andava rispettata la sensibilità altrui.

Il pranzo fu cucinato, servito e sparecchiato. Poi la signora Noxon parlò singolarmente a ciascuno dei tre. Uno dopo l’altro li convocò nella sua stanza e li interrogò con pacata e impersonale efficienza. In questa fase non formulò giudizi né somministrò punizioni, limitandosi a raccogliere informazioni. Una volta finito si era fatta un quadro molto accurato degli eventi della sera prima, dal falò inesistente alla distruzione della scatola di Cat.

Tuttavia continuò a non parlare, dedicandosi al lavoro in silenzio come loro, tranne quando dava ordini.

Più tardi nel pomeriggio il dottor Wren venne a trovare messer Hakesby e i due uomini si chiusero nell’appartamento di quest’ultimo. Il dottor Wren aveva un’espressione cupa e Cat suppose che i suoi progetti per la City fossero stati respinti un’altra volta. Dato che era martedì, aveva partecipato a una riunione con altri commissari per la ricostruzione di Londra. Cat sperava che la mandassero a chiamare, ma non fu così.

Poi arrivò l’ora di cena. Messer Hakesby e il dottor Wren mangiarono nella stanza dell’anziano disegnatore. Fu la signora Noxon in persona a portare loro la cena, e questo diede a Margery la possibilità di buttare il cucchiaio di Cat tra le braci, fingendo di non averlo fatto apposta.

Nel frattempo John zoppicava per la cucina, ricordando in silenzio alle due giovani donne che era ferito e in cerca della loro solidarietà. Forse voleva addirittura farle sentire in colpa. Era solo un bambino troppo cresciuto, pensò Cat, come tutti gli uomini. La coltellata gli aveva graffiato appena la coscia, ma si comportava come se avesse perso una gamba.

Al termine della cena la signora Noxon li guardò seduti a tavola e annunciò gelida: «Adesso riceverò di nuovo ognuno di voi. John per primo».

Lui la seguì nella sua stanza. Non fu una faccenda lunga. Quando uscì aveva la faccia rossa come la giubba di una guardia reale, e gli tremavano le labbra.

Margery gli si avvicinò. «Che cosa è successo?» bisbigliò.

«Tre mesi di salario da dare in beneficenza ai poveri. Oppure devo andarmene. Stasera». Tirò su con il naso e girò la testa dall’altra parte; si capiva che stava per scoppiare a piangere. Con voce soffocata aggiunse: «Ora vuole te».

Margery si lisciò il grembiule e si allontanò in fretta.

John guardò Cat, che era in piedi accanto al fuoco. Deglutì. «Volevo che ti piacesse, Jane. Il falò. Tutto quanto».

«Io no» ribatté Cat. «E questo è quanto».

Lui zoppicò nel retrocucina e da lì uscì in cortile per allontanarsi da lei.

Quando uscì, Margery piangeva di nuovo, il grembiule premuto sugli occhi. Superò Cat e corse di sopra.

Cat bussò alla porta della signora Noxon. La trovò seduta al suo scrittoio.

«Chiudi la porta» le disse. «Poi mettiti lì». Indicò un punto di fronte allo scrittoio.

Cat ubbidì e rimase in piedi, a testa china, le mani intrecciate in grembo.

Per un attimo la signora Noxon non parlò. Infine disse: «Dovrei farti frustare e poi buttarti fuori». Aspettò, forse pensando che Cat volesse replicare, prima di proseguire: «Hai accoltellato quel grosso idiota. Come hai potuto?»

«Mi ha aggredito».

«Ha cercato di baciarti. Non è la stessa cosa».

«Invece sì» Cat alzò la testa e deglutì, «signora».

«Tutti gli uomini cercano sempre di baciare una ragazza. Avresti dovuto dargli uno schiaffo. Sarebbe stato sufficiente. Ma un coltello – buon Dio, che cosa ti è preso?»

Cat non rispose. Come avrebbe potuto spiegare che l’ultimo uomo che l’aveva aggredita era stato il cugino Edward, che l’aveva violentata sul suo stesso letto?

«E adesso hai fatto diventare John più stupido di quanto non fosse già per natura. Margery ribolle di disprezzo e gelosia. E poi ci sei tu. La causa di tutto questo».

«Vi chiedo perdono» disse rigida Cat. «Cercherò di fare ammenda».

«Magari ci proveresti, ma non servirebbe a niente». La signora Noxon sospirò. «Sei una creatura strana. Hai cercato di integrarti. Lavori senza lamentarti, questo te lo riconosco. Ma da qualunque parte consideri la cosa, hai portato un sacco di guai in questa casa. Per non parlare del povero messer Hakesby. Quella è un’altra faccenda».

«Che cosa c’entra lui?» chiese Cat, allarmata. «Non ci sono stati screzi, signora, né…»

«Taci» la interruppe la signora Noxon. «È un uomo bizzarro e Dio solo sa cos’ha di sbagliato. Si è invaghito di te, e non va bene: un cane non può avere due padroni, e lo stesso vale per un servitore».

«Non dovrò più lavorare per lui, signora?»

La signora Noxon scrollò le ampie spalle. «Non importa quello che farai in questa casa. Provocherai sempre problemi. Ecco perché non c’è altra soluzione: devi andartene».

Il fuoco in cucina era spento, ma i mattoni del focolare sprigionavano ancora un po’ di calore. Cat era seduta su uno sgabello lì accanto con il mantello grigio sulle spalle. Era perfettamente immobile, gli occhi socchiusi.

Entro la sera dell’indomani, aveva detto la signora Noxon, Cat avrebbe dovuto andarsene da quella casa. Era una decisione crudele, ma Cat la capiva. L’ammirava addirittura.

La signora Noxon aveva una casa da gestire e questo era più importante di un servitore poco soddisfacente. Due mesi prima aveva accolto Cat controvoglia, e per questo privilegio l’aveva messa sotto a lavorare. Ma non c’erano stati trucchi in questo, nessuna promessa mai rispettata e Cat era stata consapevole di essere solo tollerata.

Valutò le alternative che le rimanevano. Alla fine si alzò con un sospiro, prese la candela e salì lentamente le scale. Era sfinita. Il pensiero di trascorrere un’altra notte con Margery era quasi intollerabile, ma non c’era altra soluzione.

Al primo piano una lama di luce usciva da sotto la porta di messer Hakesby. Bene, pensò, che cosa ho da perdere? Bussò piano. Non ottenne risposta. Bussò di nuovo, un po’ più forte.

Un istante dopo sentì un fruscio di pantofole sul pavimento. La porta si socchiuse. Messer Hakesby, con la candela in mano, la guardò dalla fessura.

«Immaginavo che potessi essere tu» disse.

Messer Hakesby sembrava uno scheletro. Aveva un fazzoletto avvolto intorno alla testa e una coperta sulle spalle. La luce della candela accentuava gli incavi del viso e lo faceva apparire più alto e più smunto che mai. Sembrava che non avesse più un filo di carne addosso. La mano gli tremava e la fiamma danzava con violenza, facendo ondeggiare la sua ombra per la stanza.

«Chiudi la porta» disse. La scrutò dalla testa ai piedi e parve avvertire la sua stanchezza, perché le disse di mettersi seduta sullo sgabello del tavolo da disegno.

Tornò alla sua poltrona e posò la candela sul sostegno attaccato a uno dei braccioli. Sul tavolo accanto a lui c’era un libro aperto.

«Dunque hai perso il posto, Jane?»

«Sì, signore».

«C’è stato un bel trambusto ieri notte. Ho sentito i pianti e i tonfi. È stato per colpa tua?»

«No, signore». Cat esitò, immaginando che la signora Noxon gli avesse già raccontato almeno una parte della storia. «Noi tre – io, John, Margery – non riusciamo ad andare d’accordo. Perciò devo andarmene. Mi dispiace che vi abbiamo disturbato».

«Dove andrai?»

«Non lo so».

«Non hai amici a cui rivolgerti? Nessun parente?»

Lei scosse la testa. «Sono venuta a chiedere il vostro consiglio, signore. Se voleste essere tanto buono da darmelo».

«In questo caso ho una proposta». Messer Hakesby si grattò la barba ispida sul mento. Nel silenzio della casa il suono risultò amplificato. «Il dottor Wren è stato qui oggi. Era venuto anche per discutere un progetto al quale stiamo pensando da diverse settimane, da dopo l’Incendio. L’idea è di creare un laboratorio di disegno. Negli ultimi due mesi abbiamo avuto un volume tale di incarichi che non possiamo andare avanti così. Dobbiamo assumere assistenti, e devono avere un posto in cui lavorare. Lui ha trovato una sede vicino a Covent Garden che ritiene adatta. È in posizione molto comoda, sulla strada che dà direttamente sulla piazza».

Cat faticava a respirare, come se l’aria all’improvviso fosse stata risucchiata via dalla stanza. «Vi trasferirete anche voi, signore?»

«No, sarà un posto di lavoro, nient’altro. E poi mi trovo molto bene qui. Quando i domestici non sono ai ferri corti tra loro».

Lei alzò la testa. Messer Hakesby aveva usato lo stesso tono asciutto di prima, ma lei aveva colto una nota di divertimento.

«Stiamo pensando di prendere in locazione la soffitta dell’edificio» proseguì. «Era usata da un tessitore come laboratorio ed è già rivestita e straordinariamente luminosa grazie ai lucernari. C’è spazio per quattro o cinque disegnatori, se sarà necessario. Io e il dottor Wren potremo ammobiliarla con tutto l’occorrente».

Cat disse: «E lì c’è… ci sarebbe…»

«Un posto per te? Forse. Avremo bisogno di qualcuno che tenga pulito e sbrighi le faccende. Forse potresti anche dormirci. Non è opportuno lasciare vuoto un luogo in questi tempi travagliati».

Lei avvertì una stretta di delusione. Sperava in qualcosa di più.

Di nuovo fu come se lui le leggesse nel pensiero. «E poi» aggiunse, «c’è un’altra cosa. Ogni tanto io ho bisogno di un assistente. Potrei scegliere te».

«Grazie» mormorò lei.

Rimasero entrambi in silenzio per un po’. Poi Hakesby disse: «Tu mi incuriosisci». Lasciò le parole sospese tra loro, aspettando che lei reagisse. Quando vide che restava in silenzio proseguì: «Ti sarai accorta che ogni tanto sono colpito da un lieve tremito. Il mio medico dice che è una paralisi». Si grattò la testa con le lunghe dita ossute. «Di per sé non ha importanza ma, quando mi colpisce, a volte avrò bisogno che tu lavori sotto la mia direzione alla realizzazione meccanica di un disegno, come hai già fatto un paio di volte. Ho notato che sei accurata nelle misure e abile con la penna».

«Signore» disse lei. «Avrei un favore da chiedervi».

Lui si accigliò e si agitò nella poltrona. «Pensi di essere nella condizione di poter chiedere favori?»

«Vi chiedo perdono, signore, ma vorreste insegnarmi?» Fece un gesto con la mano a indicare il tavolo da disegno inclinato, il grande mobile che custodiva i progetti distesi nei cassetti bassi e i modellini di legno collocati sui ripiani soprastanti. «Vorrei imparare ciò che posso di tutto questo».

«Be’, suppongo che non ci sia niente di male». Il viso di messer Hakesby era in ombra, ma Cat capì dalla sua voce che era divertito. «Più cose sai, più sarai in grado di aiutarmi».

«Quando avrete la conferma del laboratorio di disegno, signore?»

«Presto».

«La signora Noxon dice che devo andarmene da qui entro domani sera».

«Sei una sobillatrice tanto pericolosa?» Anche adesso c’era un’eco divertita nella sua voce. «Come vedi, la tua reputazione ti precede». Rimase in silenzio per un istante. Le dita gli tremavano in grembo. «Sono stanco. Ora esci, io parlerò con la signora Noxon domattina. E con te. Ma solo se nel frattempo non causerai guai a nessuno».

Quando Cat arrivò in soffitta, la stanza era buia e la pioggia scrosciava contro il vetro della finestra. Margery era addormentata, o quantomeno fingeva di esserlo. Aveva il respiro pesante e regolare. Ogni tanto russava leggermente.

Cat spense la candela e si spogliò in fretta. Mentre scivolava sotto le coperte, toccò con la mano qualcosa sul cuscino.

Tastò con diffidenza l’oggetto, riconoscendo la consistenza di un foglio di carta ripiegato più volte con qualcosa di duro all’interno. Rimase immobile, in ascolto. Il respiro di Margery era cambiato, si era fatto più lieve, più lento.

Cat scartò il pacchetto. Conteneva due monete. Le esaminò con la punta delle dita. Due mezze corone nuove di zecca. Margery l’aveva rimborsata per ciò che aveva fatto, come meglio poteva. Era sempre meglio di niente.

Le ore e la notte scorsero verso l’alba. Il respiro di Margery si fece pesante e regolare, come il moto della marea nell’oscurità.