7.

Il quinto giorno

Dunque quella troia aveva un altro. Non lo sapevi, ma non ti sorprende. È nello stile di una che si presenta tardi a prendere la figlia a scuola e manco avverte le maestre. È una donna irresponsabile, egoista, che pensa prima di tutto a se stessa, che non tiene minimamente conto delle esigenze altrui. Perché non avrebbe dovuto farsi l’amante? Una così trova giustificazioni per qualsiasi cosa.

Ero infelice con mio marito.

Avevo voglia di un’altra storia. Al cuore non si comanda.

Ero insoddisfatta. La vita che avevo non mi bastava.

Perché le persone non riescono più a controllare le proprie pulsioni, a mettere la famiglia al primo posto? Dove sono finiti gli obblighi sociali, l’abnegazione, il senso del dovere? Che cosa succederebbe se scoppiasse un’altra guerra? È una cosa che ti chiedi spesso. Sarebbe una disfatta, perché nessuno sarebbe più disposto a morire per la patria. Manderebbero a combattere gli altri e cercherebbero di mettere in salvo se stessi, e alla fine il Paese andrebbe incontro alla sconfitta.

Il problema è questo: ormai quando si è tristi, si prende una pastiglia; se il lavoro diventa troppo impegnativo, ci si licenzia; alla minima crisi, ci si separa. L’egoismo impera. Le emozioni giustificano tutto. Sono infelice. Sono stressato. Ho bisogno di sentirmi amato. Ma le emozioni non possono giustificare le nostre azioni.

È inutile. Le persone non si rendono conto che l’infelicità non dipende dalle circostanze esterne, ma dall’atteggiamento interiore. Una persona può cambiare mille lavori e trovare in ognuno di essi motivo di infelicità. Bisognerebbe imparare a stringere i denti e sopportare.

Comunque la madre imparerà. Imparerà che cos’è la vera infelicità. Alla fine di questa vicenda rimpiangerà di non essere rimasta con il marito, per quanto insoddisfatta. Capirà che le disgrazie sono un’altra cosa, rivaluterà ciò che aveva.

E che ha perduto.

Perché la bambina adesso è qui con te. Dorme, bellissima, intatta. Ancora incontaminata.

Il momento si avvicina.

Si cerca il nonno della bambina scomparsa

C’è un altro punto oscuro nella tragica vicenda di Anna Crowne. La polizia sta cercando il nonno della bambina, James Crowne, di cui non si hanno più notizie da quindici anni.

Crowne, che adesso ha sessantasette anni, era il preside della prestigiosa Tulcester Grammar prima di sparire improvvisamente nel nulla durante l’estate del 1999. La Tulcester Grammar si è trincerata dietro un no comment.

L’ispettore Wynne della Cheshire Police, a capo delle indagini, ha rivolto un appello affinché il preside Crowne si faccia avanti. «Pensiamo potrebbe fornire informazioni utili a ritrovare la bimba» ha dichiarato. «Vorremmo parlare con lui il prima possibile e lo invitiamo a mettersi in contatto con noi. Se qualcuno ha sue notizie, è pregato di comunicarcelo».

Le ricerche proseguono.

I giornalisti fuori dalla porta erano cinque, adesso. Julia li guardava dalla finestra della camera da letto. Uno era seduto in macchina, la testa china sullo smartphone, gli altri quattro erano in gruppo e parlavano e ridevano. Vide arrivare una Ford Focus blu. Ne scese il reporter del Daily World con un giornale in mano: Julia riconobbe la testata a caratteri rossi. Lo agitò come fosse un trofeo.

Gli altri gli andarono incontro incuriositi. Uno di loro, grasso, pantaloni della tuta e maglietta sportiva con aloni di sudore sotto le ascelle, si batté la mano sulla fronte.

Julia si collegò al sito del Daily World.

Il titolo era eloquente.

I nostri bambini non meriterebbero di meglio?

La domanda sorge spontanea, dopo i fatti di questi giorni. Ci sono neonati che muoiono sotto il naso degli assistenti sociali, dodicenni che arrivano al pronto soccorso in coma etilico, bambini che spariscono all’uscita da scuola perché i loro genitori si dimenticano di andarli a prendere. Di fronte a ciò non possiamo che chiederci: possibile che la Gran Bretagna, che per secoli è stata un esempio di progresso e libertà, sia caduta così in basso?

Sotto c’era una foto di lei, Julia Crowne, assurta a epitome del degrado morale della nazione.

Era una foto che le era stata scattata alla festa di nozze della sua amica Mary e Julia si chiese come avesse fatto il tabloid a metterci le mani. Forse era su Facebook. All’epoca Julia aveva venticinque anni e indossava un vestito molto più scollato di quelli che metteva normalmente. Teneva una bottiglia di champagne in una mano e una sigaretta nell’altra e aveva lo sguardo spiritato di chi ha alzato un po’ troppo il gomito. La didascalia recitava:

Julia Crowne in tempi migliori.

Dunque volevano presentarla come un’ubriacona fumatrice. Julia non sapeva dire quale delle due cose fosse più disdicevole: agli inglesi piaceva bere, quindi l’alcol in sé non era un problema. Lo era, invece, abusarne. Bere troppo era un segno di mancanza di controllo e di inaffidabilità, difetti che si adattavano perfettamente all’immagine di Julia che il giornale tratteggiava. Fumare, poi, era un crimine. La foto lasciava intendere che Julia fosse rea di entrambi.

Poco contava che risalisse a più di dieci anni prima e che Anna fosse nata molto dopo che era stata scattata. E il fatto che Julia fosse in effetti abbastanza sobria da mettere a letto una delle damigelle d’onore che invece aveva tracannato troppa vodka era irrilevante.

A quei giornalisti non interessava la verità, ma aumentare le tirature.

Meditò se aprire la finestra e gridare loro di tutto, correre in strada e insultarli, scacciarli a pedate, ma si trattenne: avrebbe peggiorato le cose.

Era in trappola. Questa cosa deve finire, si disse. Sì, in un modo o nell’altro, doveva finire.

Squillò il telefono.

Era l’ispettore Wynne.

Julia non l’aveva aggiunta ai contatti e quindi sul display non comparve il suo nome. Inserire l’ispettore Wynne nella rubrica per Julia equivaleva ad ammettere che la situazione sarebbe perdurata nel tempo. Riconobbe il numero comunque: le cifre le si erano stampate nella memoria la prima volta che le aveva viste, come se il suo cervello avesse rilevato la loro importanza e le avesse archiviate in un posto speciale, sicuro, da cui poterle recuperare in qualsiasi circostanza.

Le venne in mente che Anna sosteneva di avere un posto speciale per le cose dolci – caramelle, torte, dessert. Posava sul piatto forchetta e coltello sostenendo di essere sazia, di non avere più spazio neanche per un boccone di broccoli o cavolfiore, cavolo o carote, e pochi istanti dopo chiedeva cosa c’era di dolce.

Credevo non ti ci stesse più niente, le rispondeva invariabilmente Julia, sorridendo.

Di cibo, precisava lei, che per cibo intendeva tutto ciò che era commestibile ma non dolce. Non di gelato. Il gelato (o la torta, o il budino, o lo yogurt) va in un posto speciale.

Non aveva tutti i torti. Quante volte al ristorante Julia si era sentita sazia dopo primo e secondo, convinta di non poter più mandare giù neanche una briciola e poi, quando il cameriere elencava i dessert, si rendeva conto di avere ancora spazio per un sorbetto o magari una crème brûlée? Quindi forse Anna aveva ragione, i dolci andavano in un altro scomparto. Era una spiegazione possibile, no?

Rispose al telefono.

«Signora Crowne? Sono l’ispettore Wynne. Ci sono degli sviluppi».

Sviluppi? Julia smise di pensare a qualsiasi altra cosa e si concentrò sui possibili significati di quella parola. Positivi? Negativi? Importanti? Di poco conto?

«Abbiamo trovato Lambert» le comunicò la Wynne. «Il bidello».

«E Anna?» chiese Julia. «Anna era con lui?»

«Non l’abbiamo ancora contattato materialmente» precisò la Wynne. «Abbiamo scoperto dove abita, però. I miei colleghi ci stanno andando mentre parliamo».

«Dove abita?»

«In Scozia, in un posto sperduto che si chiama Loch Maree. Per questo abbiamo fatto fatica a rintracciarlo. Abbiamo rivolto un appello alla cittadinanza dicendo che lo stavamo cercando e il proprietario del cottage in cui Lambert alloggia si è fatto avanti. Lambert è lì da tre settimane e ha affittato il cottage per sei».

«Anna è stata vista con lui?»

«No. Pare che Lambert conduca vita ritirata, non si faccia vedere in giro. È la prima volta che va in vacanza lì».

Julia annuì. Sembrava fin troppo perfetto, il posto ideale per nascondere una bambina rapita. «E quindi?»

«Alcuni agenti del luogo si stanno recando da lui. Dovrebbero raggiungerlo nel giro di due ore. Appena ho notizie, la richiamo».

«Grazie» disse Julia. Dopo un attimo, aggiunse: «Lei pensa... Secondo lei, è stato Lambert a rapire Anna, ispettore?»

La Wynne ebbe un momento di esitazione, poi rispose con voce titubante: «Non lo so. Potrebbe. Sapremo qualcosa quando i colleghi scozzesi si saranno recati sul posto. Anche se... è già passata una settimana».

Quindi le tracce di Anna potrebbero essere già scomparse, pensò Julia. È a questo che alludi, vero? Lambert potrebbe averla ammazzata ed essersi sbarazzato del cadavere in qualche loch.

«Mi sembra strano che abbia affittato il cottage a proprio nome» osservò la Wynne. «Sono perplessa. Comunque, non si sa mai. La chiamo appena so qualcosa, signora Crowne».

Edna e Brian parlottavano in salotto. Dalla cucina, dove Julia e Gill erano sedute di fronte alla finestra, non si capiva che cosa stessero dicendo.

«Aveva parlato di due ore» protestò Julia. «E ne sono passate già due e mezzo. Non capisco che cosa voglia dire. Che hanno trovato qualcosa, probabilmente. Se non ci fosse stato niente, non ci starebbero mettendo tutto questo tempo, ti pare?»

Gill le posò la mano sull’avambraccio. Aveva le dita calde perché fino a un attimo prima le aveva tenute intorno alla tazza del tè. «Non lo so» rispose. «Non leggerci troppi significati».

Aveva ragione, ma Julia non riusciva a smettere di pensare. La sua testa vagliava irrefrenabile mille ipotesi, mille possibilità. Come quando, adolescente, valutava le possibili interpretazioni di quello che dicevano i ragazzi di cui era innamorata.

Ha detto che lui le patatine le mangia con la maionese, non con il ketchup, dopo che io avevo detto che preferivo la maionese al ketchup: l’ha detto per far colpo su di me perché gli piaccio? O fa così con tutte? Oppure è vero che anche a lui piace più la maionese del ketchup? Se così fosse, vorrebbe dire che non gliene frega niente di me. Ma allora come mai mi ha lanciato quell’occhiata come se gli interessassi e quando l’ho salutato è arrossito? Forse però non è proprio arrossito, forse era accaldato, oppure aveva la pelle irritata perché si era fatto la barba. Oh, vorrei tanto piacergli! Sono cotta di lui!

E continuava così all’infinito: la mente correva e non c’era verso di fermarla. Era così anche in quel momento, solo che la posta in gioco era molto più alta. Adesso in ballo c’era la vita di sua figlia, la possibilità per Anna di crescere e diventare un’adolescente che non riesce a decodificare dal comportamento del ragazzino che le piace se anche lei piace a lui oppure no.

Sentì un trillo alle proprie spalle.

Era il cellulare. Lo stesso numero di prima.

«Signora Crowne? Sono l’ispettore Wynne».

Tono piatto, sconsolato. Non era la voce delle belle notizie.

Era la voce delle brutte notizie. Che tipo di brutte notizie, però? Anna era morta? Julian Lambert non era neanche nel cottage? Julian Lambert c’era, ma Anna no?

«Sì, mi dica».

«Abbiamo trovato il signor Lambert a pesca sul lago e lo abbiamo interrogato. Ha dichiarato di non sapere neppure che Anna era scomparsa...»

«È normale che neghi» la interruppe Julia.

«Ha un alibi, signora Crowne».

«È normale anche questo» ribatté Julia, talmente delusa da suonare disperata. «Voglio dire, è ovvio che si è preparato e che...»

«Un alibi di ferro: aiutava un contadino del luogo a issare una palizzata. E con loro c’erano altre due persone».

«Potrebbero essere tutti d’accordo» si intestardì Julia. «L’avete preso in considerazione?»

«L’alibi regge, signora Crowne. Non è stato lui».

Brian entrò in cucina. «Cosa c’è?» domandò. «Cos’hanno trovato?»

Julia lasciò cadere il braccio sul fianco e guardò fuori dalla finestra.

«Niente» rispose. «Niente di niente».

L’ispettore Wynne richiamò dieci minuti dopo.

«Possiamo parlare un momento, signora Crowne?»

«Certo» rispose Julia. «Ha scoperto qualcosa?»

«No. Però abbiamo una teoria, se così si può chiamare».

Julia ebbe l’impulso di chiudere subito la chiamata. Non aveva voglia di teorie, voleva Anna e basta. Perché l’ispettore Wynne rinfocolava le sue speranze per poi spegnerle? Tiravano a indovinare, andavano alla cieca. Come al solito: erano degli incompetenti, ma facevano finta di darsi da fare.

Prese fiato. «Mi dica» rispose. «Mi esponga la vostra teoria».

«Pensavamo di dare un taglio diverso alle indagini» rispose la Wynne. «Almeno temporaneamente. Oltre che su Lambert, ci siamo concentrati sulla pista straniera, ma finora non abbiamo trovato conferme di nessun tipo ed è improbabile che qualcuno sia riuscito a portare Anna all’estero senza lasciare neanche l’ombra di una traccia. In genere qualche piccolo elemento emerge».

«Tipo?» chiese Julia.

«Dietro questi traffici ci sono gang piene di risorse, che dispongono di reti efficienti. Un singolo individuo non è in grado di portare oltre confine un minore e tenerlo nascosto. Ma le gang fanno rumore, lasciano una scia, e noi captiamo i segnali tramite le nostre reti, i nostri informatori. Forse non basta per consentirci di ritrovare il minore rapito, ma qualcosa emerge sempre. Invece qui no. Zero assoluto. Non posso escludere che sia stata la criminalità organizzata, ma se devo dire la verità non lo penso. Io penso che Anna sia ancora nei paraggi».

«In Inghilterra?»

«Sì, ma forse addirittura in zona. La mia sensazione è che sia a due passi da casa». L’ispettore Wynne stette un attimo zitta. «Per questo vorremmo parlare con Jim Crowne. Che purtroppo, però, non riusciamo a rintracciare. Ed è molto strano».

«Edna cosa dice?»

«Niente. Ci ha messo a disposizione una lettera che lui le scrisse prima di sparire nel nulla, in cui Crowne ammette di avere una relazione extraconiugale e dice di volersi rifare una vita. La signora Crowne dichiara di avergli ordinato di non farsi più vivo né con lei né con il figlio e sostiene che lui le ha dato retta. A suo dire, era un uomo egoista, che pensava soltanto a se stesso».

«E la sua amante? Avrà ben avuto amici e parenti...»

«I genitori sono morti diversi anni fa» spiegò la Wynne. «Abbiamo parlato con alcuni colleghi che la frequentavano, ma non hanno più avuto sue notizie. Forse voleva ricominciare tutto daccapo e tagliare con il passato. È strano, ma... è successo parecchi anni fa. Insomma, se lei fosse al corrente di qualcosa, sarebbe utile che lo dicesse».

«Le ho già detto tutto quello che so» ribadì Julia. «Non credo di potervi aiutare di più».

«Provi a chiedere a suo marito. E a sua suocera».

A Julia scappò da ridere: Edna non le avrebbe rivelato assolutamente nulla. Si dichiarò comunque disposta a provare.

«Nel frattempo che cosa avete intenzione di fare?» chiese. «Come vi muoverete?»

«Tenteremo nuove strade».

«Può essere più esplicita?»

«Riprenderemo il porta a porta, interrogheremo nuovamente il personale della scuola, i genitori dei compagni di Anna, i vostri parenti. Tutti quelli che conoscevano e avevano a che fare con sua figlia, signora Crowne».

«Non lo avete già fatto?»

«Sì, ma lo rifaremo. E stavolta valuteremo se controllare nelle case. Qualora i residenti si rifiutassero, eventualmente chiederemo un mandato di perquisizione».

Julia guardò i reporter in strada. Forse presto se ne sarebbero andati, pensò. Forse stavano per arrivare alla fine di quella brutta storia. Si impose di non lasciarsi cullare da false speranze.

«Okay» disse Julia. «La ringrazio».