Ha funzionato. La bambina ha fatto quello che doveva e adesso è di nuovo a casa. La nazione esulta: miracolo! Chi l’ha rapita, però? Come mai l’ha liberata? Resta un mistero e questo infiamma l’opinione pubblica di un Paese di appassionati di enigmistica e quiz televisivi.
È stata violentata? Sottoposta a esperimenti? Sequestrata dagli alieni che le hanno impiantato nella testa un microchip? Sono tutte teorie che circolano, insieme a molte altre che vanno dal cervellotico all’assurdo totale. La gente cerca un movente, esterna ipotesi sulle chat e negli spazi riservati ai commenti delle testate on line. Non vi è dimostrazione più pregnante dell’umana follia dei commenti postati su Internet. Vi si trovano le opinioni più strampalate. La gente sragiona e il Web ne è la prova.
C’è chi ha identificato astruse simbologie nel numero di giorni intercorsi fra il rapimento e la liberazione, cioè sette. Che cosa significa? Il rapitore ha voluto aspettare un’intera settimana perché ama gli interi e opera per settimane, mesi o anni? È forse autistico? Religioso? Oppure il sette è una semplice coincidenza?
No, una coincidenza no. Non può essere una coincidenza. La gente ha bisogno di trovare rapporti di causa ed effetto chiari e inequivocabili.
E il giorno della liberazione, comunque, non è stato scelto a caso. Non c’entra la numerologia, però: lo hai scelto perché era il migliore per attuare il tuo piano. Perché il tuo piano va avanti. Perché è la cosa giusta da fare.
Continueranno a indagare, a escogitare teorie campate in aria. Senza dubbio la bambina verrà sottoposta ad accurate visite mediche, da cui risulterà che non le è stato torto un capello. Avresti potuto dirglielo tu direttamente. Non lo farai, ovvio. Non uscirai allo scoperto.
Perché la partita è ancora tutta da giocare. Il bello deve ancora venire.
L’obiettivo adesso non è più la bambina.
L’obiettivo stavolta è la madre.
Julia li sentì, prima di vederli.
Erano le sei di sabato mattina, Anna e Brian dormivano ancora. Quando arrivò in fondo alle scale, non trovò ad accoglierla il consueto silenzio, ma un brusio di voci e di motori accesi.
Andò a sbirciare dalla finestra, scostando appena le tende, attenta a non farsi notare.
Erano tornati. Quegli stronzi di giornalisti erano di nuovo lì. Stavolta oltre ai reporter c’erano anche furgoni di vari canali TV.
Cosa volevano? Non era successo niente di nuovo, no? E lei e Brian avevano chiesto di essere lasciati tranquilli. A divulgare eventuali informazioni sarebbe stato l’ufficio stampa della polizia. Perché allora quell’assembramento davanti a casa sua? Julia credeva che l’ispettore Wynne li avesse diffidati dal tornare, ma evidentemente non era così.
Che andassero tutti in malora, pensò. Li avrebbe ignorati. Si sarebbe fatta un tè, avrebbe preparato la colazione e sarebbe andata a correre. Voleva fare una corsetta di primo mattino – Edna avrebbe approvato la scelta del moto all’aria aperta – e non voleva rinunciare per colpa di quegli avvoltoi.
Accese il bollitore e prese il portatile, ma poi cambiò idea: non voleva leggere le news. Voleva isolarsi dal resto del mondo. Voleva essere superiore.
Finì di mangiare i cereali e si infilò le scarpe. Per un attimo prese in considerazione di uscire dalla porta sul retro, scavalcare il muro dei vicini e scomparire nella mattina grigia, ma poi decise che no, non voleva nascondersi. Perché non aveva nulla da nascondere.
Aprì la porta e immediatamente macchine fotografiche e telecamere si misero in azione. I giornalisti fecero ressa intorno a lei.
«Scusate» disse Julia. «Vorrei andare a correre, se non vi dispiace. Mi lasciate passare, per favore?»
Quelli non si spostarono di un millimetro. Uno, che Julia riconobbe dal volto butterato, le avvicinò un cellulare alla faccia per registrare la risposta alla domanda che si accingeva a rivolgerle: «È vero che ha tentato il suicidio il giorno in cui è stata ritrovata Anna, signora Crowne?»
Julia rimase basita. «Mi scusi?»
«È vero che ha cercato di togliersi la vita il giorno del ritrovamento di sua figlia?»
Una donna alta, capelli rossi e occhi grandi, si protese verso di lei. «Lo ha fatto prima o dopo la notizia?»
Julia rientrò in casa sbattendo la porta e tirò il catenaccio con le mani che tremavano.
Come avevano fatto a saperlo? Dovevano avere una talpa all’interno delle forze di polizia. Non poteva che essere così: poliziotti e giornalisti si passavano informazioni. Come avevano osato fare una cosa del genere, però? Perché l’avevano messa in quella situazione?
Entrò in cucina e accese il computer.
Cominciò a leggere.
La madre della piccola Anna tenta il suicidio
Julia Crowne, la madre della piccola Anna, la cui scomparsa ha tenuto con il fiato sospeso tutto il Paese per una settimana, avrebbe tentato il suicidio proprio la mattina in cui la bambina si è presentata, illesa, in un negozio di Tarporley.
La signora Crowne avrebbe assunto sonniferi e alcol. Il marito, Brian Crowne, l’ha trovata priva di sensi sul divano e con l’aiuto della madre, Edna Crowne, è riuscito a rianimarla.
Non è chiaro se il tentato suicidio sia stato determinato dalla notizia che la bambina era ancora viva. Oltre che per il rapimento della figlia, Julia Crowne era sotto stress per via delle accuse di negligenza che sono state mosse nei suoi confronti.
Nelle settimane antecedenti la sparizione della piccola Anna, Julia Crowne aveva comunicato al marito la decisione di divorziare e lasciare a lui la bambina. Secondo fonti attendibili, la donna soffre di depressione e ha “un rapporto difficile” con l’alcol.
Julia chiuse il portatile. Non riusciva a dare un senso a ciò che aveva appena letto, a comprenderne le implicazioni.
L’unica cosa chiara era che la stavano di nuovo dipingendo sotto la luce peggiore, una donna instabile, che abusava dell’alcol e soffriva di depressione, che trascurava la figlia e intendeva mollarla al marito.
Non dovrei, lo so, pensò. Sarebbe meglio evitare, ma non posso. Devo sapere.
Aprì Twitter e lanciò una ricerca con il proprio nome. Scoprì di essere al centro di molte discussioni.
OMG, avete sentito l’ultima a proposito di #JuliaCrowne? Ha tentato di ammazzarsi. Peccato che non c’è riuscita.
#JuliaCrowne incapace di fare la madre incapace persino di suicidarsi #Ilpeggiodell’UK
L’hashtag #madresnaturata continuava a imperversare:
Non merita di riavere la figlia. #JuliaCrowne #madresnaturata
Ne erano spuntati altri, tuttavia, e un tweet ne aveva tirato fuori addirittura due:
#megliomorta e #l’Inghilterrapeggiore
Perché quelle persone riversavano tanto astio nei confronti di una donna che neppure conoscevano? Li faceva sentire più bravi, più coraggiosi? Credevano forse di esprimere opinioni rilevanti, che avevano effetto sul mondo? O sparavano cattiverie solo perché ne avevano la possibilità? Chissà come erano contenti che avessero inventato Twitter. Le nuove tecnologie avevano facilitato la comunicazione, sì, ma così facendo avevano anche dato voce alla feccia.
Julia sentì che Brian stava scendendo. Un attimo dopo la porta del salotto si aprì.
«Che cosa vogliono?» chiese. «Li ho sentiti gridare dalla finestra di camera mia».
Julia gli porse il computer. «Leggi».
Brian scorse l’articolo. «Oggesù!» esclamò. «Come hanno fatto a saperlo?»
«La polizia» disse Julia. «Devono avere una talpa al suo interno».
Brian continuò a leggere. «Peraltro, sono falsità» disse. «Almeno è quello che sostieni tu. Ma la mamma ha detto subito che non era nulla di grave, che ti saresti svegliata».
Ah, be’, se lo ha detto lei...
«Adesso che cosa facciamo?» domandò Julia.
Brian si strinse nelle spalle. «Ignoriamoli. Prima o poi se ne andranno».
«La fai facile, tu. Non è con te che ce l’hanno. Voglio dire, mi stanno dipingendo come una pazza alcolizzata. Non è giusto». Si voltò dall’altra parte perché non voleva che Brian la vedesse piangere. Se avesse provato a consolarla, magari abbracciandola, probabilmente si sarebbe messa a vomitare.
Ma Brian non sembrava per nulla intenzionato a consolarla.
«Così va il mondo» sentenziò. «Il male che fai prima o poi ti ritorna».
Julia lo guardò. «Cosa vorresti dire?»
«Che hai cominciato tu dicendo che volevi il divorzio. Se non mi avessi lasciato, adesso sarebbe tutto a posto, no? Faremmo la nostra vita, con Anna».
Julia era sgomenta. «Stai scherzando?»
«No, è la verità. Non parliamo del fatto che Anna è stata rapita per colpa tua. Lasciamo perdere: alla fine è tornata. Ma se tu non avessi chiesto il divorzio, non saremmo in questa situazione, no? Magari i giornalisti ti avrebbero dato addosso lo stesso, ma non con questa violenza. Non avresti preso quelle pastiglie perché saremmo restati uniti e... A parte il rapimento di Anna, i nostri guai...» Fece un gesto vago. «Insomma, sono conseguenti alla tua volontà di divorziare».
«Secondo te, avrei dovuto mettere in conto che sarebbe potuto succedere questo, prima di chiederti il divorzio? Stai dicendo che, prima di parlare di separazione, una donna dovrebbe valutare che magari le rapiranno la figlia e i media le si scaglieranno contro? È ridicolo...»
«Sarà. Però è vero che certe cose non si sarebbero verificate».
«Staremmo male anche se io non avessi deciso di lasciarti».
«Non vuoi ammetterlo, vero? Neanche adesso».
«Ammettere cosa?»
«Che hai sbagliato».
«Non ho sbagliato, Brian» ribatté Julia. «Cioè, ho sbagliato ad arrivare in ritardo a scuola, ma non a chiedere il divorzio. E sai perché? Perché, se non ti avessi lasciato allora, ti lascerei adesso».
Si sorprese dell’astio con cui pronunciò quelle parole, dell’odio che provava. Aveva voglia di fargli del male, di ferirlo. Di dirgli cose tremende. Di accoltellarlo. Di prenderlo a calci. A morsi.
Era una bruttissima sensazione. Chiuse gli occhi per scacciarla, per dimenticare Brian e il mondo.
Perché aspettare fino a lunedì? Se Brian aveva deciso di andarsene, tanto valeva che se ne andasse subito.
«Vattene» disse, senza aprire gli occhi. «Torna pure da tua madre».
Nessuna risposta. Quando Julia aprì gli occhi, Brian non c’era più.
«La mamma ha detto che posso andare già oggi».
Brian era sulla porta della cucina.
«Va bene» disse Julia. «Vai».
«Che cosa diciamo ad Anna?»
«Non lo so. Tu che cosa le vorresti dire?»
«Secondo la mamma, potremmo non dirle niente. Che vado a dormire da lei e basta».
«Prima o poi le dovremo spiegare la verità».
«Okay. Non oggi». Brian la guardò negli occhi e distolse subito lo sguardo, come se non riuscisse a reggere il suo. «Torno domani pomeriggio a prendere le mie cose».
«Va bene. A che ora?»
«Verso le due. Okay?»
«Okay».
Dopodiché Brian andò via di casa.
Julia si svegliò di soprassalto, il cuore che batteva all’impazzata, l’adrenalina alle stelle.
Era tesissima e non capiva perché. Che cosa l’aveva svegliata? Che cosa l’aveva fatta scattare a quel modo? Un rumore? Aveva sentito qualcosa di inconsueto?
Anna dormiva tranquilla accanto a lei nel lettone. Julia guardò la sveglia: le tre e venti. Alzò la testa dal guanciale e tese le orecchie.
Sentì il fruscio del vento fra gli alberi. In casa c’era silenzio, a parte i soliti cigolii e lamenti dell’ora delle streghe.
A meno che non fosse qualcuno a produrli. Il rapitore di Anna? Un uomo che era stato capace di portarla via e poi liberarla senza farsi vedere da nessuno?
E se fosse stato in casa in quel momento?
Julia si tirò su a sedere. Poi si alzò, si infilò i jeans e una maglietta, andò fino alla porta della camera da letto e tese di nuovo le orecchie. Niente.
Tornò indietro per andare a guardare dalla finestra. L’auto della polizia era posteggiata lungo la strada, con due agenti seduti davanti. Il battito tornò normale, il panico scemò.
Poi, però, Julia notò l’uomo in piedi sotto l’acero in fondo alla via, cappuccio scuro calato sul volto. Fermo immobile, guardava la casa. O almeno così le parve.
Oddio! pensò. È qui! È venuto qui! Ci tiene d’occhio. Devo andare a svegliare Brian.
Ma Brian non c’era. Era tornato da sua madre.
Julia prese in braccio Anna e si mise a correre.
«Sì, signora» disse l’agente, che non aveva trent’anni. Aveva gli occhi assonnati e teneva in mano il tappo di un thermos colmo di caffè. Julia si chiese se glielo avesse preparato sua moglie, la sua compagna, o sua madre. «Daremo un’occhiata in giro».
Julia teneva in braccio Anna, che dormiva ancora. «L’ho visto» ribadì. «Era in fondo alla strada».
Si sentiva una stupida. Era corsa fuori ed era andata a bussare sul vetro della volante per avvertire gli agenti che c’era un uomo incappucciato che fissava la sua finestra, e invece per strada non c’era nessuno. I poliziotti pensavano che se lo fosse sognato.
Non poteva dar loro torto. Lei stessa temeva di aver avuto le allucinazioni.
«Le credo, signora» disse l’agente. «Ora controllo».
«Guardi se ha lasciato impronte, nel caso».
«Certo, certo» rispose l’uomo, trattenendo a stento un sorriso. «Perché non torna in casa, adesso? Cerchi di dormire. Ci siamo noi, stia tranquilla».
Julia annuì e rientrò in casa.
Impiegò tantissimo prima di riuscire a riprendere sonno.
L’indomani a mezzogiorno sentì suonare alla porta.
Doveva essere Brian, tornato a prendere le sue cose. Evidentemente non voleva più usare le chiavi. Strano che certi cambiamenti potessero avvenire così di colpo, pensò Julia: dall’oggi al domani suo marito non si sentiva più in diritto di entrare con le proprie chiavi e suonava il campanello.
Era insieme con Edna. Julia se li trovò parati di fronte. Indossavano Ray-Ban nuovi, dello stesso identico modello.
«Che splendida giornata!» esclamò Edna. «Finalmente è arrivata l’estate».
«Entrate» disse Julia.
All’improvviso il corridoio le parve angusto, strettissimo. Fece un passo indietro.
«Allora, che progetti avete?»
Brian non rispose perché arrivò Anna.
«Papà!» gridò la bambina, gettandogli le braccia al collo. «Ti sei fermato a dormire dalla nonna?»
«Sì» rispose Brian.
«Perché?»
«Perché...» Brian guardò Julia ed Edna. «Perché avevo...»
«Perché io avevo bisogno che il tuo papà mi aiutasse a fare una cosa» intervenne Edna. «Avrò spesso bisogno del suo aiuto, nei prossimi giorni, e quindi il tuo papà starà un po’ a casa mia». Rivolse a Julia un’occhiata severa. «La mamma ti spiegherà tutto».
«Sì, tesoro» disse Julia. «Più tardi ne parliamo».
«Vuoi vedere il mio dipinto, papà?» chiese Anna.
«Volentieri» rispose Brian. «Dov’è?»
«Di là. Andiamo».
Seguirono tutti Anna che, arrivata davanti al suo cavalletto, fece un inchino come un imbonitore.
«Da-da-da-dan!»
«Che bello!» esclamò Brian annuendo alle macchie di tempera sulla carta. «È davvero straordinario. Come si intitola?»
«La strada dei pony» rispose Anna. «Sono pony. Tantissimi pony».
«Vedo» disse Brian. «Mi piace un sacco». Le arruffò i capelli e si chinò a darle un bacio. «Devo salire di sopra, adesso» annunciò. «Ci vediamo fra un momento».
Non appena se ne fu andato, Edna fece cenno a Julia di seguirla in cucina.
«Sai, sarebbe bello che Brian potesse stare qualche minuto con sua figlia per salutarla come si deve. Senza drammi, però... È un momento importante per lui».
«Che cosa stai dicendo, Edna?»
«Che potresti andare a fare una passeggiata e tornare fra un’oretta, in maniera che Brian possa fare le valigie con calma e passare un po’ di tempo con Anna».
Julia incrociò le braccia. «Non so» borbottò. «E se me ne stessi di là, oppure di sopra? Non ho molta voglia di uscire».
«I giornalisti non ci sono, se è questo che temi».
«Non è solo quello. Non ho tanta voglia di... incontrare persone. Ho paura che mi guardino male».
«Mettiti un berretto, così non ti riconosceranno. Comunque, non credo ti dirà niente nessuno».
«Io credo di sì, invece. Purtroppo».
«Prima o poi dovrai pure uscire di casa, no?» disse Edna. «Tanto vale che tu lo faccia subito. È come togliere un cerotto. Se lo levi lentamente, soffri il triplo».
Gesù, pensò Julia. Questa non molla mai. Guardò fuori. Era una splendida giornata di sole.
«Va bene» acconsentì. «Magari non starò via proprio un’ora».
«Il tempo che gli concederai sarà tutto tempo guadagnato» disse Edna. «Grazie».
In fondo alla strada, Julia imboccò la scorciatoia che portava al canale. Era abbastanza stretto e vi passavano poche imbarcazioni. L’acqua vi scorreva lentissima e a Julia piaceva meno del fiume che attraversava il parco, dove la corrente era più forte, ma quel giorno così limpido il parco doveva essere assai affollato, mentre lungo il canale Julia avrebbe incontrato solo qualche pescatore solitario e gente che portava a passeggio il cane.
Le faceva piacere camminare con il sole sulla pelle, sentire scorrere il sangue nelle vene. Non condivideva l’idea di Edna secondo cui un po’ di moto all’aria aperta era la cura contro tutti i mali, fisici e psichici, ma doveva ammettere che era un toccasana. Provava un senso di benessere che non aveva più provato da quando era scomparsa Anna.
Camminava a passo svelto. Sulla riva opposta, una famigliola di cigni becchettava fra le alghe. I piccoli erano batuffoli di piume grigie, già grandi come anatre. Sul pelo dell’acqua ronzavano nugoli di insetti invisibili e ogni tanto affiorava qualche bolla. A prima vista sembrava un paesaggio sterile e vuoto, invece era pieno di vita.
Aveva già percorso qualche chilometro, quando passò davanti alla panchina vicino al ponte che portava alla strada principale, dove sapeva che c’era una stazione di servizio con un piccolo negozio. Poiché aveva sete, salì le scale e si diresse da quella parte.
Nel negozio, berretto calato sugli occhi, prese una bottiglia di acqua minerale e un Twix. Evitò accuratamente di guardare i giornali.
«Bella giornata, vero?» disse l’uomo dietro il banco. Era alto, sul metro e novanta, e avrà avuto cinquantacinque, sessant’anni. Aveva pochi capelli, grigi, occhiali con le lenti spesse e lo sguardo penetrante. «Passeggiava lungo il canale?»
«Sì» rispose Julia. «Perché me lo chiede?»
«Qui la gente si ferma soprattutto per fare benzina. Quelli a piedi salgono tutti dal canale. C’è tanta gente in giro?»
Julia scosse la testa e gli diede una banconota da venti sterline. Era improvvisamente a disagio, di colpo cosciente di trovarsi in un luogo poco frequentato e sola con un uomo dai modi bruschi e lo sguardo penetrante.
Si diede della stupida: perché attribuire cattive intenzioni a quel povero negoziante? Era solo annoiato e un po’ curioso. Un uomo come tanti altri. Fino a due settimane prima non lo avrebbe neanche notato.
Adesso, però... Anche due settimane prima Julia sapeva che esistevano individui che rapivano i bambini, stupravano le donne e ammazzavano la gente, ma adesso ne aveva una consapevolezza diversa: adesso sapeva che la vittima poteva essere lei.
E se quell’uomo fosse stato un maniaco? Se fosse stato lui a rapire Anna? Magari non lavorava in quel negozio, ma l’aveva pedinata e, vedendo che si stava recando lì l’aveva preceduta, aveva tolto di mezzo la commessa e ora...
L’uomo le stava porgendo il resto, che Julia guardava senza risolversi a prenderlo. Non voleva toccargli la mano.
«Si sente poco bene?» le chiese lui.
Julia non rispose. I comandi dal cervello non riuscivano ad arrivare alla bocca.
«Signora?»
Julia si impose di darsi un contegno.
«Mi scusi» disse. «Sono solo un po’ accaldata».
L’uomo fece una faccia perplessa. «È distante da casa?»
«Sì. No. Qualche chilometro».
«Prenda un taxi, dia retta a me. Non ha una bella cera. Glielo chiamo io?»
Julia aprì la bocca per dire di sì, ma si morse la lingua.
E se invece del taxi chiama un suo complice? pensò. E se anche questo fa parte della finzione?
L’idea del taxi però la allettava. Non se la sentiva di tornare a casa a piedi. Guardò l’orologio appeso al muro: era fuori da quaranta minuti. Doveva darsi una mossa.
«Faccio io, grazie» disse. «Ho il cellulare».
«Come vuole». Il negoziante posò il resto – una banconota da dieci e alcuni spiccioli – sul banco.
Julia uscì dal negozio. Poco più avanti c’era una fermata dell’autobus. Andò a sedersi sulla panchetta rossa con la vernice scrostata. Si prese la testa fra le mani e si massaggiò il cuoio capelluto. Il negoziante faceva semplicemente il suo lavoro: vendeva benzina, giornali e generi alimentari. Come le era saltato in mente che potesse essere un maniaco, un pedofilo, un assassino? Avrebbe visto mostri a ogni angolo di strada, d’ora in poi? Sarebbe stata prigioniera della paura? No, era ridicolo. Non poteva vivere nel terrore. Doveva darsi una regolata.
Sentì bussare sul vetro del gabbiotto.
Era il negoziante.
Julia lanciò un grido, balzò in piedi e si acquattò in un angolo.
«La prego, la prego, non mi faccia del male» implorò.
L’uomo la guardò per un paio di secondi, sbalordito.
«Porca Eva» mormorò. «Non so di cosa abbia paura, ma si è immaginata tutto. Sono venuto semplicemente a restituirle il resto: l’ha lasciato in negozio». Tese la mano sinistra, con la banconota e gli spiccioli. Si chinò. «Ecco, glielo poso qui» disse. «Quando se la sente, se lo piglia da sola». Si tirò su e la fissò un istante. «Ehi, ma lei non è la...»
Julia annuì.
«Sono contento che sua figlia sia tornata. Dovrebbe andare a casa, adesso. Ha chiamato il taxi?»
«Sì» mentì Julia. «Dovrebbe arrivare da un momento all’altro».
L’uomo sorrise. «Bene. La saluto, signora».
Julia lo guardò tornare nel negozio. Poi prese il telefono e chiamò un taxi.
Il taxi la lasciò davanti a casa. Julia pagò la corsa e si diresse verso la porta. Lungo il tragitto aveva preso una decisione. Non se la sentiva di stare in casa da sola. Il pensiero che il rapitore di Anna non fosse stato identificato e tantomeno catturato la inquietava troppo. Non riusciva neanche a fare una passeggiata senza che le venisse il panico. Non era in grado di stare da sola, aveva bisogno di qualcuno che la sostenesse. Aveva bisogno di protezione.
Avrebbe chiesto a Brian di restare a dormire a casa. Non aveva alternative. Non era necessario interagire più di tanto, potevano anche non parlarsi: l’importante era non stare da sola. Non le serviva un marito, ma qualcuno che la proteggesse.
Brian avrebbe capito, ne era certa. Benché fosse arrabbiato con lei, era una brava persona e avrebbe compreso le sue difficoltà. Se non voleva farlo per lei, l’avrebbe fatto per Anna. Anna aveva bisogno che ci fosse anche lui. Il colpevole era ancora a piede libero: sarebbe stata più al sicuro, con tutti e due i genitori.
Appena l’incubo fosse finito, Brian sarebbe potuto andare a stare dove gli pareva. Per il momento, però, doveva restare al loro fianco.
Girò la chiave nella serratura e aprì la porta.
«Ciao!» disse. «Sono tornata».
Nessuna risposta. Nessun rumore. Silenzio assoluto. Niente televisione, niente passi sulle scale, niente voci.
«Anna?» chiamò. «Brian? Dove siete?»
Nessuna risposta.
In giardino, pensò. Sono usciti in giardino. Ma certo!
Andò in cucina e fece per aprire la porta sul retro. Era chiusa a chiave.
Il che significava che in giardino non c’era nessuno.
Agitata, Julia prese la chiave dal davanzale (non era il posto migliore in cui tenerla, lo sapeva), la infilò nella serratura e aprì la porta.
Sentì cinguettio di uccelli, rumore di macchine, grida lontane di tifosi alla partita.
Di Brian e Anna, però, nessuna traccia.
Prese il telefono e chiamò Brian sul cellulare. Le rispose dopo due squilli.
«Brian?» disse Julia. «Anna è con te?»
«Certo» replicò lui. «Non la lascio da sola, ti pare?»
«Dove siete?» chiese Julia. «Come mai non siete a casa?»
«La porto dalla mamma» spiegò Brian. «È la soluzione migliore. Almeno lì sarà al sicuro».
«Non puoi!» urlò Julia. «Non puoi portartela via senza il mio permesso».
«Non mi avresti mai dato il permesso, Julia» ribatté lui. «Ma Anna sta meglio con me».
«Portala subito indietro!» gli intimò. «Immediatamente! Guarda che chiamo la polizia».
«L’ho già chiamata io. Per avvertire di spostare la pattuglia davanti a casa della mamma a partire da stasera».
«Non puoi farmi questo, Brian» disse Julia. «Non puoi!»
«Sì, invece. Posso. Tant’è che l’ho fatto. Per il bene di Anna».
«Per il bene di Anna, devi riportarla qui!»
«Non sono d’accordo». Brian stette un attimo zitto e Julia sentì la voce di Edna in sottofondo. Avrebbe dovuto immaginare che erano insieme. «La mamma dice di passare da lei domani, così ne parliamo».
«Vengo adesso. Subito!»
«Prima è meglio che ti calmi. Non vogliamo che Anna si agiti, no? Domani mattina alle nove».
E chiuse la comunicazione. Julia provò a richiamare, ma le rispose la segreteria telefonica.
Non aveva nessuna intenzione di aspettare fino all’indomani mattina alle nove. Li avrebbe raggiunti subito a casa di Edna. Cazzo!