12.

Mancanza di autocontrollo

Dunque la madre ha perso la figlia. Non ti aspettavi che succedesse tanto in fretta, ma va bene così.

Ti adatterai. È un’altra delle tue doti: accetti i cambiamenti e fai buon viso a cattivo gioco. È il principio dell’evoluzione: chi non si adatta, muore. L’unica differenza è che l’evoluzione è inconsapevole: gli animali non si rendono conto che si stanno adattando, non vedono le alterazioni dell’ambiente, non percepiscono che il mondo intorno a loro si modifica. Tu sì, invece. Tu mantieni il distacco e osservi. Osservi ogni cosa – il tuo comportamento, il tuo posto nel mondo, il tuo ruolo, i tuoi punti deboli, le tue qualità, le opportunità che si aprono, i pericoli che si palesano. Se qualcosa cambia, rifletti sugli adeguamenti che devi operare di conseguenza. Non ti lasci cogliere di sorpresa dagli eventi.

Osservi e registri tutto. Sai aspettare.

E, al momento giusto, passi all’azione con prontezza e determinazione.

Sta per arrivare il momento di passare di nuovo all’azione. Questa volta sarà l’ultima.

Julia bussò alla porta di casa di Edna, che non aveva campanello. Edna li riteneva volgari e non ammetteva nulla di volgare nella sua “umile dimora”. La quale era tutto fuorché umile. Edna abitava in un’antica palazzina che un tempo era una rimessa per le carrozze. Anni prima, lei e Jim avevano venduto parte del terreno circostante a uno che ci aveva costruito sopra una graziosa villetta. Con il ricavato, alquanto consistente, volevano assicurare ai futuri nipoti un’istruzione “decente”, giacché Brian non ne sarebbe stato in grado, con i proventi del proprio lavoro. In seguito, Edna se n’era amaramente pentita. Non appena aveva capito che più di una nipote da Brian non avrebbe avuto, aveva iniziato a recriminare: di tutto quel denaro non avrebbe avuto bisogno e avere la villetta dei vicini a un passo le dava assai fastidio. Non era brutta, tutt’altro: l’architetto aveva scelto uno stile che ben si adattava all’ambiente in cui era immersa. Ma per Edna era un monito costante al fatto che aveva venduto inutilmente i suoi terreni e che suo figlio Brian non era riuscito a darle più di un nipote.

«Brian?» urlò Julia. «Brian!»

Batté forte il pugno sul portone.

«Brian? Edna?»

Il portone si aprì e Julia si trovò davanti Brian. Era in piedi nel vestibolo e la porta alle sue spalle era chiusa.

«Datti una calmata, Julia» le disse. «L’appuntamento era per domani mattina».

«Vaffanculo, Brian» ribatté lei. «Voglio indietro mia figlia! Ridammela!»

«Qui sta meglio» replicò Brian. «Non ci sono giornalisti, tanto per cominciare. E poi, come hai detto tu stessa, chi l’ha rapita è ancora a piede libero. Qui è al sicuro».

«Ha bisogno di me!»

«Per favore, Julia, non essere infantile. Dobbiamo mettere da parte le nostre esigenze e fare ciò che è meglio per la nostra bambina. Capisco che tu ci soffra, ma fallo per il bene di Anna».

«Me l’hai portata via con l’inganno! L’hai rapita!»

«Non dire stupidaggini. L’ho portata a casa di sua nonna. E te l’ho pure detto».

Julia si rese conto che le obiezioni di Brian erano sensate. Pretestuose, d’accordo, ma legalmente ineccepibili.

Non ci vide più dalla furia. La collera riduceva la sua vita a un unico obiettivo: riprendersi Anna.

«Fammi entrare, per favore. La voglio vedere».

«Meglio di no. Sta dormendo. E non voglio che assista a scenate».

«Scenate?»

«I figli non dovrebbero veder litigare i genitori».

«Smettiamo di litigare, allora. Lasciami entrare. La prendo e la riporto a casa».

«Julia, calmati. Abbiamo ospiti. Non farci fare brutte figure. La mamma ci tiene, lo sai».

Julia sentì salire ulteriormente la collera: le avevano portato via la figlia e pretendevano pure che lei fosse cortese ed educata per non fare brutta figura davanti agli ospiti di Edna? A proposito, perché aveva ospiti? In quel casino, Edna diramava inviti e si atteggiava a brava padrona di casa? Che ipocrita!

«Non me ne frega un cazzo degli ospiti di tua madre» urlò. «Voglio vedere mia figlia. Voglio vederla adesso».

Provò a spingerlo da parte, ma lui allungò un braccio e la bloccò.

«Lasciami passare!» gridò Julia. «E toglimi le mani di dosso!»

Lo odiava, in quel momento. Gli avrebbe spaccato la faccia, se solo fosse stata capace. Non essendolo, si limitò a graffiargliela.

Brian lanciò un grido di dolore, stridulo, che la fece infuriare ancor di più. Julia gli assestò uno spintone con tutta la forza che aveva e lui perse l’equilibrio e andò a sbattere contro il muro. Si teneva una mano sulla guancia. Julia si rese conto che gli aveva lasciato i segni rossi delle unghie.

«Sei un pezzo di merda» lo apostrofò. «Un inutile...»

«Che cosa succede?» Edna aprì la porta del vestibolo e si parò davanti a loro a braccia conserte. Alle sue spalle c’era un uomo della sua età, che si era vestito elegante per andare a casa dell’illustre dottoressa Crowne.

«Tutto a posto?» chiese lo sconosciuto.

«Mi ha graffiato!» protestò Brian. «È pazza».

«Va’ via, adesso» ordinò Edna. «Vattene a casa».

«Senza Anna, non vado da nessuna parte» ribatté Julia. «Resto qui tutta la notte, se necessario. Non potete non farmi vedere mia figlia!»

Edna assunse un’espressione ancora più severa. «Ti consiglio di non usare questi toni con me» disse. «In casa mia».

Fece un passo avanti, la afferrò per un braccio, all’altezza del gomito, e la spinse verso la porta. Julia notò che aveva una forza portentosa.

«Fuori» sibilò Edna. «Fuori da questa casa».

Julia si divincolò. «No!» gridò. «Non potete mandarmi via!»

«Tu dici?» fece Edna. «Vedremo».

Prese Julia anche per l’altro braccio e la spinse, costringendola ad arretrare fin oltre la soglia.

«Mollami!» gridava Julia.

Diede una spallata a Edna, che perse l’equilibrio e andò a sbattere contro lo stipite della porta. Ma non mollò la presa.

«Voglio vedere mia figlia!» urlava Julia. «Fammi vedere mia figlia o ti cavo gli occhi, stronza!»

Si sentì afferrare da altre braccia e alzò la testa. Brian l’aveva presa da una parte, l’ospite sconosciuto dall’altra.

«Vuoi che chiami la polizia?» suggerì questi a Edna, la quale guardò la nuora e rispose: «No, non è il caso. Julia adesso se ne va».

Julia si sentì di colpo svuotata. Non rispose.

«Julia?» la chiamò Edna. «Vuoi che Michael chiami la polizia o te ne vai con le tue gambe?»

Julia lasciò cadere la testa sul petto. «Vado, vado» borbottò.

«Molto bene» rispose Edna. «Lasciatela pure».

Brian e Michael mollarono la presa e Julia si voltò e si diresse verso la macchina. Sentì che Edna la chiamava.

«Ci vediamo domani mattina, allora. Dobbiamo parlare».

Julia pensò che non ne aveva nessuna voglia.

Si svegliò presto. Non riusciva a dormire, continuava a rivedere gli eventi del giorno prima con minime variazioni, in loop. Dopo un po’ smise di provare a riaddormentarsi e andò a stravaccarsi di fronte alla TV con una tazza di tè in mano, bilanciandola sulla pancia come faceva suo padre quando guardava la partita la domenica pomeriggio, prima di mettersi le scarpe e il cappotto e uscire a fare due passi.

A fra poco, amore, diceva alla moglie dandole un bacio sulle labbra, o anche due o tre. Julia era cresciuta convinta che tutti i genitori si baciassero sulla bocca quando si salutavano, accennassero qualche passo di danza in cucina quando la radio trasmetteva una bella canzone e stessero abbracciati sul divano come ragazzini a guardare i film trasmessi dalla BBC. Solo più grandicella si era resa conto che i suoi erano un’eccezione, un raro esempio di amore che perdurava nel tempo in mezzo a tanti matrimoni ormai spenti e vuoti.

Torno fra poco, diceva suo padre. Tu intanto fatti bella.

Tornava dopo un’ora o due, con addosso odore di fumo e di birra, per portare la moglie al cinema o al ristorante oppure, anni dopo, all’enoteca che aveva aperto nel villaggio. A volte, mentre aspettava che lei finisse di prepararsi, stava con Julia e, reso espansivo dalla birra, le illustrava la propria visione del mondo. Julia ricordava bene quei momenti e i consigli che il padre le impartiva: Puoi passare la vita a fare l’elenco delle cose che ti mancano, Julia, e sarà un elenco talmente lungo che non ti resterà il tempo per godere di quelle che hai.

Siamo tutti persone più o meno per bene, ma ricordati che alcuni pur di ottenere ciò che desiderano sono disposti a cose che tu non ti sogneresti mai di fare.

Il suo preferito, che riassumeva la mamma, il papà e il loro matrimonio, era:

Gli amici di un uomo si contano sulle dita di una mano: uno è la moglie.

I genitori di Julia non avrebbero mai neppure preso in considerazione l’idea del divorzio. Si amavano. Julia provava nostalgia di entrambi.

Si addormentò in poltrona. Si svegliò che erano quasi le otto. Aveva appuntamento con Brian alle nove e quindi corse a lavarsi e a vestirsi. Era proprio curiosa di sentire che cosa le avrebbe detto.

Il cielo era nuvoloso, quando Julia parcheggiò sul vialetto davanti alla casa di Edna. Le nubi erano grigie e basse e l’aria odorava di pioggia. Bussò alla porta con meno foga del giorno prima, ma con la stessa trepidazione all’idea di vedere Anna. Voleva chiederle se preferiva tornare a casa con lei o restare con la nonna e il papà ed era sicura della risposta che le avrebbe dato.

Le aprì Brian. Aveva l’aria rilassata, si era appena rasato, era vestito con eleganza, nello stile che piaceva a Edna. Perfetto rampollo di una famiglia altolocata.

I segni delle unghiate erano a malapena visibili.

«Ciao» la salutò. «Accomodati».

Julia entrò e imboccò il corridoio. Il parquet era lucidissimo. Si guardò in giro, le orecchie tese a captare la voce della figlia. Non vedeva l’ora di abbracciarla.

«Dov’è Anna?»

«È uscita con mia madre. Fanno colazione fuori».

Julia sentì ribollire la rabbia appena sotto lo sterno. «Ma io volevo stare un po’ con lei! È mia figlia, perdio! Perché mi fai questo, Brian?»

«E dai, rilassati! Che problema c’è? Torneranno a momenti. Volevo soltanto avere un po’ di tempo per parlarci, io e te. Tutto qui».

«Di cosa volevi parlare?»

Brian guardò prima il soffitto, poi il pavimento. «Dell’affidamento» rispose.

Julia incrociò le braccia. «In che senso?»

«Volevo sapere qual è la tua proposta».

«Penso che Anna dovrà venire affidata a me. La vedrai tutti i mercoledì e a weekend alternati. Magari anche più spesso, accordandoci di volta in volta».

Brian la guardò pensoso, dall’alto in basso. «Immaginavo che mi avresti proposto questo».

Le sue parole rimasero in sospeso fra loro. Julia dopo un po’ fece spallucce.

«Tu cosa proponi, invece?»

«Il contrario. Ritengo che Anna starebbe meglio con me. La vedrai tu tutti i mercoledì e a weekend alternati». Dopo un istante, aggiunse: «Magari anche più spesso, accordandoci di volta in volta».

Julia scoppiò a ridere. «Cosa ti fa pensare che accetterei? Non ti scordare che sono un avvocato divorzista, Brian. Conosco la legge, so come viene applicata». Si protese verso di lui e abbassò la voce, come per rivelargli un segreto: «Che resti fra noi, Brian: i figli vengono sempre affidati alla madre».

«Preferirei non arrivare davanti a un giudice» disse Brian. «Ci costerebbe troppo, in termini di denaro e di energie».

«Sono d’accordo» replicò Julia. «E comunque non avrebbe senso: perderesti».

«Non ne sono tanto sicuro, sai?» disse Brian.

«Io sì. Al cento per cento».

«Vedremo» disse Brian. «Accomodati. Torneranno fra poco. Ti posso offrire qualcosa? Tè? Caffè?»

«No, grazie. Cosa intendi, quando dici “vedremo”?»

«Niente di particolare. Vedremo che cosa dirà il giudice».

«Quindi intendi andare per via giudiziale?»

«Non io, tu».

«Non capisci, Brian. Per te questa è una battaglia persa. Pensaci, prima di cominciarla. Non è proprio il caso».

«A me sembra di sì, invece. Voglio che Anna sia affidata a me e se l’unico modo per avere l’affidamento è procedere per via giudiziale, non mi tirerò indietro».

Julia scosse la testa. «Il giudice non la affiderà a te, Brian. Perderai la tua battaglia. Non lo capisci? Con una separazione consensuale sarà più facile per tutti. L’hai detto poco fa: andare per via giudiziale ci costerebbe tantissimo in termini di denaro e di energie».

«Io penso di poter ottenere l’affidamento». Brian si strinse nelle spalle. «Tu non sei d’accordo. Okay, vedremo cosa dirà il giudice».

Julia trovava insopportabile questa nuova versione di Brian, così calma e razionale... Qualsiasi cosa lei gli dicesse, anche di offensivo, Brian manteneva l’aplomb. Era troppo sicuro di sé. Da dove gli veniva tanta baldanza? Julia era perplessa.

«Come fai a essere tanto sicuro, Brian?» gli chiese. «Cosa ti fa pensare che il giudice darà ragione a te?»

«Un giudice decide nell’interesse del minore, giusto? Glielo impone la legge».

«E pertanto nella stragrande maggioranza dei casi lo affida alla mamma».

La porta si aprì. Edna e Anna erano tornate. Brian sorrise.

«Bene» disse Brian. «Allora puoi stare tranquilla, no? Ti saluto».

Anna era nel corridoio. Julia sentiva i suoi passi sul parquet, la scarpette di vernice nere nuove, stile anni Settanta, certamente scelte da Edna. Felice e sorridente, teneva per mano la nonna e nella destra aveva un lecca-lecca.

«Mamma!» esclamò. «Per colazione abbiamo mangiato i pancakes con il miele!»

«Siamo andati al caffè del vivaio» spiegò Edna. «È molto carino. Il miele è quello delle loro api».

Julia la ignorò. Edna le parlava con la nonchalance che si usa con una vecchia amica, come se non fosse successo niente, come se Anna non fosse mai scomparsa e Brian non se ne fosse mai andato di casa, come se il giorno prima non avessero litigato furiosamente. Julia non intendeva stare al gioco. Non le interessava conversare amabilmente. Era stufa di quella farsa.

Si chinò, prese Anna in braccio e disse: «Bene. Hai gradito la colazione, tesoro?»

«Tantissimo» rispose la bambina, cingendole il collo con le braccia e posandole la testa su una spalla. «Mi sei mancata, mamma. Dov’eri?»

«A casa. Anche tu mi sei mancata, Anna».

Chiuse gli occhi. Non intendeva permetterlo. Non avrebbe lasciato che Edna le portasse via Anna – perché era Edna a volerlo, non Brian – neanche temporaneamente. Anna era figlia sua e con lei doveva restare. Non sarebbe diventata la protetta di Edna, scarpette di vernice nere, lezioni di equitazione, bambolina da crescere a immagine e somiglianza della nonna. Le mamme tigri causavano un sacco di danni: Edna doveva farsi da parte.

Julia poteva voltarsi e andarsene in quel preciso momento, portare Anna a casa e chiudere Brian fuori dalla porta. Un sacco di coppie finivano così, i padri con la faccia premuta contro il vetro del salotto a rimpiangere ciò che avevano perso. Julia non dubitava di ottenere l’affidamento ma, se Anna avesse risieduto presso di lei, sarebbe stato più semplice: avrebbe potuto semplicemente chiedere il prolungamento dello status quo. Era importante che il minore non venisse sballottato di qua e di là e, se Anna fosse rimasta a casa con Julia, il giudice avrebbe decretato che lì doveva restare.

Edna lo sapeva, per questo stava cercando di trasferire Anna a casa propria. Ma se in altri settori Edna poteva essere più esperta di lei, in fatto di affidamento di minori Julia era più competente. Era il suo campo. Sapeva tutto quello che c’era da sapere: conosceva le parole della legge, lo spirito della legge, l’applicazione della legge.

E, soprattutto, sapeva che i figli venivano affidati sempre alla madre. Conosceva Edna e intuiva la sua logica: la corte deciderà nell’interesse del minore e l’interesse di questa bambina è stare con la sua illustre nonna, la dottoressa Edna Crowne. È evidente, no? Sarebbe nell’interesse di qualsiasi minore venire educato da Edna Crowne! Era un privilegio raro, una benedizione, una garanzia di felicità e successo. Certo, l’amore materno e familiare avevano la loro importanza, talvolta decisiva, ma non sempre. Anna aveva l’opportunità di venire cresciuta dall’eccelsa Edna Crowne, di frequentare le scuole più prestigiose, di diventare qualcuno e di fare soldi a palate.

Questo ragionamento esemplificava l’incapacità di Edna di prendere in considerazione il punto di vista altrui. Era talmente convinta di avere ragione che riteneva impossibile che qualcuno la pensasse in maniera diversa da lei. Un giudice, per giunta. I giudici erano persone calme, intelligenti e razionali... Era scontato che comprendessero e condividessero le sue argomentazioni.

Non funzionava così, però. Nella stragrande maggioranza dei casi, i bambini venivano affidati alla madre. Non sempre era giusto e forse i padri che indossavano per protesta la t-shirt rosa con la scritta Giustizia per i padri avevano ragione. Ma la realtà era questa: ad avere l’affidamento erano le madri. Giusto o ingiusto che fosse, era così ed Edna Crowne non avrebbe invertito la tendenza.

«Okay, Anna» disse Julia. «Saluta papà. È ora che torniamo a casa».

«Ah» mormorò Anna. «Ciao, papà».

Brian, che era alle spalle di Julia, corse avanti per bloccarle la strada, ma Julia appoggiò la schiena contro il portone e mise la mano sulla maniglia.

«Non farlo» disse Brian. «Non è una buona idea».

«Perché non dovrebbe essere una buona idea riportare a casa mia figlia?» chiese Julia.

«Credimi» intervenne Edna. «Non lo è».

Julia si voltò di scatto e guardò Edna negli occhi, con aria di sfida. «Fatti i ca...» Lanciò un’occhiata alla figlia. «Non ti immischiare in cose che non ti riguardano, per cortesia».

«Mi riguardano eccome!» ribatté Edna. «Dovrò mettere la mia casa a disposizione, quando mia nipote verrà a stare qui, no?»

«Anna non verrà qui» replicò Julia. «Quindi il problema non si pone. Ti pregherei, perciò...» E fece il gesto di chiudersi una zip sopra la bocca. Sapeva che era il genere di mimica irrispettosa che faceva infuriare la suocera.

Ottenne l’effetto desiderato. Edna, impettita, sibilò: «Sei una...»

Julia sollevò una mano e gliela avvicinò al volto. «Parla alla mano, se vuoi, perché l’orecchio non ti ascolta». E si godette la faccia scandalizzata della suocera.

«Sta’ attenta, perché io ti...» cominciò Edna.

«Risparmia il fiato» la interruppe Julia, ripetendo il gesto della zip. Si divertiva quasi. Avrebbe dovuto cominciare a rispondere per le rime a quella donna molto prima.

Edna annuì lentamente, poi si strinse nelle spalle e si voltò verso Brian. «Glielo dici tu o glielo dico io?»

«Io» rispose Brian. «Se posso».

«Cos’è che mi dovete dire?» domandò Julia.

«Se permetti, glielo dico io» dichiarò Edna, rivolgendosi a Brian.

«Che cosa?» insistette Julia. Non le piaceva l’espressione furbetta della suocera. Era troppo soddisfatta.

«Il motivo per cui la tua fiducia nel verdetto del giudice è a dir poco eccessiva».

«Non la penso così» replicò Julia. «Comunque, dimmi».

«Sarebbe meglio che Anna non sentisse» disse Edna. «Non vorrei turbarla».

«Sì, certo» ribatté Julia. «Così, appena la metto giù, voi mi cacciate fuori come ieri. Mi avete preso per scema? Anna resta qui, in braccio a me. Parla pure liberamente, Edna. Non ti preoccupare».

Edna fece spallucce. «Come preferisci».

Brian rimase impassibile. Quando Edna cominciò a parlare, però, abbassò gli occhi come se si vergognasse.

«Se ho inteso bene» iniziò Edna, con lo stesso gusto con cui i gourmet assaggiano una pietanza prelibata, «il giudice si pronuncia nell’interesse del minore».

«E pertanto nella maggioranza dei casi lo affida alla madre» disse Julia. «Mi spiace per i padri, ma è così».

«A meno che la madre venga ritenuta non idonea» precisò Edna. «Se è una donna instabile, per esempio. Depressa con tendenze suicide. Alcolista. Violenta».

Julia aprì la bocca, ma non sapeva che cosa dire. Aveva la lingua appiccicata al palato.

«Vedo che mi hai capito» disse Edna.

Sì, Julia aveva capito, ma non ci credeva. Non si era ancora resa conto della gravità della situazione. Scosse la testa.

«Non è vero» disse. «Non è vero».

«A me sembra di sì, invece» ribatté Edna. «Mi sono rivolta a un esperto e ho capito che, qualora il giudice ritenga che la madre abbia seri problemi – come te, Julia – affida i minori al padre».

Julia la fissava sbigottita. «Avete intenzione di mentire per ottenere l’affidamento?»

«Assolutamente no, Julia» rispose Edna. Abbiamo intenzione di esporre una serie di fatti inequivocabili e di affidarci alla decisione del giudice». Guardò il soffitto, come immersa in profonde riflessioni. «Primo, non ti sei presentata a prendere la bambina a scuola e la bambina è stata rapita. Secondo, la stampa ha strombazzato che intendevi andartene di casa mollandola a suo padre...»

«Non l’avrei mai fatto!» protestò Julia. «Anche se avessi lasciato Brian, non avrei mai abbandonato Anna. È una bufala! Un’invenzione dei giornalisti!»

Edna alzò la mano. «Io sto solo illustrando le argomentazioni che verranno esposte al giudice. Per quel che ne so, comunque, saresti stata capacissima di andartene di casa lasciando figlia e marito. Se me lo chiederanno, risponderò che è nel tuo carattere».

«Non ci posso credere, Edna. Mi sembra troppo persino per te. Cadresti così in basso?»

«Mi limito a enumerare i fatti, Julia». Sorrise. «E non ho finito. Posso continuare?»

Julia posò Anna per terra. Aveva cambiato idea: non voleva che la bambina sentisse le cattiverie di sua suocera.

«Va’ a giocare di là» la invitò. «È questione di un minuto».

Dopo che Anna se ne fu andata, si voltò verso Brian. «E tu glielo lasci fare?» gli chiese. «Sei suo complice? Credevo avessi una coscienza, Brian».

«Devo agire nell’interesse di Anna» rispose lui, senza riuscire a guardarla negli occhi. «E penso che per Anna sia meglio stare con me».

«Vado avanti?» disse Edna. «Con i rimanenti fatti?»

Julia non rispose. Edna si schiarì la voce con fare teatrale. Era lei a divertirsi, adesso.

«Terzo, sei psichicamente instabile. Pochi giorni fa hai tentato il suicidio, a dimostrazione del fatto che non stai bene». Contava sulle dita della mano.

«Non è vero!» esclamò Julia. «È una bugia! Lo sapete benissimo».

«Anche il giudice lo sa?» chiese Edna. «Riflettici». Alzò il quarto dito. «Quarto, hai problemi con l’alcol, come dimostra il fatto che quando hai tentato il suicidio avevi accanto una bottiglia di vodka. Quinto e ultimo, sei violenta, problema che forse è aggravato dall’abuso di bevande alcoliche. Il mio ospite di ieri, che fra parentesi è un magistrato, è rimasto sconvolto dalla tua condotta. Sono certa che testimonierà, se dovesse rendersi necessario».

Tese la mano, le cinque dita allargate. «Cinque motivi, ciascuno dei quali grave abbastanza da poter convincere il giudice a non affidarti la bambina. Tutti e cinque insieme, be’...» Edna si strinse nelle spalle. «Se non è un irresponsabile, affiderà Anna al padre. Lo so, accade raramente. Ma accade».

Julia era senza parole. Le affermazioni di Edna erano campate in aria, una distorsione della realtà, una sfilza di menzogne – lei non era alcolista, non era violenta e non aveva tendenze suicide – ma negare in quel momento non avrebbe avuto senso. Edna sapeva benissimo che non era vero niente. Non le stava chiedendo un’opinione, le stava mostrando quali carte intendeva giocare.

E aveva in mano carte grandiose: un poker, una scala reale. Tutto a un tratto Julia capì di essere in una posizione di enorme svantaggio. Tutti i giornali avevano parlato della sua presunta negligenza, del suo tentativo di suicidio e della sua volontà di abbandonare Anna. Erano cose di dominio pubblico. I giornalisti avevano deformato la realtà, era vero, ma alla fine sarebbe stata la parola di Julia contro la loro. Brian non l’avrebbe certamente difesa. E se era vero che nessuno sarebbe mai riuscito a dimostrare che Julia era di indole violenta e aveva problemi con l’alcol, sarebbe stato quasi altrettanto difficile dimostrare il contrario. La sua immagine era stata infangata e i pregiudizi sono duri a morire.

Anche perché un magistrato l’aveva vista mettere le mani addosso a Brian e si era detto disposto a testimoniare. Julia chiuse gli occhi.

«Commenti?» la provocò Edna.

Julia non aveva nulla da dire. Voleva soltanto andare via. Si rivolse a Brian.

«Tua madre ti sta rovinando la vita» gli disse. «Ti distruggerà. È perfida. Velenosa. Sta’ attento a non lasciarti contaminare del tutto».

«Non capisci» ribatté Brian. «La mia vita è già rovinata. Sei tu che mi hai distrutto. Ormai l’unica cosa che mi resta è Anna. Per questo non te la lascio portare via. Ricordati che è partito tutto da te. È colpa tua. Saremmo ancora insieme, se non fosse per te».

Julia spostò lo sguardo da Brian a Edna, poi fissò di nuovo Brian. «Ti sbagli» disse. «Non resisterei un minuto di più con te e con quella vipera di tua madre. Piuttosto mi ammazzo».

«Vedi che hai tendenze suicide?» la stuzzicò Edna.

«Vaffanculo!» esclamò Julia. «Non hai un briciolo di umanità. Sei una stronza».

«Vedi come sei aggressiva?» insistette Edna. «Non imparerai mai. Sei stata tu a creare queste condizioni, Julia, te ne rendi conto? È partito tutto da te. Se tu non fossi così inaffidabile, irascibile, egoista, non saremmo in questa situazione. Purtroppo, però, è così e non intendo lasciare mia nipote nelle mani di una donna come te. Potrebbe succederle di tutto».

«Anna viene via con me» dichiarò Julia. «Andiamo a casa».

«Neanche per sogno» ribatté Brian. «Non peggiorare le cose, Julia. Te la lascerò vedere spesso, te l’assicuro. Senza supervisione».

La minaccia era chiara: se Julia non avesse acconsentito, Brian avrebbe provato a negarle il diritto alle visite o le avrebbe imposto un’assistente sociale. Lui e sua madre si sarebbero ingegnati per dipingerla come una psicopatica inadatta a prendersi cura di una bambina di cinque anni. Tanto più che Anna aveva l’opportunità di stare con un padre solido e gran lavoratore come Brian e con la sua eroica madre.

«E quindi?» chiese Julia con un filo di voce.

«Quindi adesso te ne torni a casa» rispose Edna. «Ti contatteranno i nostri avvocati».

I nostri avvocati?

L’aggettivo possessivo era più eloquente di quanto sarebbe potuto essere un saggio di cinque cartelle.

Julia aveva mille pensieri per la testa. Era avvocato, avrebbe saputo difendersi. Doveva solo rifletterci un po’, vagliare le possibilità a sua disposizione. Purtroppo, però, non riusciva a ragionare lucidamente. Le sfuggiva il quadro generale, il senso ultimo delle parole di Brian ed Edna. E se avessero avuto ragione?

«Posso almeno salutare Anna?» chiese.

Edna scosse la testa, ma Brian intervenne e disse: «Certamente. La vado a chiamare».

Julia impiegò parecchio per arrivare a casa. Era una giornata limpida, serena, e la campagna del Cheshire era bellissima: gli uccellini cinguettavano sulle antiche siepi, il sole splendeva su fiumi e laghetti, le fattorie di pietra brillavano nella luce dorata.

Julia, però, non vedeva nulla. Cercava di capire perché Brian si stesse comportando in quel modo, o perlomeno perché lasciasse mano libera a Edna. Se non avesse avuto sua madre a sobillarlo, non avrebbe agito così. Non avrebbe avuto abbastanza immaginazione e spietatezza. Era semplice: voleva Anna. E, a differenza della maggior parte degli altri padri divorziati, aveva buone probabilità di ottenerne l’affidamento. A costo di distruggere la reputazione dell’ex moglie. Si sentiva in diritto di farlo perché non aveva voluto lui il divorzio. Era stata lei a lasciarlo, e lui intendeva fargliela pagare.

Ma il matrimonio non era finito solo per colpa di Julia. Questo Brian si rifiutava di ammetterlo. Avevano smesso di amarsi, lo dimostrava l’astio con cui interagivano in quel periodo. Non c’era più un briciolo di affetto fra loro. Julia aveva semplicemente preso atto della realtà e agito di conseguenza.

Non era colpa di nessuno, se avevano smesso di amarsi. Tutt’altro. Ci voleva più coraggio a chiudere un rapporto che non funzionava piuttosto che a trascinarlo all’infinito. Un giorno, quando lei aveva sette o otto anni e pranzava con suo padre – le aveva preparato la sua specialità: uova fritte, pancetta, fagioli e cipolline sott’aceto – aveva sentito una gran botta contro la finestra e si era alzata da tavola per andare a vedere.

Per terra c’era un uccellino marrone, che saltellava su una zampa sola.

Papà, aveva gridato. È un uccellino. È ancora vivo!

Ha un’ala spezzata, aveva detto suo padre. È una rondine.

Possiamo curarla?

No, aveva risposto suo padre. Non siamo in grado.

Portiamola dal veterinario, allora.

Non c’è più niente da fare.

Julia aveva provato un senso di enorme ingiustizia: com’era possibile che non si potesse far niente per aiutare quella misera creatura sofferente? Era inconcepibile che non fossero in grado di guarirla né il veterinario né suo padre, che era meglio di Superman...

Non possiamo lasciarla lì, aveva detto.

No, hai ragione. Ci penso io dopo pranzo.

Cosa le farai?

Porrò fine alle sue sofferenze. È l’unica cosa che possiamo fare per lei, Julia.

Julia non aveva compreso subito che cosa intendesse suo padre e, quando l’aveva intuito, aveva fatto fatica ad accettare che gli fosse venuta in mente una cosa del genere.

La vuoi ammazzare? gli aveva chiesto, in lacrime per il destino della rondine e per la crudeltà di suo padre. Ma è orribile...

No, Julia, aveva ribattuto lui. Sul momento potrà sembrarti crudele, ma in realtà è un atto di misericordia. Quella rondine soffre e continuerà a soffrire finché non morirà di fame o azzannata da un gatto. A volte le azioni giuste richiedono durezza e coraggio.

Julia aveva capito. Se a farle quel discorso fosse stato qualcun altro, forse l’avrebbe lasciata perplessa, ma a suo padre aveva creduto.

Fallo subito, gli aveva detto. E lui l’aveva accontentata. Era uscito di casa, era andato a prendere una pala nel casotto degli attrezzi, ci aveva fatto scivolare delicatamente sopra l’uccellino ferito e l’aveva portato sul retro, lontano dagli occhi di sua figlia.

Missione compiuta, le aveva detto quando era tornato, con espressione grave. La rondine ha smesso di soffrire.

Julia aveva agito in maniera analoga con il suo matrimonio. Ormai non c’era più niente da fare e prolungare l’agonia non aveva senso. Certo, era triste che lei e Brian non avessero più nulla da dirsi e che Anna dovesse subire il trauma del divorzio dei suoi genitori, ma non era colpa di nessuno. Certe coppie stavano insieme tutta la vita e certe altre no, era cosa nota. Piuttosto che trascinare all’infinito un rapporto ormai logoro e infelice, era meglio darci un taglio. Per fortuna i tempi in cui si viveva separati in casa per non incorrere nello stigma o “per i figli” erano finiti. Edna – e quindi Brian – non era d’accordo? Pazienza. In questo Edna aveva torto, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

Insomma, Julia aveva fatto la scelta più giusta, più adulta: aveva detto a Brian che era finita. Aveva evitato drammi e sceneggiate, che per Anna sarebbero stati deleteri e, come suo padre, aveva portato la rondine sul retro e compiuto un atto di misericordia. Così facendo, aveva preparato il terreno per una separazione consensuale, rispettosa. Anna sarebbe rimasta con lei e avrebbe visto il papà tutte le volte che fosse stato possibile. Succedeva continuamente, ovunque.

Solo che poi Anna era stata rapita. Il problema era questo. Era lì che era andato tutto a rotoli. Se c’erano colpe, erano lì. Se Anna non fosse stata rapita, in quel momento lei e Julia sarebbero state insieme a prendere il gelato in mezzo alla campagna del Cheshire.

Invece Anna era stata rapita, i giornalisti si erano inventati che Julia era una madre degenere e adesso lei rischiava di perdere tutto per la seconda volta nell’arco di due settimane. Si sentiva impotente.

Gli elementi contro di lei erano pesanti, non c’era bisogno di un avvocato per vederlo. Poco contava che fossero falsi, distorti, malati, perché avevano un fondamento di verità. Era vero che Julia era arrivata a scuola tardi e che voleva il divorzio, che aveva preso sonniferi e alcol e graffiato Brian e questo sarebbe bastato a dipingerla come un mostro privo di istinto materno e dipendente dall’alcol.

Non aveva il coraggio di andare a casa. Il pensiero di trovarla vuota, simbolo di come era diventata la sua vita e di come sarebbe stato il suo futuro, era insostenibile.

Doveva distrarsi. Aveva bisogno di conforto.

Aveva bisogno della sua mamma.

«Ciao, mamma» disse Julia.

La donna seduta sulla poltrona dalla fodera lisa e consunta la guardò sbattendo le palpebre. Aveva le mani rugose piene di macchie scure. Taceva. Julia le fece una carezza sul braccio.

«Mi sei mancata» le disse. Di solito le raccontava piccoli eventi quotidiani e qualche prodezza di Anna, nella speranza che recepisse qualcosa e che nella sua mente ormai priva di luce si accendesse una fiammella capace di darle conforto, anche solo a livello inconscio o nei sogni.

Quel giorno, però, non aveva nulla di confortante da raccontare a sua madre.

«Mi sei mancata tanto» ripeté. «Mi manchi tanto!»

Le veniva da piangere. «Oh, mamma!» disse. «Che cosa ho fatto di male? Dove ho sbagliato? Non avrei dovuto sposarlo, vero? Eppure mi sembrava l’uomo giusto...»

Esitò, incerta se continuare. Ormai che aveva incominciato, però, non riusciva a smettere.

Si sfogò, raccontò a sua madre le sue ultime traversie. La decisione di divorziare, Anna, Edna. Disse che era tutta colpa sua. Spiegò che era stata costretta a dividersi dalla figlia subito dopo averla ritrovata, che si sentiva una pessima madre, la persona peggiore del mondo.

«Se solo potessi tornare indietro...» concluse. «Farei tutto diverso».

La madre aggrottò la fronte e strinse la mascella. Si voltò verso Julia, sbatté di nuovo gli occhi. Corrugò ancora la fronte e all’improvviso si illuminò. Ridacchiò e le accarezzò la mano.

«Non ti preoccupare, tesoro» disse. «Si aggiusterà tutto».

Per un attimo Julia si illuse che la madre fosse tornata in sé, avesse ripreso a ragionare.

«Mamma!» esclamò. «Come stai, mamma?»

La donna la fissò intensamente, l’espressione perplessa, di nuovo lontana. Sembrava immersa in chissà quali elucubrazioni. Le si annebbiarono gli occhi. Parlò di nuovo.

«Chi sei?»

Era di nuovo persa, ma quell’istante di lucidità – vera o presunta che fosse – per Julia era stato un balsamo. Sorrise, si alzò e diede alla madre un bacio sulla guancia prima di congedarsi.

«Grazie, mamma» sussurrò. «Ti voglio bene».