La vedi che fissa la casa delle bambole. La vedi aggrottare la fronte, stringere gli occhi, rifuggire l’idea che sta prendendo forma nella sua testa.
Dice qualcosa. La vedi che muove le labbra, ma non senti le parole. Non importa. Non fa nessuna differenza. C’è una sola cosa da fare.
Ha capito.
Non tutto, ma quanto basta. Non ha capito il come, e probabilmente neppure il perché – anche se forse un’idea se l’è fatta – ma ha capito il chi. E il chi è fondamentale. Il resto sono dettagli, quisquilie.
Non è rilevante tanto cosa è successo, quanto chi l’ha fatto succedere. E questo lei l’ha capito.
Se sa chi è stato, sa già troppo.
Quasi ti sfugge un sospiro: stava andando tutto così bene... La bambina qualcosa ricorda, dunque. Confusamente, vagamente, ma qualcosa ricorda. Probabilmente si è svegliata un attimo mentre la trasportavi da un posto all’altro. Chissà. Come funziona la memoria umana? Che cosa registra e cosa lascia correre? Che cosa riescono a cancellare i farmaci e cosa invece rimane impresso comunque? Dopotutto, anche i malati di Alzheimer, la cui funzionalità cerebrale è fortemente compromessa, riescono a ricordare come fosse ieri una bella giornata di sole della loro infanzia, una gita al fiume in compagnia di una nonna morta e sepolta da tempo. L’hai sperimentato con tua madre, che a volte emergeva dalle crudeli nebbie della demenza e pensava di essere in un luogo remoto in compagnia di persone del suo passato. Sprazzi fugaci, prima di ripiombare in un presente confuso e ansiogeno. Sopprimerla è stato un atto di pietà, nei suoi confronti e nei tuoi.
Era una cosa che andava fatta. Difficile, ma inevitabile. Un male necessario, come gli altri. Sono stati tutti mali necessari, ne sei convinta. La gente però certe cose non le capisce e quindi hai preferito mantenere il riserbo.
Ti sorprende che la bambina abbia conservato memoria di qualcosa? Non più di tanto, no. La casa di bambola, grande, insolita, curiosa, è un oggetto che a una bambina può rimanere impresso.
Maledizione, avresti dovuto pensarci. Provi un moto di frustrazione. Stava andando tutto così bene... Alla perfezione. Troppo.
Pazienza. Non può andare sempre tutto liscio. Tua madre te lo ricordava spesso, prima che le andasse il cervello in pappa e tu dovessi porre fine alle sue sofferenze. Sei stata costretta a prendere quella difficile decisione. Come adesso. Anche adesso devi prendere provvedimenti. La soluzione è una soltanto e tu devi gestirla. Sì, le cose stavano andando per il meglio, ma avevi comunque un piano B. Bisogna essere pronti a rimediare agli incidenti di percorso.
È giunto il momento.
Devi agire.
Tua nuora si volta verso di te, la sua brutta faccia una maschera di stupore.
«Vieni» le dici. «Vieni in casa a salutare Anna».
«Vieni» disse Edna. «Vieni in casa a salutare Anna».
Sorridendo. Un sorriso sincero e affettuoso, per una volta. Si era rilassata, aveva un atteggiamento aperto, cordiale. Era quasi seduttiva. Julia l’aveva già vista comportarsi così, diventare di colpo affascinante. Aveva charme, quando voleva, se riteneva che il suo interlocutore lo meritasse. Di solito Julia si doleva che la suocera non la trattasse mai così, ma in quel momento l’improvvisa cordialità di Edna la raggelò, perché la vide per quello che era: una facciata dietro cui si celava una totale assenza di sentimenti. La maschera di un mostro capace di rapire la propria nipote. Perché Edna non aveva semplicemente approfittato della situazione per dare addosso alla nuora in maniera che suo figlio ottenesse l’affidamento di Anna: aveva creato lei la situazione. Aveva rapito Anna per dimostrare al mondo che Julia era una madre inadeguata. Aveva provocato dolore e sofferenza indicibili al figlio lasciandogli credere che Anna fosse stata uccisa, venduta come schiava, abusata da una banda di maniaci. Era incredibile, ma Edna aveva dei precedenti: non aveva forse fatto passare Laura per adultera pur di convincere il figlio Simon a lasciarla?
Il rapimento di Anna, tuttavia, era infinitamente più grave. Era il gesto di una persona malata di mente.
Julia sapeva che cosa fare: sarebbe entrata in casa a prendere Anna, poi sarebbe andata dritta alla polizia e si sarebbe nascosta con la bambina in un albergo dove Edna non avrebbe potuto trovarle. Non sapeva come avrebbe fatto la polizia a trovare le prove del fatto che era stata Edna a rapire Anna, né se tali prove esistessero, ma questo era un problema secondario. Anna non doveva rimanere un minuto di più in quella casa, con quella donna.
«Sei stata tu» disse. «Hai fatto tutto tu».
«Di che cosa parli?» chiese Edna. «Sono stata io a fare cosa?»
«Lo sai benissimo» rispose Julia. «Sai perfettamente a che cosa mi riferisco».
Edna inarcò le sopracciglia e fece un sorrisetto perplesso. «Illuminami».
«Vaffanculo» rispose Julia.
E si incamminò verso il cancello. Edna si fece da parte. Julia temeva che la volesse fermare e provò un moto di sollievo nel vedere che la lasciava passare. Che cosa avrebbe potuto farle, d’altra parte? Alla soglia dei settant’anni in una colluttazione con Julia, che ne aveva trenta di meno, non avrebbe avuto chance.
Mentre Julia la superava, Edna disse: «Non fa nessuna differenza. Ne sei consapevole, vero?»
Con il gelo nella voce.
Julia si voltò. «Tu dici che non fa differenza? Vallo a spiegare alla polizia».
«Cosa pensi che farà la polizia? Cercherà il DNA di Anna in casa mia e nel garage. E ne troverà a bizzeffe, visto che Anna vive qui. Non riusciranno a provare alcunché. Quanta credibilità potrà mai avere la vaga affermazione di una bambina di cinque anni?»
«Io la trovo credibilissima» replicò Julia.
«Non ne dubito. Ma tu non sei un giudice. Per una corte di giustizia la testimonianza di Anna non vale una cicca. Ha cinque anni, è reduce da un enorme stress...»
«Potrebbero venirle in mente altri particolari. Non hai scampo, Edna. Apri gli occhi. La Scientifica ti metterà a soqquadro la casa: pensi sul serio di aver cancellato ogni traccia? Non so che cosa tu abbia fatto o come, ma qualche indizio sfugge sempre. Magari qualcuno ti ha visto a scuola quel giorno, magari qualche telecamera ti ha ripreso in giro per il paese quando saresti dovuta essere in casa con la cucina allagata. Qualcosa sfugge sempre, Edna. La polizia vaglierà ogni tua dichiarazione, ogni minimo dettaglio della tua testimonianza. Basterà una piccola bugia, Edna, una minima inesattezza. Ti credi invincibile, ma non lo sei».
«Ho qualche dubbio in proposito» rispose lei.
«Davvero? Pensi che la prova dei fatti a te non si applichi? Che per te valgano leggi diverse da quelle di noi comuni mortali?»
Edna scosse la testa con espressione mesta. «Non lo so, Julia. Non lo so».
«Be’, lo vedremo presto» concluse Julia. «Anna viene con me».
Julia entrò in cucina dal giardino. La porta che dava sul corridoio e sul resto della casa era aperta. Anna era lì che parlottava fra sé, immersa in qualche gioco solitario. L’avrebbe portata via da quella casa fredda e piena di spifferi. Basta.
Si vedeva già in macchina, lei al volante, Anna dietro sul seggiolino che le chiedeva: Che cosa è successo, mamma? Come mai non sto più a casa della nonna?
Adesso torni a casa con me, tesoro. Torni a vivere con la tua mamma.
Al solo pensiero provò un brivido di euforia.
Come avrebbe reagito Brian nell’apprendere che era stata sua madre a rapire Anna? O ne era già al corrente? Era complice? No, Julia non lo credeva. Nonostante i suoi difetti, Brian non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non avrebbe mai messo Anna in pericolo. A che pro, poi? Qual era stata la motivazione di Edna? Quale scopo voleva raggiungere? Era solo una pazza?
Lo avrebbero scoperto a tempo debito. Per il momento, Julia non ci voleva pensare. Voleva solo riportare a casa sua figlia.