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Torino, novembre 2006

Rosa ha deciso di entrare nella vita di quell’uomo, di suo figlio.

Negli ultimi anni lo ha assediato, ne ha sentito la voce, imparato a memoria gli orari. Contato le sigarette e i sospiri. Educati, bassi, innocui.

Buongiorno e buonasera.

Non basta più, è tempo di liberarlo da alcuni fantasmi, ora che anche lei non può più riappropriarsi della vita di prima. Il nome Rosa sfugge via e nessuno più la chiama così. Non Aldo, non Isabel. Nessuno le telefona per prendere un appuntamento.

Si era gettata persino su internet. Lo sentiva nominare, tutti ne parlavano. Lì ora c’era il porno. Lì si stavano spostando le relazioni tra le persone, compreso il sesso. Non le pareva possibile ma aveva fatto un tentativo, curiosa com’era e soprattutto ancora tenace nello scoprire i propri limiti.

Era stato umiliante. Si era posizionata su un sito di incontri. Le erano arrivati centinaia di messaggi che a fatica era riuscita a comprendere. Non era il suo vocabolario, lei che a malapena parlava l’italiano. Aveva desistito. Una sconfitta integra.

Per la strada qualche uomo le restituisce brandelli di quell’intensità cui è stata abituata per tutta la vita. Ma sono fuochi fatui. Tentativi da una parte e dall’altra di ricordarsi come si faceva. La seduzione, anche. Se si scollaccia un po’, qualche porzione di pelle ancora in grazia ce l’ha, da mettere in vetrina. Ma è un gioco di cui conosce le regole, sa di esserne fuori. L’hanno adorata. Adesso dovrebbe insistere lei per farsi mettere le mani addosso.

La chirurgia dopo un po’ somiglia a una passata di bianco su una parete che si sgretola. Ha lasciato perdere, non serve più.

Il suo boy è andato via, come un ritornello estivo. Le ha tolto dei soldi, parecchi. Ma che importa. Funziona così. È sempre stato quello il gioco. Vendere e comprare.

Il commercialista Giovanni Maria Carovio le ha chiesto di sposarlo.

« Non amo altri che te. Non mi serve tu faccia altrettanto. Basterà il mio, di amore.»

Lei gli ha riso in faccia e lui ha abbassato la testa, avvilito. Il suo amore era riposto male, come una bella casa poggiata sul terreno sbagliato.

Le è rimasto fedele per tutti questi anni, non le ha rubato nulla anche quando ne avrebbe avuto la possibilità. Certo, con il suo lavoro Rosa ha fatto guadagnare bene anche lui. Gli ha permesso tutti quei giochini di speculazione che gli piacevano tanto. Hanno ancora in mano un impero.

Impolverato, perché nessuno lo carezza e mostra, come un Mondrian tenuto in magazzino.

Alcune delle case che Rosa ha voluto comprare sono vuote, sono state i capricci di una donna che non se ne è mai concessi. Del capriccio hanno avuto soltanto la veloce riuscita.

Sempre e soltanto per lei. Un’eterna masturbazione, che della masturbazione aveva soprattutto la caratteristica della pervicace individualità, e poco dell’appagamento.

Come quando si è voluta comprare il parrucchiere dove andava di solito. Stava fallendo. Lo ha rilevato, i conti continuano a non tornare. Ma adesso è suo, e fino a che c’è lei non dovrà cercarne un altro. Le due ragazze che lo gestiscono in questo momento la trattano come una regina, la salvatrice. Non sanno che l’ha fatto solo per lei stessa. Una pigrizia che si può permettere. Si prende volentieri i loro baci e le loro feste. Ma appartengono alla sfera della menzogna.

Come quella che persegue suo figlio. La sua vita vuota come le case di Rosa. La sua missione diligente di posare i fiori su due tombe, senza rabbia e rancore. Il pianto è finito, e sono tombe che somigliano a quelle dei caduti. Restano piene soltanto di memoria, e il figlio non ne ha abbastanza per reggere un motivo.

Da qualche mese frequenta una donna, si vedono due volte a settimana. Lei si è fermata a dormire da lui, qualche giorno prima. Non era mai successo. Gli ha preparato anche il caffè. I movimenti sul pavimento stavano cambiando. C’erano piedi e anche le zampe del cane. Lei è più giovane di lui. Rosa l’ha intravista dallo spioncino, le prime volte. Poi ha fatto in modo di incontrarla.

Buongiorno e buonasera.

Lo sai chi sono io?

Dovrà dirlo anche a lei. O meglio, il figlio dovrà spiegare anche a questa donna che la vicina di casa è sua madre. Dove sei stata per tutti questi anni. Sempre qui, vicino a te. A Torino. Non me ne sono mai andata.

Ti ho tenuto come un filo sottile, una trama debole da perseguire. E tu con i tuoi fantasmi hai fatto lo stesso. Adesso siamo qui, ho fatto in modo di averti vicino.

Non potevi farti vedere prima? No, prima ero Rosa. Ora sono tornata Piera.

Cosa vuol dire? Chi era Rosa?

Si è preparata per mesi le parole. Si è trovata di fronte allo specchio a recitare, scoprendosi impacciata. Lei che per anni ha retto invece il palcoscenico più intimo e spudorato. Lei chiacchierona, birichina, ridanciana.

Davanti allo specchio il copione svaniva, perché le parole grevi e potenti sono quelle più difficili da ripetere. Aveva ragione Isabel. Fuori dal mio regno, sono una donna come tutte le altre.

Ma cosa stai dicendo. Non puoi essere una donna come tutte le altre. Non lo sei stata appena nata e non lo sarai mai più. Nessuno si inventa la propria biografia, non sono un paio di tette che rimetti a nuovo.

Io sono tutti gli uomini che sono passati tra le mie gambe, i soldi che mi hanno consegnato. Sono i loro cazzi e umori, il sudore, i capelli che cadevano e le mutande tolte. Sono i loro sogni proibiti e le voglie sfogate, la follia del segreto e l’abitudine dell’amore.

Rabdomanti, io la pietra più preziosa.

Ma come si fa a spiegare questo a una persona? Non basterebbe un’altra vita, per spiegare quella precedente. Insomma figlio mio, ti sei accontentato per tanti anni, non vorrai fare il minuzioso con tua madre.

Perché io sono tua madre, l’unica. Dimentica i fantasmi, io sono qui. Sono sempre stata qui. Le altre sono state comparse, false come il boia. Eccomi qui.

Cosa vuoi dire a tuo figlio? E che cosa ti aspetti da lui?

Che forse è quello che ogni genitore si chiede per tutta la vita.

Ciò rende Rosa una madre come le altre, ansie e tentennamenti compresi.

Ma non lo sa.

Gli dirai che sei stata una puttana.

Certo sarà tramortito, ma contento di conoscere la sua vera madre. Perché non dovrebbe esserlo? Tutti vogliono una mamma. Anche a quarantasette anni.

Sono stata una puttana, figlio mio. Cosa dici? Mi sono rifatta, è vero. Ti sembrerò un mostro, una caricatura.

Ma non è stato facile, questo devi saperlo.

Non è un mestiere come un altro. Ci sono stati dei giorni in cui sono andata a letto con venti uomini. Sono tanti, sai. Mi hanno fatto di tutto. Molti mi hanno trattata male, solo perché mi pagavano. Ma gli uomini trattano male anche quelle che non pagano, e spesso trattano male anche quelle che li amano. Povere loro.

Lo so, conosci anche tu la tristezza. Ma il tuo mondo è piccolo, te lo hanno costruito male. Di chi è la colpa? Non è mia, non dire così.

Ma ho lavorato tanto, non ci sono mica le ferie a fare il mestiere. Anche se il commercialista mi ha sempre detto che stavo esagerando. Bravo lui, adesso ho scoperto che in questi anni mi ha sempre amato. Mi ha detto proprio così. Ti ho tenuto i conti e fatto guadagnare come non avrei fatto con nessun’altra. È stata la sua maniera di amarmi. Si sarebbe potuto svegliare prima. Chissà, ci avrei potuto ragionare sopra. Certe decisioni sono difficili da prendere da un giorno all’altro. Pensa a quanto ci ho messo io per venire da te. Quindi lo capisco, capisco tutto.

Mi ha fatto tenerezza. Si sarebbe meritato un giro su Rosa, ma non adesso. Se lo sarebbe meritato tanti anni fa, quando qui sopra ci si saliva e non veniva voglia di scendere più. Ero brava, cosa credi? Da me sono venuti a festeggiare anche una quaterna al lotto, e un dodici al Totocalcio. Altri tempi.

Ma cosa sto dicendo, cosa vuoi che interessi a un figlio di sapere certe cose. Una madre non parla di queste cose con un figlio. Che vergogna. È che non sono abituata, devo imparare a fare la madre. Sto imparando una lingua nuova. Non è troppo tardi, vero? Non mi dire così. Ti conosco, sei diffidente, ma non è colpa tua. Prima ti hanno detto che tua madre era una, poi un’altra, e dopo son tutte morte. Ma ci sono io, adesso.

Partecipa al mio trionfo.

Non ho avuto una vita semplice. Non sono mai stata contenta, ora che ci penso. Chi me lo ha fatto fare, dirai. Non avevo alternative. Ce le avevo, forse. Ma non mi andavano. A me il lavoro che ho fatto mi è piaciuto farlo. Sono storta abbastanza per dire questo. Ho potuto scegliere. Mica una sceglie di fare la puttana così, a cuor leggero. Non è sempre una faccenda divertente. Anzi, quasi mai.

Mi ricordo una volta che stavo aspettando un cliente, uno importante, e ho visto sul muro, appena sopra i cuscini del letto, uno scarafaggio. Era fermo. Mi faceva schifo. Dovevo schiacciarlo? Sarebbe rimasto il segno, lo avrebbe visto chi arrivava. E stava arrivando, era quasi sulla soglia. Sai cosa ho fatto, figlio mio? Mi sono mangiata lo scarafaggio. Mi ha fatto schifo, tanto, più di tutto quello che ho ingoiato in vita mia. Ma l’ho fatto. Pensavo a te mentre lo facevo? Avevo una missione? Ma no. Non è mai stata quella la spinta.

La verità è che non ce l’ho mai avuta una spinta. Ora lo so. Ho fatto tutto questo perché ero su una macchina che correva. E io correvo con lei. Ho deciso tutto e non ho deciso niente. Non ho avuto nemmeno il tempo per sapere cosa facevo.

Dovevo farlo. L’ho fatto.

Chi decide che cosa si diventa?

Eppure mi è piaciuto. Forse ho saputo fare solo questo. Mi hanno insegnato a farlo da piccola, e ho continuato. Sono stata pigra, come diceva Isabel. Lei aveva ragione in tante cose. Mi spaventava. Chissà dove è andata a finire. Perché lei non è morta, non c’è una tomba con sopra il suo nome. Io non ci credo a quelle cose che diceva lei. Quando moriamo è finita. Pasto per i vermi, non certo energia. O forse non ho voglia di pensare ad altro.

Ho paura.

Sono pigra anche per questo.

Il mio commercialista mi ha detto che posso godermi una vecchiaia da ricca. Posso fare quello che voglio. Lui vorrebbe starmi vicino. Ma come posso diventare una moglie adesso, dopo che son stata dall’altra parte tutta la vita. Anche quello è un mestiere fatto per chi ci è portato.

Sono sola.

No, ho te. È vero?

Che discorso maldestro.

Ho fatto la puttana per più di cinquant’anni. Non ho mai smesso. Non mi sono mai ammalata sul serio, non ho fatto vacanze. Ho rinnovato il mio omaggio alla vita e i soldi li ho messi da parte. Sai cosa vuol dire essere guardata in lungo e in largo, tutti i giorni? Significa che ti comprano. La libertà è una bellissima parola e spesso ci si riempie la bocca. Io stessa l’ho ripetuta urlando, perché me la sono costruita io da sola, la mia libertà. E quando mi rendevo conto che non era vero, che quella libertà era un’invenzione, ho accettato l’invenzione e la falsità. Se avessi aperto gli occhi non avrei più riconosciuto il mio mondo. Tu sai bene di cosa sto parlando.

Non ho mai avuto sogni da inseguire, da far avverare.

È vita, questa? Tu almeno non diventare un mio incubo. Ho attraversato tanto tempo per arrivare qui.

Il futuro è una persona in più da amare.

Ho diritto io pure a una briciola di futuro.

Ma da dove si comincia, come si fa?

Adesso basta blaterare, Rosa. Il tuo rimorso non odora di niente.

Devi sapere che ho aperto un conto corrente tutto per te. Sono ricca io, puoi essere ricco anche tu.

Ecco, questa è una frase che potrà dirgli.

È il tuo terreno, Rosa.

Certamente davanti a quella notizia non potrà rimanere indifferente. L’hanno pagata una vita intera per fingere godimento, per dire come sei bello e come sei bravo.

Lei conosce la forza dei soldi, come possono abituare al riso, o al pianto.

Lui è suo figlio. E poiché è suo figlio apprezzerà e dirà grazie, signora.

No.

Rosa.

No.

Piera.

No.

Mamma.

Ecco, così.