Capitolo Sesto

Il crepacuore del re

Dopo essersi assicurato che tutti i preparativi per la cerimonia di insediamento fossero avviati, Dasarath si avviò verso le stanze di Kaikeyi per il suo incontro serale. Il re entrò nello splendido appartamento di Kaikeyi come la luna entra nel cielo nella notte mostrando i suoi raggi splendenti. Il palazzo era affollato di pavoni, pappagalli ed altri uccelli colorati, e i loro canti arricchivano il suono di molti strumenti musicali. Le pareti delle sale erano decorate con drappeggi di sete e bellissimi dipinti e i pavimenti erano coperti di preziosi tappeti. Vi erano ovunque alti seggi d’avorio intarsiato d’oro e divani coperti di soffici cuscini, con cibi e bevande in piatti d’oro e bicchieri di cristallo fra un via vai di eleganti damigelle.

Dasarath attraversò questo paradisiaco palazzo, e le guardie e la servitù si inchinarono. Giunto alle stanze personali di Kaikeyi il re non la trovò sdraiata sul letto come al solito, e ne fu sorpreso, la chiamò e quando non vi fu risposta si sgomentò. Cos’era successo? Cercò in giro, trovò la guardiana della porta e le chiese dove fosse sua moglie. Con aria desolata questa gli disse che Kaikeyi, arrabbiata, era entrata nella stanza del pianto.

Al che il re, ancora più turbato, si precipitò da sua moglie, e la trovò stesa sul pavimento scarmigliata e in uno stato pietoso. La guardò, triste di vederla come un tralcio di rosa rampicante strappata alla pianta, come un’Apsara caduta dal cielo o una cerbiatta presa alla tagliola, perché l’amava più della sua vita. La guardò come un elefante guarda la sua compagna che giace ferita da una freccia avvelenata. Le accarezzò teneramente il viso e le parlò dolcemente.

“Non sarai arrabbiata con me, sai che io ti voglio sempre felice. Dimmi gentile signora, chi ti ha insultato o rimproverato? Chi devo punire adesso con le mie mani? O magari vuoi che sia perdonato qualcuno che dovrebbe essere punito? Chi ti ha offeso o chi vuoi proteggere?”

Kaikeyi non disse nulla e non guardò nemmeno il re, che sempre più disperato cercava di placarla. “Se stai male, chiamo il dottore reale, che ti farà passare in fretta ogni dolore. Parla e dimmi cosa non va, e lasciami sistemare ogni cosa, non posso sopportare che tu stia male. La Terra con tutte le sue ricchezze mi appartiene, cosa ti posso regalare? A cosa ti serve torturati in questo modo, mia amata regina? Ti prego, dimmi che cosa ti addolora”.

Kaikeyi si sentiva incoraggiata da questo atteggiamento del marito, che sembrava pronto a fare qualunque cosa per lei, e si preparò ad avanzare la sua terribile proposta, e parlò in tono sofferente: “Non sono stata insultata od offesa, e tuttavia c’è qualcosa che vorrei tu facessi. Fammi il voto solenne di esaudire i miei desideri, e ti dirò ciò che voglio”.

Dasarath le prese la testa in grembo lisciandole i capelli, e sorridendo le disse: “A parte mio figlio Rama, non c’è nessuno al mondo che io ami di più di te. Giuro sull’invincibile Rama che farò ciò che tu mi chiedi. Giuro su Rama, che se lo perdessi ne morirei, giuro su di lui per cui sarei disposto a dare in cambio me stesso, i miei altri figli e la Terra intera. Dimmi ora cosa desideri, mia buona signora”.

Kaikeyi vide che con questo triplice giuramento suo marito si era legato completamente, e si rallegrò sentendo di avere praticamente raggiunto il suo scopo. Allora gli disse ciò che sarebbe stato difficile dire anche a un nemico, ciò che era come la morte arrivata alla porta di Dasarath: “Che tutti i Deva con a capo Indra possano essere testimoni alla tua promessa, e che il sole, il fuoco, il giorno e la notte e i quattro angoli dell’universo con i loro Deva, l’universo stesso con il Signore immanente nel cuore di tutti gli uomini possano prendere atto del tuo grande voto. Il grande e glorioso imperatore, che ha sempre onorato la sua parola e sa cosa è giusto, mi ha fatto la sua promessa”.

Kaikeyi guardò intensamente il marito attonito e disse: “Rammenti o re, quel tempo in cui combattesti con i Deva contro i demoni e io ti salvai la vita, e tu mi offristi due doni? Ho atteso fino ad ora, ed ora te li chiedo. Esaudiscili, o mi toglierò la vita oggi stesso”.

Il re, preso dalla sua passione e legato dalla sua promessa, come un cervo che si spinge nella trappola, si accinse a concedere i suoi doni.

“Per il mio primo desiderio voglio che Bharata sia insediato al posto di Rama come principe reggente. E per il secondo voglio che Rama venga esiliato nella foresta e vi rimanga per quattordici anni. Tieni fede alla tua promessa o re dei re, e copri di gloria te stesso e la tua razza”.

Completamente incredulo Dasarath rimase con lo sguardo fisso su sua moglie, preso da un’ansia devastante. Non era possibile che questo stesse accadendo, era forse un sogno? O qualche allucinazione di una vita passata? Forse aveva solo perso la ragione, come era possibile che Kaikeyi gli facesse una simile richiesta? Lei aveva sempre amato Rama.

E mentre rimuginava sulle sue parole, Dasarath, sopraffatto dal dolore, perse i sensi. Quando si riprese vide sua moglie, con l’espressione severa, e si ricordò la sua terribile richiesta. Si sedette sul pavimento, nel panico, come un cervo davanti a un leone, sospirò come un serpente velenoso catturato dal fascino mistico di un incantatore e gridò: “Che disgrazia!”, e perse nuovamente i sensi.

Quando il re si riprese sentì la rabbia crescere, non si aspettava niente del genere da Kaikeyi, svelandogli una parte della sua natura che non aveva mai visto. Quasi a incenerirla con la sua furia, tuonò: “ O crudele e malvagia donna, sembra tu voglia distruggere la mia razza! Che male ti abbiamo fatto, Rama ed io? Perché ci vuoi rovinare? Ho nutrito una serpe in seno! Come posso abbandonare Rama quando praticamente tutta l’umanità ne esalta le virtù? Potrei perdere le mie mogli, il mio regno e la mia stessa vita, ma non posso separarmi da Rama”. Dasarath si interruppe, troppo sconvolto per proseguire, era sempre stato buono con Kaikeyi, come poteva lei ferirlo in questo modo? Certamente si rendeva conto che questa richiesta l’avrebbe ucciso. E così le parlò appassionatamente con le lacrime agli occhi: “Il mondo potrà anche esistere senza il sole, i raccolti crescere senza l’acqua, ma la vita non può restare nel mio corpo se io non posso vedere Rama. Quindi, bella signora, rinuncia al tuo desiderio scellerato. Sono ai tuoi piedi, ti prego di graziarmi”.

Dasarath guardò sua moglie in viso, tenendole in mano i piedi, ma Kaikeyi, con lo sguardo imperturbabile rimase seduta senza dire una parola. Il re disse in tono lamentoso: “Se pensi che io abbia fatto dei torti a tuo figlio Bharata, lo insedierò, ma che bisogno c’è di allontanare il dolce Rama dagli occhi di loto? Non posso credere che tu lo odi, mi hai parlato così spesso del tuo amore per il mio adorato figlio. Sono sicuro che sei posseduta da uno spirito malvagio”.

Dasarath non poteva vedere altre ragioni per il comportamento di sua moglie, che non era mai stata dura con lui. Si ricordò dei presagi degli astrologi, e pensò che Kaikeyi fosse sotto l’influenza di qualche forza maligna. E parlò con più gentilezza: “Ho visto io stesso come Rama ti serva di più del tuo stesso figlio, non me lo dicevi sempre? Come fai a volere l’esilio di Rama per ben quattordici anni in quell’orribile foresta? Lascia che lui resti, e che Bharata sia re. Che obiezioni puoi avere?”

Kaikeyi non tentennò, e avendo perso la sua fiducia in Dasarath, ribolliva di rabbia. Lui stava solo provando a convincerla con parole vuote, ma non si sarebbe più fatta ingannare. Si ricordò degli avvertimenti di Manthara, ed il re con la sua adorata Kaushalya questa volta non l’avrebbero ingannata. Voleva che i suoi desideri fossero esauditi, qualunque cosa il re dicesse, e rimase seduta in silenzio.

Dasarath non riusciva a pensare con chiarezza, era lacerato fra il suo amore per Rama e la promessa che aveva fatto a sua moglie. Si rese conto che non avrebbe potuto mai ordinare a suo figlio di andare nella foresta, e tuttavia temeva di portare infamia e disgrazia al suo casato reale. Nessun re del suo lignaggio aveva mai mancato alla parola data.

Dasarath implorò sua moglie: “Cosa puoi guadagnare dall’esilio di Rama? Lui ti sarà sempre devoto, e attento al tuo benessere. Non ho mai avuto lamentele dai suoi sottoposti, e tanto meno dagli anziani. Rama è veritiero, caritatevole, ascetico, controllato, gentile, mai doppio, colto e rispettoso degli anziani, come puoi volergli del male?”

Dasarath si rese conto che Kaikeyi non si era ammorbidita, era ovvio che i suoi sentimenti per Rama non erano più gli stessi. Allora il re cambiò approccio, parlando del suo amore per lei: “O Kaikeyi, dovresti avere pietà di me. Sono un uomo vecchio e consunto, e mi sto avvicinando rapidamente alla fine dei miei giorni. Le tue parole mi hanno dato un dolore insopportabile. Cosa vuoi mai avere? Ti posso dare tutto ciò che desideri al mondo, dimmelo soltanto e sarai esaudita. A mani giunte sono ai tuoi piedi. Non bandire Rama, accetta la mia supplica e salvami la vita”.

Kaikeyi lo guardò freddamente, mentre lui si rivoltava in terra in preda ad un’angoscia travolgente ma non ebbe pietà. Il suo cuore era indurito da Manthara, e la sua mente confusa dai Deva. Rimase ferma nella sua malvagia determinazione. Lo guardò con disprezzo e gli disse con furia: “Prometti doni e poi non li rispetti, come puoi mostrare la tua pietà al mondo, o nobile re? Quando nell’assemblea dei saggi ti chiederanno conto delle tue promesse, cosa risponderai? Ammetterai di non essere stato fedele e sincero con la tua amata moglie, a cui devi la vita? E dopo le tue promesse che hai reso sacre con tre giuramenti, tradirai la tua parola?”

Kaikeyi, in piedi, con il volto rosso di rabbia, si sentiva tradita dal marito, che stava cercando di tirarsi indietro. Questo la faceva sentire ancora più certa dei suoi dubbi sulla sua sincerità, lui non aveva intenzione di darle ciò che voleva. La sua voce si fece fredda: “Che onore verrà al tuo casato da questo tuo comportamento, o re dei re? Non ricordi le molte occasioni in cui i tuoi antenati erano pronti a sacrificare tutto, anche la propria vita per proteggere l’onore della tua razza? O stolto! Sembra che tu voglia insediare Rama al trono come tuo successore e goderti la vita in eterno con Kaushalya”.

E continuò gridando: “Che la tua promessa fosse giusta, che tu fossi sincero o no, non puoi tirarti indietro. Se Rama sarà insediato prenderò del veleno e morirò davanti ai tuoi occhi! Meglio la morte che vedere Kaushalya madre del re. Giuro su Bharata e su me stessa che non sarò placata senza l’esilio di Rama”.

Il re tremò, e distrutto dal dolore guardò in volto la sua bellissima moglie. Le sue parole lo colpivano con la forza del fulmine, e cadde a terra come un albero abbattuto, invocando il nome di Rama. Come un folle rimase a lungo steso sul pavimento, poi riprendendosi lentamente si alzò e disse con voce strozzata: “Non posso credere che tutto questo venga da te. Chi ti ha corrotto la mente? Hai detto senza vergogna parole che non dovrebbero mai esser dette, come se fossi posseduta da un demonio. Chi ti ha ispirato questa grande paura priva di fondamento? Perché improvvisamente vedi Rama come un nemico? Cosa ti aspetti dall’avere Bharata come mio successore al posto di Rama? Bharata, le cui virtù sono paragonabili a quelle di Rama, non vorrà rimanere ad Ayodhya senza Rama, e tantomeno accetterà il trono”. Dasarath aveva notato che Bharata era molto devoto a Rama e non pensava che avrebbe accettato il regno al posto di suo fratello. Come faceva Kaikeyi a pensare che fosse possibile? Che ci fosse la mano dei Deva? Ma che ragione potevano avere di negare a Rama il governo del mondo? E anche se Bharata fosse divenuto re, che bisogno c’era che Rama venisse esiliato per quattordici anni? Era impensabile, e Dasarath disse: “Come farò a guardare il volto di Rama, come la luna in eclisse, dopo avergli detto di andare nella foresta? E i re che si sono riuniti da ogni parte del mondo diranno: ‘Come ha governato il mondo quest’uomo insensato?’, e quando i saggi mi chiederanno di Rama come farò a dir loro che l’ho mandato nella foresta costretto da Kaikeyi? E se dico che lo faccio per mantenere fede alla mia parola, cosa dire della mia dichiarazione d’insediamento di Rama?”

Dasarath ricadde sul divano, con le braccia rivolte a Kaikeyi, che era di nuovo caduta a terra nell’ascoltare le argomentazioni del re, che continuò: “Che risposta posso mai dare a Kaushalya quando mi chiederà ragione di questa decisione? Ho sempre trascurato quella divina signora per te, e di questo ho un grande rimorso”.

Al sentir parlare di Kaushalya, Kaikeyi si infuriò ancora di più. Che menzogna sfacciata! Come poteva credere di essere preferita a Kaushalya? Il re straparlava nella sua disperazione.

E il re continuò, malgrado le sue parole non scalfissero la regina: “Io morirò presto, con Rama esiliato e Sita in lacrime, e tu potrai occuparti degli affari di stato con tuo figlio Bharata come regnante incontrastato. Ti avevo sempre ritenuto una moglie casta e devota. Che errore! Sono stato ingannato dalla tua frivola seduzione, e ti ho tenuto vicino per lungo tempo. E adesso tu mi uccidi come un cacciatore uccide un cervo dopo averlo attirato con una musica melodiosa”.

Dasarath visto che Kaikeyi era inamovibile, fu ancora più angosciato e tra la rabbia e la confusione si mise a biasimare se stesso. Il mondo lo avrebbe condannato per aver sacrificato il figlio virtuoso per una donna immorale. Questi avvenimenti potevano soltanto essere la conseguenza di qualche azione malvagia in una vita passata. Piangendo, con la testa fra le mani, continuò: “Mi lamento soprattutto per coloro che soffriranno per colpa mia, e tutti gli uomini onesti mi disprezzeranno per aver privato Rama dell’affetto paterno dicendo: ‘Ah, questo re vecchio e insensato, accecato dalla passione per la sua regina favorita, ha perfino scacciato il suo figlio prediletto”.

Il re non riusciva a contenere il suo dolore, e si lamentò a gran voce per lungo tempo, accusando Kaikeyi, cercando di suscitare la sua compassione per le altre regine, per Sita e per i cittadini di Ayodhya. Ma Kaikeyi fu inamovibile. Il re cominciò a rendersi conto che l’allontanamento di Rama era inevitabile, e disse: “Il momento in cui chiederò a Rama di partire, lui se ne andrà subito, obbedendo alle mie parole, e io rimarrò, disperato colla mia vita che si spegne. E quando raggiungerò il cielo sarò condannato anche dai Deva per il mio comportamento scellerato. Anche tu avrai una pessima fama, nessuno mai ti potrà perdonare per aver mandato il virtuoso ed amato Rama in esilio”.

Pensando all’esilio di Rama, Dasarath si agitò. Il principe era abituato a muoversi su belle carrozze ed elefanti, e ora doveva vagare a piedi per la foresta? Ogni giorno molti cuochi reali facevano a gara per preparargli il cibo, come sarebbe sopravvissuto nutrendosi di frutti selvatici e di radici? Come avrebbe potuto vestirsi dei ruvidi abiti degli asceti?

Il re proseguì. “O perfida donna, é strano che con queste parole crudeli i denti non ti si spezzino e ti caschino dalla bocca. Quando Rama andrà nella foresta, io certamente morirò condannato da tutti, e probabilmente moriranno di dolore anche Kaushalya e Sumitra. Quali altre indescrivibili pene infliggerai alla gente che amo, quando sarai rimasta sola con tuo figlio a governare questo mondo?”

Dasarath non aveva nessuna intenzione di chiedere a Rama di partire, ma sapeva che suo figlio, una volta venuto a sapere della situazione di suo padre sarebbe partito immediatamente. Il re tentò un’ultima supplica: “Anche se tu ti avveleni, ti getti nel fuoco o ti impicchi, io non scaccerò Rama. Tu hai disonorato la tua famiglia e vuoi distruggere la mia. Non cederò mai alla tua richiesta. Desisti, o regina malvagia, sono ai tuoi piedi e ti supplico, io che ti ho sempre aiutato e protetto”.

Kaikeyi, che non amava più suo marito, era sorda alle sue suppliche. Si rese conto che ancora non aveva ottenuto ciò che voleva. Con disdegno disse: “Dov’è il tuo onore, o re? Parli della tua onestà ma sono parole vuote! Vuoi togliermi i due doni che mi avevi promesso, e che hai appena confermato con un giuramento? Fai onore alla tua parola, e preserva la tua fama!”. Dasarath era privo di sensi e non poteva rispondere. Quando rinvenne vide dall’espressione fredda della regina che nulla era cambiato. Guardando il cielo pregò Nidra, la dea della notte, di non andarsene mai. Come avrebbe potuto affrontare l’alba, con la partenza di Rama? Piangendo, ripeteva continuamente il nome di Rama.

Kaikeyi, impassibile, disse: “Ti ho solo chiesto di adempiere alle tue promesse, perché ti lamenti tanto? I tuoi antenati ti hanno mostrato la strada della virtù. Procedi su quella strada, ed esilia Rama”. Da donna colta qual’era, si appellò ai codici della morale: “Coloro che sanno distinguere il giusto ritengono che la veridicità sia la virtù più alta, e io ti chiedo soltanto di agire con integrità, e di fare il tuo dovere. Il mondo è fondato sulla verità, gli eterni Veda rappresentano la verità, la virtù stessa si fonda sulla verità. Pensa solo alla verità, o re, e manda Rama nella foresta”.

E Kaikeyi si alzò in piedi e con gli occhi lampeggianti fece la sua richiesta finale al re: “Tre volte me l’hai promesso, e tre volte te lo chiedo. Esaudisci il desiderio di vedere mio figlio insediato al trono, e manda Rama nella foresta. Solo questo mi può soddisfare, solo con questo non mi dovrò togliere la vita, vedendoti tradire il tuo onore”.

Dasarath non poteva sfuggire al suo voto, e con le sue ultime forze riuscì a controllarsi, col cuore bruciante d’angoscia, mentre guardava Kaikeyi fra le lacrime. Come poteva considerarla ancora come moglie? Il suo nome non poteva più essere associato al suo, nessuno avrebbe più dovuto chiamarla la regina di Dasarath. Si meritava il ripudio.

Il re parlò duramente: “O donna perversa, qui ed ora ripudio la tua mano che ho accettato davanti al fuoco sacro, pronunciando i Mantra sacri. La notte sta ormai svanendo e presto il popolo gioioso mi chiederà di insediare Rama. Comunque, dato che oggi certamente esalerò l’ultimo respiro a causa della tua richiesta, desidero che Rama offici gli ultimi riti per la mia dipartita. O donna malefica, tu non farai offerte per la mia morte perché ora io ti ripudio”.

Kaikeyi fumava di rabbia, che peso potevano avere quelle parole vuote? Suo marito l’aveva già di fatto ripudiata favorendo Kaushalya, e quindi gli disse con parole taglienti: “Perché dici queste parole che feriscono ed addolorano? Ti sto solo chiedendo di darmi ciò che mi avevi promesso. Chiama ora tuo figlio Rama, e smetti di angosciarti. Fa il tuo dovere secondo virtù!”

Dasarath, come un purosangue colpito dalla frusta, si controllò e rispose cortesemente: “Sono impotente di fronte ai vincoli delle leggi della morale. Ho perso la capacità di giudizio, e in questa tragica ora cercherò rifugio in Rama. Fallo chiamare”.

Il re perse i sensi, esausto per il dolore e per gli inutili sforzi di cambiare la decisione di sua moglie.