Al mattino molti cantori si riunirono al palazzo per svegliare il re, e cantarono le lodi dell’imperatore e narrarono le gloriose imprese dei suoi antenati. I bramini cantavano i testi sacri, e i musici suonavano i loro strumenti e con il canto degli uccelli si creava una armonia squisita.
I servi del palazzo prepararono il necessario per le abluzioni del mattino, riempiendo bacili d’oro d’acqua profumata e portando saponi ed unguenti. E vennero portate dal re giovani vergini, latte di mucca ed altri oggetti d’oro e d’argento, in modo che le potesse vedere appena sveglio, così da dare un inizio di buon auspicio alla giornata, seguendo le tradizioni vediche.
Tutto era pronto prima del levarsi del sole, e le dame entrarono nella stanza del re per svegliarlo, ma come si avvicinarono al letto lo videro immobile e senza vita. Kaushalya e Sumitra giacevano addormentate lì vicino, stremate dal dolore, coi visi rigati di lacrime come fiori di loto appassiti dal sole. Le dame si ritrassero e si agitarono come le canne di un fiume. Toccarono il corpo del re, e sentendo che era freddo e senza vita si resero conto che era morto dal dolore. Si misero a piangere come un branco di elefantesse che hanno perso il loro maschio nella foresta.
Kaushalya e Sumitra si svegliarono per i lamenti, e guardando e toccando il re gridarono: “O mio signore!”, e caddero a terra. Kaikeyi entrò correndo e anche lei, colpita dal dolore, cadde a terra svenuta. Le tre regine sembravano tre Devi cadute dal cielo, che avevano perso il loro splendore. La stanza si riempì di gente, e tutti erano allarmati e confusi. I lamenti riempivano l’aria, e le trecento servitrici del re lo circondavano piangendo.
Kaushalya guardò il volto di suo marito che sembrava come il sole senza la sua luce. Si inginocchiò al suo fianco e rimproverò Kaikeyi: “O donna crudele, sei soddisfatta ora? Ora che hai ucciso il re ti puoi godere il regno senza paura. Rama mi ha lasciato, e ora mio marito è salito al cielo, io non posso più vivere. Solo Kaikeyi, che ha gettato al vento ogni legge morale, può essere felice dopo aver visto suo marito morire di dolore. O donna crudele, tu hai distrutto la nostra razza”.
Kaushalya abbracciò il marito senza vita, e pensò a come Rama, Sita e Lakshmana avrebbero fatto a sapere della morte di loro padre, e a cosa avrebbero fatto. Anche ora la povera Sita era probabilmente aggrappata a Rama, nel terrore della vita nella foresta, e a queste terribili notizie sarebbe morta.
Kaushalya non poteva reggere altro dolore e nelle lacrime gridò: “Mi hai ucciso uccidendo il re: io entrerò nel fuoco, unita al corpo del mio signore”.
A fatica i ministri staccarono Kaushalya da Dasarath, e gentilmente la fecero uscire dalla stanza per compiere i riti per la morte di un re. In assenza dei suoi figli non si poteva fare il funerale, e per conservare il corpo fino al ritorno di Bharata, lo immersero in una vasca di olio profumato.
La città di Ayodhya, già colpita dal dolore, divenne ancora più desolata. La gente si lamentava e piangeva, e tutto era fermo, nessuno era andato a lavorare. Era come una notte buia, senza la luna e le stelle. I cittadini, accusando Kaikeyi con voci strozzate, passarono tutta la giornata in pena, senza riposo.
Il giorno seguente i consiglieri bramini si riunirono, e guardando Vasishtha che aveva preso temporaneamente le funzioni del re, fecero molti discorsi che indicavano la necessità urgente di incoronare un principe. I saggi dicevano che, senza un re, il regno sarebbe presto andato in rovina, persino la pioggia non sarebbe venuta nella sua stagione e i raccolti sarebbero mancati, i figli avrebbero disobbedito ai genitori, e senza un protettore, la proprietà privata sarebbe stata minacciata, e la gente non avrebbe più potuto dormire in pace. Tutto sarebbe precipitato nel caos, e l’anarchia avrebbe dilagato. Gli uomini si sarebbero divorati l’un l’altro come fanno i pesci, si sarebbe diffuso l’ateismo, e i senza dio sarebbero divenuti capi.
Uno dei capi bramini concluse: “Il re vigila sempre per proteggere il popolo, così come gli occhi proteggono il corpo. Il re è l’incarnazione della rettitudine e della virtù. È il padre e la madre e il massimo benefattore di tutti gli uomini. Nel corpo del re albergano tutti i principali Deva, ed egli è di fatto il rappresentante di Vishnu, il Signore Supremo. Pertanto, o Vasishtha, fai venire Bharata e incoronalo prima che questo regno precipiti nella confusione e nell’oscurità”.
Quando i bramini ebbero finito si sedettero per ascoltare il parere di Vasishtha. Egli si guardò intorno e disse: “Mandiamo subito dei messi celeri a Girivraja, la capitale di Kekaya. Dato che l’imperatore ha concesso il regno a Bharata, bisogna portarlo qui il prima possibile e incoronarlo. Non c’è altro da fare”.
Vasishtha voleva che Bharata tornasse a casa prima che le notizie della morte del re e dell’esilio di Rama lo raggiungessero. Gli si doveva dire nella sua famiglia. Vasishtha disse ai messi: “Ditegli che tutto va bene, ma che deve venire per affari urgenti. Prendete dei doni per il re di Kekaya, e partite immediatamente”.
I messi montarono sui migliori cavalli reali, che potevano percorrere centinaia di miglia in un giorno, e galopparono ad ovest in direzione di Girivraja. Fecero la via più breve, prendendo scorciatoie per campi e boschi. Attraversarono il fiume Malini che scorre tra le montagne di Aparatala e Pralamba, e poi il Gange là dove scorre attraverso la regione di Hastinapura. Passarono rapidamente per le province di Panchala e Kurujangala, e raggiunsero il fiume Saradanda alla fine del secondo giorno. Attraversato il fiume, giunsero nella città di Kulinga, senza quasi fermarsi. Passarono al galoppo la città e guadarono il fiume Ikshumati, poi i fiumi Beas e Salmali, raggiungendo finalmente il distretto di Kekaya alla fine del terzo giorno. Entrarono nella città di Girivraja coi cavalli sfiniti, ed andarono diritti al palazzo del re mentre sorgeva l’alba.
* * *
Bharata si era appena svegliato sentendosi turbato da un sogno pieno di cattivi presagi. Sedeva assorto e dei suoi amici si avvicinarono e gli chiesero perché fosse triste, e Bharata rispose: “Ho visto in sogno mio padre desolato, cadere dalla cima di una montagna in una pozza fetida, e sembrava che ridesse mentre nuotava in quell’acqua sporca. Poi ho visto l’oceano prosciugato, la luna precipitata sulla terra, e tutto il mondo attaccato dai demoni. Mio padre era vestito di nero, con una ghirlanda rosso cremisi, coperto di pasta di sandalo rosa, e salì su di un cocchio tirato da asini, dirigendosi a sud”.
Bharata conosceva la scienza dei sogni e dei presagi, e capì che questi indicavano la morte di suo padre, o forse la morte di uno dei suoi fratelli. E con un sospiro continuò: “Ho la gola secca e sono ansioso. Improvvisamente, senza ragione mi odio. Sento che una tragedia ci sovrasta”.
Mentre Bharata parlava un servitore entrò per annunciare l’arrivo dei messi di Ayodhya. Questi si avvicinarono a Bharata, si inchinarono e gli dissero: “Ci manda il saggio Vasishtha, che dice che tutto va bene, ma richiede la tua presenza ad Ayodhya per affari urgenti”.
I messi porsero poi al re e a suo figlio i doni per conto di Dasarath. Bharata li fece sedere e gli fece portare del buon cibo, e cercò di farsi dire la natura degli affari per cui Vasishtha lo aveva convocato, e pensando al suo sogno chiese notizie di suo padre e degli altri cari parenti.
I messi risposero educatamente alle sue domande evitando accuratamente ogni accenno alla morte del padre o all’esilio di Rama, e tuttavia Bharata sentiva che c’era qualcosa di terribile che non andava. Volle partire immediatamente, e andò dal re Aswapati a chiedergli licenza. Il re lo abbracciò e disse: “Mia figlia Kaikeyi è stata benedetta dalla tua nascita. Parti ora con la mia benedizione, ma torna appena hai finito i tuoi affari”.
Il re di Kekaya diede a Bharata molti regali da portare ad Ayodhya. Enormi elefanti, cavalli, abiti preziosi e tanto oro, e un distaccamento dell’esercito come scorta.
Bharata accettò questi regali con gratitudine, ma la sua mente era altrove, in ansia. Salutò parenti ed amici, e montò sul cocchio con suo fratello Shatrughna e partì seguito da centinaia di altri carri, e dalle migliaia di elefanti e cavalli ricevuti in dono dal re. Appariva come un Deva che esce dalla città celestiale di Indra.
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Il viaggio di Bharata e della sua compagnia per Ayodhya prese sette giorni. Il principe voleva affrettarsi, prendendo le scorciatoie che avevano preso i messi, ma era frenato dal suo seguito. Seguirono la strada principale, e passarono molti villaggi e città senza fermarsi. Bharata era preoccupato, cosa poteva essere andato storto, dato che c’erano Rama e Lakshmana? Era morto loro padre? O forse la città era assediata da qualche nemico? O forse il re voleva soltanto insediare Rama, ma perché i messaggeri non lo avevano detto?
Quando la compagnia raggiunse la regione di Koshala, Bharata incitò il cocchiere, e il suo carro andò avanti velocemente, lasciando indietro il seguito e l’esercito alla guida di Shatrughna. Raggiunse presto Ayodhya, e quando vide apparire a distanza la città, disse al cocchiere: “C’è qualcosa che non va in città. Non sento i soliti rumori delle attività, né i canti delle preghiere di bramini che compiono sacrifici. Anche gli animali tacciono, non c’è gente per le strade, e nessuno è venuto a salutarmi”.
Quando percorsero la strada principale Bharata divenne ancor più ansioso: dov’erano le coppiette che passeggiavano nei parchi lungo la via? Gli alberi che bordavano la strada, con le foglie che cadevano, sembrava che piangessero. E attraversando la città vide altri brutti segni. I corvi e gli avvoltoi stridevano, e il sole era coperto di nuvole scure, con un vento freddo che sollevava polvere e foglie morte.
Bharata arrivò alla porta occidentale, e le guardie, felici di vederlo, lo accolsero con urla di gioia. Il principe li salutò educatamente, e proseguì, stanco e preoccupato. Disse al cocchiere: “Perché mi hanno fatto venire? Chissà quale tragedia è successa, il mio cuore sprofonda e la mia mente è attanagliata dalla paura”.
Mentre il cocchio volava verso il palazzo di Dasarath, il principe si guardava intorno e vide segni che indicavano la morte del re. Le case erano sporche e prive di splendore, le porte erano spalancate, non c’era il fumo dei fuochi sacri né il solito profumo di aloe e di sandalo. Uomini e donne vagavano, coi vestiti sporchi, pallidi ed emaciati come se non avessero mangiato per giorni.
I negozi erano sbarrati, i mercati vuoti, e i templi sporchi, con le divinità senza fiori freschi - ovunque era desolazione. Il principe arrivò al palazzo di Dasarath colpito e addolorato dallo stato pietoso della città.
Si precipitò verso i quartieri di suo padre, e non trovandolo si allarmò. Tutti evitavano il suo sguardo, le dame del palazzo piangevano e un triste silenzio riempiva il palazzo. Bharata provò una stretta allo stomaco e la sensazione che le sue membra si sciogliessero. Non volendo chiedere di suo padre ai presenti, corse nelle stanze di sua madre. Vedendolo, Kaikeyi balzò in piedi dal suo seggio dorato, e Bharata si inchinò e le toccò i piedi. Lei lo abbracciò, era molto che non lo vedeva.
Kaikeyi se lo fece sedere in braccio e gli chiese: “Come è stato il tuo viaggio, figlio mio? Come stanno tuo nonno e tuo zio? Come è stato il tuo soggiorno nel loro regno? Devi essere stanco”.
Bharata rispose alle sue domande, e le chiese ansiosamente: “Come mai non vedo il re seduto accanto a te? Dov’è il mio pio padre? Come mai sono tutti silenziosi e sconsolati? Voglio toccare i piedi di mio padre. Dimmi o madre, si trova nelle stanze di Kaushalya?”.
Kaikeyi, accecata dalla cupidigia per il regno, raccontò gli avvenimenti descrivendoli come se fossero stati piacevoli. “Il tuo glorioso padre dall’animo nobile, protettore di tutti gli esseri umani, ha raggiunto lo stato dei Deva. Il regno adesso è tuo”.
Incredulo Bharata guardò sua madre, e cadde in ginocchio gridando, “Ahi, che sciagura!” e battendo il suolo con i pugni. La sua peggior paura era confermata, e con la mente in subbuglio si lamentò: “Questo seggio d’oro che era splendido quando vi era seduto il re, ora sembra scuro ed opaco come il cielo in una notte senza luna. Oh, dov’è il mio nobile padre?”.
Si coprì il bel volto e pianse di dolore. Vedendo il figlio sdraiato per terra in uno stato pietoso, Kaikeyi lo fece alzare e gli disse: “Alzati o re, perché stai lì come se ti avesse colpito una sciagura? Le anime virtuose come la tua non si fanno mai vincere dal dolore. Calma la tua mente pietosa e retta, la Terra ora attende la tua guida”.
Bharata continuò a piangere, incapace di parlare. Si ricordò l’amore e l’affetto che suo padre gli aveva dato, l’educazione agli affari di stato ricevuta da lui in persona, i giochi e i divertimenti vissuti in sua compagnia, e i suoi racconti delle storie dei loro gloriosi antenati. E ora non c’era più, com’era successo? E non capiva come non l’avessero chiamato prima. Si calmò e disse: “Supponevo che il re volesse insediare Rama come principe reggente, e sono venuto subito. Ora vedo che mi ero sbagliato, dato che non vedo né il re né Rama”.
Il principe era confuso, e chiese: “Di quale male è morto mio padre? Fortunati Rama e Lakshmana che hanno potuto celebrare i riti funebri per il grande monarca. Ah, dov’è il re?. Dov’è quella mano che da bambino mi rialzava e mi spolverava dopo un capitombolo?” Bharata guardò sua madre tra le lacrime e continuò: “Ti prego, annuncia a Rama il mio arrivo. Il fratello maggior è come il padre per un giusto. Mi prostrerò ai suoi piedi e gli chiederò quali siano state le ultime parole di mio padre, voglio sentire il suo ultimo messaggio per me”.
Kaikeyi gli raccontò come si erano svolti gli avvenimenti. “Il glorioso re è morto dicendo ‘O Rama! o Sita! o Lakshmana!’. Ed essendo soggetto alle leggi del tempo come un elefante alle catene, il re si è arreso alla morte dicendo: ‘ Solo coloro che potranno vedere Rama tornare con Sita e Lakshmana potranno essere felici e contenti”.
Bharata era ancora più confuso: Cosa voleva dire il re ? Dov’erano i suoi fratelli e Sita? Lo chiese a sua madre.
Kaikeyi gli dice che erano andati nella foresta, come se questo potesse far piacere a Bharata. “Il principe Rama con Sita e Lakshmana è partito per una lontana foresta vestito di scorze d’albero, e vi resterà per quattordici anni”.
Bharata era sconvolto, come poteva essere vero? Non era possibile che Rama fosse stato esiliato. Quale delitto poteva mai aver commesso?
Il principe disse. “Rama ha rubato a qualche alto bramino? Ha ucciso qualche uomo innocente? Certo non ha guardato la moglie d’altri. Non posso nemmeno concepire che abbia peccato. Come mai allora è andato in esilio con la fragile Sita e il suo leale fratello?”
Kaikeyi non comprese lo stato d’animo di suo figlio, nella sua ignoranza si aspettava che lui fosse felice di sapere che, grazie alle sue macchinazioni era divenuto il supremo regnante. Sorrise e gli disse: “Rama non ha commesso peccati, ma il re trascurandoti, voleva insediare Rama come principe reggente. Appena l’ho saputo ho chiesto al re di mandar via Rama e di insediare te”.
Bharata si gelò mentre sua madre continuava: “Legato dal suo senso di rettitudine, il re esaudì due doni che mi aveva dato in passato. Dopo aver esiliato Rama, che è stato seguito da Sita e Lakshmana, devastato da un dolore che non poteva sopportare, il signore di Ayodhya ha lasciato questo mondo ed è asceso al cielo invocando il nome di Rama”.
Vedendo il dolore in volto a Bharata, Kaikeyi disse: “Non farti vincere dal dolore, caro figlio. Questa città e tutta la Terra dipendono da te. Sii fermo, celebra il funerale di tuo padre e poi sali al trono come indiscusso regnante del mondo”.
Bharata non poteva credere a quello che aveva sentito. Sua madre era impazzita? Pensava davvero che lui desiderasse il trono e invidiasse Rama? Coprendosi la faccia con le mani e scuotendo la testa disse alla svergognata Kaikeyi: “Cosa ti è venuto in mente, o donna crudele per compiere un’azione così spietata? Quale possibile vantaggio posso avere quando ho perso i miei parenti più cari? Mandando mio padre all’altro mondo e Rama nella foresta hai fatto una vera tragedia”.
Il principe era furioso, le azioni di sua madre erano imperdonabili. Kaikeyi si ritrasse mentre lui ruggiva assalendola con le parole. “Sei apparsa nella mia famiglia come la Deva Kalaratri, la notte della distruzione universale! Mio padre, prendendoti con sé, ha portato la sua razza alla rovina e se stesso alla morte. O donna che vedi il male dove non esiste, con la tua ingordigia hai rovinato la mia famiglia. Dimmi qual è la ragione che ti ha portato ad uccidere il re ed esiliare Rama?”
Kaikeyi, inorridita dalla reazione di suo figlio cercò di difendersi e gli parlò ingenuamente della sua conversazione con Manthara. “O principe, io non avrei detto nulla, ma Manthara mi ha fatto notare come ti si stava facendo un torto. Mio caro figlio, io ho agito solo nel tuo interesse”.
Queste parole fecero infuriare Bharata ancora di più, e replicò con voce incredula: “Mi vergogno della mia stessa madre! Hai torturato le divine Kaushalya e Sumitra. Come hai potuto non soffrire quando i loro eroici figli sono partiti per la foresta, o donna crudele? Sei contenta adesso? Tuo marito è morto, Rama, Sita e Lakshmana sono partiti per la foresta, e il resto della tua famiglia è devastato dalla sofferenza”.
Bharata piangeva, e Kaikeyi taceva. Era stupefatto per le azioni di sua madre, cosa mai l’aveva posseduta? Aveva sempre amato Rama come un figlio, come poteva pensare che lui volesse il regno in questo modo terribile?
E continuò con durezza: “Accecata dall’avidità, non hai capito la mia devozione a Rama, . Non accetterò mai questo regno! La mia forza e la mia intelligenza dipendono solo dal mio potente fratello. Lui deve essere incoronato, e io sarò il suo umile servitore. Io non sono in grado di reggere il peso del regno, così come un piccolo vitello non può portare pesi che sono lievi per un toro. E anche se io fossi in grado di regnare senza Rama, non permetterò che tu ottenga i tuoi scopi. Piuttosto morirei”.
Bharata si mise a pensare a come ribaltare in qualche modo la folle azione di Kaikeyi. Decise di partire immediatamente per la foresta per trovare Rama, per prima cosa per dirgli che gli ignobili atti di Kaikeyi non avevano nulla a che vedere con lui. Chissà cosa pensava Rama, non avrà creduto che lui fosse colpevole? Lo pensava qualcuno? Bharata inorridì.
“Non posso starmene a guardare mentre la via della morale è stata smarrita per i tuoi cattivi desideri” , disse, “L’eterno codice morale prescrive che il trono venga ereditato dal fratello maggiore, soprattutto quando questi è il più qualificato ed amato fra la gente. È evidente che devo riportare Rama dalla foresta. O donna malvagia, non mi vedrai mai insediato come re”. Bharata continuò a rimproverare sua madre con parole taglienti, e Kaikeyi, sconvolta, rimase in silenzio. Non si aspettava la reazione di Bharata e non sapeva cosa rispondere”.
Bharata scosse la testa. “Hai commesso un odioso peccato e te ne andrai all’inferno, e lì piangerai senza fine, senza aver ottenuto nulla di quello che volevi. Non dirmi nulla o donna malvagia, io ti ripudio. Tu non sei mia madre, non sei la moglie dell’imperatore. Sei una perfida Rakshasa entrata nella mia famiglia sotto le spoglie di una parente”.
Bharata sibilava come un serpente. Bisognava rimediare subito, avrebbe riportato Rama e avrebbe preso il suo posto nella foresta per compiere il suo voto! Come poteva restare ad Ayodhya fra il popolo in lutto mentre Rama viveva lontano nella solitudine selvaggia?
Puntando il dito su sua madre il principe continuò: “E tu, o donna crudele, sarebbe meglio che ti buttassi nel fuoco, prendessi del veleno, o che andassi tu nella foresta. Non hai altro modo per toglierti la macchia del tuo terribile peccato. Io stesso me ne sarò liberato solo quando Rama sarà tornato e salirà al trono”.
Bharata cadde a terra quasi privo di sensi. Sembrava come uno stendardo innalzato a Indra e poi lasciato cadere. I ministri di Dasarath, sentirono le grida nelle stanze di Kaikeyi, e accorsero. Quando Bharata si riprese e li vide, si alzò rimproverando sua madre, che era in lacrime. Bharata si rivolse ai consiglieri del re e disse ad alta voce: “Mia madre non mi ha mai parlato dell’esilio di Rama. Non ho mai desiderato il regno, e non sapevo nemmeno che si doveva insediare Rama. Ero lontano da Ayodhya, solo ora ho saputo cosa ha fatto mia madre, e la ripudio”.
Kaushalya, che aveva le stanze vicine, sentì la voce di Bharata, e si alzò per parlare col principe. Anche Bharata la pensava, e si recò da lei accompagnato da Shatrughna. La incontrò nel passaggio, vestita di seta bianca, pallida, emaciata e tremante. Come vide i due principi, lanciò un grido e cadde a terra. Bharata e Shatrughna la rialzarono e lei li abbracciò piangendo e disse: “Adesso ti puoi godere indisturbato questo regno. Desideravi il potere che tua madre ti ha assicurato. La crudele Kaikeyi ha mandato mio figlio a fare l’asceta, e ora dovrebbe mandar via anche me. Altrimenti mi voterò al fuoco sacro, e con Sumitra seguirò la via di Rama. In ogni caso non posso più rimanere qui”.
Kaushalya singhiozzò dicendo: “Tua madre ti ha ben servito, o Bharata! Il tuo piano ha avuto successo. Regna ora su questa ricca terra, ma prima, ti prego, portami dal mio nobile figlio. Passerò i miei giorni con lui nella foresta”.
Bharata fu colpito e sconvolto da queste accuse. Cadde ai piedi di Kaushalya e disse: “Tu sai quanto io ami Rama, o nobile regina. Come puoi immaginare che io abbia potuto cospirare con Kaikeyi? Solo oggi ho saputo di questi terribili eventi”.
Bharata prese in mano i piedi di Kaushalya, credeva davvero che avesse complottato per esiliare Rama? Il principe parlò col cuore in mano: “Che coloro che approvano l’esilio di Rama raccolgano i frutti di tutti i loro peccati, e vaghino per il mondo a mendicare coperti di stracci. Non si possano mai godere la verità e la pietà, e che la loro ricchezza venga loro sottratta dai ladri. Che si ammalino di tutte le malattie, e non possano mai raggiungere le regioni abitate dai Deva. Anzi che vadano all’inferno per mai uscirne!”
Bharata espresse la sua rabbia a Kaushalya e giurò sulla sua innocenza, mortificato che qualcuno potesse pensare che lui fosse ostile a Rama. La regina fu rassicurata dalle parole di Bharata, aveva parlato annebbiata dall’angoscia. In cuor suo sapeva che il principe era innocente, e carezzandogli dolcemente la testa disse: “Il mio dolore è aggravato dal tuo, caro figlio. Certamente tu sei privo di ogni colpa. La tua mente non ha deviato dal bene, e tu sei sincero. Certamente raggiungerai il regno dei virtuosi, bambino mio”.
Kaushalya e Bharata parlarono scambiandosi ricordi di Rama e del re, poi, sfiniti dal dolore, si accasciarono. I servi del palazzo li aiutarono a rientrare nelle loro stanze dove dormirono profondamente.