Sull’albero Hanuman era incerto su cosa fare. Voleva consolare Sita e darle l’anello di Rama, ma non sapeva come avvicinarla. Avrebbe potuto pensare che lui fosse Ravana camuffato che usava la magia per ingannarla. Avrebbe gridato mettendo in allarme le Rakshsasi, e allora? Avrebbero potuto ucciderlo o catturarlo, e se succedeva questo che sarebbe stato della sua missione? Quale altra scimmia avrebbe potuto saltare l’oceano e ritornare?
Decise di restare sull’albero e di cantare le lodi di Rama facendosi sentire da Sita. Le Rakshsasi si erano allontanate un poco e non avrebbero sentito. Hanuman cominciò ad alta voce: “Nella città di Ayodhya viveva un grande imperatore di nome Dasarath, e gli nacque un figlio di nome Rama che aveva ogni possibile qualità. Il figlio andò nella foresta per obbedire all’anziano padre. Il principe sterminò in battaglia numerosi demoni”.
Hanuman continuò a descrivere in breve la vita di Rama anche dopo il rapimento di Sita, fino al suo salto attraverso all’oceano.
Sita era pietrificata dalla sorpresa e si guardò in giro, felice di sentire notizie di Rama. Poi intravide tra le foglie la piccola figura di Hanuman che se ne stava umilmente a mani giunte. Sita si spaventò. Ma chi era mai questa creatura? E cosa faceva su quell’albero? Era un trucco di Ravana? Ma si ricordò dei buoni presagi, e sperò che le parole di Hanuman fossero veritiere. Hanuman scivolò giù lungo il tronco dell’albero e si inchinò a Sita, con le mani unite sopra la testa. “Penso che tu sia Sita, la moglie di Rama. O nobile signora, Rama mi ha mandato a cercarti, e attende tue notizie”.
Sita era piena di gioia, ma era ancora sospettosa. E se fosse stato Ravana? Ma alla vista della scimmia aveva una strana sensazione di calma e di pace della mente. Guardò attentamente Hanuman e chiese: “Come faccio a sapere che non sei Ravana?”
Hanuman la rassicurò descrivendo in dettaglio l’aspetto di Rama e Lakshmana e dicendole tutto quello che sapeva dei due principi, le raccontò di sé e di come li aveva incontrati. “Ora che ti ho trovato tornerò da Rama, ed entro breve lo vedrai arrivare marciando al comando di uno sconfinato esercito di scimmie e orsi”.
Hanuman le mostrò l’anello che gli aveva dato Rama, e lei lo riconobbe immediatamente. A questo punto Hanuman l’aveva convinta, e si sentì pervasa da una gioia sconfinata, con gli occhi pieni di lacrime e il volto splendente. Lodò Hanuman. “Hai fatto una grande impresa attraversando l’oceano ed entrando in questa città fortificata. O nobile scimmia, certamente tu sei il miglior servitore di Rama”.
Si chiese come mai non era venuto Rama di persona, per distruggere la città e portarla via. Era ancora forte di corpo e di mente? E come stava Lakshmana? Hanuman rispose: “Rama non sa dove tu ti trovi, o divina signora, ma sta bene e aspetta tue notizie. Appena sentirà il mio rapporto verrà qui col suo esercito e libererà il mondo dai Rakshasa”.
Hanuman disse a Sita che Rama pensava costantemente a lei, e che la sua mente era depressa per la sua mancanza. Non mangiava bene e quasi non dormiva, sedendo per lunghi periodi con lo sguardo nel vuoto e sospirando. Non scacciava nemmeno le zanzare e gli altri insetti dal suo corpo. Di tanto in tanto piangeva invocando il suo nome.
A queste parole Sita provò un sentimento di gioia misto a dolore, e rimase pensosa come la luna dietro un velo di nuvole. Le parole della scimmia erano come un nettare misto a veleno, non riusciva a sopportare di sentire che Rama soffriva. Disse a Hanuman: “O scimmia valorosa, devi dire a Rama di venire il prima possibile, perché Ravana mi farà uccidere molto presto. Il demone non vuole sentire ragione, ostinato nella sua strada di autodistruzione”.
Sita disse che il fratello di Ravana, Vibhishana, lo aveva esortato a restituire Sita, e con altri saggi Rakshasa gli aveva detto che tenere Sita avrebbe portato alla fine dei Rakshasa. Ma Ravana non aveva ascoltato. Sita aveva avuto queste informazioni dalla moglie di Vibhishana, che era diventata amica della principessa.
Hanuman, a sentire che la vita della principessa era in pericolo, si agitò, e disse subito: “Lascia che io ti porti via subito, o principessa di Mithila. Puoi salirmi in groppa e io attraverserò l’oceano con un balzo. Non aver paura, potrei portarmi sulle spalle tutta la città di Lanka, con Ravana e tutto il resto. Sali, e ti porterò da Rama oggi stesso”. Sita guardò Hanuman che aveva le dimensioni di una scimmia normale, la metà di lei, e disse sorpresa: “Questa è una proposta da scimmia, come potrei salirti in groppa?”
Hanuman, era risentito, era la prima volta che la sua forza era messa in discussione, era ovvio che Sita non conosceva i suoi poteri. Doveva darle una dimostrazione. Hanuman fece crescere enormemente il suo corpo, e guardò in basso verso Sita dicendo: “Potrei sollevare tutta l’isola colle sue montagne, le foreste, i laghi, la città con le sue mura e il signore stesso di Lanka. Non esitare o signora, e lascia che ti porti da Rama”.
Sita guardò sbalordita Hanuman che si ergeva davanti a lei come una montagna pelosa. Adesso si sentiva più sicura delle sue capacità, tuttavia esitava a farsi trasportare sulla sua schiena. “Cara scimmia, tu sembri il Deva del vento in persona, ma quando volerai a grande velocità, come farò a rimanerti aggrappata? La forza del vento potrebbe farmi svenire, e allora cadrei nell’oceano, dove verrei divorata dai mostri del mare”.
Sita temeva inoltre che Hanuman non sarebbe riuscito a partire da Lanka portandola con sé. I Rakshasa li avrebbero scoperti e inseguiti, e Hanuman avrebbe avuto difficoltà a ricacciarli avendo Sita in groppa.
Sita spiegò che c’erano anche altre ragioni per le quali non poteva accettare l’offerta di Hanuman. “Ho fatto voto di non toccare il corpo di qualunque uomo che non sia Rama. Sono già mortificata per essere stata afferrata da Ravana, e non potrei mai toccare volontariamente un altro uomo, né potrei permettere che nessun altro, al di fuori di Rama, mi possa salvare, sminuendo così il valore del mio sposo. Quindi preferisco aspettare il mio signore, fiduciosa che presto arriverà”.
A queste parole Hanuman annuì, aveva ragione: non le sarebbe stato possibile rimanere salda sul suo dorso. Inoltre rispettava la sua impareggiabile castità. Quindi riprese la sua taglia normale e disse: “Adesso tornerò da Rama, dammi un pegno che dimostri che ti ho incontrata” :
Sita gli rispose con la voce soffocata dalle lacrime: “Portagli in pegno questo messaggio. Ricordagli quando vivevamo insieme sul monte Chitrakuta, e io fui attaccata da un corvo e lui mi salvò”.
Sita descrisse a Hanuman i dettagli dell’episodio: il corvo era in realtà un figlio di Indra, che voleva mettere alla prova il valore di Rama. Aveva attaccato Sita, al che Rama gli aveva scagliato contro un filo d’erba imbevuto del potere del Brahmastra. Dopo aver seguito il corvo per tutto l’universo il filo d’erba mistico lo aveva accecato da un occhio. Rama si sarebbe ricordato di quell’episodio che solo Sita poteva conoscere.
Hanuman chiese a Sita se aveva un messaggio per Rama, e la principessa rispose: “Ti prego, descrivi a Rama la mia misera condizione. Pur avendo l’invincibile Rama come protettore, sono sola e abbandonata. Che non indugi ad accorrere in mio aiuto, Rama è in grado di sbaragliare intere schiere di Deva e demoni messe insieme, per non parlare di Ravana”.
Sita porse ad Hanuman una brillante gemma gialla che usava portare sui capelli e gli disse: “Dai a Rama questo gioiello e digli: ‘Come Vishnu ha salvato la dea Terra dalle profondità dell’oceano, tu devi scendere fra i Rakshasa e salvarmi. ’”
Hanuman prese la gemma e s’inchinò a Sita. Era giunto il momento di andarsene, ma prima voleva saggiare la forza dei Rakshasa. Adesso che si trovava nel cuore di Lanka, aveva l’opportunità di sfidare i Rakshasa a combattere contro di lui, il che gli avrebbe permesso di valutare la loro forza. Inoltre Hanuman voleva infliggere delle perdite alle forze nemiche prima di andarsene.
Hanuman riprese la sua forma gigantesca e si mise a sradicare gli alberi e i cespugli dei giardini, abbattè mura e archi, e scagliò tutto nei laghetti. Muovendosi come una tempesta, il Vanara afferrò un’enorme colonna di ferro e si piazzò all’entrata del giardino, aspettando l’arrivo delle truppe Rakshasa.
Gli abitanti del palazzo di Ravana erano terrorizzati dai ruggiti di Hanuman e dal fragore degli alberi abbattuti e dalle grida degli animali in fuga. Le Rakshsasi che dormivano profondamente si svegliarono di soprassalto e videro Hanuman torreggiante come una montagna all’entrata del giardino. Alcune di loro avevano visto Sita parlare con una scimmia e le chiesero chi fosse.
“Come posso saperlo, ” rispose lei, “siete voi che conoscete le arti magiche e la stregoneria. Perché dunque non siete in grado di capire la natura di questo essere?”
Alcune delle Rakshsasi corsero spaventate da Ravana, e gli raccontarono che una scimmia aveva completamente distrutto i loro bei giardini, lasciando in piedi solo il grande albero Simshapa sotto cui giaceva Sita.
Ravana si infuriò, e dai suoi occhi fiammeggianti scesero lacrime come gocce d’olio bollente. Si soffermò a pensare, questo intruso doveva essere un potente emissario dei Deva, o perfino di Vishnu, nessun altro avrebbe osato attaccare Lanka. Ravana quindi ordinò a un gruppo scelto di Rakshasa, i guerrieri Kinkara, di catturare Hanuman e ottomila di loro si radunarono immediatamente. I feroci Rakshasa erano dotati di una forza prodigiosa, avevano denti accuminati e portavano armi terrificanti. Si precipitarono come un sol uomo nel boschetto di Ashoka, decisi a catturare Hanuman.
Alla vista della gigantesca scimmia si gettarono contro di lui come falene sul fuoco, attaccandolo con lance, mazze, picche di ferro e scimitarre. Nugoli di frecce volarono contro Hanuman, fendendo l’aria come un vento di tempesta.
Hanuman divenne ancora più grande, e spazzando il terreno con la coda emise un urlo raccapricciante, e gridò: “Viva Rama e Lakshmana! Io sono Hanuman, figlio del Deva del vento, e sono qui come servitore di Rama. Neppure mille Ravana possono fermarmi. Distruggerò Lanka e poi tornerò dal mio signore”.
I Kinkara si spaventarono alla vista delle dimensioni di Hanuman e per la sua voce tuonante che scuoteva la terra. Lo attaccarono a migliaia, e Hanuman si mise a roteare la sbarra di ferro abbattendo i demoni, ed in poco tempo li annientò. Si muoveva alla velocità del vento e i Rakshasa non riuscivano quasi a vederlo. Solo pochi di loro sopravvissero e corsero da Ravana.
Il re dei demoni, ancor più infuriato, ordinò a uno dei suoi grandi generali, Jambumali, di attaccare Hanuman. Il Rakshasa si inchinò a Ravana e si avviò brandendo il suo arco d’oro, montò su un cocchio tirato da cento asini con la testa di demone. Pizzicò la corda dell’arco facendo il rumore del tuono e si precipitò nei giardini ruggendo di rabbia.
Nel frattempo Hanuman si era guardato intorno per vedere cos’altro demolire, e vide un grande tempio su una collina dove i Rakshasa adoravano la loro divinità protettrice. Salì sulla collina e si arrampicò sulla parete del tempio, liscia come la parete di una montagna. Hanuman, luminoso come il sole che sorge, gridava continuamente “Viva Rama!”, e prese a distruggere il tempio abbattendo archi e colonne, riducendolo in breve in un mucchio di pietre.
Saltò giù dalla collina e vide Jambumali che si avvicinava. Il demone era vestito con una tunica cremisi con una ghirlanda di fiori rossi al collo, e con un diadema di gemme rosse. Aveva grandi orecchini d’oro che risplendevano sulle sue orecchie nerastre a punta, e ruggiva scagliando centinaia di frecce. Anche Hanuman ruggì alla vista del demone, felice di affrontarlo. Jambumali trafisse la scimmia con le sue terribili frecce. Con un dardo a punta di falce lo colpì alla bocca, e delle frecce uncinate lo colpirono alle braccia e alle gambe. Con la testa insanguinata, Hanuman sembrava un fiore di loto rosso nel cielo. Era furioso, prese un immenso macigno e lo scagliò con forza tremenda contro Jambumali.
Il demone rise e scagliò dieci frecce che spezzarono la roccia in volo, allora Hanuman sradicò un albero e lo roteò, ma Jambumali lo ridusse in schegge, continuando a colpire Hanuman con altre frecce.
La scimmia perse la pazienza e riprese la sua trave di ferro con cui aveva sterminato i Kinkara. Col suo corpo irto di frecce caricò il demone, spiccò un balzo, arrivò sul suo cocchio e lo colpì sul cranio con forza. La testa del demone si fracassò rientrando nel tronco, anch’esso ridotto a poltiglia. Il cocchio andò a pezzi e gli asini che lo tiravano si dispersero ragliando di paura.
Ravana era sbalordito dalla morte di Jambumali, e mandò altri sette dei suoi generali. I guerrieri Rakshasa andarono all’attacco urlando e facendo a gara tra loro. Montarono dei grandi cocchi carichi di armature d’oro con le bandiere al vento. I demoni erano esperti nell’uso delle armi celesti, e si misero a lanciare ogni genere di missili.
Hanuman balzò alto in cielo con braccia e gambe spalancate, schivando le frecce e i missili dei Rakshasa. Anche loro salirono in cielo per combatterlo. Mentre combatteva i Rakshasa coi loro archi d’oro, Hanuman sembrava il Deva del vento che gioca fra le nuvole cariche di fulmini. Attaccò i demoni uno per uno, colpendoli colle mani e coi piedi, e li uccise tutti, facendoli cadere a terra come montagne colpite dal fulmine di Indra.
Poi Hanuman scese al suolo, e andò all’ingresso dei giardini, pronto a combattere altri demoni. La terra era cosparsa dai corpi dei Rakshasa e dai rottami dei loro cocchi. I cavalli e gli elefanti nitrivano e barrivano spaventati, e il sangue scorreva dappertutto. Hanuman volle gettare nello sconforto e nella confusione i Rakshasa e gridò: “Manda i tuoi migliori guerrieri, o Ravana, e faranno questa stessa fine! Io sono Hanuman, il servitore di Rama. Presto milioni di scimmie come me arriveranno qui accompagnate da Rama. Perché combattere? Lascia andare Sita e riportala a Rama”.
Ravana pensò che Hanuman non poteva essere una scimmia, ma un essere divino creato dai Deva. Il demone aveva visto dei Vanara, ma questo sembrava straordinariamente potente. Ravana e i suoi guerrieri però avevano sconfitto i Deva, e non avrebbe dovuto essere difficile vincere questa scimmia, chiunque fosse. Ravana convocò altri cinque capi del suo esercito di forza eccezionale, li incoraggiò lodandoli, e gli ordinò di catturare Hanuman, perché voleva capire chi fosse e cosa fosse venuto a fare a Lanka.
Ma Hanuman sconfisse i Rakshasa uno dopo l’altro, i primi tre con terribili pugni. Gli altri due lo attaccarono contemporaneamente ai fianchi, ma Hanuman strappò la vetta di un monte con tutti gli animali, alberi e serpenti, e la gettò sui due Rakshasa schiacciandoli.
Poi si mise a uccidere le migliaia di altri Rakshasa che erano accorsi, afferrando e usando come arma i guerrieri per uccidere i guerrieri, gli elefanti contro gli elefanti, i cavalli contro i cavalli. Il terreno era coperto di cadaveri, e Hanuman sembrava lo spirito del tempo impegnato a distruggere tutti gli esseri viventi.
Ravana si rese conto che questo essere era formidabile, aveva spazzato via dei guerrieri Rakshasa quasi invincibili. Tuttavia chi avrebbe mai potuto sconfiggere Ravana? Impossibile. Era vero che la dea Lanka era venuta da lui urlando per dirgli che la sua fine era imminente, ma Ravana si sentiva ancora sicuro di sé. Se necessario si sarebbe occupato personalmente della scimmia, ma prima voleva che lo affrontassero i suoi formidabili figli. Aksha, incitato da un’occhiata di suo padre si alzò e andò a combattere.
Salì sul suo cocchio d’oro, luminoso come il sole, aggiogato a otto destrieri celesti veloci come il pensiero, e con un grande stendardo rosso impreziosito da gemme splendenti. Lungo le sue sponde c’erano file di lance e faretre di frecce dalla punta a rasoio. Sui lati del carro erano fissati otto lunghi spadoni nei loro foderi d’argento intarsiati con lune e soli d’oro. Aksha incitò i destrieri e si alzò in volo verso i giardini accompagnato da migliaia di altri demoni su elefanti, cavalli e carri.
In pochi istanti il principe Rakshasa comparve davanti a Hanuman e si fermò un attimo a valutare la forza del suo avversario. Aksha rimase sbalordito alla vista di quella montagna di scimmia pronta a combattere, gli appariva come il fuoco stesso della distruzione universale. Ma il principe, veterano di molte battaglie non si lasciò spaventare, e guardò Hanuman con occhi di fuoco, come un leone. Tese l’arco al massimo e lanciò tre frecce che colpirono Hanuman alla testa, facendolo sanguinare abbondantemente.
Hanuman, con gli occhi di fuori per l’indignazione, guardò il Rakshasa. Aksha indossava una corazza che pareva fatta solo di pietre preziose, e i suoi bracciali d’oro scintillavano mentre lui tendeva il suo bellissimo arco decorato. Appariva come una nuvola scura su cui si stagliava l’arcobaleno, che scaricava fulmini su una montagna.
Hanuman vide l’occasione di dimostrare il suo valore al servizio di Rama, ruggì di gioia e fece un grande balzo in aria, scansando le frecce di Aksha con la velocità del vento. Il cocchio di Aksha lo seguì nel cielo come un elefante che si avvicina ad un grande pozzo coperto, e il principe continuò a lanciare frecce mortali contro Hanuman.
I Deva erano affascinati dal terribile scontro fra il Vanara e il Rakshasa. Il sole si scurì, il vento smise di soffiare, e nel cielo echeggiavano lo strepitio della battaglia. Persino il mare si agitò e il monte Trikuta tremò.
Hanuman capiva che il principe era un avversario temibile, benché fosse solo un ragazzo. Il Rakshasa diventava sempre più forte man mano che combatteva, pressando da vicino Hanuman nelle sue evoluzioni, e colpendolo con le sue frecce affilate. Hanuman, preso dalla furia della battaglia, decise di uccidere Aksha, e girandosi improvvisamente, colpì colle mani gli otto destrieri e li uccise. Mentre il carro precipitava, Aksha si levò in volo impugnando arco e spada, come un Rishi luminoso che esce dal corpo e ascende ai regni dei cieli.
Hanuman lo afferrò al volo per le gambe, lo fece roteare e lo sbatté per terra, e Aksha morì con le ossa fracassate, in un lago di sangue.
Si erano riunite in cielo schiere di Rishi, Yaksha e Naga per assistere alla battaglia, e alla vista del successo di Hanuman applaudirono e lanciarono fiori celesti.
Ravana era addolorato e furioso, e si rivolse al figlio maggiore, Indrajit. Il figlio si era guadagnato il nome “dominatore di Indra” perché una volta aveva catturato il potente re dei Deva. Indrajit aveva il controllo di tutte le armi mistiche, anche del Brahmastra, l’arma presieduta da Brahma. Ravana gli ordinò di catturare Hanuman. Il re dei Rakshasa era sicuro che Indrajit sarebbe riuscito nell’impresa, e lo guardò con affetto mentre partiva per la battaglia.
Indrajit si mosse come il mare in una notte di plenilunio, montando un carro tirato da quattro enormi tigri dai denti a sciabola e si parò davanti a Hanuman incoccando una freccia. Alla vista della bandiera che Indrajit aveva preso a Indra, Hanuman gioì: stava affrontando il famoso dominatore di Indra. Il suono dei tamburi di guerra che accompagnavano l’avanzata di Indrajit non fecero che aumentare l’ardore di Hanuman per la battaglia. Divenne ancor più grande e spiccò un balzo nel cielo.
Indrajit scagliò i suoi dardi ricoperti d’oro con le code piumate, che sibilarono nell’aria colle punte arroventate, e Hanuman li schivò abilmente. Il Rakshasa continuò a lanciarli in file ininterrotte, ma la scimmia li evitò tutti. Hanuman però non trovò l’occasione per afferrare Indrajit. I Deva e i Rishi guardavano affascinati i due esperti guerrieri che sfrecciavano nel cielo.
Il Rakshasa si rese conto che Hanuman era un avversario formidabile, ma se era un essere vivente poteva sicuramente essere sconfitto coll’arma poderosa del creatore, il Brahmastra. Indrajit incoccò la freccia speciale che teneva di riserva appositamente per il Brahmastra e lo rilasciò. Hanuman cadde a terra stordito dalla forza irresistibile dell’arma divina. Capì che il Brahmastra lo aveva sopraffatto, e si mise a pensare. Brahma aveva dato a Hanuman il dono per cui il Brahmastra lo avrebbe solo stordito per qualche tempo, e la scimmia sapeva che se ne sarebbe liberato. Ma questa era l’occasione per farsi portare davanti a Ravana, come lui voleva. Avrebbe dato un ultimatum al Rakshasa per conto di Rama, e poi sarebbe fuggito. Le dimensioni di Hanuman tornarono alla normalità, e i Rakshasa lo circondarono, lo legarono con delle corde e lo presero a pugni e calci. Indrajit ordinò di portarlo davanti a Ravana, e Hanuman finse di essere spaventato, malgrado l’effetto del Brahmastra stesse svanendo.
I demoni trascinarono Hanuman nella grande sala delle assemblee, e lo gettarono ai piedi del re dei Rakshasa. I feroci ministri lo insultarono, ed alcuni dissero: “Pestiamolo, arrostiamolo e divoriamolo!”. Ravana però era curioso. Chi era questo essere? Perché mai aveva creato un tale caos a Lanka? Ravana si rivolse al suo primo ministro e gli chiese di interrogare Hanuman. Subito la scimmia disse: “Io sono un messaggero di Sugriva, il re dei Vanara. Siamo entrambi servitori di Rama, il Signore di questo mondo”. Hanuman alzò il suo sguardo su Ravana, e fu colpito dalla sua opulenza. Il demone sedeva su un trono di cristallo incrostato di gemme, poggiato su una piattaforma d’oro. Portava in testa un diadema di gemme inestimabili, intrecciato con fili di perle. Le sue membra erano coperte di ornamenti d’oro con diamanti incastonati. Era vestito di ricche sete, col corpo dipinto con disegni peculiari con pasta di sandalo cremisi. I suoi occhi rossi erano terribili e allo stesso tempo belli come grandi petali di loto. Le sue venti braccia poderose lo facevano sembrare una montagna infestata da serpenti dai cinque cappucci. Ai suoi fianchi delle belle ragazze lo rinfrescavano coi ventagli, e i quattro consiglieri principali gli sedevano accanto, e sporgendosi verso di lui gli offrivano consigli e rassicurazioni.
Hanuman fissò Ravana con ammirazione, e pensò che, se non fosse stato dedito al peccato e alla violenza, avrebbe potuto essere il signore dei Deva e il protettore dell’universo. Se questo demone si fosse infuriato, avrebbe potuto trasformare tutto il mondo in un oceano.
Prahasta, il primo ministro di Ravana, era in dubbio sull’identità di Hanuman e gli disse: “Rincuorati, o scimmia, che presto ti libereremo, prima però dicci chi sei veramente. Sei un inviato di Vishnu, che anela di sconfiggere i demoni? O forse sei mandato da Indra, o da un altro Deva? Dì la verità. Non crediamo che tu sia una semplice scimmia, perché il tuo potere è troppo grande”.
Hanuman rispose che era proprio una scimmia, e ripeté di essere il messaggero di Sugriva. “Noi siamo i servitori di Rama, che non può essere vinto da nessun essere vivente. Ascolta ora, o Ravana, il consiglio che ti offro per il tuo bene”.
Hanuman narrò la storia di Rama e del suo esilio, fino al raduno dell’esercito dei Vanara a Kishkinda. Tutte quelle scimmie, disse Hanuman, erano forti e agili quanto lui, e nessuno poteva sperare di vincere una battaglia con loro. Hanuman provò a infondere paura e dissenso fra i Rakshasa e disse: “Ti consiglio di liberare subito Sita, prima che sia troppo tardi. Altrimenti vedrai un oceano di scimmie e orsi piombare su Lanka, con Rama e Lakshmana alla loro testa, che vi copriranno di frecce potenti come i fulmini di Indra. Neanche tutti i Deva insieme potrebbero impedire a Rama di riprendersi la principessa di Mithila. Se ci tieni alla tua vita, restituiscila oggi stesso a Rama”.
Hanuman descrisse quindi il valore e la forza di Rama. Con le sue frecce aveva il potere di distruggere l’universo e ricrearlo subito dopo. Nemmeno Brahma e Shiva lo potevano affrontare, e Lanka coi suoi Rakshasa si sarebbero provati per lui un ostacolo minore. Col rapimento di Sita, Ravana si era messo il cappio della morte attorno al collo, e la sua sola speranza era di andare da Rama a chiedergli perdono.
Ravana, accecato dalla rabbia esclamò: “Uccidete questa scimmia insolente!”
Il fratello di Ravana, Vibhishana, che era anche suo consigliere, obbiettò a questo ordine. “Non si devono uccidere i messaggeri, nessun sovrano virtuoso commetterebbe mai un’azione del genere. Se necessario si può punire la scimmia in un altro modo”.
Ravana replicò che la scimmia aveva distrutto il boschetto di Ashoka e ucciso molti Rakshasa, ma Hanuman disse che lo aveva fatto per autodifesa. Era solo una scimmia, e la sua natura gli aveva fatto distruggere i giardini per gioco, poi molti feroci guerrieri l’avevano attaccato. Cosa doveva fare, se non difendersi?
Quando Hanuman tacque, Vibhishana continuò a parlare contro l’esecuzione. Ravana fumava di rabbia, trovava sempre difficile ascoltare i consigli del fratello. Ma Vibhishana era saggio, e Ravana lo ammetteva. Il re dei demoni decise quindi di punire Hanuman in un altro modo. “Le scimmie amano la loro coda” , disse Ravana con un sorriso, “Dategli fuoco alla coda. Poi portatelo per le strade della città, e dopo questo, se sopravvive, potrà andarsene mutilato e umiliato”. I Rakshasa eseguirono subito l’ordine di Ravana, e legarono degli stracci imbevuti di olio alla coda di Hanuman, che subito crebbe di dimensioni e picchiò i demoni che gli erano intorno. Bestemmiando questi lo trascinarono in strada. La scimmia con la coda in fiamme marciò dietro di loro, osservando attentamente la città. Dopo tutto era un’occasione per vedere meglio Lanka per poter consigliare Rama sull’attacco alla città.
Delle Rakshsasi dissero a Sita che Hanuman veniva trascinato per la città con la coda in fiamme, e la principessa si addolorò. Pregò mentalmente Agni, il Deva del fuoco: “Se mi sono guadagnata dei meriti per aver servito Rama e per essergli stata devota, allora ti prego di essere fresco con Hanuman”.
Di colpo Hanuman sentì che il fuoco della sua coda era freddo, e si chiese come fosse possibile. Doveva essere il potere di Rama o la compassione di Sita. La sposa di Rama era cara a tutti gli esseri, e il Deva del fuoco avrebbe certamente aiutato coloro che erano al suo servizio.
Per le strade di Lanka i demoni derisero e maltrattarono Hanuman, che decise di fuggire. Lo avevano legato con spesse funi che gli stringevano le braccia al torso. Hanuman ridusse improvvisamente le sue dimensioni scivolando fra le corde, e col grido di : “Viva Rama!”, balzò in alto. Saltò di tetto in tetto verso la porta settentrionale della città e mentre saltava diede fuoco ai palazzi dei Rakshasa con la sua coda in fiamme. In poco tempo, con l’aiuto di suo padre Vayu e di Agni, diede fuoco a gran parte di Lanka.
Poi la scimmia riprese la sua forma gigantesca rombando come la nuvola di tempesta che appare al tempo della distruzione universale. Molti edifici di Lanka, crollarono fra le fiamme, e i Rakshasa correvano da tutte le parti urlando di terrore, e vedendo Hanuman grande come una montagna, pensarono che fosse Agni venuto a distruggere la città.
Dei Rakshasa si gettarono dalle finestre, i loro corpi in fiamme sembravano delle meteore; dalle case uscivano rivoletti d’oro e d’argento fuso con le gemme che galleggiavano. L’intera
montagna di Trikuta era a fuoco, con altissime fiamme arancioni e nuvoloni di fumo nero. Alcuni Rakshasa attaccarono Hanuman, ma questi raccolse una enorme mazza con cui li schiacciò a migliaia. “Ecco il potente e terribile Indra che si vendica!” gridarono alcuni. “Questo è Yamaraja che distribuisce le sue tremende punizioni!” dissero altri. Altri ancora pensarono che fosse Shiva colla sua furia distruttiva. Di fatto avrebbe potuto esser qualunque divinità, perché Ravana se li era inimicati tutti. Poteva addirittura essere l’infallibile e invincibile Vishnu, il Signore di tutto il creato.
Dal bastione settentrionale Hanuman guardò la città in fiamme, si sentì soddisfatto del suo lavoro, e si preparò a tornare sul continente. In cielo i Deva e i Rishi lo esaltavano componendo poemi su di lui.
Ma di colpo a Hanuman venne in mente Sita. Che fosse bruciata nell’immenso incendio? Hanuman si maledisse per essersi lasciato dominare dall’ira. Nella sua furia non aveva pensato alle conseguenze delle sue azioni. E se Sita fosse morta? La scimmia fu presa dallo sconforto.
Ma i Charana nel cielo si fecero sentire. “Hanuman ha compiuto un’impresa meravigliosa. La città di Lanka, pullulante di demoni, brucia da tutte le parti, ma Sita non è stata ferita in alcun modo”.
Rassicurato da queste parole, Hanuman decise di partire, e andò sul monte Arista sulla riva settentrionale di Lanka. Salì sulla montagna frantumando massi ed alberi sotto il suo enorme peso, mentre gli animali fuggivano terrorizzati. Arrivato sulla vetta si accucciò, pronto a saltare attraverso l’oceano.
Gridando il nome di Rama, Hanuman saltò, e la montagna sprofondò nella terra, gli alberi scossi violentemente persero i fiori. I Vidhyadhara, i Kinnara e i Gandharva che giocavano sui pendii della montagna vennero lanciati in aria dallo scuotimento della montagna, e le migliaia di leoni che ne abitavano le caverne ruggirono contemporaneamente con un suono assordante.
Hanuman salì in alto nel cielo e sfrecciò, lasciandosi alle spalle Lanka. La sua missione era compiuta.
Hanuman volò attraverso il firmamento pieno di gioia per il suo successo. Presto avrebbe rivisto Sugriva e Rama portando le buone notizie del ritrovamento di Sita e della distruzione di Lanka. Si muoveva alla velocità del vento e i Rakshasa non gli diedero la caccia, impegnati com’erano a cercare di salvare la città.
Il Deva del fuoco non aveva bruciato il palazzo reale per paura del re dei demoni. Ravana guardò la sua città in fiamme, schiumando di rabbia. Avrebbe dovuto uccidere la scimmia quando ne aveva avuto l’occasione. Senza dubbio Rama sarebbe arrivato presto con le sue truppe, e ci sarebbe stata battaglia. Ravana pensò al dono che gli aveva dato Brahma: il demone era vulnerabile agli umani. Che Rama, questo re degli umani, potesse portargli la morte? Che fosse l’incarnazione di Vishnu? Doveva essere così, pensò Ravana. Che guerra sia, si vedrà la forza di Rama. Ravana non si sarebbe tirato indietro in nessun caso, avrebbe preferito morire. La morte per mano di Vishnu era una morte onorevole, e molti sostenevano addirittura che portasse nel più alto dei cieli. E in nessun caso avrebbe restituito Sita: o Rama se la riprendeva con la forza, o non l’avrebbe mai riavuta. Il demone rimase immerso nei suoi pensieri.
Hanuman filava in cielo come una freccia scagliata da un potente arco, e in un’ora rivide il monte Mahendra. La scimmia ruggiva, riempiendo l’aria col tuono della sua voce. Angada e gli altri lo sentirono e dalla spiaggia scrutarono il cielo, sollevati di sentire quel ruggito che indicava il successo di Hanuman, e saltavano sulla spiaggia urlando di gioia.
In breve videro Hanuman sbucare dalle nuvole, come Garuda in pieno volo. I Vanara giunsero le mani in segno di rispetto e ammirazione per il loro compagno, mentre questi atterrava sul monte Mahendra. Hanuman scese velocemente dalla montagna, riprese la sua forma normale e corse verso i suo amici. Le scimmie lo circondarono gridando di gioia, lo abbracciarono ridendo colle lacrime agli occhi e gli offrirono frutti e radici.
Hanuman prese per mano Angada e si sedette in un boschetto vicino alla spiaggia per raccontargli tutto quello che era successo. “Ho visto la divina Sita, che piange il suo signore, in mezzo alle Rakshsasi, tormentata da Ravana. Non perdiamo tempo per salvarla”.
Sentito il racconto, le scimmie urlarono per la felicità, alcune ruggirono come leoni, altre mugghiarono come tori, altre ancora ulularono danzando e sventolando le loro lunghe code. Angada disse: “La tua impresa è ineguagliabile. Hai salvato le nostre vite e hai reso un gran servizio a Rama, che presto sarà libero dal suo dolore. Caro Hanuman, hai mostrato grande valore e una fermezza incrollabile”.
Angada e Hanuman erano seduti attorniati dai potenti Vanara, così come Indra e Surya siedono circondati dai Deva. Hanuman raccontò ad Angada la sua impresa in ogni dettaglio. Le scimmie furono felici di sapere che aveva sgominato tanti potenti Rakshasa e portato distruzione e scompiglio a Lanka, ma erano terrorizzati dalla tremenda minaccia di Ravana a Sita.
Angada decise che era necessario agire immediatamente. “Come possiamo dire a Rama che Sita si trova in quella terribile situazione? Dobbiamo portarla via da Lanka. Qui ci sono scimmie potenti come Deva, andiamo subito a Lanka, distruggiamo definitivamente la città, uccidiamo Ravana e salviamo Sita. Poi potremo tornare da Sugriva e Rama”.
Jambavan non fu d’accordo con Angada. “Il tuo suggerimento non è saggio, o potente scimmia. La nostra missione non era di uccidere Ravana o riportare Sita. Ci è stato chiesto di trovarla e di riferire a Rama. Il principe ha fatto voto di salvarla lui stesso. Se anche noi avessimo successo senza Rama, in qualche modo invalideremmo il suo voto”. Le scimmie ascoltarono il consiglio di Jambavan, il vecchio re degli orsi era sempre saggio e attento a tutti gli aspetti di ogni questione. Aveva ragione, era meglio tornare a Kishkindha. Poi tutte le scimmie, con Rama e Lakshmana al comando, sarebbero andate a Lanka, e allora avrebbero avuto tutte le occasioni per combattere.
Le scimmie si alzarono e si diressero immediatamente a Kishkindha, e con Hanuman in testa saltarono più in fretta che poterono. In pochi giorni raggiunsero la foresta di Madhuvan, non lontano da Kishkindha, una grande foresta piena di alberi carichi di frutti e di alveari. Le scimmie ebbero il permesso di Angada di bere il miele, che in realtà era di Sugriva, e ne bevvero in quantità tale da inebriarsi. Chi danzava, chi cantava ad alta voce, chi rideva istericamente. Fecero palle di cera e se le tirarono fra loro, strapparono rami dagli alberi inscenando finte battaglie. La foresta era piena dei loro clamori. Un generale Vanara di nome Dadhimukha era di guardia a Madhuvan, e alla vista delle scimmie che strappavano gli alberi e bevevano il miele, si infuriò, e mandò delle guardie per fermarli. Le scimmie si misero a ridere e attaccarono le guardie, le presero per le gambe trascinandole in giro, le fecero volare in aria e le presero a schiaffi.
Anche Dadhimukha fu picchiato da Angada, e allora decise di andare da Sugriva per informarlo della situazione. Dadhimukha disse al re che Angada e Hanuman con migliaia di scimmie erano nel bosco e rubavano il suo miele. Ma Sugriva, che era intelligente, al sentire questa notizia si rallegrò. Si volse a Lakshmana che sedeva al suo fianco e disse: “Senza dubbio la compagnia di Angada ha avuto successo. O nobile Lakshmana, penso che Hanuman abbia ritrovato Sita. Le scimmie non sarebbero così sfrontate da rubare il mio miele se avessero fallito nella loro missione”.
Lakshmana corse a portare la notizia a Rama, e Sugriva disse a Dadhimukha di perdonare il comportamento delle scimmie e di farle venire subito a Kishkindha.
Dadhimukha si inchinò a Sugriva e tornò a Madhuvan, felice che Hanuman avesse compiuto l’impresa, e si dimenticò delle botte che aveva ricevuto. Vide le scimmie, ora tornate sobrie, che urinavano sugli alberi. Cercò Angada e gli si inchinò. “Ti prego di perdonarmi, o principe, non avrei dovuto cercare di fermarvi. Sugriva desidera vedere te e Hanuman, recatevi subito da lui”.
Angada parlò gentilmente a Dadhimukha, poi alzò il braccio e urlò alle altre scimmie: “Andiamo a Kishkindha! Sugriva e Rama ci attendono”.
Sugriva li aspettò impazientemente, sicuro del loro successo. Erano passati quasi tre mesi dalla loro partenza, e Angada non sarebbe mai tornato se avesse fallito. Il re delle scimmie rassicurò Rama, che era ansioso per Sita.
Rama guardò Sugriva attraverso le lacrime, questa era la loro ultima possibilità. Tutte le altre squadre erano tornate senza successo, e se il gruppo di Angada avesse fallito? Rama sedeva a fianco di Sugriva preso da un’ansia terribile.
Improvvisamente sentirono delle grida e videro una nuvola di polvere che annunciava l’arrivo della compagnia di Angada. Sugriva stirò e arricciò la sua coda per la gioia, e vide Angada e Hanuman alla testa delle scimmie che si avvicinavano a balzi. Arrivarono in pochi minuti e si prostrarono ai piedi di Sugriva e Rama. Hanuman si sedette di fronte a Rama a mani giunte e disse: “Mio signore, Sita è stata trovata”.
Rama si alzò di scatto con le lacrime agli occhi e disse: “Dimmi di Sita, raccontami ogni cosa, o valoroso. Come sta? Dove si trova? E dov’è quel malefico e disgraziato Ravana?”
Col permesso di Angada, Hanuman raccontò ogni cosa a Rama e Sugriva, il suo salto attraverso l’oceano e la devastazione che aveva inflitto a Lanka.
Disse che Sita si struggeva per Rama e non guardava nemmeno Ravana, e diede a Rama il messaggio di Sita insieme al suo gioiello.
Rama prese la gemma gialla, se la strinse al petto e pianse sommessamente. Confortato da Lakshmana disse: “Così come una mucca perde latte dalle mammelle quando vede il suo vitello, così mi si scioglie il cuore alla vista di questo gioiello. Originariamente apparteneva a Indra, e fu dato a Sita da Janaka. Vedendo questa gemma ho avuto la visione di mio suocero e della mia adorata moglie”.
Molte volte Rama chiese a Hanuman di ripetergli il messaggio di Sita. Era in pena per la sua situazione pietosa, e il suo unico conforto era di ascoltare le sue parole. La scimmia raccontò tutta la conversazione con Sita e quando finì, Rama rimase in silenzio per qualche tempo, assorbito dai suoi pensieri. Infine disse a Hanuman: “Hai compiuto un’impresa straordinaria, caro Hanuman. Nessuno, eccetto Garuda o lo stesso Deva del vento, avrebbe potuto compiere queste gesta. Chi avrebbe potuto saltare attraverso quel vasto oceano? Chi, entrando da nemico a Lanka, poteva sperare di uscirne vivo? Sei un servitore di prima classe, o scimmia, hai fatto tutto quello che ti era stato chiesto e ancor di più”.
Rama lodò Hanuman, e si dispiacque di non poterlo ripagare adeguatamente per i servizi resi. “O Hanuman, questo abbraccio è tutto quello che ti posso dare oggi” , disse Rama stringendosi forte la scimmia al petto.
Rama si mise quindi a pensare a come recuperare Sita. Come avrebbe fatto ad attraversare l’oceano con milioni di scimmie? Si sentì depresso e chiese a Sugriva se avesse qualche idea. La scimmia rispose: “Secondo me bisognerebbe costruire un ponte attraverso l’oceano. Sappiamo dov’è Sita, e abbiamo un esercito più che in grado di sterminare i demoni. Io sono tranquillo, ho molti buoni presentimenti, e la mia mente è piena di gioia”.
A queste parole, Rama si decise. Disse alle scimmie: “Io posso attraversare l’oceano con i poteri mistici che ho acquisito con le pratiche ascetiche, o con un ponte, oppure prosciugando l’oceano colle mie frecce. O Hanuman parlaci delle difese e delle fortificazioni di Lanka, perché presto saremo lì a combattere”.
Hanuman descrisse tutto quello che aveva visto. La città era sulla cima di una grande montagna ricoperta da una fitta foresta, intorno alla città c’era un largo fossato infestato da coccodrilli e dei bastioni con ponti levatoi e porte con cancelli di ferro. I bastioni erano presidiati da orde di Rakshasa pesantemente armate di mazze chiodate, capaci di uccidere centinaia di nemici con un solo colpo. Schierate dietro le muraglie difensive c’erano delle grandi catapulte, insieme a delle macchine che potevano lanciare proiettili fiammeggianti fino a dieci miglia di distanza. Le forze di Ravana erano sconfinate, ben addestrate, usavano ogni tipo di arma, ed erano sempre pronte all’azione. Certamente avevano avuto il tempo di riparare i danni inflitti da Hanuman, e adesso che si aspettavano l’attacco di Rama erano certamente molto vigili. Quando Hanuman ebbe finito di parlare, Rama disse fieramente: “Distruggerò senza indugi la grande città di Lanka. Prepariamoci subito a partire, adesso è mezzogiorno, ora di buon auspicio. Le stelle sono favorevoli al nostro successo. Lo spregevole Ravana non riuscirà a scamparla”.
Sugriva applaudì Rama con entusiasmo, e cominciò a dar ordini. Chiese a Nila, il comandante delle sue truppe, di guidare un’avanguardia, per preparare la strada all’esercito, assicurandosi che non ci fossero imboscate. Solo le migliori scimmie dovevano far parte di quel gruppo che aveva un compito arduo e delicato. Rama stesso chiamò le scimmie scegliendole per nome: Gaja, Gavaya, Gandhamadana, Rishaba, Dwivida, Mainda ed altre. Poi disse: “Io andrò sulla groppa di Hanuman, così come Indra sul suo elefante Airavata. Marcerò al centro dell’esercito, incitando le truppe che scorreranno come la piena di un fiume. Lakshmana monterà sulla groppa di Angada, simile a Kuvera, che sul suo elefante Sarvabhauma protegge il quadrante orientale dell’universo.
Sugriva si inchinò a Rama e diede istruzioni dettagliate alle scimmie. I milioni di scimmie si misero in movimento verso sud, e saltando gioiosamente procedettero come una massa di nuvole spinte dal vento. Ruggivano e gridavano: “Stermineremo Ravana e i Rakshasa. Non sopravviverà nessuno”.
Le scimmie giocavano a lanciare in aria i loro compagni e saltavano sopra alberi e colline, con un frastuono simile all’oceano in tempesta. Nella retroguardia c’era Jambavan col suo contingente di orsi. Al centro c’erano Rama e Lakshmana, sulla groppa di Hanuman e Angada, come il sole e la luna uniti a Giove e Venere in mezzo alle stelle.
Lakshmana parlò al fratello maggiore. “I presagi sono tutti buoni, o Rama. Una brezza gentile ci sospinge e il sole splende. Le fiere e gli uccelli ci seguono. Questa luminosa armata di scimmie e orsi ruggisce di gioia. Nei cieli della notte ho visto portentosi segni di buon auspicio. Caro fratello, il successo è vicino”.
Rama sorrise dalla schiena di Hanuman che procedeva a grandi balzi. Il grande esercito sollevava un’enorme nuvola di polvere che velava il cielo. Quando attraversavano i fiumi, le correnti rifluivano per miglia, e quando entravano nei laghi li facevano esondare allagando le terre circostanti. Spezzarono alberi e frantumarono rocce, vantandosi orgogliosamente della loro forza. Viaggiarono giorno e notte, e si avvicinarono rapidamente alla sponda meridionale del continente. Quando raggiunsero l’oceano Rama disse a Sugriva: “Ecco il vasto mare, o scimmia valorosa. Non sarà facile attraversare questo signore dei fiumi. Abbiamo bisogno di qualche espediente. Fermiamoci, facciamo campo e pensiamo cosa fare”.
L’esercito si sparse sulle spiagge per molte miglia, come un secondo mare, e tutte le scimmie si misero a discutere su come raggiungere Lanka, facendo un chiasso che soffocò il rumore del mare. Nessuna di loro poteva emulare il balzo di Hanuman, e i Vanara e gli orsi guardarono le onde cercando di immaginare cosa avrebbero deciso di fare Rama e Sugriva.