A Lanka, Ravana era frastornato. Due volte aveva celebrato la sua apparente vittoria, e due volte era stato forzato a ricredersi. Era seduto nel suo palazzo rimuginando sugli eventi. Quell’esercito di scimmie era stregato, dopo esser stato praticamente annientato da Indrajit, era di nuovo in piedi e combatteva. Adesso anche i due invincibili figli di Kumbhakarna erano stati uccisi, e la situazione stava diventando disperata. Ravana guardò Indrajit: questa volta non doveva fallire. Gli parlò, suo figlio era potente quanto lui stesso. “O eroico principe, questi due mortali devono morire. Li hai sconfitti due volte, ma in qualche modo sono miracolosamente sfuggiti alla morte. Adesso la loro fortuna dev’essere esaurita. Tu hai sconfitto Indra, cosa sono per te due umani? Vai, figlio mio, usa qualunque mezzo e uccidili!”.
Di nuovo Indrajit uscì da Lanka, accompagnato dalle forze residue dei Rakshasa, e di nuovo fece il rito del fuoco sacro, poi si vantò. “I due fratelli umani sono già spacciati. Oggi sarà il giorno della vittoria per mio padre. Questa sera riposerà serenamente, finalmente felice”.
Il principe Rakshasa usò i suoi poteri magici per creare una fitta coltre di oscurità. Si alzò in cielo e attaccò l’esercito delle scimmie. Fece cadere piogge di frecce d’acciaio a centinaia di migliaia. E di nuovo prese di mira Rama e Lakshmana. I due principi erano furiosi per questo attacco proditorio: Rama splendeva come un grande falò alimentato da masse di ghee. Piegò il suo arco a cerchio e scagliò in cielo delle potenti frecce d’oro contro Indrajit, usando il Shabdaastra, che trova il nemico invisibile. Indrajit fu gravemente ferito, e il suo arco cadde a terra insanguinato. Indrajit si allontanò dai principi, bersagliando le scimmie ed uccidendole a migliaia. Allora Lakshmana perse la pazienza, mise una freccia nel suo arco e disse a Rama: “Adesso userò il Brahmastra, caricandolo del potere di uccidere il Rakshasa all’istante. Non dobbiamo tollerare ancora la sua insolenza”.
Rama gli si rivolse per frenarlo. “Non uccidiamo creature innocenti senza che sia necessario, ”, disse, “I Rakshasa a Lanka sono stati puniti a sufficienza dal nostro attacco alla città. Adesso limitiamoci ad uccidere i guerrieri che restano. Io stesso ucciderò subito questo Indrajit se solo indugerà un momento di più sul campo di battaglia”.
Rama dichiarò che il momento per l’uccisione di Indrajit era giunto, e non sarebbe potuto sfuggire alla morte neanche se fosse andato nell’angolo più remoto dell’universo. Rama sollevò l’arco e guardò in cielo.
Intuendo le intenzioni di Rama, Indrajit si ritirò rapidamente dal campo di battaglia, rientrò a Lanka, pensando a che tattica usare. Usando i suoi prodigiosi poteri mistici produsse un’immagine illusoria di Sita, la mise sul suo cocchio, e tornò in campo rendendosi visibile. Hanuman si precipitò contro il cocchio di Indrajit con un macigno in mano, ma vide una donna nelle grinfie del demone. Era bellissima, ma sembrava distrutta dal dolore. Indossava solo una veste, ed era priva di ornamenti, colle membra sporche di polvere e fango. Guardando meglio, Hanuman riconobbe Sita.
Indrajit prese la spada e afferrò Sita per i capelli, e si mise a colpirla, mentre lei gridava: “Rama! O Rama!”
A quella vista Hanuman fu preso dall’angoscia, e pianse calde lacrime. Urlò rabbiosamente: “O essere malvagio, morirai per questo! Discendi da un bramino Rishi, ma sei indegno, malvagio e peccatore. Come puoi uccidere una donna indifesa, strappata dalla sua casa e da suo marito, debole e devastata dal dolore mentre invoca protezione? La tua morte è vicina, e tu andrai in una regione buia e dannata, infestata da infime creature”.
Indrajit rise, lasciò andare la forma di Sita, afferrò l’arco e scagliò mille terribili frecce contro Hanuman e le altre scimmie. Poi riprese Sita per i capelli e replicò con durezza a Hanuman: “Adesso ucciderò colei per cui siete venuti e per cui avete combattuto. Poi farò fuori Rama e Lakshmana ed anche te, o scimmia. Non mi preoccupo dell’immortalità delle mie azioni, perché si deve fare con ogni mezzo qualunque cosa dia dolore al nemico”.
Indrajit alzò la spada e tagliò in due la forma di Sita, e disse sghignazzando: “Ecco, l’ho uccisa. I vostri sforzi per salvarla sono stati vanificati. Continuate a combattere se volete, e farete la sua stessa fine”.
Il demone si levò alto nel cielo facendo un carosello col suo cocchio d’oro. Hanuman, angosciato e furibondo, si gettò sui Rakshasa in una frenesia omicida ruggendo, e sgominò l’esercito dei demoni come il fuoco della dissoluzione universale. Prese un enorme macigno e lo scagliò contro il carro di Indrajit, ma il demone salì ancora più in alto. La roccia non lo raggiunse e ricadde a terra, schiacciò centinaia di demoni ed aprì un cratere nel terreno.
Hanuman era disperato, guardò l’esercito dei Vanara e gridò: “Smettete di combattere, lo scopo della nostra guerra non si può più raggiungere perché Sita è morta. Torniamo da Rama e chiediamogli cosa fare”.
Le scimmie si ritirarono e andarono da Rama e Lakshmana, e allora anche Indrajit si ritirò coi demoni, e andò nel santuario della caverna nota come Nikumbhila. Lì si mise a officiare un rito per assicurarsi la vittoria adorando la potente dea Kali, una spaventosa forma dell’energia materiale, facendo offerte di sangue nel fuoco sacro. Il demone sapeva che presto si sarebbe combattuta l’ultima battaglia. Aveva ricevuto da Brahma il dono per cui, dopo aver compiuto il rito a Nikumbhila, sarebbe stato invincibile fino alla sconfitta del suo nemico. Era giunto il momento per usare quel dono. Indrajit recitò i sacri Mantra, seduto intorno al fuoco coi Rakshasa.
* * *
Hanuman si recò da Rama e gli diede la terribile notizia. Rama svenne e cadde al suolo, come un albero tagliato alle radici. Le scimmie presero dell’acqua fresca e profumata e lo spruzzarono. Lakshmana, affranto dal dolore si inginocchiò vicino a Rama e lo sollevò, parlandogli con voce strozzata: “A cosa serve vivere una vita virtuosa? O Rama come è possibile che uno come te soffra per tante avversità? Se la rettitudine servisse a qualcosa, queste disgrazie non sarebbero mai accadute. Se i frutti delle azioni premiassero i giusti e punissero i malvagi, allora Ravana sarebbe sprofondato da tempo all’inferno, e tu saresti già riunito alla tua sposa. Ma cosa può influenzare il destino? Agisce secondo la sua volontà, e le nostre azioni sono deboli, e i loro risultati incerti”.
Lakshmana pianse per il dolore, e pensando a Indrajit i suoi occhi si fecero di fuoco per la rabbia. Incitò Rama ad alzarsi per vendicare Sita. Insieme avrebbero distrutto la città con tutti i suoi abitanti.
Mentre Lakshmana parlava a Rama, arrivò Vibhishana, e vide Rama che giaceva semisvenuto con la testa in grembo a Lakshmana. Tutt’intorno le scimmie piangevano dal dolore. Vibhishana si rattristò al vedere Rama in quello stato, si inginocchiò a fianco di Lakshmana e chiese cosa era successo. Il principe gli disse di Sita.
Vibhishana ci pensò per un po’ e poi piano piano si mise ad annuire. “La notizia della morte di Sita è assurda, quanto che l’oceano si sia asciugato” , disse, “È impossibile che Ravana abbia permesso che la principessa venisse uccisa. Lui è talmente preso dal desiderio di possederla che, benché io lo abbia messo in guardia dalle conseguenze di tenersela, quel peccatore di un demonio non ha voluto restituirtela. Siete stati ingannati dall’infido Indrajit. Quella donna che ha ucciso era una pura illusione, non ho alcun dubbio”.
Rama aprì gli occhi e guardò Vibhishana. Il Rakshasa disse che Indrajit doveva aver creato quell’illusione per indebolire Rama e guadagnare tempo. Adesso era probabilmente nel santuario di Nikumbhila per fare un rituale. Se gli si permetteva di finirlo, sarebbe stato impossibile sconfiggerlo. Non c’era tempo da perdere, le scimmie dovevano andare subito al santuario per interromperlo. Rama era ancora sconvolto, e non capì completamente le parole di Vibhishana, e chiese al Rakshasa di ripetere quello che aveva detto. Vibhishana ripeté tutto di nuovo, e poi disse: “Alzati e fatti coraggio, salveremo Sita. Richiama le truppe e mandale con Lakshmana, che certamente potrà uccidere il demone con le sue frecce mortali”.
Vibhishana parlò a Rama del dono di Brahma. Se fosse stato disturbato durante il rituale, Indrajit avrebbe potuto essere ucciso. Ecco la ragione per cui aveva creato l’illusione della morte di Sita, pensando di mandare in confusione Rama e l’esercito per un tempo abbastanza lungo. Vibhishana incitò Lakshmana. “Vai subito, o valoroso, e quando Indrajit sarà morto, Ravana e il suo esercito potranno essere facilmente sconfitti”.
Rama si alzò e disse a Vibhishana: “Quello che dici è vero, o creatura della notte. Indrajit è potente nella sua magia e formidabile in battaglia. Quando solca i cieli sul suo cocchio nemmeno i Deva riescono a vederlo. Bisogna ucciderlo subito”.
Rama si rivolse a Lakshmana e gli ordinò di andare immediatamente a Nikumbhila. Vibhishana gli avrebbe mostrato la strada, e le migliori scimmie, comandate da Sugriva e Hanuman, lo avrebbero accompagnato.
Lakshmana ne fu entusiasta, si inchinò a Rama e gli toccò i piedi. Prese l’arco e la spada, e pronto a tutto tuonò: “Oggi le mie frecce trafiggeranno il corpo di Indrajit e lo faranno a pezzi. È come se fosse già morto”.
Rama recitò dei Mantra vedici di benedizione, le scimmie esultarono e con Lakshmana alla testa, partirono per il santuario. Dopo svariate miglia, Vibhishana avvistò l’esercito dei Rakshasa che Indrajit aveva disposto attorno al santuario. Da lontano appariva come una massa di nuvole scure sulla terra.
Le scimmie e gli orsi presero rocce ed alberi e caricarono subito i Rakshasa, che risposero con ogni tipo di arma. Il cielo si riempì di proiettili, ma le scimmie, col vantaggio della sorpresa, cominciarono ad avere la meglio. I Rakshasa in fuga gridarono aiuto, e chiamarono Indrajit. Il figlio di Ravana si rese conto di essere disturbato e si indignò. Chi era stato così insolente da attaccarlo mentre faceva un sacrificio? Senza aver completato il rituale uscì dalla caverna, e vedendo la battaglia che infuriava, salì sul suo cocchio e si gettò nella mischia.
Hanuman aveva preso il comando della battaglia e stava devastando le file dei demoni. Aveva in mano un albero enorme con cui schiacciava a morte i demoni. I Rakshasa lo circondarono con una pioggia di dardi, lance e giavellotti, ma Hanuman se la rideva continuando a massacrare i demoni. Indrajit lo vide e ordinò al suo auriga di portarlo davanti alla scimmia. Quando Indrajit gli si parò davanti, Hanuman lo sfidò a duello. “Mostra la tua forza, o malvagio! Oggi non uscirai vivo”. Indrajit prese il suo arco e si preparò a colpire Hanuman. Allora Vibhishana disse a Lakshmana di attaccare subito Indrajit. Lakshmana pizzicò la corda del suo arco facendo un suono terribile. Indrajit si girò e vide il principe che lo chiamava. “Ti sfido a duello. Resta visibile e combatti lealmente, se ne hai il coraggio. La morte ti attende, o vile Rakshasa”.
Indrajit vide Vibhishana vicino a Lakshmana e lo rimproverò con parole aspre. “Sei la disgrazia della nostra razza, o zio. Come puoi essermi nemico, che sono come un figlio per te? Cosa ne sai della virtù? Hai abbandonato la tua gente e ti sei schierato col nemico. Ti sei degradato fino a indicare il mio punto vulnerabile, danneggiando gravemente tuo fratello. Non sai distinguere il bene dal male”. Vibhishana replicò che non condivideva la natura dei Rakshasa, e malgrado fosse della loro razza non traeva piacere dagli atti peccaminosi che loro si godevano. Citando i testi vedici, disse al nipote: “Si deve sempre abbandonare un parente iniquo, come se fosse una casa in fiamme. Non c’è peccato più grave del rubare la moglie d’altri. Ravana, uccidendo i Rishi e facendo guerra contro i Deva, ha perso ogni senso del giusto. Adesso che ha rapito la moglie di Rama, ha fatto traboccare il vaso dei suoi peccati, e morirà presto con tutti i suoi parenti. Ma prima, anzi oggi, tu morirai per mano di Lakshmana”.
Indrajit replicò duramente, e alzando il suo arco sbeffeggiò Lakshmana che era sulle spalle di Hanuman. “Come farai a resistere alle mie frecce che hanno la forza del fulmine? Ti sei già avviato sulla strada del regno di Yamaraja. Ti ci mando subito, con tutte queste scimmie”.
Lakshmana, sentendo queste vanterie si infuriò e gli rispose con voce tuonante. “Sei forte solo a parole, o Rakshasa! I veri valorosi si vedono grazie alle azioni, non per le vanterie. Gli eroi autentici non combattono rendendosi invisibili. Tu sei solo un ladro e un codardo. Se hai un po’ di valore, mostralo adesso! Sono qui, a portata delle tue armi”.
Indrajit lanciò subito dozzine di frecce che sibilarono nell’aria e colpirono Lakshmana perforandogli l’armatura e facendolo sanguinare. Il principe era furibondo, e sembrava un fuoco senza fumo. Senza esitare prese cinque frecce di ferro lavorate con oro e penne d’aquila, le incoccò, e tirando la corda dell’arco fino all’orecchio le scagliò contro Indrajit. Le frecce volarono come i raggi del sole, trafiggendo il petto del Rakshasa. Il demone rispose con altre tre frecce infuocate.
I due combattenti lottarono come leoni furiosi, cercando una vittoria rapida. Lakshmana che combatteva sulla groppa di Hanuman, sfoggiò una grande abilità, e le sue frecce colpirono Indrajit da ogni parte come dei fulmini.
Il Rakshasa fu stordito dall’attacco di Lakshmana e cadde nel suo cocchio, poi si riprese e lanciò delle urla cercando di intimidire il principe, ricordandogli come lo avesse già sconfitto in due occasioni. Lakshmana se l’era dimenticato, altrimenti come sarebbe stato così sciocco da lottare con lui?
Il Rakshasa trafisse contemporaneamente Lakshmana, Vibhishana e Hanuman con una dozzina di frecce ciascuno. Lakshmana rise schernendo la forza del demone. “Queste frecce non sono nulla, mi colpiscono come dei fiorellini, e aumentano la mia voglia di combattere” Lakshmana colpì il Rakshasa con una volata di frecce a rapido corso che fecero a pezzi la sua pesante armatura d’oro. Il demone era coperto di sangue e brillava come il sole del mattino. In risposta Indrajit lanciò un migliaio di frecce che distrussero l’armatura di Lakshmana. I due guerrieri benché feriti, combatterono strenuamente per molte ore, e nessuno dei due si sentiva stanco o si ritrasse. Nuvole di frecce solcarono il cielo come piogge nel cielo d’autunno. Entrambi i contendenti erano esperti di armi mistiche, e le lanciavano e le paravano continuamente. Le frecce si scontravano facendo fuoco e scintille, le palle di fuoco venivano contrastate da cascate d’acqua, e le armi che creavano tempeste venivano opposte ad altre che frapponevano montagne inamovibili.
La lotta continuò a lungo, e il terreno era coperto di una massa di frecce che sembravano un tappeto della sacra erba Kusha. I principi, con le frecce infilate in tutto il corpo, sanguinavano abbondantemente, e apparivano come montagne piene di alberi, con venature di ossidi rossi. Vibhishana esortò le scimmie a combattere i Rakshasa, dicendogli che quell’esercito era tutto quello che rimaneva di loro. Poi ripassò i nomi dei guerrieri Rakshasa uccisi, riempiendo così di gioia le scimmie e dandogli nuova forza per la lotta. I Vanara frustarono il terreno con le loro code mostrando i loro temibili denti. Vibhishana prese il suo arco scagliando le sue frecce mortali contro i demoni. Le scimmie ruggirono come leoni e si gettarono sui Rakshasa, e ne seguì una battaglia furibonda.
Lakshmana scese dalla groppa di Hanuman, e la scimmia si tuffò nella mischia, falciando i demoni a centinaia con un tronco d’albero. Jambavan guidò il suo esercito di orsi feroci nel mezzo della battaglia, e la mischia si estese, con demoni, orsi e scimmie che si colpivano selvaggiamente.
Lakshmana da terra, fronteggiò Indrajit, mentre il Rakshasa rimase nel suo carro tirando migliaia di frecce. Il principe si infuriò e scagliò quattro frecce alle quattro spaventose tigri che tiravano il cocchio di Indrajit. Come le belve furono colpite il carro si fermò. Allora Lakshmana prese una freccia a punta di falce e la scagliò contro il cocchiere, e come questi cadde, quattro eroiche scimmie balzarono sul cocchio di Indrajit e attaccarono le tigri riducendole ad una poltiglia senza vita, e poi tornarono al fianco di Lakshmana.
Indrajit saltò a terra e diede ordine ai suoi di fermare le scimmie e di tenere impegnato Lakshmana. Poi si librò nell’aria e tornò a Lanka per prendere un altro cocchio, ed in breve riapparve su un carro d’oro pieno di armi di ogni tipo. Attaccò Lakshmana e Vibhishana contemporaneamente, mandando anche volate di frecce contro le scimmie. I suoi movimenti erano così rapidi che non si poteva vedere quando alzava l’arco, lo tendeva o incoccava un’altra freccia. Si vedeva solo una striscia continua di dardi spediti in tutte le direzioni.
Indrajit fece a pezzi migliaia di scimmie, che caddero gridando e invocando la protezione di Lakshmana. Con gli occhi che mandavano lampi di rabbia Lakshmana lanciò cinque frecce di precisione che spezzarono in due l’arco di Indrajit. I Deva e i Rishi riuniti in cielo, applaudirono questo splendido colpo. Poi il principe trafisse Indrajit con una dozzina di frecce che gli attraversarono il corpo e penetrarono nella terra come serpenti rossi.
Indrajit vomitò sangue, prese un altro arco e lanciò cento frecce contro Lakshmana. Le frecce sibilarono nell’aria con vivide fiamme rosse, ma Lakshmana rimase calmo e le parò. Indrajit continuò a lanciare altre frecce, e Lakshmana continuò a pararle tutte, poi si dispose all’attacco del demone tagliando di nuovo la testa del cocchiere con un dardo a punta di falce. I cavalli di Indrajit, pur privati della guida, continuarono a trainare il cocchio alzandosi in alto e descrivendo cerchi confusi.
Lakshmana mostrò una bravura sbalorditiva. Ricoprì il cocchio di Indrajit di frecce e trafisse tutti i demoni che lo circondavano. Il principe Rakshasa discese di nuovo scagliando tre frecce che si infissero nella fronte di Lakshmana, facendolo sembrare una montagna dalle tre cime, e lui rispose con cinque dardi che finirono sulla testa di Indrajit. I due duellanti sanguinavano abbondantemente dalle loro ferite, sembrando degli alberi di kinshuka in piena fioritura.
Mentre Indrajit vacillava per questi colpi, Lakshmana lanciò quattro frecce che uccisero i quattro cavalli del demone. Il Rakshasa saltò giù dal suo cocchio scagliando una lancia d’oro che sembrava un fulmine contro Vibhishana, e Lakshmana la fece a pezzi con cinque frecce. Vibhishana prese il suo arco e trafisse al petto Indrajit con delle frecce che fecero il rumore del tuono.
Indrajit mugghiò di rabbia, e prese dalla faretra una freccia incandescente che aveva ricevuto da Yamaraja. Lakshmana vide che il demone stava incoccando l’arma mistica, e rapidamente invocò un’arma che aveva ricevuto in sogno da Kuvera. I due duellanti tesero gli archi caricati delle armi divine, e gli archi emisero un suono penetrante, simile allo stridio delle gru. Le due armi volarono insieme e si scontrarono violentemente a mezz’aria illuminando i cieli, con un gran fuoco e una cortina di fumo nero. I missili caddero a terra in frammenti fiammeggianti. Lakshmana invocò il Varunastra, l’arma presidiata dal Deva delle acque, e resosi conto di questo, Indrajit contrastò l’arma con un’altra impregnata del potere di Shiva. Poi il Rakshasa liberò l’Agneyastra, che venne intercettato da Lakshmana col Suryastra, il missile caricato con l’immensa potenza del Deva del sole. Indrajit, fermo sul campo, incoccò una lunga freccia e si mise a recitare delle formule magiche; dal suo arco uscirono dardi, mazze, spade, asce, martelli ed altre armi che volarono a centinaia. Lakshmana rimase imperturbabile e neutralizzò l’arma di Indrajit invocando l’arma presieduta dal Deva del vento.
La battaglia fra l’uomo e il demone infuriava, tutti e due si scambiavano i loro missili mortali e riempivano il cielo di nuvole di frecce. Nessuno dei due dava segno di stanchezza, ed entrambi erano presi dalla frenesia della lotta. Tutto intorno a loro le scimmie e i Rakshasa si scontravano in una tremenda mischia sanguinosa. I Deva, con a capo Indra, e in compagnia dei grandi Rishi, si erano riuniti nella volta del cielo, pregando Vishnu e mandando benedizioni a Lakshmana e ai Vanara, augurandogli la vittoria.
Lakshmana vide numerosi segni che presagivano la vittoria, e pensò che era arrivato il momento di uccidere Indrajit. Dopo aver pensato per un attimo il principe incoccò una freccia che aveva ricevuto da Rama, e che in precedenza era appartenuta a Indra. Questa splendida freccia era carica di una potenza inimmaginabile. Era d’oro lavorato con gemme, con penne di pavone. La grande punta d’acciaio, incrostata di diamanti, era piatta e larga con i bordi taglienti come rasoi. Lakshmana la mise nell’arco e invocò il divino Aindrastra, l’arma presieduta dal re dei Deva.
L’eroico Lakshmana concentrò la sua mente e scagliò la freccia che viaggiò verso Indrajit con un sibilo lacerante. Prima che il Rakshasa potesse fare una mossa per parare l’arma, questa gli staccò la testa dalle spalle. Il figlio di Ravana crollò a terra e l’arco gli cadde di mano. Le scimmie, gli orsi e Vibhishana si rallegrarono a gran voce, ed in cielo i Deva, i Gandharva e i Rishi lanciarono un grido di vittoria.
I Rakshasa persero ogni velleità di combattere, e fuggirono terrorizzati, alcuni verso Lanka, altri si nascosero nelle caverne delle montagne ed altri si buttarono in mare. Avendo visto Indrajit morire, sparirono dal campo di battaglia come i raggi di luce quando il sole tramonta. Il Rakshasa giaceva sul campo come un fuoco spento.
Nel cielo allora risuonò il rullio dei tamburi, e si sentì il canto dei Gandharva e delle Apsara. Il cielo divenne sereno e le acque del mare si fecero calme, e mentre la polvere si adagiava sul campo di battaglia piovvero fiori d’oro dal cielo. Apparvero i Siddha, i Charana e i Gandharva che vennero a vedere il Rakshasa morto. Le scimmie saltarono per la gioia, ruggendo e applaudendo Lakshmana.
Il principe, accompagnato da Hanuman, Jambavan e Vibhishana, tornò da Rama, e si mise al suo fianco con l’arco in mano, come Indra al fianco di Vishnu. Rama sorrise e lo guardò con affetto. Vibhishana raccontò come Indrajit fosse stato ucciso, e Rama disse a Lakshmana: “Ben fatto, o fratello! Oggi hai compiuto una grande impresa, che certamente ci porterà alla vittoria. Hai tagliato il braccio destro di Ravana, e la sua più grande speranza di successo in questa guerra. Adesso che il malvagio e spietato Indrajit è morto, vedremo Ravana, il peccatore, presentarsi sul campo di battaglia, e allora lo spedirò nella dimora della morte con tutto il suo esercito”.
Rama ringraziò tutti i guerrieri che avevano accompagnato Lakshmana, e che avevano lottato per tre giorni interi. Erano tutti gravemente feriti, e Lakshmana stesso era in cattive condizioni con moltissime ferite da freccia, tormentato dal dolore e col respiro affannato. Rama chiamò Sushena, la scimmia guaritrice, e gli ordinò di curare tutti coi rimedi celesti. Poi si riposarono sul campo in attesa della prossima mossa di Ravana.