Capitolo Trentatreesimo

La battaglia finale

Mentre Ravana fuggiva spaventato, Rama tornò da Lakshmana, e si sedette al fianco del fratello prendendogli la testa fra le mani. Lakshmana sembrava morto, la ferita al petto aveva un aspetto terribile e sembrava che il principe non respirasse. Rama soffocava per le lacrime e diede voce al suo dolore. “Che pena vedere il mio amato fratello in questo stato! Le forze mi stanno abbandonando. Anche se vincerò questa battaglia, non potrò gioire senza Lakshmana. Questo principe mi ha seguito nel bene e nel male, e se è partito per le regioni della morte, io lo seguirò”.

Rama si lamentò ad alta voce per qualche tempo. Cosa avrebbe potuto dire a Sumitra al suo ritorno? Come poteva presentarsi da Bharata e Shatrughna? Certamente lo avrebbero criticato per aver mancato di proteggere il suo fratello minore. Sarebbe stato meglio lasciarsi morire piuttosto che udire i rimproveri dei suoi cari.

Hanuman lo consolò, chiamò Sushena, il medico dei Vanara. Forse Lakshmana avrebbe risposto alle cure delle erbe celesti. Sushena si avvicinò al principe caduto, lo esaminò attentamente, e guardando Rama disse: “Tuo fratello è ancora vivo. Vedi come non ha perso la sua luminosità, vedo che respira e sento il battito del suo cuore. Ma deve essere curato urgentemente”.

Sushena chiese che gli fossero portate altre di quelle erbe celesti che Hanuman aveva preso nell’Himalaya e le somministrò a Lakshmana. Per il potere divino dell’erba Sanjivakarani il principe riprese lentamente i sensi. Poi Sushena gli somministrò le erbe Vishalyakarani e Sandhani, che insieme guarirono la tremenda ferita e ripararono le sue ossa. Lentamente Lakshmana si mise a sedere e si guardò intorno. Rama scoppiava di gioia, si strinse Lakshmana al petto e disse: “Per fortuna sei stato salvato dalle fauci della morte. Se tu fossi morto, non avrei potuto continuare questa battaglia”.

Lakshmana si dispiacque e replicò: “Hai fatto il voto solenne di uccidere Ravana e insediare Vibhishana sul trono di Lanka. Devi rispettarlo in qualunque circostanza. O grande eroe, porta subito a compimento il tuo voto, faccelo vedere morto!”.

Rama afferrò il suo arco, e una furia terribile si impossessò di lui. Era giunta l’ora di finire quel demone arrogante. Rama si guardò intorno e vide Ravana seduto sul suo cocchio d’oro. Aveva riposato e stava caricando Rama come il malefico pianeta Rahu si scaglia contro il sole. Rama lanciò un nugolo di frecce di fuoco che colpirono il demone, che a sua volta lanciò i suoi fiumi di dardi che sibilarono come serpenti mentre volavano verso Rama.

I Deva osservavano il combattimento dal cielo, e Indra, vedendo che Rama combatteva da terra, decise di aiutarlo. Chiamò Matali, il suo auriga, e gli chiese di portare a Rama il suo carro. In un attimo il radioso cocchio di Indra, tirato da mille cavalli, apparve sul campo di battaglia a fianco del principe. Matali si rivolse rispettosamente a Rama a mani giunte. “Ecco il cocchio di Indra, o Raghava, e qui c’è anche il suo arco e altre armi infallibili, insieme a questa impenetrabile armatura d’oro. Usali per sconfiggere Ravana, il nemico dei Deva. Io ti farò da auriga”.

Rama guardò con stupore e meraviglia lo splendido veicolo, ornato di gemme e ghirlande di fiori celesti. Al centro v’era uno stendardo d’oro splendente, montato su un’asta di gemme catarifrangenti. Il cocchio stava sospeso nell’aria all’altezza di un arco, e una scala di cristallo scendeva fino ai piedi di Rama. Il principe circoambulò il cocchio e poi salì a bordo, indossando rapidamente l’armatura di Indra e prendendo l’arco con le sue frecce celesti. Sul cocchio divino sembrava il sole che illumina i quattro quarti. Al comando di Matali i cavalli si misero in moto ed il cocchio si mosse con un rombo che riempì i cieli e la terra.

Ravana si rese conto che Indra, il suo mortale nemico, stava aiutando Rama, e si infuriò ancora di più. Lanciò un missile cosmico che scatenò centinaia di migliaia di serpenti dall’aspetto spaventoso, che vomitavano fiamme dalle fauci spalancate e si contorcevano e sibilavano volando verso Rama.

Rama allora invocò un’arma presieduta da Garuda, e un nugolo di frecce uscì dal suo arco trasformandosi in volo in aquile dagli artigli taglienti e dai becchi ricurvi che intercettarono e distrussero tutti i serpenti scagliati da Ravana.

Il demone ruggì di rabbia, e colpì Matali e tutti i cavalli con una pioggia di frecce con le punte di acciaio rovente, e poi lanciò una freccia dalla punta di falce che tagliò lo stendardo d’oro del cocchio. Di seguito mandò una serie di dardi che colpirono Rama in ogni parte del suo corpo. In pochi secondi il cocchio di Indra era talmente ricoperto dalle frecce di Ravana, che non si vedeva più.

Con le sue dieci teste e il suo gigantesco arco, Ravana stava sul suo cocchio come il monte Mainaka sorto dall’oceano. Vedendo che Ravana stava sopraffacendo Rama con le sue frecce, i Deva e i Rishi si angosciarono. Le scimmie ebbero paura, notando cattivi presagi. Il sole si oscurò e l’oceano si agitò con onde che sembravano raggiungere il cielo. Gli sciacalli ululavano e i fantasmi si aggiravano sul campo di battaglia.

L’attacco di Ravana era così intenso che Rama non riusciva nemmeno a sollevare l’arco per incoccare le frecce. I suoi occhi divennero rossi di rabbia, e pensò di distruggere tutta la razza dei Rakshasa. Matali guidò il cocchio con grande perizia verso l’alto allontanandosi dalla grandinata di frecce di Ravana, accelerando violentemente e venendo fuori come il sole che esce dalle nubi. I Deva mandarono benedizioni a Rama, mentre i Daitya e i Danava benedicevano Ravana.

Quando il re dei demoni vide il suo nemico di nuovo davanti a lui, mise al suo arco una freccia dall’aspetto spaventoso. L’arma aveva dei rostri come cime di montagne, e una punta infuocata che splendeva di una luce tale da non poter essere guardata. L’arma era cara a Ravana che l‘aveva curata ed adorata, risparmiandola per l’incontro con un nemico mortale. Né i Deva né i demoni potevano resisterle. Ravana alzò il suo braccio simile a un serpente e ruggì con tutta la sua voce. La terra e le montagne tremarono, mandando in fuga leoni ed elefanti. Guardando Rama, Ravana tuonò. “Questo dardo, potente come un fulmine, ti strapperà la vita. Ti colpirà assieme a tuo fratello, vendicando tutti i Rakshasa che hai ucciso. Difenditi se puoi!”

Il demone scagliò la sua arma, che volò con uno stridio assordante emettendo i bagliori dei fulmini. Rama lanciò all’istante cento frecce, ma furono deviate e caddero al suolo. Senza perdere un attimo Rama prese il giavellotto celeste di Indra e lo scagliò con forza facendolo volare come una meteora infuocata contro il dardo. L’arma di Ravana, colpita dalla lancia divina, si frantumò e cadde a terra. Il giavellotto, con il tintinnio dei suoi campanellini, ritornò al cocchio di Indra.

Dopo questa impresa, Rama continuò lanciando immediatamente una forte volata di frecce contro il demone, che trafissero tutti i suoi arti e le dieci teste. Il demone fumava di rabbia e rispose con un ugual numero di frecce che Rama parò continuando a colpire. Allora il Rakshasa mandò un numero ancor maggiore di dardi che penetrarono le difese di Rama e perforarono la sua armatura. Rama col petto insanguinato sembrava un grande albero di kinshuka in pieno fiore.

Nessuno dei due avversari poteva vedere chiaramente l’altro dal numero di frecce che volava nell’aria. Rama si ritrasse dall’attacco di Ravana e rise. Rimproverò il demone. “Sei orgoglioso della tua forza, o Rakshasa, ma ora non ti basterà. Non puoi più essere considerato un eroe da quando hai rapito mia moglie in mia assenza. Se ci avessi provato quando c’ero io, oggi non saresti vivo. Per mia fortuna oggi ti sto affrontando. Preparati a raccogliere i frutti delle tue ignobili azioni, o vile! Presto gli uccelli da preda e le belve si nutriranno della tua carne e del tuo sangue”.

Rama scagliò contro Ravana frecce su frecce con energia raddoppiata. Il principe sentiva crescere la foga della battaglia. Invocò tutti i missili celesti che apparvero subito davanti a lui. Con gioia Rama lanciò i missili contro il demone uno alla volta, recitando in totale concentrazione i loro Mantra. Le frecce cariche del potere mistico degli Astra colpirono Ravana facendolo barcollare, e le scimmie lo bombardarono con rocce e alberi. Il demone era ridotto in condizioni pietose, e non riusciva nemmeno ad alzare l’arco per difendersi. Cadde sul fondo del cocchio, e l’auriga lo portò via dalla lotta e si ritirò.

Ravana rimase stordito per un po’ di tempo, e poi si riprese lentamente e vide che il suo cocchiere lo aveva portato lontano dal campo di battaglia e lo sgridò con dure parole. “Disgraziato, hai pensato che avessi perso le mie forze, il mio eroismo e il mio valore, e mi hai coperto di vergogna. Oggi hai compromesso la mia dignità e la mia fama. Col nemico di fronte che si aspettava le mie frecce, hai fatto di me un codardo”.

Ravana era fuori di sé per la rabbia, e accusò l’auriga di essersi alleato col nemico, e gli ordinò di ritornare immediatamente a fronteggiare Rama. Il cocchiere si difese dicendo che aveva fatto ciò che pensava fosse il suo dovere, essendo Ravana completamente soverchiato da Rama. Aveva soltanto voluto salvare la vita del suo signore. Citò anche dei versi delle sacre scritture che suffragavano le sue azioni, e chiese perdono a Ravana. Il re dei demoni si placò, e gli ordinò di tornare verso la lotta a tutta velocità.

Sul campo, Rama era esausto per il combattimento. Il grande Rishi Agastya aveva osservato dal cielo la battaglia assieme ai Deva. Discese sul cocchio di Rama e gli parlò. “O Rama, ti prego, ascolta il segreto di una preghiera segreta, l’Aditya-Hridaya. Questa preghiera richiamerà la potente energia spirituale dal cuore del sole. È l’essenza dello splendore di Vishnu. Con questo potere si può superare qualunque ostacolo, e distruggere i nemici alla radice”.

Agastya insegnò a Rama come recitare la preghiera che avrebbe richiamato il potere combinato di tutti i Deva, che emana dai raggi del corpo di Vishnu. Con quel potere Rama avrebbe potuto sconfiggere Ravana prima del calare della notte, quando l’energia del demone si sarebbe raddoppiata.

Il Rishi ritornò nei cieli, e Rama si rivolse al sole. Sorseggiò dell’acqua per purificarsi, e recitò l’Aditya-Hridaya. Subito si sentì riempire di estrema beatitudine, la sua mente divenne intensamente vitale, e tutta la sua stanchezza svanì. Prese l’arco, e rimanendo ben saldo sul cocchio di Indra, fissò Ravana e incitò Matali a lanciarsi contro il demone.

Il Deva del sole in persona stava in cielo fra gli altri Deva, e gli mandò una benedizione: “Che la vittoria ti arrida!”

Rama vide il cocchio di Ravana, trainato da cavalli neri con le teste di demonio, che arrivava a tutta velocità, riempiendo di fragore l’universo.

Rama disse a Matali, “Dal modo in cui si precipita di nuovo nella mischia, sembra che questo Rakshasa cerchi la sua fine. Avvicinati con cautela. Distruggerò il suo cocchio come il vento spazza una nuvola”.

Preso l’arco di Indra, Rama frenò la sua impazienza aspettando l’opportunità di attaccare il demone che manovrava sul campo. Matali guidò il cocchio di Indra in cerchi con grande perizia avvicinandosi a Ravana, mentre i due avversari si scambiavano fiumi di frecce come due leoni che lottano per uccidersi.

Improvvisamente apparvero dei terribili presagi. Del sangue piovve sul cocchio di Ravana, mentre dei violenti turbini lo scuotevano. Uno stormo di avvoltoi volò in cerchio sopra il demone, mentre Lanka era avvolta in una luce rossa. Caddero dal cielo delle grosse meteore, e la terra tremò, il cielo si oscurò anche se il sole splendeva, e dei fortissimi tuoni e fulmini caddero sull’esercito dei Rakshasa. I cavalli di Ravana piansero lacrime bollenti, e lanciarono scintille dalla bocca.

Intorno a Rama si videro presagi favorevoli, che promettevano una vittoria imminente. Il sole lo illuminò intensamente e una dolce brezza spirò dietro di lui. Sentì pulsare il braccio e l’occhio destro, e una gran gioia gli pervase la mente.

Rama e Ravana si scontrarono e gli eserciti rimasero immobili colle armi in mano, insieme ai Rishi, i Deva e i Gandharva, a guardare con meraviglia l’uomo e il demone impegnati in un duello disperato.

Rama incoccò una freccia affilatissima, irresistibile come il fulmine e di luminoso splendore. Tese l’arco alla sua massima estensione e scagliò la freccia contro il vessillo di Ravana, troncando il palo alla base, e la bandiera cadde a terra sventolando.

Ravana si indignò e mandò una grandinata di frecce fiammeggianti contro i cavalli di Rama. I cavalli celesti, colpiti dalle frecce non sussultarono nemmeno, ma continuarono a trainare il grande cocchio con varie circonvoluzioni per schivare le frecce di Ravana. Il demone lanciò una nuvola di mazze, spranghe di ferro, dischi, martelli, cime di montagne, alberi, picche ed asce a doppio taglio, e allo stesso tempo lasciò partire una volata di frecce contro il carro di Rama, come strisce di fulmini dorati.

Con la guida esperta di Matali il cocchio continuò ad evitare le armi di Ravana, che in preda ad una furia sempre più violenta diresse i suoi missili mistici contro l’esercito delle scimmie. Rama allora mise un‘arma cosmica al suo arco che mandò innumerevoli frecce nel cielo, che frantumarono le armi del Rakshasa. Nessuna delle frecce che Rama tirò mancò il bersaglio. Il cielo era pieno dei suoi dardi dalle piume d’oro. I missili dei due avversari si scontrarono in cielo con milioni di esplosioni di fuoco e nubi di fumo.

Rama e Ravana combatterono violentemente per ore e ore senza interruzione. Si scambiavano colpo su colpo, senza stancarsi e senza cedere di un pollice. Coloro che osservavano la battaglia avevano i capelli dritti in testa, e non potevano distogliere gli occhi dai contendenti che lottavano per la vittoria. Ravana mandò venti, poi sessanta, cento e poi mille frecce contro Rama cercando le sue parti vitali, e cercando di uccidere il cocchiere e i cavalli. Rama rispose con il doppio di frecce, trafiggendo i cavalli e l’auriga di Ravana, senza smettere di bersagliare il demone.

Era passata una mezza giornata e nessuno dei due sembrava prevalere. Ravana si compose ed invocò il Rakshasa-astra, caricandolo di tutti i suoi poteri mistici. Immediatamente l’aria si riempì di una fitta pioggia di armi di ogni genere. Tutto il globo tremò, e l’oceano divenne agitatissimo. Apparvero diavoli e serpenti che urlavano in cielo lanciando fiamme dalla bocca. Il sole perse la sua luminosità e l’aria divenne immobile.

Persino i Deva in cielo si spaventarono e gridarono: “Che il mondo si salvi!”

Con perfetta concentrazione Rama invocò il Gandharva-astra che fece apparire centinaia di migliaia di frecce che si opposero alle armi di Ravana. I missili demoniaci colpiti dalle frecce di Rama, caddero al suolo bruciando.

La battaglia fra Rama e Ravana si poteva paragonare solo a se stessa, non si era mai vista una lotta come quella. I Deva guardarono con ansia Rama sotto gli attacchi del signore dei Rakshasa, ma lui rimase calmo, e prese dalla faretra un’enorme dardo a punta di rasoio che assomigliava a un serpente. Lo incoccò e lo scagliò in un istante. Quell’arma pregna di potere mistico si divise in dieci e tagliò le teste di Ravana, ma queste ricrebbero istantaneamente. Rama lanciò un’altra freccia mistica e tagliò di nuovo le teste del Rakshasa, e queste ricrebbero di nuovo.

Rama tagliò cento teste, ma il demone rimase in piedi, e Rama contemplò questo stupendo fenomeno senza rallentare il suo attacco. Come si poteva uccidere quel demone? Sembrava che nessun’arma gli potesse togliere la vita. Sembrava che la lotta potesse continuare all’infinito.

Vibhishana si avvicinò velocemente a Rama e gli disse che il demone aveva avuto da Brahma il dono per cui le sue teste e le sue braccia non potevano venire distrutte. Ma nel cuore di Ravana c’era del nettare celestiale che rinnovava la vita del suo corpo. L’unica maniera di ucciderlo era di colpirlo al cuore con un’arma divina che potesse prosciugare quel nettare. Mentre Rama meditava sulla sua prossima mossa, sempre coprendo Ravana di frecce, Matali si girò verso di lui e disse: “O Rama, è giunto il momento giusto per la morte di Ravana. Ora ricordati della preghiera di Agastya. Lui ti ha anche dato una freccia quando tu eri nella foresta. Impregnala colla forza del Brahmastra e uccidi il demone trapassandogli il cuore”. Rama accolse il consiglio di Matali e si ricordò della freccia celestiale che Agastya gli aveva dato in un tempo lontano. La freccia apparve nella sua mano e lui la pose nell’arco. L’asta era fatta di etere e il suo peso era come i monti Mandara e Meru messi insieme. Il Deva del vento presiedeva sull’asta, il Deva del fuoco sulle piume, e sulla punta c’era il Deva del sole. Sembrava il bastone della distruzione universale impugnato dallo spirito del tempo. Rama cantò nuovamente l’Aditya-Hridaya e poi invocò l’infallibile Brahmastra.

Rama tese l’arco al suo massimo, e in quel momento brillava di una luce così forte che nessuno lo poteva guardare. Scagliò la sua freccia che volò contro Ravana illuminando il cielo e ruggendo come l’oceano in tempesta. La freccia trapassò il cuore di Ravana, uscì insanguinata dal suo corpo e penetrò la terra. Ravana girò su se stesso e lanciò un urlo che scosse tutto il creato. L’arco gli sfuggì di mano, e lui cadde dal cocchio come una montagna colpita dal fulmine di Indra. I Rakshasa fuggirono nel panico in tutte le direzioni piangendo dal dolore di aver visto uccidere il loro re. Le scimmie balzarono all’inseguimento dei Rakshasa in fuga urlando di gioia. Dal cielo si udì il rullio dei tamburi ed il suono di altri strumenti celesti, e dolci brezze soffiarono sul campo di battaglia portando profumi paradisiaci. Cadde dal cielo un’incredibile pioggia di fiori splendenti che sommerse il cocchio di Rama, e i Deva fecero le sue lodi. La battaglia era finita, Rama scese dal cocchio e venne circondato da Lakshmana, Sugriva, Hanuman, Angada, Jambavan e Vibhishana che lo lodarono ed esaltarono per la sua incredibile impresa.

Vibhishana guardò il cadavere del fratello e si lamentò: “Ahi, Ravana perché dovevi farti uccidere? Dopo aver mostrato il tuo valore per lungo tempo, adesso giaci immobile, avendo perso la tua corona. Il fato che ti avevo predetto si è compiuto. Perché non hai ascoltato i miei consigli, che sono sempre stati dati per il tuo bene? Ti sei fatto dominare dall’avidità, dalla lussuria e dalla rabbia, ed ecco il risultato di aver nutrito questi nemici mortali dell’anima. O fratello, ora che sei morto, tutto sembra vuoto; il sole è caduto a terra, la luna è sparita nell’oscurità, i fuochi non fanno fiamma, e l’energia si è svuotata. Tutto a Lanka è perduto”. Benché il fratello lo avesse ripudiato, Vibhishana lo aveva sempre amato, e aveva sempre voluto il suo bene. Gli si lasciò cadere accanto continuando a piangere. Rama gli venne vicino e gli mise intorno un braccio, consolandolo con parole dolci. “Tuo fratello è morto come un eroe. Non si è mai conosciuto un eroe che abbia vinto così tanto. Prima o poi un guerriero muore in battaglia, e questa è la fine che desidera. O Vibhishana, non c’è bisogno di piangere Ravana, la sua morte è stata gloriosa”.

Anche Lakshmana andò a consolare Vibhishana dicendogli delle verità spirituali. Benché il corpo di Ravana fosse caduto, la sua anima restava viva. Anzi, essendo stata purificata dalle armi di Rama e dalla morte in battaglia, avrebbe certamente raggiunto le regioni più alte. Non c’era nulla da ottenere lamentandosi su di un cadavere, quando l’anima l’aveva lasciato. Ora Vibhishana doveva officiare gli ultimi riti, e poi assumere il governo di Lanka.

Come Lakshmana finì di parlare con Vibhishana, arrivarono le mogli di Ravana. Si lamentarono come femmine di elefanti, e si gettarono sul corpo di Ravana bagnandolo di lacrime. Dozzine di Rakshsasi con le vesti e i capelli in disordine circondarono il caduto, rotolandosi per terra e lamentandosi a gran voce. Fra loro vi era Mandodari, la prima moglie di Ravana, che svenne alla vista del corpo del marito. Dopo essersi ripresa, lo guardò in volto e parlò con la voce soffocata dalle lacrime.

“Ah, mio signore! Come è possibile che tu sia caduto per mano di un uomo? Tu che incutevi il terrore nel cuore dei Deva, dei Gandharva, dei Siddha e persino dei grandi Rishi, giaci ora ucciso da un semplice mortale venuto a piedi da Ayodhya, città di umani. Non penso che Rama sia un semplice uomo, deve essere Vishnu, colui che sostiene il mondo, il non-nato, l’inconcepibile ed onnipotente Persona Suprema. Nessun altro avrebbe potuto ucciderti”. “O Ravana, benché tu abbia dominato i tuoi sensi ottenendo grandi doni, grazie alle tue pratiche ascetiche, sei divenuto preda della lussuria, e hai desiderato goderti l’innocente Sita. Col rapimento di quella donna divina, emblema della castità e della nobiltà, hai rovinato te stesso e i tuoi parenti”. Mandodari non riusciva a contenere il suo dolore, si afflosciò sul corpo di Ravana continuando a piangere pietosamente.

“O eroe, dove sei andato, lasciandomi qui sola e abbandonata? Io ero la tua serva devota, perché desideravi Sita? La mia vita è stata inutile se non ho soddisfatto il mio signore. Ci siamo divertiti insieme, abbiamo visitato ogni regione del cielo, ma ora sono sprofondata in un oceano di dolore. Che pena reca l’alterna fortuna dei re!”

Mandodari alzò gli occhi pieni di lacrime e vide il fratello di Ravana. “Ecco il pio Vibhishana, ” disse piangendo, “Hai ignorato i suoi saggi consigli, e adesso sei morto. È certo che un peccatore alla fine raccoglie sempre i frutti delle sue azioni, così come i virtuosi. Tuo fratello adesso si godrà le fortune del regno, mentre tu sarai mandato negli altri mondi”.

Mandodari pianse sul cadavere del marito per lungo tempo, e tutti rimasero in silenzio rispettando il suo dolore. Alla fine le altre mogli del Rakshasa la alzarono gentilmente e la portarono via mentre lei continuava a piangere.

Rama parlò ancora con Vibhishana. “La morte ha messo fine a ogni inimicizia. Ravana adesso per me, è come te. Ti prego di officiare i rituali dovuti per il suo bene eterno”. Secondo antiche tradizioni, Rama voleva che i rituali per la morte del nemico caduto si svolgessero immediatamente.

Vibhishana pensò per un attimo, poi disse a Rama di non essere in grado di fare i funerali per il fratello. Ravana era stato crudele, spietato e aveva commesso peccati odiosi. Benché fosse suo fratello, non era degno del suo rispetto. Le esequie di Ravana erano un atto di adorazione che non si sentiva di poter fare con onestà.

Rama sorrise. “O Vibhishana, non bisogna disprezzare le anime. Quando una persona muore, l’anima lascia il corpo e si muove verso la prossima vita. Il corpo peccatore di Ravana è morto, ma la sua anima pura continua a vivere. L’anima è sempre degna di rispetto. Quindi tu dovrai fare i rituali per il bene eterno dell’anima immortale di tuo fratello”.

Vibhishana guardò il corpo di Ravana. È un fatto, l’anima di tutti gli esseri è parte pura del Signore Supremo. L’ignoranza risiede solo nel corpo materiale esterno, non nell’anima.

I peccati di Ravana, nati dall’ignoranza, erano cessati con la fine del corpo, e a maggior ragione essendo stato ucciso dal Signore stesso. Quella morte aveva lavato ogni macchia.

Vibhishana cominciò subito i riti necessari. Fece portare a Lanka il corpo del fratello, e accese un fuoco sacro facendo offerte di grano e di ghi, e adorando Vishnu per conto di Ravana. Con gli anziani Rakshasa e gli Yatudhana, guidati da Malayavan, il nonno di Ravana, Vibhishana portò a termine i riti seguendo fedelmente i precetti delle sacre scritture.

Il corpo di Ravana fu messo su una grande bara, avvolto in sete dorate e coperto di ghirlande di fiori. La bara fu portata in un luogo sacro da cento demoni al suono della musica. I bramini Rakshasa precedettero Ravana col fuoco sacro. Fu costruita un’enorme pira di tronchi di profumato legno di sandalo e Padmaka, con delle radici di Ushira e dell’erba Bhadrakali.

I demoni misero il corpo di Ravana sulla pira, e gettarono manciate di riso, sesamo ed erba Kusha. Dopo aver pronunciato i sacri Mantra ed aver cosparso la pira di ghee, Vibhishana accese il fuoco. Le fiamme si alzarono rapidamente, e in pochi momenti il corpo del re dei Rakshasa fu ridotto in cenere.