Capitolo Trentaquattresimo

La prova di Sita

Dopo aver assistito alla fine di Ravana, i Deva e i Rishi pieni di gioia se ne tornarono alle loro dimore celesti. Matali si inchinò a Rama ed ebbe il permesso di ritornare da Indra col suo cocchio. Rama guardò il cocchio spaziale che si allontanava scomparendo nell’alto dei cieli. La sua furia contro il Rakshasa si era completamente dissolta. Ora pensò all’insediamento di Vibhishana come nuovo re di Lanka. La città era sulla terra, e come tale era sotto la giurisdizione dell’imperatore della terra, benché fosse abitata dai Rakshasa, e Rama voleva insediare il pio Vibhishana come il giusto regnante per ristabilire l’ordine nella città devastata.

Rama chiese a Lakshmana di officiare la cerimonia per consacrare Vibhishana sul trono di Lanka. Lakshmana mandò delle scimmie a raccogliere con delle anfore dell’acqua di mare, e con quell’acqua consacrò Vibhishana, seguendo attentamente le indicazioni dei veda. Vibhishana splendeva di luce regale, e sedette sul trono. I Rakshasa erano felici di vedere il fratello di Ravana sul trono di Lanka, e gli portarono molte offerte e doni. Vibhishana li offrì tutti a Rama che li accettò per amore del Rakshasa.

Quando la cerimonia finì, Rama chiese a Hanuman di andare da Sita. Desiderava ardentemente vederla di nuovo, e disse a Hanuman: “Ti prego di dare alla principessa le buone notizie. Desidero vederla. Dille di prepararsi, così che io la possa incontrare presto”. Hanuman andò verso i giardini. Mentre passava per le strade di Lanka, i Rakshasa lo onorarono a mani giunte. Arrivò al boschetto di Ashoka, e vide Sita seduta ai piedi dell’albero di Simshapa. Non sapeva della vittoria di Rama, e aveva un’aria affranta. Ma quando vide Hanuman si alzò piena di speranza. La scimmia doveva portare buone notizie. La principessa ascoltò attentamente Hanuman che le raccontò tutto quello che era successo.

“O divina signora, tuo marito ha vinto, e Ravana non è più. Vibhishana è il nuovo re di Lanka. Cara madre, le tue pene sono finite. Ti prego, preparati per vedere Rama, il tuo signore”.

Sita era stordita per la gioia. Non riuscì nemmeno a rispondere, e rimase a guardare Hanuman con le lacrime agli occhi. Poi si riprese, e disse con voce soffocata: “O brava scimmia, non riesco a pensare cosa ti posso donare per queste notizie. L’oro, l’argento, le gemme e addirittura il governo di tutti i mondi non sono pari al valore di questo messaggio”. Hanuman rispose che il vederla gioire era il dono più grande che potesse ricevere, ed avendo visto Rama vittorioso e felice, non desiderava altro.

Lei lo lodò ancora ed ancora, e la scimmia rimase a capo chino e a mani giunte. Quando la principessa smise di parlare, le disse: “Se mi permetti, adesso punirò quelle malvagie Rakshsasi che ti hanno reso la vita così miserabile. Mi piacerebbe dargli una buona battuta. Si meriterebbero la morte per la cattiveria con cui ti hanno trattato, o divina signora”.

Sita ci pensò sopra e guardò le Rakshsasi che sedevano a distanza, senza badare a lei, ora che Ravana era morto. Si rivolse a Hanuman. “Quelle Rakshsasi eseguivano soltanto gli ordini di Ravana, non devono essere biasimate. Inoltre le mie sofferenze devono essere il risultato di mie cattive azioni nel passato, perché questa è la legge universale”. C’è un antico detto che è il fondamento della virtù. ‘Un uomo retto non bada alle offese ricevute. Osserva ad ogni costo il voto di non restituire il male per il male, e la sua buona condotta è il suo ornamento ’. Sita disse che bisogna sempre mostrare compassione per i peccatori, perché nessuno è libero dal peccato.

Al che Hanuman si inchinò e non fece commenti. Sita aveva ragione, ed aveva parlato in armonia col suo nobile carattere. Dopo aver riflettuto per qualche momento sulle sue parole la scimmia chiese: “Adesso voglio tornare da Rama. Hai un messaggio per lui?”

Sita rispose che desiderava soltanto vederlo, e Hanuman le disse che sarebbe accaduto presto. Si inchinò di nuovo e tornò al palazzo di Vibhishana dove lo stava aspettando Rama.

Rama, avendo sentito in che condizioni era Sita, chiese a Vibhishana di procurarle delle vesti celesti e degli ornamenti. “O re dei Rakshasa, ti prego di far sì che la principessa abbia un bagno ed unguenti celesti, e che sia vestita con le sete più fini. Poi falla portare qui. Il mio cuore brucia dal desiderio di rivederla”.

Vibhishana si recò di persona da Sita con le istruzioni di Rama, ma Sita, impaziente di vederlo disse: “Voglio vedere subito mio marito, senza lavarmi e vestirmi”. Sita aveva sofferto per quasi un anno, e per tutto quel tempo non aveva fatto che pensare al momento della riunione con Rama. Adesso quel momento era arrivato, come poteva aspettare ancora?

Vibhishana con gentilezza le disse che il desiderio di Rama era che lei si preparasse. Sita, accettando questo desiderio come un ordine, acconsentì, e Vibhishana organizzò il suo bagno e i suoi vestiti. In poco tempo la principessa indossò delle splendide vesti e gioielli degni di una consorte dei Deva. Montò su un palanchino d’oro e gemme, e fu portata da Rama. Le strade erano piene di folle di Rakshasa e scimmie che volevano vedere la principessa. Sita, seduta sul palanchino e coperta da un velo di seta, splendeva come il sole velato da una nube. Dei Rakshasa vestiti con giacche scure e turbanti, impugnando dei bastoni con dei sonagli, le aprirono il passaggio, e le folle che rumoreggiavano si aprirono mentre il palanchino avanzava sul viale imperiale.

Vibhishana andò avanti e informò Rama che sua moglie stava arrivando. Saputo che era sopra un palanchino, Rama disse a Vibhishana: “Bisogna chiedere alla principessa di scendere e proseguire a piedi. La gente vuole vederla, e questo non è condannato dalle scritture. Una casa, un velo, e un costume non sono la protezione di una donna casta. Solo il suo carattere le fa da scudo”.

Lakshmana, Sugriva e Hanuman guardarono Rama stupefatti. Sembrava che fosse scontento di Sita. La sua espressione era severa e pensierosa. Quando Vibhishana la portò davanti a lui, egli la guardò senza sorridere.

Sita era straboccante di gioia, e il suo viso splendeva come la luna, ma si sentì imbarazzata e sconcertata quando vide la sua espressione severa. Tremava, restando davanti a lui con la testa china e le mani giunte.

Rama si sentiva lacerato. Voleva mostrare il suo amore per Sita, e accoglierla subito, ma temeva le critiche della gente. Come re doveva dare l’esempio più elevato per il popolo. Sita era stata nella casa di un altro uomo per quasi un anno. Qualunque fossero le circostanze, qualcuno avrebbe avuto da ridire, e avrebbe potuto mettere in dubbio la sua castità.

Questo non era accettabile per la moglie di un imperatore.

Guardando Sita, che aveva il viso inondato di lacrime, Rama disse: “O benedetta, oggi ti ho vinto di nuovo. Sconfiggendo i miei nemici in battaglia ho vendicato l’insulto che mi è stato fatto col tuo rapimento. Anche tu, o principessa, sei stata pienamente vendicata. Il maligno Ravana non è più”.

Rama tacque, col suo cuore che si ritraeva al pensiero di quello che doveva ancora dire. Controllando le sue emozioni continuò. “Ho cancellato la macchia dell’insulto al mio nobile casato, e affermato la mia rettitudine e la mia fermezza. Non ho altri scopi in questa mia impresa. O gentile signora, non mi sono imbarcato in questa avventura per il desiderio di averti ancora per moglie. Tu hai vissuto a lungo nella casa di un altro, come ti posso riprendere nella mia casa? Il tuo comportamento è divenuto sospetto. Ravana ti ha preso in braccio, e ti ha guardato con desiderio. Quindi il mio attaccamento a te è finito. Ti prego di andare dove desideri. Forse potrai trovare rifugio da Lakshmana, da Bharata o da Shatrughna, o magari da Vibhishana. Bella come sei, o Sita, come è possibile che Ravana ti abbia lasciato sola?”. Sita era paralizzata dallo stupore. Pianse e singhiozzò come un fuscello al vento e si ritirò in se stessa. Il discorso di Rama l’aveva trafitta come una freccia avvelenata, e pianse dal dolore per lungo tempo. Pian piano si riprese e rispose a Rama con voce spezzata.

“Perché ti rivolgi a me con queste parole scortesi, o eroe, come un uomo comune che parla con una donna volgare? Giudichi tutte le donne sulla base di poche depravate. Smetti di dubitare di me, io sono senza macchia. Quando Ravana mi ha catturato io ero debole e senza aiuto, e lui mi ha trascinato via contro la mia volontà. Benché non potessi controllare il mio corpo, il mio cuore è rimasto sotto controllo, e non ha mai minimamente deviato da te. Se dopo tutto il tempo trascorso insieme da innamorati non ti fidi di me, allora sono rovinata”. Sita era furiosa e provocò Rama. Perché mai aveva fatto tutti quegli sforzi? Sarebbe bastato mandare Hanuman col messaggio che la ripudiava, e lei si sarebbe immediatamente tolta la vita evitandogli lo sforzo di fare una guerra. Sembrava invece che avesse agito solo per rabbia, proprio come un uomo comune. Anzi, era stato malvagio, e non aveva tenuto conto della sua devozione verso di lui e della sua castità.

Si rivolse a Lakshmana, ancora in lacrime. “O principe, ti prego, costruiscimi una pira. Questa è la sola scelta che mi resta. Non voglio più vivere, ferita da false accuse. Mio marito mi ha ripudiato in pubblico, e io mi getterò nel fuoco e morirò”.

Lakshmana si indignò, come poteva Rama agire in questo modo? Guardò suo fratello, impassibile, che gli fece un lieve cenno. Lakshmana capì quello che voleva, addolorato e perplesso fece un pira.

Rama sembrava Yamaraja, il dio della giustizia. Nessuno osava avvicinarlo o dire qualcosa. Solo Sita gli andò vicino, lo circoambulò in segno di rispetto, con le mani giunte. “Se sono stata sempre fedele a Rama, nei pensieri, nel corpo o nelle parole, che il Deva del fuoco mi protegga. Il mio cuore è sempre stato con Rama, che il Deva del fuoco mi salvi. Tutti i Deva sono testimoni della mia castità, che il Deva del fuoco mi protegga”. Dopo aver detto questa preghiera, Sita girò attorno al fuoco e poi vi entrò senza paura davanti a tutti. Sita sembrava un altare d’oro con il suo fuoco sacro. I Deva, i Rishi, i Gandharva, i Siddha ed altri esseri divini guardarono Sita che entrava nel fuoco, e le donne fra loro lanciarono un urlo mentre lei saliva sulla pira come una dea caduta dal cielo nell’inferno.

Rama era accecato dalle lacrime, addolorato dalle grida della gente. Con la mente concentrata sulla virtù e il cuore straziato dal dolore guardò Sita. Dal cielo, i Deva con a capo Brahma gli dissero: “Come puoi permettere che questa donna divina entri nel fuoco? Non ti ricordi la tua vera identità? A che gioco giochi, o signore?”

Rama guardò i Deva, e a mani giunte replicò: “Io sono un umano. Il mio nome è Rama, il figlio di Dasarath. Che Brahma dica chi ero nelle vite passate”.

Dal cielo, Brahma dalle quattro teste, seduto sul suo cigno, rispose: “O Rama, io ti conosco come il creatore originale del cosmo. Tu sei Vishnu e Narayana, la Persona Suprema conosciuta con molti nomi. Tutti i Deva derivano da te, e i mondi si appoggiano sulla tua energia. Tu sei dentro e fuori di tutte le cose, e sei nel cuore di ogni essere. La tua esistenza e le tue azioni non sono concepibili. Sei venuto come Rama per distruggere Ravana e liberare i tuoi servi devoti. Adesso che hai compiuto la tua missione dovresti tornare nella tua dimora”.

Rama chinò la testa e non disse nulla. In quel momento il Deva del fuoco uscì dal fuoco tenendo Sita fra le braccia. La principessa era vestita con una tunica rossa, con una ghirlanda di fiori celesti e ornata di gemme scintillanti, e splendeva come il sole nascente. I suoi boccoli di capelli neri incorniciavano il suo volto che splendeva di bellezza trascendentale.

Agni depose Sita davanti a Rama, e parlò con una voce tonante. “Ecco tua moglie Sita. È senza peccato. Non ti è mai stata infedele, né con le parole, né con le azioni, né con i pensieri e nemmeno con uno sguardo”. “Ravana l’ha rapita con la forza quando era sola ed inerme. È stata tenuta prigioniera da lui, e malgrado questo la sua mente è rimasta ferma su di te. Non ha mai avuto nemmeno un pensiero su Ravana, malgrado lui l’avesse tentata e minacciata in tutti i modi. Quindi, o Rama, riprendila, col cuore aperto”.

Rama provò una gran gioia, e cogli occhi pieni di lacrime replicò al Deva del fuoco: “Sita doveva passare questa prova di purificazione. Altrimenti il mondo avrebbe pensato che io sono uno sciocco, dominato dalla lussuria. Lei è vissuta nella casa di Ravana per molto tempo, e la sua castità doveva essere provata al mondo, benché io sapessi che il suo amore per me era totale. Sita era protetta dalla forza della sua morale, e Ravana non avrebbe potuto violarla, così come il mare non può uscire dai suoi confini”.

Rama dichiarò che Sita era inseparabile da lui, così come la luce non si può separare dal sole. E che non poteva rinunciare a lei, così come un virtuoso non può rinunciare alla rettitudine. Sita splendeva per la felicità, si sedette accanto a Rama su di un trono d’oro. I Deva e i Rishi apparvero e lodarono Rama. Shiva in persona andò da Rama e disse: “Hai ucciso la dannazione ed il terrore dell’universo, o Rama. Adesso devi andare ad Ayodhya a consolare i tuoi parenti. Poi goditi il regno dell’universo per lungo tempo”.

Shiva disse a Rama che suo padre Dasarath era presente, in un carro cosmico in cielo. Rama guardò e vide un cocchio con sopra suo padre in un corpo luminoso, che scendeva lentamente. Dasarath scese dal cocchio, abbracciò stretto suo figlio, si sedette accanto a lui e parlò. “Benché io ora stia con Indra, stare vicino a te mi dà ancora più piacere. Le parole che Kaikeyi ha pronunciato quando ti ha mandato in esilio sono ancora stampate nel mio cuore, ma oggi il mio dolore è cessato completamente. Sono stato redento da te, mio caro Rama. Sono passati quattordici anni, e il tuo esilio è finito. Desidero vederti tornare ad Ayodhya per salire al trono, dopo aver tranquillizzato Kaushalya ed il potente Bharata. O Rama, adesso comprendo la tua identità, tu sei la Persona Suprema, nato sulla Terra per il bene del mondo”. Rama chiese a suo padre di ritirare le parole che aveva detto quando aveva ripudiato Kaikeyi e suo figlio. Ambedue erano assolutamente privi di colpa. Dasarath acconsentì, abbracciò Lakshmana e lo lodò per il suo altruistico servizio a Rama, chiedendogli di continuare ad assisterlo come imperatore.

Poi Dasarath parlò a Sita. “O figlia, non pensar male di Rama perché ti ha ripudiato. Lui desiderava solo provare la tua assoluta purezza. La tua prova del fuoco supererà per sempre ogni possibile prova conosciuta superata da donne virtuose”.

Sita giunse le mani e si inchinò al suocero, che risalì sul suo cocchio e risalì verso il cielo. Anche gli altri Deva salutarono con rispetto Rama e ritornarono nelle loro dimore celesti. Indra andò da Rama e gli disse: “Le visite dei Deva non sono mai per nulla. O Rama, dicci cosa desideri, e sarà subito fatto”.

Sorridendo, Rama chiese di far tornare in vita tutte le scimmie che erano state uccise, anche quelle che erano state fatte a pezzi e divorate. Chiese anche che, ovunque fossero andate a vivere, ci fossero abbondanti frutti e radici da mangiare.

Indra rispose, “Benché sia molto difficile, il tuo desiderio sarà esaudito. Che tutte le scimmie si alzino ora, e che possano riunirsi alle loro famiglie, e che alberi pieni di frutti crescano anche fuori stagione ovunque loro vadano ad abitare”.

Il potente Deva fece cadere una pioggerella di nettare dal cielo, e le scimmie che erano state uccise si alzarono da terra, stupite di essere guarite e riportate in vita. Si guardarono fra loro e dissero: “Che miracolo è questo?”. E saltarono di gioia, abbracciandosi come le onde dell’oceano.

Indra salutò Rama e se ne andò con gli altri Deva. Rama diede ordine alle scimmie di fare campo per la notte, e andò a riposare con Sita nel palazzo di Vibhishana.