Il filo del discorso

IL FILO DEL DISCORSO

Da quadro a quadro il filo del discorso seguire

senza che troppa tensione lo spezzi

o becco ostile lo intacchi

da sinopia a sinopia

nel pomeriggio di pioggia che fa

alto lo scroscio

finché il cielo rispunta dalle nuvole

e ci prende per mano

verso un viola-melanzana-yaèl

con passeri sulle torri che rimproverano

gl’indugi (vocine squillanti di collera)

di chi non vuol muoversi,

di chi resta attaccato al suo soffitto

come un moscone grasso.

E dal viola al nero

il filo del discorso ostinati seguire

verso i fischi di un’alba melone-amira finché

oh, Har hatzofim!

ali ha ciascuno al cuore ed ali al piede.

NERO DENTRO

Non perché avevo qualcosa da dire

è nato il primo impulso.

Il qualcosa da dire era oscuro: pietruzza

tra due valve, figura di ladro

in una stanza buia.

Era un nero dentro, assai dentro

verso l’aorta e il miocardio.

L’hanno dal niente evocato parole

ridicolo tossico.

Seme e germoglio di carne vecchia

che rinviene nel sogno della copula.

RÈGIA PARNASSI

Fastidio certo un paesaggio dal nulla

col Règia Parnassi evocare

e non possedere il divino

istinto che dice con nuove parole

la luce di settembre.

Evocare dal nulla

il merlo poliglotta, inghiottire sospiri

per una moto che romba nel chiaro

e per l’uva, per l’uva

che non ha più privilegio

di apollinei palati.

Ma disamo la morte malgrado

le sinistre sirene di film e poemi,

la disamo e distacco

da un soffio la bolla più pura,

la più precaria e inutile libero

delle parole.

E rataplan trovare da splendere

su tutto con bolle precarie,

e vedendole alzarsi nel vento

non soprassedere

sapendo che a esse è negato

di durare oltre l’attimo, cingersi

di alone immortale.

STUDI CLASSICI

Questi monti fabbricati dal cielo

(sue torri e battifredi) gemono

per la morte del dio.

E abbiamo visto navi

dolcemente sfasciarsi e

«Πὰν ὁ μέγας τέθνηκε»

piangere una gran folla

nel porto di Paxo.

E l’industria sfruttare ossa e capelli

degli uccisi. E il Ciclope

con una pinzetta stroppiare

il pollice di Ulisse.

Et eludendo la guardia bambini

armati di bastone per la lippa

circondare l’ampolla dov’è chiusa

la Sibilla. E gridavano: «Cosa

vorresti fare da grande?». Lei

rispondeva: «Morire».

KÖNIGSBERG

E appena la parola di Cambronne

risuona tra i grappoli del pado

il maschio covatore alza il culo dal nido

obliando in gorgheggi i doveri di coniuge.

E i soldati prussiani indifferenti

alle importanti Reden di qualche Johann Gottlieb

scaricano in aria l’arma per l’allegria.

Cosicché puoi sentire bambini

vomitare parole trasgressive

e vederli giù rotolare

dal trafelato pendio

palle vive e strillanti

sporchi dai capelli alle unghie dei piedi.

Mai fu così solenne

e sacra l’armonia dell’universo.

AZNÈCIV

Per giorni e giorni qualcuno che della fedeltà s’infischiava mi aveva bisbigliato promesse all’orecchio.

E vidi arrivare la burrasca col suo codazzo di vecchi giornali tirati dal vento come morti aquiloni.

Le madri chiamarono di sopra i bambini, si sentirono sbattere i vetri, il tonfo delle porte scosse le case tranquille.

Io che avevo meteore nella testa propiziai contento quel tuono e l’odore di asfalto bagnato che la prima raffica alzava.

Salii nel granaio. Polvere di gocce sulle tegole. Il quadro delle colline soffiava forte il suo verde sommerso da grigi furenti.

Non so se fu l’ozono che arricchiva il mio sangue o il buffo allarme dell’uomo che rientrava in bicicletta in città,

ma c’erano alti edifici al posto delle solite case e ponti di materia trasparente sospesi nel vuoto

come se tutto, ancora stillante di pioggia, fosse saltato già nel futuro.

NESSUNA PAROLA

Così abbagliante ormai

la distesa di neve che la retina non ce la fa.

Tutto è silenzio dopo lo schianto dei rami,

nessuna parola aveva colto nel segno.