PER UN VECCHIO RITRATTO
Dalle tue lenti sono nati i ghiaccioli,
è nata la mia neve di cinque inverni
in un cortile vuoto
e il calicanthus che si apre a stella,
incrina il vetro dell’aria e profuma
l’azzurro del mattino dove il rombo
delle fortezze volanti è già cupo,
dio boreale della nostra infanzia
papa Pacelli,
luccichio di cristalli con dietro occhi.
RICORDO DI LILIANA MORTA IN UN BOMBARDAMENTO
Sono queste le sere dell’estate
dopo la guerra, la città si terge
il caldo viso
con fazzoletti di carta imbevuti
in profumo di sandalo.
Cammino in contra’ Piàncoli, raccolgo
dal marciapiede penne gialloverdi
di canarino scese ad elica
dal cielo in fiamme,
e tra le nubi una campana dondola
senza badare a noi ragazzi in fondo all’aria.
Ma io che ho giocato con te
a «Mamma, quanti passi?»
ora decido se di formica o tigre
deve essere il passo della notte
che si avvicina.
CI SONO FIORI
Ci sono fiori che fioriscono al buio,
uccelli che non escono dal folto,
ma niente come l’infelicità
ha vergogna di sé.
Talvolta si nasconde
nell’allegria che agli altri ci fa cari;
non disdegna i compagni, dal clamore
sa distillare gelosi silenzi.
Poi nel silenzio si dibatte come
una tenera preda nelle spire
d’un serpente, esce di casa, ama
la screziata realtà,
sente la vita come un caldo alito
sul suo scivolo d’anni, crede di riconoscerla
e prova il tuffo al cuore di un bambino
che sul lastrico ha visto una moneta.
Se non sperasse sarebbe meno
infelicità, ma spesso incauta sogna
una toque smeraldina su capelli
neri tagliati corti.
È lo stoppino che non si spegne mai
nel suo grumo di cera sopra un marmo,
una passione che i giorni hanno ossidato
e che incrosta i pensieri.
SCUOLA ELEMENTARE
Per gioco o per deridermi, a vent’anni
mi han chiamato Alioscia ma i miei bambini di Quinta
sono grandi ormai e io sembro un po’ arido.
Eppure a quel tempo ho partecipato
al banchetto di Cana,
ho accompagnato Iljùscečka alla sua sepoltura.
Adesso a marzo torna ancora la tortora
passando in mezzo ad alberi
mossi da una mite burrasca e la pioggia
nel pozzo delle case e dei miei anni
batte e ribatte la goccia
d’oro del suo senso in buia miniera amore.
Altri hanno vent’anni
e vanno dritti a uno scopo celeste.
Qualcuno di loro ha scritto sugli angeli:
li invidio, io solo su cose della terra.
LUCCIOLE
Ci sono ancora le lucciole. Sbandano
dai loro greggi di tremulo fosforo
su pendii non talmente desolati
da non avere un nome sulle carte.
Lasciano cicatrici d’oro nelle tenebre
a futura memoria.
L’ULTIMO AEREO
La nostra vita non è più nelle trame
tessute intorno a casa o poche vie più in là:
un ventaglio di aneddoti che l’aria
schiudeva tra le dita, depositava adagio
negli orti rosseggianti di escallònia
dove un giorno attecchiva una piccola storia.
Una nube strappata al cielo dal vento
lambisce coi suoi orli sfilacciati
vecchie periferie dove sbocciano fragole
di cui sono golosi solo i rospi.
Sappiamo quello che accade – e accade
soltanto altrove.
L’ultimo aereo che ha sorvolato le case
è stato il Macchi della nostra infanzia,
ma ne abbiamo sentito lo schianto
dietro le colline molti anni fa.
PRIMAVERA
Il cielo è meno altezzoso:
si piega su noi volentieri,
trasmette nuove regole
mescola azzurro e suoni di clacson.
Chiusi in casa i nemici del poeta
affilano punte
di frecce sui loro display.
INVIDIO CHI POSSIEDE GRANDI PATRIE
Invidio chi possiede grandi patrie
(Chlebnikov e la Moore)
e il verso-deltaplano che si libra
su mille miglia di foresta.
Qui una farragine di tetti ingombra
una storia già nota, non c’è spazio
nell’intrico dei fili per il volo
di un aquilone.
Laggiù ti vengono incontro città
soffiando forte sotto le tue ali,
ti stormiscono in petto, si fendono in scisti
senza intervento di Sovrintendenze.
BERCEUSE
E fatta la bella cucitura alle palpebre
dormi, bambino, dormi!
Non una goccia di sangue ti è uscita
dai cigli. Stelle enormi
galleggiano nell’aria, la tua manina
pende dal letto. Come rassomigli
al piccolo re dei Cimmerii
che dorme sulle rive del Mar Nero!
E adesso che hai la bella cucitura alle palpebre
dormi, bambino, in eterei
regni trasvola dove fioco è il pensiero.
Il tuo sonno è un pulcino nel suo guscio.
Io sono un passo e ti fruscio qui accanto,
io sono il ramoscello di calicanthus
nella sua brocca e bramo
la fredda aria d’inverno del tuo letargo.
Gli altri girino al largo
che coverò il tuo sonno nel suo uovo.
Fruste di rovo userò per straziare
il dorso dei cani randagi
che si aggirano intorno al tuo sepolcro.
GRACILE ATLANTE
Da molto tempo ormai
minatore ostinato
scavi sottoterra per cercare le stelle
e basterebbe che alzassi la testa.
Quello che nasce oscuro e franto
non si ricompone in unità:
gli uccelli del bosco al tuo passaggio scappano
invocando Aristotele.
Gonfia pure le gote
come il bambino fa
sul fiore del taràssaco,
tu che vuoi che i tuoi versi siano il globo
di acheni e pappi da soffiare nel caos.
Ma io quaggiù sono un gracile Atlante,
mi curvo sotto il peso dell’azzurro.
Le mie cose da sempre
vive nel duro universo
come inventarne i nomi, come renderle
leggère?