Nota

Le poesie delle prime tre sezioni sono apparse in una plaquette, Il ritorno della cometa, edita a Padova nel 1985 dalla galleria d’arte A-1 con illustrazioni di Emilio Farina.

Pubblicando in «Almanacco dello Specchio», 12, 1986, le poesie della sezione In lingue morte scrivevo: «Considero i poeti in dialetto poeti di lingua morta, alla stessa stregua di chi componga versi in latino. La differenza è soltanto nel più sottile diaframma che ci separa dal mondo di sentimenti e di cose una volta espresso dal dialetto. Quel mondo dorme nel fondo della nostra coscienza; rivisitarlo significa trovarci coinvolti in qualcosa che avevamo dimenticato ma che pure ci era appartenuto. Diversa la qualità “subliminare” del latino: è una lingua metastorica e il ricorso ad essa dà quasi un senso di sicurezza, come approdare ad una sacralità pacata, non intaccabile dagli eventi. È stata anche, per la mia generazione, la lingua religiosa della fanciullezza. Le poesie in dialetto qui presentate sono pressoché tutte quelle che ho scritto e che, penso, avrò scritto. Drio de la porta è un aperto omaggio a Reverdy. Dai miei carmina ho stralciato un brano di un più lungo componimento».

Qui Sancti duo viene offerto integralmente, come “campione” della mia quasi clandestina attività di poeta in latino.

In Palinodia si fa riferimento alle famose invasioni di moscerini a Venezia in alcune estati degli anni Ottanta.

Ezra Pound, nominato nella poesia Per un’aquilegia, veniva a Vicenza ogni settembre per assistere, nel palladiano Teatro Olimpico, alle rappresentazioni della tragedia greca.

Le parole in greco nella quarta stanza di Canzone appartengono all’inizio del Vangelo di Giovanni e significano: «senza di essa (la parola) niente è stato fatto». Jacques Réda ha ispirato alcuni versi dell’ultima sezione.