Bird-watching

TUBERI E GREMBI

Tuberi e grembi germogliano in silenzio

nel cuore della terra grassa.

Si fa più calda e rasa l’ala del vento:

è marzo che accanto mi passa.

Mi lascia indietro, rifiuta di portarmi

con sé nel posto delle viole;

sono per altri questi trepidi allarmi

di gioia e questo nuovo sole.

Sono per il ramarro che ghiotto succhia

la sua preda, per le formiche

emerse da una casa d’ombra che ammucchia

sementi di stagioni antiche.

Per il culbianco che sulla china elegge

a suo podio un sasso disperso

e sopra la sterpaia sparge le schegge

nervose e acute del suo verso.

Non per me così fiacco. Fra stecchi e spine

il fiore del prùgnolo spunta

e io cammino lungo cave e rovine

cercando te, brama defunta.

Ti cerco, dolce vampira che ti bevi

il mio sangue, e l’aria lontana

intride di celeste residue nevi

sui poggi volti a tramontana.

QUANDO PARTONO I TRENI

Oh, se me lo diceva mia madre da bambino

vedendo quante volte rimanevo deluso!

E che a rubarmi gli occhi bastava il fuso

d’una libellula o il lampo verdino

del càrabo; che gli occhi avevo sempre

fissi al di là di quello che si vede

e d’improvviso mi batteva alle tempie

una qualche stranita febbre o fede;

«tu continua a mangiare solo pappa di sogni»,

diceva, «e avrai deboli denti,

sarai deriso e sgambettato ad ogni

tuo passo sulla terra dei viventi!»…

Quando partono i treni e la città fa eco

nell’alba ancora tinta dalla notte

uomini a frotte

mi sospingono, mi urtano di sbieco,

appena usciti da un protervo calmo

sonno di fine-inverno e da borghi padani

(le donne si svegliavano con mani

strette a pugno, le unghie contro il palmo).

Io non posso competere con quella loro forza.

Nel corridoio, in piedi, da un nebuloso vetro

guardo la pioggia che cade e la corsa

degli alberi nel giorno dolce e tetro,

e ancora nei fervori della mente mi sfamo.

Fuori c’è un mondo in fuga che dipana il suo senso

da cose grondanti – e contro il grigio intenso

della nube un uccello naufragato su un ramo,

mentre sotto la neve che dimoia

fanno ressa le primule, si schiude un nuovo errore.

Ma tu lascia, o madre, ch’io resti col mio cuore,

che di esso soltanto prenda gioia.

L’INGRESSO DI GESÙ A VICENZA

Arriva trafelato, e manda in schegge

il vetro del mattino,

dalla riviera berica un bambino

che grida, grida che a Vicenza sta

per entrare Gesù.

Alzano il deretano

dagli angoli dei plinti

i mercanti di grano.

E le pattinatrici che fuggono su pattini

in linea dalle silenziose ruote

(dolci labbra che smozzicano frasi

con l’erre moscia,

gonne corte che il vento alza fino alla coscia)

restano a un tratto immote,

fisse all’ultimo gesto

come angeli dipinti.

Ho visto quanto avvenne

rannicchiato in un angolo

dell’antica piazzetta dove un tempo

giocavo a battimuro.

Incominciò con un lontano fioco

(là verso Debba) rullo di tamburo

e il cielo si è ristretto stagnando ogni suo varco

verso il resto del mondo: non rumore di traffico,

non corse di sirene, non scoppiettio di penne

sopra i tetti o nel parco.

E poi quel lungo lungo ululo come

di bracco in pena

che dilatava l’eco del mio nome.

Sei tu, Gesù, che chiami?

E perché proprio me? Ci sono molti

cuori quaggiù che aspettano il tuo arrivo.

Una gran folla gremirà le strade,

verranno dai quartieri

i ragazzetti con rami di ulivo

e grideranno Osanna!

Ma un vapore di lenta accidia appanna

l’acqua del fiume che Vicenza bagna

e vergognoso nella città morta

io me ne sto nascosto.

I miei concittadini si rifugiano in casa,

chiudono a quattro mandate la porta.

Hanno paura di profeti e ladri,

di chi va in cerca d’anime o di gemme,

si fa aureole o maschere con la luce d’agosto.

Dalle finestre a gran voce le madri

chiamano su i bambini ed è finita

ogni illusione

che qui attecchisse il clone d’una nuova

Gerusalemme.

Ma indugia sulle rive il martin pescatore

prima che il giorno muoia.

Ha seguito Gesù fin dal palude

(quello di cui Cunizza

parla abbassando gli occhi a questa fossa

dalla sua luculenta e cara gioia).

Come fischia di stizza, come dal dardo scossa

dei suoi verdi ed azzurri

trema la luce che sull’acqua langue!

E il fischio punta gelida di stella, acuta glossa

penetra nelle vene

della città dove un inerte sangue

si coagula in grumi di sussurri.

IL LIOCORNO

«… fui je pris, aussi com li unicornes ki s’endort

au douch flair de la virginité a la damoisele…»

RICHARD DE FOURNIVAL, Li Bestiares d’Amours

Sa di assenzio l’erba della brughiera,

un po’ verde un po’ arsa,

che calpesto cercando te e il liocorno,

quello che un giorno

sparì per sempre e senza la sua scorta

la luce del mattino avrebbe scosso troppo

bruscamente il tuo cuore,

lui che all’alba varcava la tua porta

sempre aperta d’estate

e ti sentiva vergine all’odore,

dalla spessa foresta

uscito alla radura

dov’era la tua casa in mezzo agli orti sola,

ed entrava annusando le lenzuola

del tuo risveglio, posandoti in grembo

la mite folle testa.

Abbiamo chiuso fuori l’estate d’oro.

Il sole e le cicale

premevano alle imposte per entrare,

ma una goccia di sangue come quella

che esita sul dito

di un bambino ferito li fermava,

e noi dentro l’angusto paradiso

dove il liocorno non era ormai che un’ombra

inconsistente e cava,

adesso che tra me e te pulsava

un sole nuovo nato

da un disastro celeste.

Svanivano le peste

dei suoi zoccoli sopra lo stoino.

Dov’è il luogo e la casa? Cerco la calda sera

dai miei cieli scomparsa

nel cui grembo dormii come il liocorno.

BIRD-WATCHING

Dopo aver scritto

versi pieni di zeppe e di puntelli,

sperato inutilmente che squillasse

il telefono, esco

a osservare gli uccelli

finché c’è ancora un po’ di luce.

La zummata cancella l’universo,

lo riduce a due ali di avocetta

in fuga dal suo habitat

di lagune in penombra e dalla trama

oscura dell’umano.

Non posso dare un nome alla mia brama

se il cuore inquieto non sa cosa aspetta.

Inseguo il volo dell’uccello d’acqua

che fende il cielo col becco ritorto

verso non so che approdo da lui scorto

in lontananza dove indugia il sole.

E mi trema la mano, l’avocetta

esce di campo.

Sei dunque tu

sguardo puntato sugli alati il solo

senso di questo giorno?

Non ci sono qui in terra, a me più prossime,

altre specie viventi

e un’altra storia a cui fare ritorno?

Adesso che la sera nelle lenti

penetra a poco a poco

e l’aspetto del mondo non può più

essere messo a fuoco.