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Era passata appena un’ora da quando era uscito dalla porta del casinò e Alexander Riley stava già manovrando il timone della sua nave nella totale oscurità del ponte, mentre vedeva scorrere a tribordo la luce intermittente del faro di Punta Navidad.
-César! –gridò al meccanico del Pingarrón, avvicinando la bocca la tubo portavoce.
-Capitano –rispose la voce del portoghese, due piani più in basso.
-Motori al massimo.
La risposta immediata fu qualcosa di simile a un colpo di tosse:
- Não so se è una boa ide ...
-César –lo interruppe Riley.
-Sì?
-Non era una domanda.
-Mmm... sì, certo. Agli ordini, capitão .
Successivamente, Riley portò la leva di comando in posizione avanti tutta. I giri dei due motori diesel Burmeister aumentarono fino a far vibrare l’intera nave con un sordo rumore meccanico.
A Riley non piaceva per niente spingere l’imbarcazione a quel punto, ma il tempo stringeva e non potevano arrivare tardi al loro appuntamento con la Genoa .
-Julie! –chiamò quindi la francese-. Vieni sul ponte, per favore.
Trenta secondi dopo, la giovane aprì la porta di legno della casamatta del timone.
-Oui ? –domandò allegra, affacciandosi come se aspettasse una sorpresa.
-Prendi il timone –le disse Riley, facendosi di lato-. Siamo già fuori dalla baia, ma fai attenzione ai pescatori e alle reti –e indicando un punto invisibile davanti a loro aggiunse-: sicuramente stanno pescando qua attorno a luci spente.
-Non si preoccupi, capitaine –rispose lei afferrando il timone-. Direzione?
-Sud fino a superare Escombreras, poi vira a sudest –le indicò, aprendo il diario di bordo e annotandoci ora e posizione.
-Sud fino a superare Escombreras e poi sudest –ripeté Julie con fare professionale.
Il capitano la guardò con la coda dell’occhio e sorrise tra sé davanti alla trasformazione che subiva la francese quando si metteva al timone. La ventenne spensierata e spumeggiante diventava, in un secondo, un marinaio capace e responsabile come ne esistevano pochi.
Dopo aver dato un ultimo sguardo all’esterno, Riley lasciò il ponte per dirigersi verso il salone principale della nave.
Non appena ebbe varcato la soglia, percepì l’odore di caffè appena fatto che Jack stava preparando nella sua vecchia moka italiana.
-Ho pensato ne avremmo avuto bisogno –disse il gallego.
-Sì, sarà una notte lunga –confermò il capitano, avvicinandosi direttamente allo scrittoio su cui erano sistemate le carte nautiche-. Dov’è Marco?
-Nella sua cabina, a lucidare le armi. È emozionato all’idea di assaltare quella nave.
-Non assalteremo alcuna nave –rispose Riley.
-È ciò che gli ho detto... –Jack fece spallucce-. Ma lo conosci. Vuoi che vada a chiamarlo?
-No, lascia stare. –Estrasse una delle carte e la aprì sul tavolo del salone-. Non sono dell’umore per discutere con lui adesso.
Jack servì il caffè in un paio di tazze, ne piazzò una davanti a Riley e si sedette all’altro capo del tavolo.
Il capitano della nave stava già tracciando delle linee e delle rotte sulla carta del Mediterraneo sudoccidentale, calcolando velocità, distanze e coordinate a un ritmo che il suo vice riusciva a seguire a stento.
-Questa è la rotta della Genoa ? –domandò indicando una linea che andava dal lato est di Maiorca alla città di Orano.
-La rotta stimata –precisò Riley, contemplando la carta con espressione assorta e le mani poggiate sul tavolo-. Ci possono essere mille fattori che le hanno fatto cambiare la rotta.
-Capisco... –disse Jack, bevendo un sorso di caffè-. E questa linea che va da Cartagena e si interseca con l’altra siamo noi.
-Esatto.
-E questo punto –disse puntando il dito sul piccolo cerchio che Riley aveva tracciato con il compasso- è il...
-Punto di intersezione.
-Che dobbiamo raggiungere prima che lo faccia la Genoa .
-L’idea è questa –confermò-. Però siamo molto stretti con i tempi.
-Tanto per cambiare –sbuffò il gallego-. Ma la domanda è: cosa faremo una volta arrivati? Hai un piano?
Alex alzò lo sguardo dalla carta e guardò il suo vecchio compagno d’armi rivolgendogli un sorriso disperato.
-Speravo che ce l’avessi tu.
Il gallego si grattò la barba con fare meditabondo.
-Pregare vale?
-Credo che dovresti essere credente perché funzioni.
-Ah, cazzo... –si lagnò-. Questo spiega tante cose.
Jack si chinò sulla carta e seguì con lo sguardo le linee che aveva tracciato Riley con la matita, come se lì potesse trovare la soluzione.
-Quanto ci metteremo a raggiungere quel punto d’intersezione?
-Si trova a circa novanta miglia da qui, perciò, mantenendo questa velocità, dovremmo essere lì per le tre di stanotte.
-E la Genoa dovrebbe apparire...
-Secondo i miei calcoli tra le sei e le nove del mattino.
-A quel punto sarà già giorno –si lamentò Jack-. Sarà impossibile avvicinarci senza che ci vedano.
-A meno che non siano tutti ciechi a bordo, ma io non ci conterei troppo.
-E come faremo?
-Non ne ho la minima ide...
Riley si zittì di colpo.
La porta esterna del salone si era aperta lasciando apparire Marco Marovic con la sua inseparabile mitragliatrice Thompson a tracolla, due cartucciere piene di munizioni a guarnirgli il petto e una scintillante pistola Astra 400 da 9 millimetri in vita.
-Sono pronto –disse sfoderando un sorriso sinistro mentre dava un colpetto alla culatta della Thompson.
Riley sbatté le palpebre un paio di volte prima di domandargli:
-Ma che diavolo...? Cosa credi di fare, Marco?
-Beh... prepararmi –rispose confuso, come se gli avesse domandato perché si fosse messo i pantaloni.
-Ti ho già spiegato prima di salpare che non assalteremo quella nave. Non voglio spargimenti di sangue. Hai capito?
Marovic guardò per un istante Jack in cerca di un cenno di complicità, ma ciò che ricevette in cambio fu solo un’espressione divertita.
-Ma... posso sparare in aria –quasi implorò lo jugoslavo-. Solo per spaventarli.
-Niente sangue e niente spari –puntualizzò Riley con un tono quasi pedagogico-. E prima che tu me lo chieda, nemmeno esplosioni.
Il cetnico aggrottò le sopracciglia, imbronciato come un bambino a cui viene proibito di andare a giocare con gli amichetti.
-È una cosa stupida –sbottò con la sua solita diplomazia.
-Non farmi girare i coglioni, Marco. Non ho tempo per queste cazzate.
Marovic scosse la testa con frustrazione.
-Volevo solo aiutare.
Jack alzò gli occhi al cielo.
-Va bene –acconsentì Riley-. Allora se vuoi aiutare, aiuta –e indicò una delle sedie vicino al tavolo-, ma prima togliti di dosso tutta l’artiglieria. Mi rendi nervoso.
Lo jugoslavo sbuffò infastidito. A malincuore, si sfilò dalla testa la tracolla della Thompson e depose la mitragliatrice sul tavolo di legno con un colpo secco. Fece lo stesso con le due pesanti cartuccere e, in seguito, si slacciò la cintura da cui pendeva l’Astra 400.
Alex e Jack si scambiarono un’occhiata stoica.
Marovic alzò il piede destro, lo poggiò sulla sedia e si sollevò la gamba dei pantaloni, rivelando una cavigliera che nascondeva una piccola rivoltella argentata che depositò ugualmente sul tavolo. Con un movimento fluido cambiò gamba, estraendo dalla cavigliera sinistra un grosso coltello da caccia che andò ad aggiungersi all’arsenale sul tavolo.  
-Finito? –domandò Riley ironico, come se tutto ciò gli sembrasse poco-. Tutto qui?
Marovic ci pensò su un momento, e nel tastarsi i vestiti per accertarsene, si ricordò di un’ultima cosa. Infilò la mano nella tasca sinistra, da cui estrasse uno stretto cilindro rosso con una miccia all’estremità.
-Mi prendi per il culo... –proruppe Jack, alzando le sopracciglia con sconcerto.
-Dinamite? –sbraitò Riley alzandosi di scatto, guardando ora Marco, ora il candelotto e ancora Marco-. Hai portato della dinamite sulla mia nave? Ti ha dato di volta il cervello?
-Non si sa mai –si giustificò innocentemente.
-Non si sa mai? Non si sa mai, cosa? Non si sa mai che ti venga voglia di farci saltare tutti in aria?
-So ciò che faccio –si difese lo jugoslavo-. Li tengo conservati bene.
Riley esplose in una risata incredula.
-Li? Ma quanti...? –iniziò a chiedere-. Io ti...!
La mano di Jack afferrò il braccio di Riley.
-Alex, calmati.
Il capitano del Pingarrón aprì la bocca per rispondere al suo amico, ma quest’ultimo lo invitò a rimettersi seduto.
-Non c’è tempo per questo –disse il gallego.
Riley tentennò, ma alla fine fece schioccare la lingua e si mise a sedere.
-Hai ragione... Risolveremo dopo questa storia della dinamite -Tentò di riprendere la conversazione ma senza smettere di guardare il candelotto che ora giaceva sul tavolo-. Dove eravamo?
-Stavi per spiegarmi un brillante piano per abbordare la Genoa senza essere visti, compiere il furto e tornare al Pingarrón prima che si accorgano di ciò che è successo.
-Magari fosse così facile. –Sbuffò-. Di notte avremmo avuto qualche chance, ma alla luce del giorno... –scosse la testa- non mi viene in mente un solo modo senza destare sospetti. Non nel bel mezzo di una guerra.
-Ricordo che quando da bambino emigrai con i miei genitori negli Stati Uniti, durante la Grande Guerra –raccontò Jack-, qualche giorno prima i tedeschi avevano affondato la Lusitania davanti alla costa irlandese. Gli ufficiali della nave sulla quale viaggiavamo trascorsero l’intera traversata a controllare il mare con i binocoli e la nostra nave si allontanava da qualsiasi imbarcazione si avvicinasse a meno di due miglia. Perciò immagino che il capitano della Genoa sarà ancora più paranoico.
-E con tutte le ragioni –precisò Riley-. Il Mediterraneo è diventato un mare molto pericoloso. Dobbiamo trovare il modo di...
-Ho qualcosa da dire –intervenne Marovic, che si era seduto e passava distrattamente il dito sulla lama del coltello da caccia-. Posso?
I due ex brigatisti lo guardarono con sospetto.
-Purché non abbia niente a che fare con l’uso di armi o dinamite... –lo avvertì Riley.
-Quando ero piccolo –ricordò il mercenario-, vicino al paese dove vivevo comparve un grande orso nero, che quasi tutte le settimane uccideva una vacca o una pecora. Era un orso molto furbo –continuò senza smettere di giocare con il coltello-, e noi avevamo solo una vecchia carabina con cui bisognava sparare molto da vicino per centrare il bersaglio, ma non c’era modo di avvicinarsi abbastanza a lui. Per quanto ci nascondessimo, riusciva sempre a fiutarci da lontano. Gli uomini prepararono delle trappole e lazzi per catturarlo, ma l’orso non ci cascava mai. E continuava a uccidere il bestiame che ci serviva per superare l’inverno... Perciò un giorno, mio zio Boban decise di sacrificare una delle sue pecore e, coprendosi con la sua pelle e il suo sangue per attirare l’orso, chiese in prestito la carabina e andò nel bosco in attesa che l’orso si facesse vivo.
Detto ciò, Marovic rimase in silenzio per creare della suspense.
-E ce la fece? –domandò Jack con curiosità-. Uccise l’orso?
Un improvviso sorriso comparve sul volto del serbo.
-Non riuscì nemmeno a sparare un colpo! –esclamò ridendo, dando un colpo al tavolo-. Si addormentò e l’orso fece un banchetto con lo zio Boban. Lasciò solo la testa e un piede.
-Cazzo –grugnì Jack, immaginandosi la scena.
-Ma cosa c’entra questo con il nostro problema? –chiese Riley-. È una specie di metafora?
-Metafora? –domandò a sua volta Marovic-. Non lo so. Mi è semplicemente sembrato divertente.
-Divertente?
-Certo. Lui ha raccontato una storia di quando era piccolo – disse indicando Jack-. E io un’altra. Ora tocca a lei.
Jack si diede un colpo sulla fronte in segno di frustrazione.
-Cristo santo... Mi sembrava strano che potesse dire qualcosa di utile.
Riley, invece, alzò la mano per far tacere il suo vice.
-Aspetta, Jack –affermò pensieroso-. Forse ci ha dato la soluzione.
-Hai intenzione di uccidere una pecora e mettertela addosso?
-Non essere sciocco. Mi riferisco al fatto di tendergli una trappola. Se non possiamo avvicinarci alla Genoa , forse possiamo fare in modo che loro si avvicinino a noi.
-E come pensi di fare? Offrendo pizza gratis?
Riley rispose con un sorriso subdolo: -Qualcosa del genere.