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L’orizzonte iniziava già a rischiararsi oltre il fianco di babordo del Pingarrón quando Riley entrò nella cabina con il sestante in mano e i binocoli appesi al collo, imbacuccato in un vecchio giaccone di pelle nel quale si poteva ancora notare un segno nel punto in cui era stato cucito lo stemma del battaglione Lincoln.
Senza dire una parola si piazzò accanto a Julie, ancora al timone. Aprì il diario di bordo e svolse alcuni calcoli sul foglio, che si rivelarono una serie di coordinate che sottolineò con una matita. Poi alzò i binocoli in direzione sud e, dopo un lungo minuto passato a scandagliare l’oscurità, annuì soddisfatto e mise mano al tubo portavoce.
-César –chiamò-. Ferma le macchine e metti i motori al minimo.
-Agli ordini. Motori al minimo –ripeté dopo qualche secondo la voce del portoghese.
-Siamo già arrivati? –chiese Julie.
Riley diede un colpetto ai numeri che aveva scritto sul quaderno.
-Trentasei gradi e quarantadue minuti nord, zero gradi e dieci minuti est –lesse-. Sì, siamo già arrivati.
La francese guardò da una parte e dall’altra della cabina, vedendo solo buio pesto oltre i vetri. Neanche una minima luce all’orizzonte, in nessuna direzione.
-Se il capitano della Genoa è un marinaio efficiente –precisò Riley leggendo nel pensiero di Julie-, la sua rotta da Palma di Maiorca a Orano dovrebbe passare esattamente per di qua.
In quel momento, la porta che dava al salone si aprì ed entrò Jack, stropicciandosi gli occhi con espressione assonnata.
-Abbiamo spento i motori, vero? –domandò.
-Esatto –confermò Riley-. Ora dobbiamo aspettare che compaia la Genoa .
-E se non compare?
-Comparirà –rispose Alex con sicurezza-. Manterremo questa posizione fino a che non vedremo arrivare la nave italiana, e a quel punto spegneremo del tutto i motori e resteremo immobili. Dovrebbero essere qui nel giro di due o tre ore. –Guardò il suo pilota e il suo secondo e domandò-: Avete chiaro cosa dovete fare?
-Sì, ma continua a non piacermi –rispose Jack.
-Invece io credo che sarà excitant ! –esclamò Julie battendo le mani.
-A te sembra tutto excitant –borbottò il gallego.
Alex gli posò una mano sulla spalla per tranquillizzarlo.
-Ce la farai. Preoccupati solo che tutto sia pronto per quando arriverà la Genoa .
-Non sarebbe meglio se io ti accompagnassi e Julie restasse al comando?
Riley scosse la testa con determinazione.
-Ho bisogno di Julie con me. E inoltre, sarò più tranquillo se tu resti al comando e tieni d’occhio Marco. Non sia mai gli venga in mente di fare qualche stupidaggine.
-Non è solo questo –spiegò il gallego-. È che tutta questa storia è così avventata... Anche se avessimo avuto mesi per pianificarla, sarebbe stata comunque un grosso rischio.
Alex fece spallucce, rassegnato.
-È così che stanno le cose –affermò e, per chiudere il discorso, aggiunse-: Vai a chiamare César e Marco, mettetevi subito al lavoro. E tu –disse rivolto a Julie-, vai a vestirti e cerca di riposare finché non ti avviserò.
-E lei cosa farà, capitaine ?
-Io resterò qui, sul ponte, a tenere la nave in posizione e a fare la guardia. –Diede un paio di colpetti ai binocoli appesi al collo-. Una volta arrivata la Genoa , le cose andranno molto veloci, perciò tenetevi pronti, d’accordo?
-Non che abbiamo altra scelta... –rispose Jack rassegnato.
-Oui, capitaine ! –rispose Julie entusiasta, mettendosi sull’attenti scimmiottando un saluto militare.
I due si voltarono immediatamente e uscirono dal ponte di comando, lasciando Riley pensieroso, improvvisamente consapevole che la propria vita sarebbe dipesa da quell’equipaggio strampalato. Un gruppetto di espatriati, senza quasi esperienza in mare, né disciplina, né troppo rispetto per la sua autorità di capitano, ma dei quali, per qualche strana ragione, oltre qualsiasi logica, si fidava ciecamente –beh, di Marovic non tanto-, al punto da mettere la propria vita nelle loro mani.
-Andrà tutto bene –si disse, inspirando a fondo per calmarsi.
Si portò nuovamente i binocoli agli occhi e scrutò l’orizzonte a babordo. Intravide una linea sfocata, che separava appena l’oscurità del mare dall’imminente tramonto, che poteva essere l’ultimo della sua vita.
Nonostante la sicurezza che aveva mostrato di fronte al suo vice, c’erano tante cose che potevano andare storte in quel piano sgangherato, che non valeva nemmeno la pena di contarle.
Riley tentò di scacciare quei pensieri funesti dalla mente come se fossero uno sciame di insetti fastidiosi. Buttò fuori l’aria che aveva trattenuto nei polmoni e ripeté con meno convinzione:
-Andrà tutto bene.
Alle 8:43, un pennacchio di fumo comparve all’orizzonte a nordest, spiccando come una sporca pennellata nera sull’immacolato cielo azzurro del Mediterraneo.
-Rilevamento trentasei –informò Jack, confrontando la bussola del ponte con ciò che vedeva attraverso i binocoli.
-Sono loro –confermò Alex, in piedi al suo fianco.
-Lo spero –disse il gallego, abbassando i binocoli e spostando lo sguardo sul suo capitano-. Sei pronto?
Riley aveva indossato l’unico completo che aveva, un doppiopetto in lana blu sotto il quale si intravedeva una camicia bianca in cotone e una cravatta in seta bordeaux. Aveva acquistato tutto a Tangeri due mesi prima con l’idea di fare colpo su una donna che non aveva più visto da allora, e il cui solo ricordo gli provocava un fremito di eccitazione.
-Stai bene? –gli domandò il suo vecchio compagno d’armi, guardandolo con preoccupazione.
-Eh? Ah, sì, scusa. Stavo... –Fece un cenno vago in aria.
-Hai tutto?
Riley guardò le due valigie ai suoi piedi che, insieme al baule che giaceva sul ponte, conteneva tutto ciò che sperava gli sarebbe servito.
-Manca solo la sposa –disse facendo un cenno verso Julie, impegnata a salutare César.
Jack fece un sorriso complice nel vedere la coppia scambiarsi smancerie come due adolescenti. Poi rivolse lo sguardo verso il punto fumeggiante che andava crescendo all’orizzonte e che si dirigeva in linea retta verso di loro.
-Sei sicuro di ciò che fai, Alex?
Riley fece spallucce.
-Non vedo altra soluzione. Forza, prendi la radio e chiamali. Sai cosa devi dire, no?
Il gallego ignorò la domanda e, dopo aver sintonizzato la radio sul canale delle emergenze, si avvicinò al microfono mentre premeva il pulsante rosso posto vicino alla base.
-Qui Pingarrón. Qui Pingarrón a nave con rotta due-uno-sei. Mi ricevete? Passo.
Jack rilasciò il pulsante di trasmissione e attese qualche secondo prima di ripetere la formula:
-Qui Pingarrón. Qui Pingarrón a nave con rotta due-uno-sei. Mi ricevete? Abbiamo un’avaria. Passo.
Rilasciò di nuovo il pulsante e aspettò con lo sguardo sull’altoparlante. Ma non si sentì alcun suono.
-È possibile che abbiano la radio spenta? –chiese a Riley, che negò con la testa.
-Impossibile. Una nave di quel tipo deve sempre tenerla operativa e in ascolto. Specialmente in tempo di guerra.
-E se invece... non volessero risponderci?
-Tu insisti il più possibile. Risponderanno.
Il gallego si avvicinò nuovamente al microfono, ma un attimo prima di premere il pulsante di trasmissione, un fastidioso rumore di elettricità statica precedette una voce intermittente.
-Qui nave passeggeri Genoa... Come possiamo aiutarvi?... Passo.
-Abbiamo un’avaria al motore e abbiamo perso il controllo della nave. Passo.
-Avete bisogno di un meccanico? Passo.
-No, grazie. Possiamo ripararla. Ma abbiamo a bordo due passeggeri che hanno bisogno di arrivare domani a Nador –spiegò Jack, guardando Riley con la coda dell’occhio-. Potreste imbarcarli voi? Passo.
-Questa nave è diretta a Orano... Passo.
-Non è un problema –rispose il gallego dopo un attimo di pausa, fingendo di consultare qualcuno-. Considerate le opzioni, i passeggeri preferiscono andare a Orano piuttosto che restare qui... Potete fermarvi a prenderli? Passo.
-Un momento, per favore.
Il telegrafista della Genoa andò sicuramente a consultare il suo capitano. Tre minuti dopo, gli giunse un’altra voce, più grave e autoritaria:
-Sono il capitano Giuseppe Renzi, al comando della nave Genoa. Con chi parlo? Passo.
-Sono Joaquín Alcántara, sec... –si bloccò in tempo, correggendosi- capitano della nave da carico Pingarrón. Abbiamo un’avaria e a bordo ci sono due passeggeri che vorrebbero salire sulla sua nave per raggiungere Orano. Potreste recuperarli? Passo.
-Mi dispiace, ma questo non è un autobus, capitano Alcántara. Passo.
-Lo so. Ma si tratta di un’emergenza –spiegò, guardando Riley in cerca di appoggio-. I passeggeri sarebbero disposti a pagare il viaggio completo per le settanta miglia che ci sono fino a Orano... oltre a regalarle, per il disturbo, parte della preziosa merce che trasportano. Passo.
-L’amo è già gettato –mormorò Alex-. Vediamo se abboccano.
-Che merce? –domandò il capitano Renzi con malcelato interesse.
Jack alzò le sopracciglia in stile Groucho Marx e mormorò:
-Ce li abbiamo in pugno.
Sorrise e premette di nuovo il pulsante di trasmissione.
-È un piccolo carico di vino, champagne francese e caviale russo. Passo.
Il gallego si lasciò andare contro lo schienale della sedia, facendo schioccare le dita con soddisfazione.
-Va bene –confermò il capitano italiano, che Riley immaginò sbavare di fronte alla prospettiva dello champagne e del caviale-. Penso che possiamo farvi questo favore... Tenetevi pronti a calare una scialuppa quando arriviamo... Passo.
-Grazie mille, capitano Renzi –rispose Jack, sforzandosi per trattenere le risate-. Saremo pronti per quando arriverete. Passo e chiudo.
Mezz’ora dopo, la Genoa e il Pingarrón si trovavano fermi a poche centinaia di metri l’una dall’altro, cullati dal mare increspato da un leggero vento di levante di quattro nodi.
Sul pennone del Pingarrón, con i motori già spenti, ondeggiava la bandiera bianca con un rombo rosso a indicare che la nave aveva subito un’avaria meccanica. Qualche metro più in basso, sul ponte, seguendo le indicazioni di Jack, César manovrava la gru dalla quale pendeva una cassa di legno di un metro di lato, che lentamente scendeva verso una delle scialuppe del Pingarrón. Si trattava di un’imbarcazione ausiliaria a motore, assicurata a un fianco del mercantile e nella quale Marovic attendeva il carico per stivarlo con attenzione.
-Bene, ci siamo –disse Jack, rivolgendosi al portoghese-. Ce l’hai Marco? –domandò poi, affacciandosi dal parapetto.
Lo jugoslavo sciolse le cinghie della cassa e alzò il pollice in segno di conferma.
-Molto bene. Tira su la gru, César.
Riley e Julie si avvicinarono trasportando una valigia ciascuno. Il capitano del Pingarrón con il completo che aveva indossato un’ora prima, e la francese, con un leggero vestito di cotone che, sebbene non lasciasse molta pelle scoperta, era abbastanza aderente da rivelare la sua generosa anatomia.
-Ma guarda... –disse il gallego con espressione ironica, incrociando le braccia-. Fate proprio una bella coppia.
-Vero? –concordò Julie, prendendo Riley a braccetto con civetteria-. Siamo molto felici –aggiunse, avvicinandosi al suo presunto marito-. Non è così, mon chéri ?
Alex rivolse uno sguardo di scuse a César che non sembrava troppo contento ai comandi della gru.
-È stato caricato tutto? –domandò al suo secondo.
-Mancate solo voi.
-Molto bene –annuì e gli strinse la mano a mo’ di saluto-. Occupati della nave finché non torno.
-E voi due fate attenzione... e non lasciare che faccia qualche stupidaggine.
-Non mi separerò da lei nemmeno per un istante –garantì Riley.
-Dicevo a Julie –precisò Jack e, guardando la francese, aggiunse-: Non fargli mandare tutto a puttane.
-Lo terrò sotto controllo –rispose lei con un occhiolino.
Riley alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
-Ok, basta chiacchiere –tagliò corto recuperando la valigia-. Non facciamo attendere il capitano Renzi.
Alex si avvicinò al parapetto, da cui pendeva la scala dalla quale dovevano scendere per raggiungere la scialuppa. Ma prima di scavalcare, rivolse uno sguardo alla nave verso la quale erano diretti. La Genoa era un’imbarcazione a vapore di centocinquanta metri di lunghezza fuoritutto e dalle linee antiquate, probabilmente costruita alla fine del secolo precedente. Enormi macchie di ossido colavano lungo i fianchi dello scafo dipinto di nero. Anche da quella distanza, la sovrastruttura bianca, sulla quale svettava un fumaiolo solitario, appariva come una vecchia nave agghindata sotto cinquant’anni di strati di vernice.
-Pronta? –domandò a Julie, che osservava la nave italiana quasi con avidità.
La francese lo guardò con la coda dell’occhio e sorrise volpina.
-Andiamo a fare da cattivi.