5
Marovic condusse la scialuppa fino al lato di tribordo della Genoa , il cui fianco si elevava a più di otto metri sopra il livello dell’acqua.
Con l’aiuto di una serie di pulegge, i marinai calarono una scaletta richiudibile fino alla linea di galleggiamento. Due di loro scesero immediatamente e, dopo aver ormeggiato la barca con la cima lanciatagli dallo jugoslavo, aiutarono Riley e Julie a salire a bordo della Genoa .
Sul ponte vennero ricevuti da un giovane ufficiale alto, moro, dai capelli impomatati e con indosso un’impeccabile uniforme bianca, che rivolse uno sguardo di ammirazione a Julie senza preoccuparsi del fatto che il suo presunto marito fosse al suo fianco.
-Benvenuti a bordo della Genoa –li salutò in perfetto spagnolo, stringendogli la mano-. Mi chiamo Giorgio Iliano e sono il commissario di bordo.
-Grazie per averci accolti –rispose Riley, rispondendo alla stretta-. Io sono Alex Riley e lei è mia moglie, Julie.
-Non siete spagnoli? –domandò sorpreso l’ufficiale-. Pensavamo che... –Indicò il Pingarrón, con la sua bandiera rojigualda che sventolava a poppa.
-Io sono americano e mia moglie francese. Spero che non costituisca un problema.
-Ehm... no. Assolutamente no. Se volete accompagnarmi, vi porterò nel ponte passeggeri, dove potrete riposare fino a quando non giungeremo al porto, questa sera.
-Non potrebbe assegnarci una cabina? –Riley indicò Julie e aggiunse-: Mia moglie è sfinita e ha bisogno di sdraiarsi anche solo un paio d’ore. Quella nave spagnola –fece un gesto dispregiativo verso il Pingarrón- è una vera e propria porcilaia e non chiudiamo occhio da quasi due giorni.
L’ufficiale era sul punto di rifiutare, quando Alex estrasse dalla tasca il fascio di banconote che gli aveva dato Nicholas Palermo la notte prima e aggiunse:
-Ovviamente, pagheremo per la comodità extra.
Nonostante ciò, l’ufficiale esitò e non sembrò decidersi fino a quando Julie non gli posò la mano sul braccio e, con un teatrale battito di ciglia, lo implorò:
-S’il vous plaît ...
L’ufficiale buttò uno sguardo all’orologio da polso.
-Ovviamente –concesse infine.
A quel punto chiamò uno dei marinai che li avevano aiutati a portare su le valigie e gli ordinò qualcosa all’orecchio.
-Tra venti minuti avrete una cabina a vostra disposizione –li informò Giorgio-. Nel frattempo, potete aspettare nel ristorante finché non verrete avvisati. E non preoccupatevi dei bagagli. Vi verranno recapitati direttamente nella cabina.
-Eccellente – annuì Riley, soddisfatto-. A proposito –aggiunse come ricordando qualcosa-, quella cassa che abbiamo portato è per gli ufficiali della Genoa . Un segno di riconoscenza per essersi fermati a prenderci.
-Grazie mille, signor Riley –rispose l’ufficiale, passandosi istintivamente la lingua sulle labbra.
-Grazie a voi. Spero che la apprezziate –rispose con un cenno del capo.
Riley porse il braccio a Julie e i due si diressero verso l’area passeggeri seguendo un marinaio che li aveva aspettati con un sorriso premuroso.
Il ponte della Genoa era occupato in buona parte da sacchi di rafia e casse di diversa grandezza. Quello che in altri tempi doveva essere stato un piacevole ponte da passeggio per permettere ai passeggeri di godersi la brezza marina mentre la nave solcava il Mediterraneo, a causa della guerra e della necessità di coprire le spese, era diventato poco più che una stiva a cielo aperto lungo la quale si camminava a fatica.
-E adesso? –chiese Julie a voce bassa, dopo essersi assicurata che nessuno potesse sentirla.
-Dobbiamo trovare il tizio che ha la merce.
-E come faremo? –Si guardò attorno-. Questa nave è très grande .
-Inizieremo dal ristorante, come ci ha suggerito il commissario. –Consultò l’orologio da polso e aggiunse-: Con un po’ di fortuna, è possibile che lo troviamo mentre sta mangiando.
-E se no?
-Se no, dovremo improvvisare. Ci toccherà perquisire la nave con discrezione e senza attirare l’attenzione.
Mentre parlavano, raggiunsero l’ingresso della sala ristorante, e Riley aprì la porta con galanteria per dare la precedenza a Julie, che soffocò una risatina di fronte all’insolito gesto del capitano.
Appena entrarono nella sala, mezzo centinaio di teste si voltarono con evidente interesse, intrigati da quella coppia che aveva fatto fermare la Genoa in alto mare.
-Cosa diceva, capitaine ... –mormorò Julie, chinandosi verso Riley- sul fatto di non attirare l’attenzione?
Riley fece schioccare la lingua, infastidito.
-Sediamoci. –Indicò un tavolo vuoto dall’altra parte della sala-. Togliamoci di mezzo.
Attraversarono il ristorante guardandosi attorno con nonchalance, tentando di identificare l’uomo che cercavano tra i commensali.
Una volta preso posto a sedere, Julie domandò a voce bassa:
-L’ha visto? –Fece un lieve cenno con la testa, indicando un uomo seduto di spalle a due tavoli di distanza da loro-. Potrebbe essere lui?
Alex lo guardò di sfuggita prima di rispondere:
-Potrebbe.
A quanto visto mentre attraversavano il salone, si trattava di un uomo di mezz’età dall’aspetto distinto e ben vestito, con dei sottili baffi neri e l’aria distratta. Era uno dei pochi in tutta la sala che non si era voltato a guardarli.
-Vuole che...? –iniziò a domandare Julie.
-Un momento.
Riley alzò la mano per attirare l’attenzione del cameriere più vicino, che si avvicinò solerte e, dopo una meccanica inclinazione della testa, gli chiese cosa volessero ordinare.
Alex scelse una colazione continentale per entrambi, e con fare casuale aggiunse:
-Ah, una domanda... saprebbe dirmi se quel gentiluomo lì –e indicò con lo sguardo l’uomo solitario- è il dottor Bernard Rieux, francese?
Il cameriere si voltò per metà e gli rispose con un’alzata di spalle.
-Mi scusi. Non lo so.
-Capisco. –Il capitano annuì e mise mano al portafoglio, dal quale estrasse una banconota da venti franchi che lasciò sul tavolo-. E potrebbe scoprirlo per noi... con discrezione? Gliene sarei molto grato.
Il cameriere trattenne un sorriso per quel denaro facile, allungò la mano e afferrò la banconota, che scomparve rapidamente nella tasca dei suoi pantaloni.
-Un minuto, per favore. –Si voltò e si diresse verso il bancone, dove domandò qualcosa al barista che si trovava lì intento a mettere in ordine alcune bottiglie. Qualche secondo più tardi, da lontano, gli fece un cenno affermativo con la testa.
-È lui –confermò Julie.
-Sai cosa fare?
-Bien sûr –lo rassicurò con un occhiolino.
-D’accordo –disse Alex, stringendole il braccio-. Andiamo.
Julie sorrise, si alzò in piedi, si sistemò il vestito, come se non si trattasse d’altro che di un gioco, prese la sua pochette e si incamminò con fare malizioso verso il passeggero solitario.
Riley la seguì con lo sguardo, osservandola mentre si avvicinava all’uomo e si presentava. Lui scattò in piedi come una molla e, dopo un breve scambio di parole, invitò Julie a sedersi al suo tavolo con un ampio gesto.
Da lontano, Alex vide Julie sfoderare tutto il suo fascino davanti all’uomo, sorridendo candidamente e giocando con i capelli come un’adolescente spensierata. Dal suo linguaggio del corpo, Riley dedusse che gli stava raccontando il rocambolesco viaggio a bordo del Pingarrón, dicendogli quanto fosse contenta di poter parlare finalmente con un francese dopo mesi trascorsi in Spagna e con un marito che parlava solo inglese.
Quindici minuti dopo, Julie aveva ormai la completa attenzione del suo compatriota, che si chinava verso di lei sul tavolo. Riley riusciva a percepire il suo interesse nonostante fosse di spalle. A quel punto la pilota gli passò la mano sul braccio in modo affettuoso, e Riley si alzò e si diresse furtivamente verso l’uscita: quello era il segnale stabilito.
Una volta sulla soglia si voltò un’ultima volta e vide Julie impegnata a indicarsi le costole con atteggiamento dolorante, parlando all’uomo degli inspiegabili disturbi di cui aveva sofferto negli ultimi mesi e di quanto sarebbe stata grata a un dottore francese come lui se l’avesse auscultata nella sua cabina prima di raggiungere il porto.
Quando Riley uscì sul ponte sorrise tra sé, pensando che quel tale Rieux sarebbe stato ben contento di visitare Julie anche se la sua specializzazione fosse stata la geologia.
Come era prevedibile, non ci volle molto prima che Julie e il dottor Rieux lasciassero insieme il ristorante, chiacchierando animatamente, diretti verso la sezione delle cabine.
Utilizzarono la scala di babordo per salire al ponte della prima classe, mentre Julie raccontava sconsolata di quanto si era sentita sola da quando, qualche mese prima, aveva sposato un uomo che usava il matrimonio per salvare le apparenze.
La preoccupazione iniziale di Rieux per il marito che la accompagnava si dissipò quando lei gli confessò che suo marito aveva altri gusti e che avevano raggiunto il tacito accordo di guardare dall’altra parte quando fosse stato necessario.
Rieux provò pietà per lei e accettò di visitarla per quello strano dolore alle costole, così che, meno di mezz’ora dopo essersi imbarcata sulla Genoa , Julie faceva il suo ingresso nell’ampia cabina di prima classe a braccetto del comprensivo dottore.
Sebbene non fosse provvisto nemmeno della più elementare strumentazione diagnostica, Rieux invitò Julie a sedersi sul letto, dove avrebbe potuto controllarle comodamente qualsiasi infiammazione intercostale.
La giovane obbedì senza pensarci due volte, ma proprio quando Rieux stava allungando una mano per palparla, delle nocche inopportune picchiettarono alla porta.
-Servizio in camera, signore –annunciò una voce.
-Pas maintenant. Revenez plus tard –disse Rieux, chiedendo di tornare più tardi e riportando immediatamente la propria attenzione sulla paziente.
Ma le nocche ripresero a bussare.
-Servizio in camera, signore.
-J’ai dit pas maintenant –insistette Rieux e, appellandosi al suo italiano rudimentale, aggiunse-: Ritorna dopo.
Dopo qualche secondo di silenzio, Rieux sorrise soddisfatto sotto i baffetti e tornò a concentrarsi su Julie.
Le nocche tamburellarono impertinenti sulla porta della cabina ancora una volta.
-Servizio in camera, signore.
Questa volta, Rieux si alzò stringendo le labbra e i pugni, disposto a cantarne quattro a quel marinaio rompipalle. Aprì la porta di scatto e alzò il dito con fare irritato, prima di rendersi conto che quell’uomo corpulento, dai disordinati capelli neri, gli occhi color miele e una cicatrice sulla guancia sinistra, non era un membro dell’equipaggio della Genoa . Di fatto, somigliava abbastanza all’uomo con cui gli era parso di vedere entrare Julie nel ristorante.
-Buongiorno, dottor Rieux –lo salutò lo sconosciuto con una cortese inclinazione del capo-. Mi permette di entrare?
Il dottore sbatté le palpebre un paio di volte, sconcertato da quell’apparizione.
-Je... –balbettò- je ne sais pas...
-Come stai, tesoruccio? –domandò Riley affacciandosi nella cabina, ignorando il francese-. Tutto bene?
-Molto bene, mon petit amour –rispose Julie con lo stesso tono sdolcinato-. Eccomi qui, a passare un po’ di tempo con il dottore.
-Cosa... cosa vuole? –domandò Rieux, cambiando lingua e tentando di recuperare la compostezza perduta.
Riley sorrise sicuro di sé.
-Tranquillo, doc. Voglio solo entrare e parlare un momento con lei.
-Sua moglie mi ha detto che... –spiegò Rieux, senza muoversi dalla porta- che a lei non importava.
Il sorriso del capitano si fece più ampio.
-E infatti non mi importa. Ma quando lo scoprirà il suo vero marito, lei avrà dei grossi problemi.
-Cosa?
-Andiamo, basta giochetti –disse Riley, poggiando la mano sulla porta-. Si faccia da parte, dottore.
-No! –esclamò Rieux, mettendo un piede in mezzo per bloccare il passaggio-. Chiamerò la sicurezza.
-Oh, no mon chéri - disse Julie alle sue spalle-. Io non lo farei.
Rieux si voltò nella sua direzione, e la sua già enorme confusione aumentò nello scoprirla ancora seduta sul letto, sorridente, ma questa volta vicino alla sua borsetta aperta e con in mano una piccola pistola da caccia dall’impugnatura in madreperla puntata dritta al suo cuore.