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Puntuale, alle quattro meno cinque Julie bussò alla porta della cabina di Rieux.
-Capitaine
–bisbigliò-. C’est moi
.
La porta si aprì immediatamente, e da essa spuntò la testa di Riley per assicurarsi che non ci fosse nessun altro nel corridoio.
-Entra- le disse, facendosi di lato.
Quando la francese entrò nella cabina, scoprì con stupore che il dottore ora si trovava sul letto, libero e senza bavaglio, russando come un angioletto. Sul comodino giaceva una bottiglia vuota di gin da quattro soldi.
-Se l’è bevuta tutta? –domandò, indicandola.
-Come un vero campione. –Riley sorrise subdolo-. L’ho messo a scegliere tra una sbronza e un colpo alla nuca per lasciarlo incosciente-. Fece un gesto esplicito verso la bottiglia e aggiunse-: Ha bevuto fino all’ultima goccia.
-Lo vedo.
-Ma veniamo a noi –disse indicando il pacchetto che la francese teneva sotto braccio-. Ce l’hai?
Julie mostrò il piccolo fagotto avvolto in un pezzo di tela verde.
-I garçons
della cucina sono stati così gentili da impacchettarmelo in modo che rimanga fresco il più a lungo possibile.
-E non ti hanno fatto domande?
-Ho solo sorriso dicendo che dovevo prenderlo –spiegò tronfia e divertita-. Per poco non si mettono a litigare tra loro per aiutarmi.
Alex si lasciò scappare un sospiro, prendendo il pacchetto dalle mani di Julie.
-Italiani... –borbottò-. Sempre così prevedibili.
Il capitano del Pingarrón soppesò quel pacchetto, sorprendendosi per quanto fosse leggero. Era difficile immaginare
che qualcosa di così piccolo potesse valere ventimila franchi svizzeri.
Julie doveva aver pensato la stessa cosa, poiché domandò incuriosita:
-Cosa può esserci lì dentro da valere tanto denaro?
-Non ne ho idea. –Fece spallucce-. Ma non sono affari nostri.
-E non prova... curiosité
di vedere di cosa si tratta?
Alex la guardò con serietà.
-L’ho detto a Rieux e lo ripeto a te, Julie. Non vogliamo saperlo, mi spiego?
-Oui, capitaine
.
-Molto bene –rispose e, indicando alle proprie spalle con il pollice, aggiunse-: Ora aiutami a legare di nuovo Rieux, non sia mai che si svegli prima del tempo. Poi ce ne andiamo nella nostra cabina, conserviamo questo –alzò il pacchetto con l’altra mano- nella valigia, e appena attracchiamo in porto sbarchiamo il più in fretta possibile.
-E lui –volle sapere Julie, guardando con compassione il dottore- lo lasciamo così?
-Starà bene –le assicurò Riley con tranquillità-. Quando controlleranno le cabine per pulire, lo troveranno lì, con dei postumi da record. Ma a quel punto io e te saremo all’Hotel Royal, a cenare con una buona aragosta.
Julie continuava ad annuire mentre il suo capitano parlava, sebbene nella sua mente ci fosse ancora un ultimo dubbio.
-Mais
... cosa succederà quando Rieux si sveglierà? Non avremo dei problemi con la polizia quando ci denuncerà per furto?
-Non ci denuncerà –sentenziò Alex-. Questa è una cosa che lui ha rubato per primo e che si è impegnato a tenere nascosta. Non so cosa farà una volta sveglio, ma l’unica cosa certa è che non avviserà la polizia, tranquilla.
-Chi ruba a un ladro... –iniziò a citare Julie.
-Esatto -la interruppe lui raccogliendo da terra il cinturino della vestaglia che aveva usato per legarlo la prima volta-. E ora, per sicurezza, facciamo un bel pacchetto con il caro dottore.
Appena un’ora dopo, la Genoa
faceva il suo ingresso nella baia di Orano.
Si trattava di un’ampia insenatura a forma di mezzaluna, nella
quale un guazzabuglio di casette bianche e insulsi edifici grigi erano sparsi disordinatamente verso l’entroterra, come se a qualcuno fosse caduta una città dalle mani e non si fosse preso il disturbo di raccoglierla. Una città sulla quale si ergeva l’imponente e arido massiccio del monte Aïdour, dal quale il Forte di Santa Cruz, costruito dagli spagnoli sulla sua vetta quattro secoli prima, dominava la baia dai suoi imponenti quattrocento metri di altezza.
A ovest della montagna si estendeva il porto militare di Mazalquivir, dove si rifugiavano ancora le navi dell’armata francese inutilizzate durante la battaglia di Mers el-Kébir, avvenuta meno di due settimane prima. Nel frattempo, a ovest dell’Aïdour e grande quasi quanto la città alle sue spalle, protetto dai temporali di levante da un bacino chilometrico, il porto commerciale di Orano era il cuore della città e la porta d’ingresso all’Algeria soggiogata dal governo fantoccio della Francia di Vichy.
Prima ancora che la Genoa
varcasse l’ampia imboccatura del porto, i passeggeri della nave iniziarono ad ammassarsi sul ponte, intralciando i marinai che si preparavano all’attracco. Erano trecento passeggeri di ogni classe e condizione, che fuggivano dalla guerra in Europa e cercavano in Africa un nuovo futuro lontano dalle bombe e dalla morte che devastava il vecchio continente. Trecento uomini, donne e bambini che non vedevano l’ora di scendere con le loro valigie logore in mano e tanta speranza di cominciare una nuova vita sotto il sole africano.
Tra quell’inquieta moltitudine si trovavano Riley e Julie, come una delle tante coppie che occupavano il ponte della Genoa
, che cercavano di passare inosservati mentre stormi di gabbiani volavano compiendo dei cerchi sopra la nave, stridendo in modo esorbitante.
-Mi sono appena resa conto –disse Julie osservando l’enorme bandiera tricolore che sventolava sul forte-, che da quando mi sono imbarcata sul Pingarrón non ho più messo piede sul territoire français
.
Alex la guardò con la coda dell’occhio.
-Ti manca la tua patria?
La pilota ci pensò su un momento prima di rispondere:
-Non
. Mi mancano un po’ la mia casa e i miei amici, e perfino la mia città... Ma quella vita fa parte del passato e no, non mi manca per niente.
Riley annuì senza dire una parola. Julie non gli aveva mai spiegato cosa l’avesse spinta ad imbarcarsi su una nave di contrabbandieri, ma sospettava che ci fosse qualcosa di oscuro e doloroso di cui non voleva parlare. Come tutti gli altri, si disse, reprimendo una smorfia amara.
Con lentezza snervante, la Genoa
attraversò l’imboccatura del porto per dirigersi al Molo Centrale, situato all’estremità occidentale del porto, dove si trovava il terminal passeggeri e l’edificio della dogana.
All’improvviso, un leggero trambusto sul ponte fece sì che Riley guardasse indietro. In un primo momento suppose che si trattasse di qualche battibecco tra passeggeri dovuto al nervosismo per l’arrivo, ma a quel punto sentì una voce francese sovrastare le altre:
-Aidez-moi, s’il vous plaît
! –esclamava chiedendo aiuto- Aidez-moi
!
-Merda –imprecò Alex, riconoscendo la voce di Rieux.
-Oh, no! –esclamò Julie-. Che facciamo?
-Non facciamoci notare –rispose lui, dando le spalle alle voci e chinando leggermente il capo per non spiccare tra la folla.
-Come avrà fatto a scappare? –domandò Julie, voltandosi con discrezione.
-Forse gli addetti alle pulizie sono andati prima del previsto, o qualcuno ha notato la sua assenza ed è andato a cercarlo in cabina-. Sbuffò dal naso-. Ormai non ha importanza.
Il vociare aumentò e alla voce del dottore se ne sommarono molte altre in italiano, impartendo ordini.
-Attenzione! Attenzione! –gridò un ufficiale con le braccia alzate.
-È Giorgio, il commissario di bordo –constatò la francese con preoccupazione-. Ci conosce.
-Lo so, lo so... –mormorò Alex, guardandosi attorno in cerca di una via di fuga. Ma non ce n’era nemmeno una.
Ci voleva ancora una buona mezz’ora prima che potessero sbarcare, ma ad ogni modo sarebbe stato impossibile scendere a terra senza che Rieux o il commissario li riconoscessero. Avrebbero potuto tentare di nascondersi in qualche angolo della nave e attendere la notte per scappare, ma sarebbe stato difficilissimo riuscirci senza che nessuno dell’equipaggio li vedesse, e la Genoa
sarebbe potuta facilmente trasformarsi in una trappola per topi.
La folla di passeggeri aveva smesso di guardare a babordo verso la vicina città e ora tutti osservavano la parte opposta, incuriositi dal crescente scalpore creato dagli ufficiali.
-Signori passeggeri –disse il commissario alzando la voce, arrampicato su un verricello per fare in modo che tutti lo vedessero-, abbiamo un ladro a bordo. Siete pregati di avvicinarvi ordinatamente in modo che possiamo identificarlo.
In risposta alla richiesta dell’ufficiale, e nonostante lo sconcerto iniziale, i passeggeri iniziarono ad avvicinarsi a lui in fila, passaporti alla mano.
All’improvviso, la folla che li aveva circondati e nella quale si erano sentiti così al sicuro si dissipò in direzione di Rieux, Gennaro e degli altri marinai che li accompagnavano e verificavano uno per uno i documenti dei passeggeri.
-Capitaine
... –mormorò Julie con crescente preoccupazione.
Riley le rivolse un’occhiata che era quasi una richiesta di perdono.
-Non riusciremo a sbarcare. E non possiamo nemmeno nasconderci.
-Io non voglio che mi prendano –affermò Julie, constatando con terrore che c’erano sempre meno persone attorno a loro-. Non voglio andare in prigione.
Alex le passò il braccio sulle spalle per trasmetterle sicurezza.
-Tranquilla. Non ci prenderanno.
-Non
? –chiese speranzosa-. Ma come faremo a scappare?
Riley aprì la bocca per rispondere, ma la voce di Rieux lo anticipò, alle loro spalle:
-Ils sont là! Les voleurs!
I ladri!
Riley e Julie si voltarono contemporaneamente. Come temevano, il dottore era lì, arrampicato su una scala che li indicava con gli occhi fuori dalle orbite e la camicia macchiata del suo stesso sangue.
In un attimo, lo sguardo del commissario e di una decina di marinai sul ponte si posarono su di loro.
-Voi! –esclamò Giorgio, come se un intimo sospetto gli fosse stato confermato.
I pochi passeggeri che si trovavano ancora attorno a loro si allontanarono rapidamente, formando un ampio semicerchio, tra
l’allarmato e l’incuriosito.
Il commissario scese dal verricello con un salto e, seguito da diversi marinai, si diresse in linea retta verso di loro, scansando la gente con le braccia mentre si scusava:
-Permesso. Mi scusi.
Istintivamente, Riley e Julie fecero qualche passo indietro, finché non si scontrarono con il parapetto.
-Se davvero ha un piano, capitaine
–mormorò la francese-, questo sarebbe un buon momento per condividerlo.
-Io non lo chiamerei esattamente «un piano» -puntualizzò e, senza togliere gli occhi di dosso agli uomini che si avvicinavano, domandò-: Ti fidi di me?
-Cosa?
-Ti fidi? –ripeté.
Julie guardò il commissario, che era sul punto di superare l’ultima barriera di curiosi.
-Ho altra scelta? –chiese rassegnata.
Alex le fece un occhiolino.
-Fai come me. Sarà divertente.
Julie non fece in tempo a chiedere a cosa si riferisse. Il capitano del Pingarrón prese la sua valigia per la maniglia e la lanciò in acqua al di sopra del parapetto.
Senza sapere ancor cosa stesse facendo, Julie lo imitò.
-Ora dammi la mano –le disse lui.
A quel punto capì ciò che intendeva fare.
-Oh, mon Dieu... Non
.
-Non c’è altra via d’uscita –disse Riley-. Coraggio.
La pilota esitò un istante.
-Merde
–concluse, salendo sul capo di banda e mettendosi in piedi sul bordo.
-No! Fermatevi! –esclamò l’ufficiale-. Non fatelo!
Ignorandolo, Riley si piazzò accanto a Julie, senza lasciarle la mano nemmeno per un momento.
-Pronta? –le chiese.
-È molto alto! –rispose lei, stimando la considerevole distanza che li separava dall’acqua.
-Al mio tre! –la incoraggiò Riley.
-Ho le vertigini! –protestò lei, disperata.
-Uno!
Prima di dire «due», quando gli uomini della Genoa
stavano per raggiungerli, Riley tirò Julie e i due precipitarono nelle oscure acque del porto di Orano.