12
A quell’ora della sera, il sobrio edificio della Cattedrale del Sacro Cuore di Orano, con le sue due eleganti torri gemelle in stile mozarabico che fiancheggiavano la vivace facciata di mattoni in arenaria, invitava ad addentrarsi al suo interno per sfuggire all’insopportabile calura che assediava la città.
Alex Riley e Jack Alcántara, che lo seguiva a pochi passi di distanza, salirono l’interminabile scalinata di pietra e, come due fedeli qualsiasi, attraversarono gli archi dell’ingresso principale.
Mancava ancora un po’ alla messa delle diciannove, ma il luogo era già pieno di parrocchiani che occupavano la maggior parte dei banchi in legno, mormorando preghiere in direzione dell’enorme crocifisso che presidiava l’altare all’estremità opposta della navata. Mentre si dirigevano da un lato con discrezione, Riley osservò che i muri avevano perso da tempo il loro bianco immacolato a causa delle centinaia di ceri che, come piccole stelle gialle, ardevano ai piedi di quei santi e di quelle vergini di gesso dalla carnagione rosata, quasi sprezzanti dalle loro nicchie rialzate.
-C’è troppa gente, non ti pare? –disse Jack, facendo scorrere lo sguardo tra i banchi.
-Dev’essere a causa della piaga –sussurrò Alex-. In tempi disperati, le religioni fanno affari d’oro.
-Sì, credo sia così –mormorò il gallego e, allungando il collo, chiese-: Vedi qualcosa?
Riley si guardò attorno con nonchalance e consultò l’orologio.
-Siamo nel posto esatto all’ora esatta –confermò-. Non credo tarderanno.
Subito dopo, si immersero in un inquieto silenzio che durò per più di un minuto, colpiti dall’aria sconsolata che si respirava in quel posto, dove le preghiere si mescolavano ai lamenti soffocati e al pianto dei bambini.
-Strano posto in cui chiudere un affare –commentò Jack.
Alex fece spallucce.
-Guarda il lato positivo. Non credo che qualcuno si azzarderebbe a spararci qui dentro.
Il gallego fece per rispondere, ma venne preceduto da una voce femminile al suo fianco:
-Dipende.
I due si voltarono verso una figura avvolta in un hijab nero che, inginocchiata, stava accendendo un cero votivo davanti a un’immagine riccamente ornata di Nostra Signora d’Africa.
-Scusi? –chiese Jack, infastidito da quell’intromissione.
La donna si alzò in piedi con tranquillità e scostò il velo dal viso perché potessero vedere con chiarezza i suoi tratti.
Riley non ebbe bisogno di vedere i capelli rossi nascosti sotto la stoffa per riconoscere quegli occhi azzurri e quel sorriso sbieco che li accompagnavano.
-Buonasera, capitano.
Alex dovette fare un enorme sforzo per non lasciar trasparire la sorpresa.
-Non mi aspettavo di vederla qui.
-Nessuno se l’aspetta mai –rispose Noemí con un sorriso-. Ha la merce?
-Certo.
La donna rivolse uno sguardo fugace alle mani vuote di Alex.
-Me la mostri.
-Non crederà che ce l’abbia qui con me.
Il sorriso sfumò dal viso lentigginoso di Noemí, come se non fosse mai stato lì.
-La consegna era fissata per oggi –disse con voce grave.
-Lo so –ammise Riley-. Ma è sorto un piccolo inconveniente.
La donna fece schioccare la lingua con delusione.
-Un inconveniente... –ripeté con il tono che avrebbe usato una maestra di fronte a un bambino che afferma che il cane gli ha mangiato i compiti.
-Esatto. Dobbiamo...
La donna alzò una mano, zittendolo.
-Le sue ragioni non mi interessano –sibilò-. Se non rispetta l’accordo con il signor March, ne pagherà le conseguenze.
-Lei non capisce –intervenne Jack, avvicinandosi.
Nonostante il suo aspetto minuto rispetto al gallego, si voltò nella sua direzione come una saetta, pietrificandolo con uno sguardo glaciale.
-No, siete voi a non capire. Se non rispettate la vostra parte dell’accordo, non vedrete più sorgere il sole.
-Non ci minacci –mormorò Riley, facendo un passo in avanti, cercando di intimidire Noemí.
Con la velocità di un fulmine, un coltello apparve nella mano della donna, fermandosi sull’inguine di Alex.
-Non ho bisogno di minacciarla, capitano –sussurrò, premendo la lama d’acciaio contro i suoi genitali-. La sto solo avvertendo... per il suo bene.
Riley afferrò il sottile polso di Noemí e allontanò il coltello bruscamente.
-Voglio parlare con il signor March –le disse con durezza-. Non con la sua impiegata.
Il sorriso si allargò sul viso della donna, andando a formare due parentesi ai lati delle labbra.
-Lei non parlerà con nessuno –rispose liberandosi dalla presa, apparentemente divertita da quella richiesta-. Per lei, questa impiegata è come Gesù Cristo –aggiunse aprendo le braccia con fare teatrale, facendo sì che una fedele che passava in quel momento al suo fianco si voltasse, scandalizzata-. Non esiste alcuna salvezza, se non attraverso di me.
Il tono di voce dei due stava attirando l’attenzione dei parrocchiani, ed erano sempre di più quelli che rivolgevano loro sguardi di rimprovero dai banchi della chiesa. Ma la cosa non sembrava importare minimamente a Noemí che, anzi, sembrava divertita dal fatto di avere un pubblico.
-Restituiremo il denaro che ci ha anticipato –spiegò Riley in un tentativo di essere ragionevole-. E sono perfino disposto ad arrivare a un accordo vantaggioso, in vista di contratti futuri.
Questa volta, Noemí proruppe in una risata che risuonò in tutta la chiesa.
-Futuro? –rispose a fatica, come chi si riprende dopo una battuta divertentissima-. Nessuno di voi ha alcun futuro se non mi consegnate la merce.
Una piccola folla aveva iniziato a circondarli con aria ostile e si iniziavano a sentire diverse lamentele: li volevano fuori dal tempio. Jack li guardava con preoccupazione, e Alex temette che se quella situazione si fosse prolungata, prima o poi qualcuno avrebbe chiamato la polizia. La donna, tuttavia, non sembrava nemmeno vedere quella gente.
-Stanotte –disse finalmente Riley, rivolgendo uno sguardo rassegnato al suo secondo-. Stanotte gliela consegneremo. Alla stazione dei treni.
-No. Me la dia adesso –obiettò Noemí, allungando la mano.
-Il patto era che la consegna sarebbe stata oggi –le ricordò lui-. Non abbiamo parlato dell’orario.
-Al signor March non piacerà affatto il suo atteggiamento.
-E a me non piace il suo. Ma non siamo qui per diventare amici, no?
La donna sembrò contare mentalmente fino a dieci.
-Tra un’ora –concesse-. Alla stazione ferroviaria.
Riley negò con la testa.
-A mezzanotte.
-Lei non detta le condizioni. Il signor March...
-Il signor March –la interruppe lui, questa volta-, vuole solo la sua merce. Le dirà che non ce l’ha perché non ha voluto aspettare un paio d’ore?
Noemí affilò lo sguardo, tendendo i muscoli della mascella come se si stesse trattenendo dal fare una scenata, ma rimase in silenzio.
Dopo qualche istante di attesa per una risposta che non arrivava, Riley aggiunse:
-Lo prenderò per un sì.
Senza darle il tempo di rispondere, si voltò, lasciandola piantata e con le parole ancora sulla punta della lingua.
-Capitano! –lo chiamò infine, quando si era già allontanato di una decina di metri.
Alex si fermò, voltandosi per metà.
-Spero per il suo bene e per quello del suo equipaggio –lo avvertì a voce alta, incurante che la sentissero tutti- che non le venga in mente di giocarmi qualche brutto scherzo. Sarebbe l’ultimo errore della sua vita. Intesi?
Riley guardò quella donna dalla pelle bianca coperta da un hijab che sembrava volerlo trafiggere con lo sguardo. Non c’era altro da dire, perciò continuò a camminare seguito da Jack.
-Siamo fottuti, vero? –domandò il gallego una volta giunti alla scalinata, guardandosi le spalle con diffidenza.
Riley annuì impercettibilmente.
-Decisamente fottuti.
Mezz’ora più tardi, seduti attorno al tavolo del Pingarrón, i cinque membri dell’equipaggio della nave, accompagnati dal dottor Rieux, si scambiavano sguardi afflitti e gesti frustrati.
Il capitano e Jack li avevano messi al corrente di quanto accaduto con l’agente di March, e progressivamente le rughe di preoccupazione andarono allargandosi sui loro volti come se si trovassero a un funerale.
-E se gli consegniamo una provetta falsa e gli diciamo che il fungo è morto a causa del caldo? Non sarebbe colpa nostra –suggerì Julie.
Riley negò con la testa.
-Non credo gli importi. Se il fungo muore, noi moriamo. Fine della storia.
-Ma come potrebbe accorgersene? –domandò César-. È solo un tubo con una specie di gelatina. Per vedere il fungo bisogna usare il microscopio.
-Per quanto conosco March, scommetto che ne ha uno con sé.
-Mi sta venendo in mente una cosa –affermò Jack, massaggiandosi la barba-. E se gli diamo la provetta con un fungo... ma diverso? –Si voltò verso Rieux-. Potrebbero notare la differenza?
Il dottore mise i palmi delle mani verso l’alto.
-Io potrei –affermò senza alcun dubbio-. Dipende da quanto è competente chi lo controlla.
-Che ne pensi, Alex? –gli chiese il suo vice.
Il capitano negò ancora con la testa.
-Esattamente quello che ho detto prima. Sicuramente March ha assunto qualcuno che sa distinguere un fungo dall’altro. Ma anche se così non fosse... prima o poi scoprirebbero l’inganno.
-Per allora, potremmo già essere molto lontani –disse César.
A Riley scappò un cenno di sorriso.
-Lontani da dove? Stiamo parlando di Joan March. Ci troverebbe in qualsiasi posto in cui ci dovessimo nascondere, anche solo per dare l’esempio.
-Il mondo è molto grande.
-Non abbastanza.
-E allora? Ci arrendiamo? Togliamo il farmaco ai malati per darlo ai nazisti? –intervenne Julie indicando il posto in cui avevano conservato la provetta, nel frigo della cucina.
-Non credo che abbiamo molte altre opzioni –affermò Riley.
-Cazzo, Alex –sbottò Jack-. Non puoi dire sul serio.
Il capitano del Pingarrón guardò il suo secondo e intrecciò le dita con aria paziente.
-Se hai un’idea migliore, sarei felice di sentirla.
-Non lo so, ma se quella cosa cade nelle mani dei tedeschi... –Scosse la testa, contrariato-. Hanno già occupato tutta l’Europa e gli inglesi resistono a malapena. Cazzo, non voglio essere io quello che li avrà aiutati a vincere questa dannata guerra.
-Nemmeno io, amico mio.
-Ah, no? Beh, questo è ciò che succederà se consegniamo la provetta a March.
Un lampo di astuzia apparve improvvisamente negli occhi di Riley.
-Non necessariamente.
Il gallego si inclinò in avanti corrugando la fronte.
-Che vuoi dire?
-Voglio dire –disse sistemandosi nella sedia- che per rispettare il contratto e salvare la pelle, noi dobbiamo consegnare la penicillina a March... Ma affinché i tedeschi non possano usarla, March non gliela deve consegnare.
-Dove vuole andare a parare, capitaine ? –volle sapere Julie.
-Intende forse convincere March a non venderla ai nazisti? –domandò César con aria incredula.
Riley negò con la testa.
-No, niente del genere.
-Fanculo, Alex. –Jack sbuffò con impazienza-. Basta con questi giochetti.
-Per favore, capitano –lo pregò Rieux-, si spieghi.
Riley si mise dritto al suo posto e si schiarì la voce, prendendosi qualche secondo per schiarirsi le idee prima di esporle.
-L’idea è semplice: consegniamo la provetta a Noemí, lei si mette in contatto con March per comunicargli che abbiamo rispettato la nostra parte dell’accordo, e poi noi... recuperiamo la penicillina e la restituiamo a Rieux.
Riley guardò i volti che lo osservavano trepidanti, in attesa delle loro reazioni, che tardarono qualche secondo a farsi vedere. Nessuna di esse mostrava entusiasmo.
-Stai suggerendo –chiese Jack, incredulo- di consegnare la penicillina a March e poi... –fece una pausa, indeciso se terminare o meno la frase- di rubargliela?
-Non è un buon piano?
Al gallego non sembrò affatto così.
-Ma sei scemo o cosa? Come cazzo facciamo a rubargliela? Non ti rendi conto che, se per caso non ci ammazzano mentre ci proviamo, appena March lo verrà a sapere metterà una taglia sulle nostre teste?
-Allora dovremo evitare che ci ammazzino e che lui lo venga a sapere.
-Come?
Riley fece una leggera smorfia.
-Questa è una parte del piano che devo ancora sistemare.
-Non hai la minima idea di come fare, vero?
-Beh... qualcosa ci verrà in mente.
-Qualcosa ci verrà in mente –lo imitò Jack, alzando gli occhi al cielo come se parlasse con qualcuno lassù-. Fanculo.
Alex si chinò in avanti e si appoggiò al tavolo.
-Guarda il lato positivo, Jack –gli disse con voce ironica-. Se chi ruba a un ladro ha cent’anni di perdono... Rubare a qualcuno come March ci garantisce la vita eterna.