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Il Dragon Rapide imboccò la pista pronto al decollo, con i motori alla massima potenza ma senza avanzare di un metro.
-Decolli immediatamente! –esclamò Noemí dal suo sedile nella prima fila.
-C’è qualcuno sulla pista –avvertì il pilota, indicando il veicolo che si avvicinava a tutta velocità, apparentemente guidato da un folle.
-Lo vedo. È per questo che deve decollare adesso.
-Non posso. Sarebbe pericoloso.
-Certo che può –rispose lei-. Le ordino di decollare.
-Sono un ufficiale dell’Ejercito del Aire
, signora. Lei non può ordinarmi...
Mentre il pilota parlava, la donna infilò la mano nella borsa, estrasse la Beretta e la puntò alla testa del militare.
-Sarebbe così gentile da decollare... –e gli rivolse un sorriso glaciale- tenente?
Dal suo posto nell’ultima fila, Alex vide l’espressione del pilota cambiare, un attimo prima di riportare la sua attenzione ai comandi e spingere la barra di comando dell’aeroplano.
L’aereo avanzò, prima lentamente per poi accelerare con rapidità, sobbalzando a causa del pessimo stato della pista sterrata.
Riley guardò nuovamente dal finestrino e vide che la Mercedes si era avvicinata abbastanza da permettergli di distinguere Jack Alcántara manovrare freneticamente il volante e Marco Marovic nel sedile del passeggero, con l’aria di divertirsi un mondo. Nei sedili posteriori, la carnagione scura di uno e i lunghi capelli neri dell’altra appartenevano chiaramente a César e Julie.
Sul volto di Alex si stampò un sorriso di preoccupazione e orgoglio allo stesso tempo.
L’enorme veicolo si era piazzato a meno di venti metri dalla coda dell’aereo, ma presto i due motori gemelli da sei cilindri e duecentodue cavalli del biplano guadagnarono vantaggio sul motore
da otto cilindri e duecento cavalli della Mercedes.
Nel constatare che non avrebbero raggiunto l’aereo, Marco si alzò in piedi reggendo tra le mani la sua mitragliatrice Thomson e, senza esitare un solo istante, cominciò a fare fuoco.
-Ci stanno sparando! –allertò uno dei gorilla, indicando fuori dal finestrino-. Stanno sparando ai motori!
-Rispondete al fuoco, idioti! –abbaiò Noemí con il volto in fiamme.
Sentendosi chiamato in causa, il bruto che sorvegliava Riley sfoderò una Smith & Wesson calibro 44, aprì il portellone dell’aereo e la puntò contro la macchina che li inseguiva. L’arma rimbombò come un cannone quando premette il grilletto.
Alex capì che se uno di quei proiettili progettati per cacciare gli orsi avesse raggiunto uno dei membri del suo equipaggio, l’avrebbe aperto in due, e un impatto diretto con il solido motore della Mercedes avrebbe potuto arrestane la corsa. Perciò, senza pensarci due volte, si alzò dal proprio posto e, come un difensore dei Giants
, si scagliò contro il bestione con tutte le sue forze.
Il sicario di March ebbe un presentimento un decimo di secondo prima che Riley si scagliasse su di lui sbraitando come un toro impazzito, e fece appena in tempo a voltare la testa verso di lui. Ancora con le mani ammanettate, l’inerzia degli ottantacinque chili di peso di Riley bastarono inizialmente a fargli perdere l’equilibrio e poi a scagliarlo fuori dal portellone aperto. Nel momento in cui venne buttato fuori, il povero diavolo rivolse un ultimo sguardo incredulo ad Alex, del tipo non-posso-credere-che-stia-succedendo-a-me
.
Riley vide il corpo dell’uomo rimbalzare sul terreno a più di cento chilometri orari e rotolare inerte fino a sparire nella nuvola di polvere che li inseguiva.
-Capitaine
! –gridò la voce di Julie, appena udibile al di sopra dello stridio dei motori-. Capitaine
!
Alex la vide alzarsi in piedi nel veicolo. Disse qualcos’altro che non riuscì a capire, ma sentì invece chiaramente una voce maschile alle proprie spalle che urlava:
-L’hai ucciso, figlio di puttana! L’hai ucciso!
In un ironico scambio di ruoli, ora era Riley a trovarsi affacciato al portellone aperto e l’altro dei due gorilla che gli si scagliava addosso come un ariete, pronto a riservargli la stessa sorte
che era toccata al suo sfortunato compagno.
Fortunatamente, il capitano del Pingarrón poté contare su un secondo extra che la sua vittima non aveva avuto, e fece l’unica cosa che gli venne in mente per evitare di venire spinto: saltare.
A quella velocità, la pressione del vento per poco non lo fece volar via, ma allungò le mani ammanettate in avanti e riuscì ad aggrapparsi a uno dei cavi d’acciaio che teneva unita l’ala inferiore a quella superiore.
Battendosi contro l’uragano creato dall’elica, che si trovava a meno di due metri dalla propria testa, riuscì a mettersi in ginocchio sull’ala proprio nel momento in cui il gorilla appariva dal portellone con una pistola in mano, pronto a sparare.
A quel punto una raffica di proiettili provenienti dalla Thomson distrusse la fusoliera, creando una scia di buchi molto vicino al portellone.
Alex si girò con gli occhi fuori dalle orbite, i proiettili erano passati fischiando a pochi centimetri dalle sue orecchie, ma la faccia di Marovic, con un sorriso a trentadue denti, non mostrava la minima traccia di risentimento. Lo jugoslavo si stava divertendo da matti.
Con la coda dell’occhio, Riley vide che il gorilla si affacciava nuovamente dal portellone, seppur sporgendosi di meno. Ancora in preda alla preoccupazione che Marco riprendesse a mitragliarlo, mise il piede destro sull’ala e con il sinistro diede un calcio alla porta. Nel chiudersi, la porta colpì brutalmente l’avambraccio dell’uomo, che lanciò un grido di dolore, lasciò andare la pistola e cadde di schiena all’interno dell’aereo, probabilmente con il polso rotto.
Riley sentì un coro di grida di entusiasmo provenire dal suo equipaggio, che però si interruppero di botto nel momento in cui il cigolio prodotto dal movimento sulla pista scompariva all’improvviso.
Stavano decollando.
-Salti! –gridò César-. Salti!
L’immagine della fine che aveva fatto l’uomo che aveva spinto fuori dal portellone era ancora viva nella mente di Alex, e sapeva per certo che non aveva intenzione di imitarlo. Se per miracolo fosse sopravvissuto alla caduta, sicuramente sarebbe rimasto invalido per
tutta la vita, e questa era una cosa che non rientrava nei suoi piani.
-Col cazzo che salto! –rispose, sebbene dubitava potessero sentirlo.
Per un momento, pensò di aspettare che l’aereo arrivasse alla fine della pista di atterraggio, che terminava bruscamente dove iniziava la costa. Ma a quel punto ricordò che quella parte del litorale algerino era delimitato da scogliere alte decine di metri. Anche se ci fosse stata l’acqua sotto, la caduta sarebbe stata mortale.
L’aeroplano si era già separato per più di un metro dal suolo e continuava a salire lentamente ma in modo costante, quando Alex si accorse che il bordo esterno dell’ala era inclinato verso l’alto.
«Abbiamo fatto 30... facciamo 31», si disse, e riuscì a mettersi in piedi sull’ala inferiore fino a sfiorare con la testa quella superiore. Quella fu la parte facile, la complicata era passare da un cavo all’altro con le mani legate, mentre il vento lo frustava a più di cento chilometri orari.
Assicurò la gamba sinistra al cavo al quale si sorreggeva e riuscì a raggiungere il seguente allungandosi più che poté. Da lì, si aggrappò con entrambe le mani al supporto in alluminio che univa le due ali. In quel punto, aveva a portata di mano l’alettone che permetteva all’aereo di sollevarsi. Mise quindi in moto il suo assurdo piano, che consisteva niente meno che nel salire sull’alettone e costringerlo ad abbassarsi.
Alex non aveva un’idea molto chiara di cosa sarebbe successo in seguito, perciò quando l’aereo iniziò immediatamente a virare verso destra inclinandosi pericolosamente come se qualcuno stesse tirando l’ala, fu sul punto di cambiare idea, specialmente quando nel guardare in basso si accorse che si trovavano già a più di dieci metri d’altezza sopra la pista di decollo, che finiva poco più in là.
Dopo l’iniziale momento di perdita di controllo dell’apparecchio, il pilota corresse l’inclinazione abbassando l’alettone dell’altra ala, riducendo la potenza e discendendo precipitosamente.
Dalla sua posizione in mezzo all’ala, Alex constatò che il suo piano stava funzionando.
All’improvviso il portellone si aprì di nuovo e comparve l’altro bestione, sparando prontamente in direzione di Riley, che si buttò sulla superficie dell’ala per non essere un facile bersaglio, smettendo così di forzare l’alettone verso il basso.
Un attimo dopo, il Dragon Rapide toccò terra in un angolo troppo aperto e solo l’abilità del tenente impedì che andasse a cozzarsi con il muso e si capovolgesse facendo una strage. Reggendosi ancora con tutte le sue forze, Riley venne scosso violentemente finendo contro il supporto, sbattendo duramente la testa.
Tuttavia, il pilota non riuscì a evitare che, appena toccata la pista e nonostante la frenata disperata con un penetrante stridio di metallo contro metallo, l’aereo continuasse a derapare a causa della fortissima inerzia.
La superficie della pista più che di terra sembrava di ghiaccio per il poco attrito che offriva ai freni, e così, sdraiato sull’ala, Alex percepì il limite della scogliera avvicinarsi a velocità troppo alta perché l’aereo potesse fermarsi in tempo.
In quell’istante il suo sguardo ne incontrò un altro che, incorniciato da una chioma scarlatta, lo fissava dall’altro lato di uno dei finestrini. Era uno sguardo rassegnato e triste, di qualcuno che capisce che è arrivata la sua ora e non può fare niente per evitarlo.