19
-Alex? –ripeté, dall’estremità opposta della cabina-. Sei... sei tu?
-No, sono San Pietro –rispose con un sorriso carico di sollievo-. Sono venuto a giudicarti per i tuoi peccati.
La giovane si lasciò scappare una risata secca, priva di umorismo.
-Beh... non sarà una cosa veloce.
-Dove sei? –chiese Riley-. Non ti vedo.
-Sono nella cabina di pilotaggio.
-Ne sei sicura?
-Abbastanza. Ho il pilota proprio accanto a me. Si è aperto la testa contro il parabrezza.
-E tu stai bene?
-Io... –fece una pausa- credo di essermi lussata una spalla e non riesco a muovere la caviglia. Ah, mi sono anche rotta un’unghia.
-Questo sì che è terribile.
-Se sapessi quanto costa una buona manicure, non ci scherzeresti tanto su.
Alex inspirò a fondo e, una volta allentata la tensione iniziale, cambiò radicalmente tono.
-Ora ti tiro fuori di lì –annunciò con serietà-. Ma ho bisogno che tu esca dalla cabina e che ti avvicini a me il più possibile.
Dopo un momento di silenzio, la voce di Noemí suonò meno entusiasta rispetto a un attimo prima.
-Non credo di farcela.
-Certo che ce la fai –disse Riley, tentando di incoraggiarla.
-Non mi sono espressa bene. Non è che lo credo, non posso proprio. La dannata valigetta si è incastrata in dei pezzi di ferro.
Alex ricordò la valigetta metallica, ammanettata al polso di Noemí.
-E non hai una chiave per liberarti?
-Certo che ce l’ho.
-Dov’è?
-Nella mia borsa.
Riley sbuffò dal naso. Non avevano tempo per quei giochetti.
-E la borsa? –chiese impaziente.
-Non ne ho idea. Ce l’avevo vicino, nel sedile accanto.
-E non la vedi?
-Se la vedessi, saprei dov’è, non ti pare?
-Senti, se in questo momento ti disturbo... basta dirmelo e torno più tardi.
-Smettila di dire stupidaggini e aiutami a uscire di qui.
Riley alzò gli occhi al cielo. Aspettarsi delle scuse da quella donna era stata un’ingenuità.
Girò su sé stesso e affacciò la testa fuori dal portellone.
-Mi serve più manichetta! –gridò.
Per qualche secondo non successe niente, e proprio quando stava per ripetere la richiesta credendo che non l’avessero sentito, precipitò di colpo per più di un metro. La manichetta attorno alla vita gli strinse duramente l’addome, e se quella mattina avesse fatto colazione sicuramente l’avrebbe vomitata completamente sul corpo che giaceva sotto di lui.
-Cazzo! –sbraitò furioso quando riuscì a recuperare fiato-. Che cazzo state facendo lassù? Più piano!
In risposta, sentì un lontano «scusi», provenire dalla bocca di César. Poi iniziò a scendere a una velocità così lenta che si arrabbiò ancora di più, convinto lo facessero per farlo incazzare.
Sotto di Riley si ammassavano sedili, bagagli, pericolosi pezzi di vetro dei finestrini rotti e, in fondo, il cadavere smembrato di uno dei gorilla.
Mentre scendeva a passo di lumaca, cercava con lo sguardo qualche traccia della borsa, pensando che in quel caos sarebbe stato difficile trovarla. Recuperarla, un vero miracolo.
-Riesci a trovarla? –chiese Noemí come se gli avesse letto nel pensiero, la voce soffocata dalle macerie che li separavano.
-Qui è un casino –rispose Alex, che in quel momento stava raggiungendo i primi sedili, spostandoli di lato.
-C’è qualcun altro... vivo?
-Ho uno dei tuoi scagnozzi proprio davanti, ma si è rotto il collo. L’altro –spostò un altro sedile- non lo vedo. Ma qui è tutto silenzioso.
-Capisco... –mormorò-. Uno di loro è mio zio, sai?
-Cavolo, mi dispiace. –Sospirò per lo sforzo-. Magari ha solo perso i sensi.
-Non credo. È quello che hai lanciato fuori dal portellone con un calcio.
Riley interruppe il suo spostare macerie per chiudere gli occhi un istante e ricordare il tizio con la faccia da pugile suonato.
-Mi dispiace –si scusò ancora-. Non lo sapevo...
-Era un imbecille –aggiunse lei senza ombra di risentimento-. Se non l’avessi fatto tu, se ne sarebbe occupato qualcun altro.
-In questo caso, mi togli un peso dalla...
Prima che potesse terminare la frase, un cigolio metallico alle sue spalle fece sussultare l’apparecchio come se fosse sul punto di spezzarsi in due.
L’aereo non avrebbe resistito a lungo in quella situazione così estrema. Il tempo stava per scadere.
-Non è per metterti fretta –disse Noemí a pochi metri da lui-, però...
-Sto facendo più in fretta che posso –rispose Riley, facendo da parte il cadavere del bestione senza alcuno scrupolo.
A causa della posizione precaria, non aveva la mobilità necessaria e gli appigli per poter lavorare meglio, perciò, incurante di qualsiasi precauzione, chiese a suon di grida più manichetta e si alzò in piedi su quel disastro.
Passati i primi secondi, nei quali temette che l’aggiunta del suo peso facesse precipitare l’aereo, scacciò ogni paura e iniziò a scavare in quel casino come un minatore impazzito.
-Alex...
-Ci sono, ci sono –rispose senza smettere di muoversi, ignorando il dolore alle costole che lo attanagliava ogni volta che si sforzava per spostare qualcosa.
-Alex...
-Non posso andare più veloce! –protestò irritato.
-Sta uscendo fumo dal quadro comandi –lo allertò la donna con voce tesa.
Riley alzò la testa e fiutò l’aria come un segugio.
Fino a quel momento non se n’era accorto, ma un inconfondibile odore di olio bruciato stava fuoriuscendo da qualche punto sotto i suoi piedi.
E a quel punto la vide.
Agganciata a un pezzo di alluminio lacerato, la borsetta nera di Noemí pendeva a poco più di un metro.
Senza più preoccuparsi di destabilizzare o meno l’aereo, si lanciò in avanti, infilandosi in ogni spiraglio e allungando il braccio in un tentativo di raggiungerla.
-Ti vedo, maledetta –grugnì tra i denti, allungandosi più che poté per sfiorarla con la punta delle dita-. Vieni qui...
-C’è sempre più...- disse Noemí, tossendo-. Più fumo...
-Porcadiquellastramaledettaputtana ! –imprecò Alex e, unendo le braccia come se si stesse tuffando in una piscina, si immerse di testa tra le macerie e procedette scansando con le braccia ferri, legni e sporgenze varie finché non raggiunse la borsa.
Il fumo era ormai una presenza visibile, che emergeva dalla cabina dell’aereo quasi fosse un fantasma denso e bluastro che risaliva dall’inferno.
-C’è sempre più fumo... Alex...
-Ho preso la borsa! –Se la avvicinò alla faccia e iniziò a frugare al suo interno.
Ma non trovò nessuna chiave. Solo la Beretta.
-C’è la chiave? –domandò Noemí, quasi pregando-. È piccola...
Riley passò la mano all’interno della borsa, tastando la fodera in cerca della chiave, ma lì non c’era altro che un paio di documenti d’identità, del denaro e la pistola.
-No... non c’è –mormorò abbattuto-. Quella dannata chiave non è nella borsa. Dev’essere caduta.
Lei non rispose subito, e Riley temette che avesse perso i sensi.
-Noemí?
-La pistola... c’è?
-Sì, la pistola è qui –rispose confuso-. Ma perché la vuoi?
-Se non posso aprire la serratura –fece una pausa per tossire-, posso farla saltare.
Alex ci mise un momento per capire a cosa si riferiva.
Era rischioso sparare in uno spazio così piccolo dal momento che i proiettili hanno la brutta abitudine di rimbalzare. Ma in quelle circostanze non gli sembrava ci fosse altra soluzione.
-Provo a venire fino a te –disse estraendo la Beretta dalla borsa.
-No! Ci metteresti troppo! Lasciala cadere!
Riley tracciò una rotta mentale della pistola fino alla cabina di pilotaggio, dove si trovava Noemí, che ancora non riusciva a scorgere.
La porta aperta si trovava a meno di due metri, ma se lasciava semplicemente cadere la pistola, c’erano alte probabilità che finisse da qualche altra parte, fuori dalla sua portata.
-Aspetta! Ho un’idea! –gridò e lasciò andare la borsa per portarsi la mano al pantalone, slacciando la fibbia della cintura per togliersela con uno strattone.
-Alex... –implorò Noemí tra colpi di tosse- ho poco tempo...
-Ci sono quasi... –borbottò lui, infilando un’estremità della cinta nella fessura del grilletto e facendola scorrere fino ad arrivare alla fibbia-. Pronto!
Senza perdere un solo istante, tenne la cinta al di sopra della Beretta e la calò nello spazio libero che conduceva alla cabina di pilotaggio.
Giunto alla fine della cinta, allungò il braccio per guadagnare un po’ di distanza in più.
-La vedi? –chiese socchiudendo gli occhi per il fumo che era sempre più denso e scuro-. Vedi la pistola?
-La... la vedo... –rispose lei con voce fioca-. Lasciala...
Riley lasciò andare la cinta e l’arma andò a sbattere contro qualcosa che non riuscì a vedere, producendo un suono metallico.
-Ce l’hai? –chiese dopo qualche secondo.
A mo’ di risposta, uno sparo assordante riverberò tra le pareti metalliche dell’aereo.
-Fatto! –annunciò immediatamente Noemí.
Un attimo dopo, emerse dal fumo. Aveva un brutto taglio sulla fronte e il viso insanguinato, ma riuscì comunque ad abbozzare un sorriso sfinito.
-Grazie –disse, in un modo che fece supporre a Riley che non usasse spesso quella parola.
-Figurati –rispose il capitano-. Riesci a uscire?
Noemí si piazzò esattamente sotto di Alex e tentò di muovere senza successo uno dei pesanti sedili che era rimasto incastrato nella porta.
-Non riesco... a spostarlo... Ci sono troppe... cose sopra...
Come me, per esempio, pensò Riley, che si trovava a testa in giù sommerso dal groviglio di macerie, aggiungendo il proprio peso a tutto ciò che bloccava la porta di accesso alla cabina di pilotaggio. Se entrambi avessero allungato il braccio lungo la fessura sarebbero quasi riusciti a toccarsi, ma era impossibile che da soli riuscissero a liberare il passaggio.
-Aspetta! –esclamò Alex, facendo un cenno con la mano-. Ho un’idea.
-Aspettare...? –La nuvola di fumo era sempre più densa e la sua tosse più forte-. Certo... non c’è fretta.
Ignorando il commento e l’insidioso fumo che gli annebbiava la vista, sforzandosi al limite della sua stessa resistenza, Riley strisciò verso l’alto, si liberò dalla manichetta che portava attorno alla vita e la arrotolò rozzamente attorno a diverse sedie e protuberanze. Loro due da soli non avevano la forza sufficiente, ma più in alto avevano un camion dei pompieri che avrebbe potuto tirare, se non l’intero aereo, almeno una parte delle macerie.
Pregando perché stessero attenti e ricordassero bene i segnali subacquei, diede uno strattone secco alla manichetta.
-Su! –gridò-. Tirate forte!
Non successe niente.
Ripeté lo strattone.
Trascorsero alcuni interminabili secondi e, all’improvviso, la manichetta si tese e cominciò a tirare con fatica verso l’alto. Ma Riley capì che non era abbastanza e, inoltre, l’attrito con la cornice del portellone minacciava di romperla. A quel puto sarebbero stati persi.
-Fermi! –urlò-. Smettete di tirare!
Alex si guardò attorno con disperazione, alla ricerca di qualche attrezzo per poter scappare da quell’inferno di alluminio nel quale lo spesso fumo consentiva a stento di vedere al di là del proprio naso.
-Noemí –la chiamò temendo che avesse perso conoscenza-, mi senti?
Ci fu un silenzio, lungo e spaventoso, interrotto finalmente da un tenue colpo di tosse.
-Noemí –insistette Alex, sperando che fosse ancora cosciente-. Non ha funzionato. Tenterò qualcos’altro.
Questa volta, la voce di lei suonò lontana e arresa.
-No... –Ancora un silenzio interminabile-. Non c’è... tempo...
-Sì che c’è tempo! –ribatté Riley, sapendo di mentire-. Ti tirerò fuori da lì.
A quel punto, come se Dio avesse dato un pugno sul tavolo per mettere in chiaro chi decideva della vita e della morte, una piccola fiammata scoppiò nella cabina e all’improvviso quello che era stato un fumo asfissiante si trasformò in un incendio crescente.
-Fuoco! –gridò Noemí terrorizzata-. Fuoco!
Alex guardò verso l’alto, verso la manichetta, e si lanciò in quella direzione pensando di usarla per spegnere il fuoco.
-Resisti! –gridò-. Resisti!
-Oh, Dio mio...
-Resisti!
-Alex... –La sua voce era un lamento disperato.
-Arrivo!
Lei pronunciò ancora il suo nome, ma questa volta come un addio, quasi inudibile a causa del crepitare del fuoco:
-Alex, io... Grazie...ma non... può funzionare...
-Resisti!
-No... io...
Riley sentì il clic del percussore della pistola.
-Addio, Alex.
-No! –ululò disperato-. Non farlo!
Uno sparo rimbombò all’interno della cabina.