Benvenuti a bordo
“Ecco a voi, don Angelo”.
Il garzone aveva deposto sul tavolino una tazzina di caffé coperto con abbondante schiuma di latte caldo e una spolverata di cacao, preparazione che, con allusione involontariamente razzista, si usa chiamare “marocchino”. Il Ménoli, allungategli mille lire, piegò accuratamente il giornale, lo infilò nella tasca badando che la testata rimanesse ben in vista, bevve d'un sorso il caffé, con un tavagliolino di carta si nettò le labbra dalle tracce di schiuma e polvere di cioccolato, poi allontanò la tazzina vuota, spinse lo sguardo al di là della finestra del locale e riprese la sua fantasia.
Sapeva vagamente - li aveva visti in cartolina - di “bateaux” che solcano la Senna carichi di turisti banchettanti, eccitati, la macchina fotografica a tracolla per inquadrare ora la Tour Eiffel, ora la Gare d'Orsay, il Louvre o le goticherie di Notre Dame via via trascorrenti lungo un itinerario ben collaudato da milioni di comitive giunte da ogni provincia del pianeta.
Socchiuse le palpebre per ricordare meglio: sì, era una cartolina ricevuta da Sebastiano Alfiero, commerciante in vini originario di Manduria, suo compare in svariati affari e uomo di mondo, che intratteneva scambi con la Francia, la Svizzera e persino il Lussemburgo; in una immagine notturna, il battello appariva decorato da festoni di lampadine, mentre gli splendori della ville lumière si riflettevano scintillando sulle acque nere del fiume. Doveva aver presenti simili scene l'assessore all'Arredo Urbano e Padano quando aveva parlato del modello parigino.
Il dragamine, pensò il Ménoli, una volta ristrutturato e affidato alle decontaminate acque padane, non sarebbe certo apparso inferiore ai battelli della Senna. Anzi, rispetto a quei frivoli navigli, avrebbe avuto in più una insolita attrattiva: la conversione dalle funzioni belliche a quelle pacifiche di trattoria galleggiante avrebbe suscitato la pubblica curiosità e forse evocato nei commensali sentimenti patriottici.
Ma ci sarebbe stata qualche possibilità, per uno sconosciuto uomo del Sud, di trovare ascolto, cioè finanziamenti, nel Municipio taurinense? E, soprattutto, chi poteva dire se il dragamine, benché in disarmo, fosse rilevabile per un uso civile?
Questo era il primo punto da accertare. Il Ménoli si sovvenne di un conoscente impiegato al Consorzio del Porto e dell'Area di Sviluppo Industriale, certo Santo Patrucco. A lui avrebbe chiesto le necessarie informazioni per accedere a qualche graduato della locale Marina Militare con cui trattare l'acquisto del natante, sempreché all'operazione non ostasse qualche insuperabile norma amministrativa posta a tutela del patrimonio delle forze dello Stato. Ma quale importanza strategica poteva ormai rivestire un tale relitto nell'era dei missili a testata nucleare?
Con un cenno di commiato al garzone, che nel frattempo aveva posato sul tavolino le monete del resto, il Ménoli si levò e infilò la porta dell'“Oriente” deciso a cercare subito del Patrucco. Prima però volle tornare alla banchina dove il dragamine sostava in un riposo che appariva ormai definitivo. Questa volta non sedette sull'attracco. Si limitò a riconsiderare brevemente il vascello con una nuova intenzionalità, come se già la cambusa fosse pronta a battaglie gastronomiche e lunghe catene di lampadine multicolori rallegrassero il profilo troppo severo dell'imbarcazione. Gli parve che le due ispirazioni, quella oscura affacciatasi poco prima là alla darsena e quella esplicita avuta sfogliando il giornale, si saldassero in un progetto coerente. Allora, di buon passo, come chi va a un traguardo, puntò verso il Consorzio del Porto, in piazza Stazione Marittima.
Fu fortunato. Santo Patrucco era al suo posto, dietro una montagna di carte concernenti la linea di navigazione che collega Brindisi e Patrasso con un traghetto di quelli che hanno la prua apribile come un ponte levatoio per consentire l'accesso di camion e auto alla stiva, capace quanto il ventre di una balena.
Preferì non scoprire troppo le sue intenzioni, per la naturale reticenza che sempre contraddistingue chi opera nel commercio.
“Vorrei sapere - disse il Ménoli esaurite le formalità di cortesia - chi si occupi, nella Marina militare, dello smercio di rottami e altri residuati. Ho una richiesta di legname e di metalli da rifondita, e ho pensato che forse là potrei trovare ciò che a me interessa e alla Marina invece crea soltanto incomodo”.
“Mi risulta - rispose senza sospetti Santo Patrucco - che le questioni amministrative di poca rilevanza siano competenza del capitano di fregata Sauro Bellacozza. Se volete, parlategli a mio nome: mi conosce bene perché abbiamo talvolta contatti di lavoro”.
Era quanto il Ménoli desiderava apprendere. Annotò nome e grado sul margine del giornale che teneva nella tasca della giacca, s'intrattenne ancora per qualche minuto chiacchierando di cose generiche in modo da non dar l'impressione di esser venuto soltanto per un proprio interesse e infine salutò. Verso la tarda mattinata aveva un appuntamento nella parte nuova della città per contrattare la vendita di una piccola partita di olio non esattamente genuino, e ormai era tempo di andare. Al suo progetto padano, al dragamine e al capitano Sauro Bellacozza si sarebbe dedicato il giorno seguente, magari dopo aver meglio precisato a se stesso gli obiettivi e dopo aver assunto sull'uomo qualche informazione utile per condurre con vantaggio la trattativa.