Benvenuti a bordo
"In relazione all'annunciato rilancio delle sponde del Po, il sottoscritto Ménoli Arcangelo mi rivolgo a questo spettabile Assessorato per sottoporvi un progetto che ritiene di grande interesse per la Vostra Amministrazione e per i cittadini tutti di Torino".
Con la fronte e le ascelle grondanti sudore - talvolta anche il cervello si comporta come un muscolo - il Ménoli sostò a rileggere le righe che andava battendo con i due indici sulla Olivetti portatile, utilizzata di tanto in tanto per intrattenere rapporti epistolari con i clienti, quando una telefonata non bastava (verba volant) e occorrevano documenti duraturi. Congiuntivi e concordanze non erano il suo forte, lo sapeva, ma in compenso aveva chiare le idee. Per la forma, avrebbe poi chiesto una revisione a un fratello minore di sua moglie Carmela, fresco di Istituto Tecnico Industriale.
Il comprensorio fluviale dell'area metropolitana - argomentava il Ménoli nella sua missiva - richiedeva attrazioni enogastronomiche atte a portarvi non solo i torinesi ma anche turisti di varia provenienza. La valorizzazione delle acque purificate doveva essere al centro dell'operazione: difficile immaginare qualcosa di meglio di un battello-ristorante che lentamente, di ansa in ansa, percorresse il fiume dalla confluenza del Sangone a quella della Stura di Lanzo e viceversa, consentendo ai commensali di ammirare da un lato la collina e dall'altro i palazzi del Lungopò, i Murazzi e i giardini del Valentino (tutti particolari topografici che il Ménoli aveva tratto dalle Pagine Gialle telefoniche).
Seguiva una appassionata descrizione del dragamine Italia, non vile natante da diporto ma nobile imbarcazione onusta di storia, come il nome stesso denuncia, già identificata nel Seno di Ponente di Brindisi, restaurabile, anzi restauranda, e tale - nuovamente varata nella placida corrente padana dopo esser sopravvissuta alle vicissitudini belliche e postbelliche - da divenire sicuro motivo di vanto per la città subalpina. Di qui la richiesta di un adeguato finanzamento, quantificabile, tenendo conto delle opere di cantiere, del trasporto e della messa in servizio, intorno ai trecento milioni, di cui almeno un centinaio da considerarsi a fondo perduto.
Indirizzata personalmente all'assessore per l'Arredo Urbano e Padano, la lettera raccomandata incuriosì il Condona, che la segnalò al più diretto dei suoi collaboratori invitandolo a seguire la pratica e ad agevolarne il tortuoso itinerario burocratico. Frattanto al dottor Ménoli - come si fa ad apostrofare un corrispondente senza almeno un titolo di studio? - inviò un cenno di riscontro che lasciava intendere sviluppi positivi.
Munito della busta intestata al Municipio di Torino dove il suo cognome appariva laureato, il Ménoli tornò dal Bellacozza. Era passato qualche mese dal primo incontro, la canicola imperversava, ma non aveva più ricevuto segnali. Né lui aveva sollecitato risposta. Secondo una antica regola del commercio, per non scoprire i propri interessi in quei mesi nessuna delle due parti aveva voluto compiere il secondo passo (è così che da sempre innumerevoli affari vanno perduti).
"Avete fatto bene a presentarvi perché ho buone notizie da Roma", annunciò il capitano di fregata ricevendo il postulante nell'antro oscuro del suo ufficio al Castello Svevo. E tra sé si rallegrò per aver evitato la prima mossa.
"Ne sono lieto", rispose il Ménoli, a sua volta con sollievo: dunque non sarebbe più stato necessario esercitare pressioni e magari esibire la lettera giunta da Torino, ammettendo che non di semplice smercio di rottami si trattava.
Il capitano di fregata sfilò dal primo cassetto la cartellina con la scritta "Pràtica Italia" e l'aprì, fingendo di scorrerne i fogli, perlopiù veline dattiloscritte dall'orlo ingiallito. Con pollice e indice della mano sinistra si lisciava i baffetti sottili e ogni tanto soffiava tra le veline per separarle, aiutandosi con l'indice inumidito di saliva.
"Ecco qui, abbiamo ottenuto il permesso di demolizione", disse alzando il naso aquilino verso il Ménoli, in piedi davanti a lui e quasi sull'attenti. Da qualche tempo la labirintite gli dava di nuovo fastidio e non solo avvertiva capogiri e vertigini nel camminare ma in certe occasioni persino vedersi qualcuno ritto davanti, specie se gesticolante, gli procurava sintomi di nausea.
Aggiunse dunque, non per semplice cortesia: "Prego, sedetevi, signor..."
"Ménoli, Arcangelo Ménoli".
"Vedete, caro Ménoli, quando dico che mi occupo di una cosa, ci potete contare. Vi avrei telefonato nei prossimi giorni".
"Vi sono grato. Il Ministero della Difesa ha già indicato un prezzo?"
"In teoria ci vorrebbe un'asta", spiegò il graduato. "In pratica..."
"In pratica?"
"Il mio mandato è ampio. Possiamo trovare un accordo. Un'intesa rapida è nell'interesse del Ministero stesso. Voi che idea vi siete fatto?"
Il Ménoli non era preparato a spingere l'affare così avanti. In fondo da Torino non aveva ricevuto che una vaga promessa.
"Per dirvelo dovrei vedere l'imbarcazione da vicino", disse dopo una breve esitazione.
"Domani sera alle 19 per voi va bene?"
"Dove?"
"Al molo piccolo, dove l' Italia è attraccata".
"Ci sarò. I miei rispetti, capitano", si congedò il Ménoli, e girò verso la porta facendo perno sui tacchi.
Il capitano di fregata rimase meditabondo davanti alle sue veline. In fondo, pensò, l'ordine di demolire l'Italia esisteva da anni. Se era rimasto lettera morta si doveva soltanto al fatto che anche demolire costa. Adesso però c'era qualcuno pronto a dar corso a quella disposizione senza chiedere una lira. Anzi, pagando. "Si vedrà poi a chi", sogghignò. Di certo nessun danno si configurava per il ministero della Difesa. E un utile per chi aveva risolto una pratica pendente da tanto tempo non sarebbe poi stato così moralmente criticabile. "Si fa di peggio", concluse indulgente tra sé il Bellacozza ripiegando con cura la cartellina.