Benvenuti a bordo
Tramontata l'era socialcomunista, era sorta quella del pentapartito. L'assessore all'Arredo Urbano e Padano, Umberto Condona, non era il solo a muoversi per dare alla città nuove attrattive borghesi che non fossero le piste ciclabili care alla precedente amministrazione. Edmondo Crucci, titolare dell'assessorato al Turismo e Tempo Libero, non era da meno, anche per una naturale rivalità tra laici, appartenendo egli al Partito Repubblicano, mentre il Condona era liberale: è noto che in Italia i più irriducibili contrasti politici si verificano tra affini, o addirittura tra compagni di corrente dello stesso partito, mentre facili e quasi spontanee sono le intese tra schieramenti di opposta collocazione ideologica. Era all'epoca ancora del tutto inimmaginabile a che cosa avrebbe portato la caduta del sistema tangentizio che formava il solo connettivo in grado di moderare quei contrasti.
Proprio mentre il Ménoli si trasferiva a Torino per dare al Po una trattoria galleggiante, il Crucci stava realizzando un suo audace progetto: il Ristotram.
In fondo a un deposito delle Tramvie Municipali aveva scovato una vecchia carrozza articolata della Serie 2700. Giaceva in abbandono dalla fine degli Anni Sessanta, quando quelle vetture massicce e sferraglianti avevano ceduto i binari a tram più snelli, anche se ugualmente rumorosi. Subito il Crucci si era ricordato di aver letto che a Melbourne, in Australia, una carrozza tramviaria trasformata in ristorante compiva giri turistici per la città, sempre gremita di passeggeri banchettanti. Melbourne si trova, a guardare un mappamondo, esattamente agli antipodi di Torino. Questa simmetria parve al Crucci decisiva: anche il capoluogo subalpino - seconda città al mondo e prima in Europa, anzi, nell'emisfero boreale - avrebbe avuto il suo tram ristorante. Cioè il suo Ristotram, come poi un'agenzia di pubblicità, su commessa dell'Assessorato, battezzò l'iniziativa.
L'accordo con l'assessore ai Trasporti, che era socialista, fu presto trovato. Le Tramvie Municipali avrebbero messo a disposizione la vettura e i manovratori, mentre l'Assessorato al Turismo, con l'appoggio di alcuni sponsor - latinismo ritrovato che stava diventando di moda - avrebbe organizzato la ristorazione e gli itinerari, che dovevano essere a sfondo artistico-culturale.
Rimossa dal deposito, la vettura fu affidata all'officina di un carrozziere famoso per aver disegnato con rara eleganza innumerevoli auto fuori serie. Quando ne uscì, era stata completamente laccata di bianco e decorata con disegni tipici del barocco piemontese: volute, festoni, svolazzi, in quanto il barocco ama le curve al punto che persino severi edifici in quello stile, come Palazzo Carignano, hanno muri maestri sinuosi e, per così dire, ancheggianti. Sul tram erano stati ricavati quaranta posti a sedere in finta pelle grigia e rossa intorno a un adeguato numero di tavolini. Erano anche stati previsti un sedile riservato a una hostess, un impianto microfonico perché la guida potesse illustrare ai passeggeri le bellezze cittadine e una dispensa dove le portate, fornite su apposita convenzione dal ristorante "Il Baratto", sarebbero state tenute in caldo.
Il Crucci aveva speso nella realizzazione del Ristotram le sue energie migliori. Forse in altra città la paternità di quella insolita carrozza bianca destinata allo svago e al tempo libero lo avrebbe reso popolare. La singolarità dell'iniziativa, invece, lasciava perplessi i torinesi, che sono gente abitudinaria e piena di buon senso, fatta per lavorare più che per andare a spasso, né poteva attrarre i turisti, da sempre una specie rara nel capoluogo piemontese. Così, pur ampiamente pubblicizzato sulle pagine della cronaca cittadina, il Ristotram fu considerato dalla maggioranza una matterìa, buona tutt'al più per suscitare un attimo di curiosità seguito da un'alzata di spalle.
Con queste premesse, il viaggio inaugurale non fu dei più felici. Alla partenza, da piazza Castello, dietro Palazzo Madama, si presentarono le autorità civili, militari e religiose che l'assessore Crucci aveva ritenuto opportuno invitare, cronisti, fotografi, operatori della Rai e - pronti a cogliere l'occasione di un'ampia risonanza sui giornali e alla Tv - un folto gruppo di ferrotramvieri Cobas in sciopero. A questi si aggiungeva una delegazione di handicappati che protestavano contro l'inaccessibilità dei mezzi di trasporto pubblici, e più in generale contro le barriere architettoniche.
Secondo un copione prevedibile, i Cobas dei ferrotramvieri si sdraiarono sui binari davanti al Ristotram scandendo slogan minacciosi. I disabili, collocando le loro carrozzine davanti alle porte a fisarmonica della vettura, ne bloccarono l'accesso.
Intercorsero trattative affannose, mentre le autorità venivano distratte con un "Punt-e-mäs" nel suo bicchierotto, olive e noccioline salate al vicino Caffé Mulassano. L'assessore Crucci, benché non competente, si impegnò a ricevere il giorno dopo una rappresentanza dei ferrotramvieri, per poi farsi portatore di una mediazione sindacale. Ai disabili promise invece la pronta installazione di speciali elevatori per consentire l'accesso delle carrozzine ai mezzi pubblici, compreso il Ristotram, e, a tempi più lunghi, una convenzione con i taxisti per corse gratuite, in numero da stabilirsi.
Ottenuti questi obiettivi, la protesta rientrò. Finalmente, con un paio d'ore di ritardo, il Ristotram poteva iniziare al sua prima escursione attraverso il centro storico.
Procedeva a passo d'uomo, un po' per esigenze turistiche, un po' perché una squadra di manovratori aveva ricevuto un addestramento a quella marcia rilassata al fine di non imprimere alla vettura bruschi sussulti, con conseguente rovesciamento di bicchieri e spargimento di vivande. Questa andatura tuttavia si rivelò non priva di inconvenienti, perché dietro la carrozza ben presto si formò una processione di auto strombazzanti come se ci fosse un matrimonio tra giovani del Sud, mentre gli altri tram, curiosamente chiamati a Torino "metropolitana leggera", si accodavano in lunga teoria, suscitando il malumore dei passeggeri, e specie di quelli che potevano rendersi conto della causa di quel rallentamento.
Le stesse autorità a bordo del Ristotram, alcune con il tovagliolo infilato nel colletto della camicia e tutte con forchette e coltelli in pugno, avanzando in testa a quell'iroso baccano, vennero prese di mira dai passanti con lazzi goliardici. Esperienza utile, peraltro: al Crucci fu chiaro che gli itinerari in futuro si sarebbero dovuti scegliere in funzione del traffico.
Tra tanti inconvenienti, almeno furono apprezzate le vivande. Il menu, tipicamente piemontese, contemplava vitello tonnato al càppero, trota in carpione, fonduta, spallotto di vitello contornato di asparagi, torta di mele, coppa ai frutti di sottobosco, caffé e digestivo alle erbe dei Frati Cappuccini. Quanto ai vini, la scelta era tra rinomate marche di Grignolino, Nebbiolo e Barolo, più un Moscato dell'Acquese per accompagnare il dolce.
Alla sofferta escursione d'esordio seguì la normale attività: di mattina, con partenza alle nove, un itinerario nel centro storico concluso dal pranzo; al pomeriggio gita fino ai piedi della collina di Superga con escursione alla Basilica sulla ferrovia a dentiera e relativa merenda; alla sera un percorso che, dopo la cena, includeva una sosta in piazza Vittorio, imbarco ai Murazzi e una breve navigazione sul Po a bordo di un battello anch'esso gestito dalle Tramvie Municipali.
E qui si delineò il dissidio, destinato a sfociare in un vero e proprio conflitto di competenze tra assessorati. A conoscenza dell'iniziativa del Condona, appena apprese che il dragamine Italia era stato calato nel Po, il Crucci si oppose a che potesse navigare su quelle acque. Le decisioni in merito spettavano all'Assessorato al Turismo e Tempo Libero, non certo all'Assessorato all'Arredo Urbano e Padano, in quanto gli arredi, per definizione, sono statici. Inoltre una imbarcazione-trattoria avrebbe fatto concorrenza al Ristotram proprio nella fase del suo avviamento. Torino, si era dovuto constatare, non è Melbourne. Più di una volta la vettura aveva lasciato piazza Castello semivuota. Non era pensabile di spartire quei pochi commensali con i tavoli che il Ménoli si accingeva ad apparecchiare sul suo dragamine.
Mentre l'Italia rimaneva inamovibile in un'ansa del fiume vicino a Moncalieri, la questione si trascinava per mille lungaggini burocratiche. A complicarla intervenne il fatto che tra i due assessorati in contesa se ne inserì un terzo, quello dei Trasporti, che dopo qualche tentennamento appoggiò il Crucci in opposizione al Condona. Deduzioni, controdeduzioni, indagini, perizie, arbitrati. Infine il Tribunale amministrativo regionale stabilì un principio saldo: ogni trasporto, in quanto tale, attiene all'assessorato dei Trasporti, e poiché i mezzi pubblici cittadini sono monopolio delle Tramvie Municipali, anche la navigazione sul Po doveva rientrare in tale monopolio. "L'essenza di un mezzo pubblico - sanciva la sentenza - non è determinata dal vettore, ma dal fatto in sé di spostare i cittadini da un luogo all'altro: dunque, nella fattispecie, a tutti gli effetti un natante deve essere assimilato a un tram e rientrare sotto il controllo delle Tramvie Municipali". Le quali, ovviamente, erano contrarie a concedere al Ménoli il permesso di solcare le acque del Po con il suo dragamine, fosse più o meno carico di commensali.
Durante i mesi consumati nella vertenza il Ménoli non era rimasto inattivo. Litigassero pure, lui intanto sulla riva di Moncalieri predisponeva l'Italia alle sue funzioni. In ottemperanza alla prescrizione dei Vigili del Fuoco, sopra il ponte, rimossi i fumaioli, fece erigere la struttura in vetro e alluminio coperta da un tetto a tenda. Soltanto a poppa lasciò un ritaglio di plancia libero, spazio sufficiente a metterci, nella buona stagione, qualche sedia a sdraio. Ricavato in questo modo un vasto salone, vi sistemò una trentina di tavoli con una sola gamba centrale opportunamente fissata al pavimento. Le sedie le scelse in ottone lucido e pelle nera, ben massicce perché sopportassero anche acque agitate senza rovesciarsi. Su un lato della sala fece sistemare un imponente bancone da bar, con una macchina per il caffé espresso marca "Gaggia" e, dietro, una scaffalatura dove allineò un'ampia scelta di aperitivi, digestivi e alcolici assortiti.
Sotto coperta, dove già si trovavano, vennero ripristinati i servizi. La cucina fu completata con un forno a microonde e un adeguato corredo di stoviglie, posate in acciaio inossidabile, casseruole di alluminio, pignatte, teglie ramate e marmitte di ogni formato. Scelte fatte a ragion veduta: da qualche tempo il Ménoli, per entrare meglio nella parte, si era abbonato a una rivista del settore - "La ristorazione Italiana" - e lì aveva letto con speciale attenzione una serie di articoli contraddistinti dall'occhiello ricorrente "Il pentolame questo sconosciuto". Passando poi davanti a una libreria, aveva visto in vetrina una massiccia raccolta di ricette intitolata "Il cucchiaio d'argento" e l'aveva subito acquistata. Cosa curiosa, il volume era esposto tra "L'arte del ricamo" e "Il Kamasutra illustrato": il libraio evidentemente aveva suoi personali criteri di classificazione, e in quella vetrina, prescindendo dai contenuti, aveva accomunato tutti i libri che, per prezzo, dimensioni e copertine rutilanti, gli erano sembrati appartenere alla categoria delle strenne.
Secondo i dettami dei Vigili e dei tecnici della Protezione civile, particolare attenzione venne posta alla sicurezza. Cinquanta salvagente di sughero furono sistemati come un rosario tutt'intorno all'imbarcazione e, a poppa, venne appesa una grande scialuppa. A bordo del dragamine, ancora più ingoffito da quella bardatura, il Ménoli trascorreva le brevi giornate invernali, seguendo meticolosamente ogni operazione. A sera tornava esausto all'appartamento concessogli nella casa popolare di via Saccarelli, dove nel frattempo la moglie Carmela lo aveva raggiunto. Mentre questi lavori procedevano, ogni tanto, con La Stampa occhieggiante dalla tasca del cappotto, si recava anche in visita dal funzionario Severo Talucco per seguire gli sviluppi del conflitto di competenze di cui era vittima. Finché, in una gelida mattina di febbraio, si sentì dire che la battaglia era persa: l'Italia non avrebbe mai più navigato, il ristorante si poteva aprire, ma l'imbarcazione doveva essere fissata alla riva, per sempre.