Benvenuti a bordo
Gli affari andavano di male in peggio. Come se l'avesse colpito qualche fosco anatema o il malocchio di una fattucchiera, davvero il dragamine assomigliava sempre più a quel vascello fantasma di cui aveva parlato l'architetto consulente dell'assessore Condona, e non soltanto per il bianco tendone che lo ricopriva.
Di giorno non c'era da aspettarsi avventori. La cucina di "Pezzo-di-oro", elaborata e costosa, non si prestava ai veloci pranzi di lavoro solitamente richiesti dalla naturale clientela di mezzogiorno: impettiti primari dell'Ospedale Molinette in compagnia di ossequiosi rappresentanti di prodotti farmaceutici, giornalisti e impiegati nauseati da anni di mensa aziendale, parenti di camorristi o altri malavitosi in visita al cadavere di qualche loro congiunto ucciso in un regolamento di conti e finito al vicino obitorio per gli accertamenti giudiziari.
Ma neppure la sera, quando avrebbero dovuto farsi valere le attrattive romantiche del locale, l'Italia si popolava. Così, a notte fatta, quei tavoli senza commensali che si intravvedevano al di là delle tende, alcuni illuminati da una candela accesa, quegli ottoni delle sedie invano luccicanti, quel bar senza barista, assumevano un aspetto squallido e quasi sinistro. Se poi si aggiungeva il paradosso di una imbarcazione ferreamente incatenata alla riva, immobile nell'acqua trascorrente, contro la sua natura e contro le stesse leggi della fisica, il quadro assumeva sfumature surreali.
"Eh, se questo battello navigasse!", diceva qualche raro avventore ritirando il resto dopo aver pagato il conto. "Sarebbe tutt'un'altra cosa. Per qualche strano motivo, la gente si diverte a pasteggiare su una barca che viaggia. Ha presente Parigi?"
Era un rigirare il coltello nella piaga. Il Ménoli allora si sfogava raccontando delle promesse non mantenute, dell'impatto con la burocrazia, con politici e amministratori meschini. Il cliente se ne andava scuotendo il capo e borbottando le solite giaculatorie: "Vedrà che un giorno o l'altro se ne pentiranno. Se Milano avesse la collina o un fiume come questo, sì che saprebbero farlo rendere. Persino i navigli, hanno valorizzato, pur di acchiappare qualche turista. Se potessero, ce lo porterebbero via, il Po, come hanno fatto con il cinema, con la radio, con la televisione e tutto quello che è nato a Torino...".
Mentre rapidamente si avviavano a esaurimento i fondi concessi in dotazione dall'Assessorato e incominciavano a incalzare le scadenze del mutuo agevolato, il Ménoli non stava però con le mani in mano. Come prima cosa, decise di fare, in incognito, una ispezione ai suoi concorrenti, che sembravano invece non difettare di clientela.
Si recò dapprima alla sede dell'Associazione Marinai d'Italia, che era a due passi, quasi in vista del dragamine se non ci fosse stata la fitta vegetazione di alberi ornamentali che ricopre la sponda sinistra del Po. L'Associazione - segnalata dalla torretta di un sommergibile emergente dal verde del giardino - disponeva, e dispone, di un ristorante. A rigore non poteva esser considerato un concorrente perché ad uso esclusivo degli iscritti. Era utile, però, aveva pensato il Ménoli, dare uno sguardo alla cucina, e per questo si fece accompagnare da "Pezzo-di-oro". La sala da pranzo occupava una rotonda al primo piano di un prefabbricato vecchiotto dall'aria vagamente balneare, parte in muratura e parte in legno. Anzi, una semirotonda, tutta finestre con vista sul fiume: afosa d'estate ma probabilmente confortevole nelle mezze stagioni e forse anche in inverno, quando sul Po si adagiano brume che paiono cotone.
Già salendo i primi scalini "Pezzo-di-oro" arricciò le pinne del naso, che aveva sottili e affilate, avvertendo l'odore di un ragó allungato, che ricordava la risciacquatura di piatti, su un fondo di aglio che ormai impregnava l'edificio. Eppure i tavoli erano in buon numero occupati e nei piatti, aggrediti da commensali di forte appetito, si vedevano pastasciutte casalinghe, patate fritte, trote al burro, milanesi, insalate di lattuga e pomidoro.
Il Ménoli si presentò all'uomo che stava dietro la macchina del caffé.
"Siamo vicini e colleghi, - disse con affabilità meridionale - sono venuto a conoscervi e a portarvi un saluto. In fondo abbiamo qualcosa in comune. Il mio ristorante è su un vecchio dragamine che viene dal porto di Brindisi... Per qualsiasi cosa, a vostra disposizione..."
L'uomo del bar fu di poche parole ma gentile. Si presentò come Emanuele Faggin, triestino, disse di essere stato imbarcato per due anni, tra l'altro, proprio su un dragamine, e ne mostrò la fotografia in bianco e nero con sfumatura ocra, che teneva dietro il bancone, tra le bottiglie di amari e di aperitivi.
"Abbiamo bonificato - aggiunse - cento chilometri di mar Tirreno davanti al porto di Salerno. Posso offrirvi un caffé?"
Con la tazzina in mano e il dito mignolo allungato, il Ménoli e "Pezzo-di-oro" ottennero altre informazioni. I soci effettivi erano alcune centinaia, metà di Torino e metà del Piemonte, per lo più gente originaria di posti di mare ma poi trasferitasi in Padania per lavorare alla Fiat o in qualche altra industria. Con i familiari, si arrivava a qualche migliaio. I prezzi erano convenzionati ma, tra quote di iscrizione e consumazioni, più qualche sovvenzione ministeriale, l'Associazione, che era nata nel 1894, non aveva problemi finanziari. Anzi, poteva permettersi di bandire borse di studio per i figli delle vittime del mare.
"E il sommergibile?", domandò il Ménoli.
In giardino, a sinistra di chi entra dal cancello, sorgeva infatti, come già accennato, la parte centrale di un sottomarino, di aspetto minaccioso come ogni macchina da guerra e anche più, grazie alla vernice di un nero opaco e al profilo funereo.
"Si chiama Provana, - disse il Faggin - finirono di costruirlo nel 1917 ma in pratica non fece in tempo a partecipare attivamente alla prima guerra mondiale. Poco dopo fu superato da sommergibili più moderni e sicuri, così nel 1925 venne parzialmente demolito e il corpo centrale fu donato all'Associazione Marinai di Torino. Se vuole glielo faccio visitare: qualche anno fa è stato completamente restaurato e lo conserviamo come una reliquia".
Scesero in giardino e si infilarono tra lo scafo esterno e lo scafo interno del sommergibile. Il Faggin con una grossa chiave liberò dalla catena il boccaporto aprendo una porticina ovale.
"Faccio strada", disse, e sparì nella cavità di acciaio.
"Pezzo-di-oro", nonostante l'alta statura, si infilò agevolmente grazie al fisico nervoso e scattante. Il Ménoli, che alla struttura tarchiata aveva aggiunto un principio di pancia, passò invece con difficoltà e appena dentro, fra ingranaggi, leve per comandare le pompe e lanciare siluri, pulegge destinate alla trasmissione del movimento, manometri e altri strumenti, fu colto da una sensazione di soffocamento. Evitata per miracolo una testata nel periscopio, seguì il Faggin fino alle cuccette con il fiato sempre più corto, poi, non riuscendo più a controllare l'attacco di claustrofobia, sollecitò l'uscita: "Voi avete da fare, non vogliamo trattenervi", ansimò rivolto al Faggin.
Due minuti dopo erano di nuovo all'aria e alla luce, vicino al cancello. Qui era collocata una grossa mina di forma sferica, con cinque spunzoni che le davano l'aspetto di una stella.
"Queste erano le bestie nere dei sommergibili", rilevò il Faggin indicandola. "Le cinque sporgenze sono i sensori. Bastava un urto che creasse una compressione di dieci chili e la mina saltava, con tutta l'imbarcazione che l'aveva toccata".
Il Ménoli, che senza accorgersene aveva appoggiato un braccio su uno degli spunzoni, si ritrasse di scatto.
"Stia tranquillo - sorrise il Faggin - questa non farà pió male a nessuno".
Uscendo scortato da "Pezzo-di-oro", il Ménoli non poté fare a meno di riflettere sulle stranezze del destino. Il suo dragamine era finito a quattro passi da un sommergibile, nella città meno marina d'Italia. Il dragamine era paralizzato nell'acqua, il sommergibile addirittura poggiava sulla terraferma. Entrambi incongrui. E lì, una mina, sia pure disinnescata, a rievocare gli antichi terrori, ordigno mortale da fuggire per il sommergibile, da cercare per il dragamine. Lo assalì una sottile inquietudine. Avrà avuto un significato tutto questo? Nascondeva una simbologia? O forse una premonizione?