Benvenuti a bordo
Da una mano all'altra arrivava in edicola il venerdì e, pur contenendo sessantaquattro pagine di inserzioni gratuite su carta patinata, costava soltanto mille lire. Il prezzo stracciato non aveva però impedito all'editore Indro Compressi, che di quel settimanale era anche l'ideatore, il direttore e l'unico redattore, di arricchire al di là di ogni ottimistica aspettativa.
Aveva intuito, il Compressi, che nell'epoca del consumismo un problema rilevante è come disfarsi di oggetti nuovi, costosi, magari anche utili, ma di cui, subito dopo l'acquisto, il proprietario non sa più che fare. L'essenza del consumo consiste infatti nel soddisfare bisogni inesistenti e il momento di massima gratificazione è per il consumatore quello in cui, posato il denaro, entra in possesso dell'oggetto prescelto. Ben presto, però, ciò che fu tanto concupito diventa indifferente, e di lì a qualche tempo si rivela uno scomodo ingombro, che oltre tutto, sottraendo spazio, impedisce di procedere a nuovi consumi. D'altra parte, un residuo di moralità proibisce ancora di gettare nella spazzatura articoli nuovissimi e di valore. Di qui la diffusa esigenza di scambiare, o di rivendere privatamente a prezzo ridottissimo, i prodotti più disparati: mobili di stile orientale, giradischi ad alta fedeltà, biciclette da montagna dette anche "ramipichini", fuoristrada con rostri da carro armato, camper da dieci posti-letto, svariati attrezzi sportivi, gioielli antichi, elettrodomestici voluttuari, collezioni di francobolli del Vaticano o della Repubblica di San Marino, e persino capi di abbigliamento con tanto di firma dei più noti stilisti.
Fiutata nell'aria questa domanda del mercato, il Compressi, un figlio di papà quasi quarantenne che fino ad allora non aveva concluso nulla di utile, neppure il corso di laurea in economia e commercio, in poco tempo aveva messo in piedi un ufficio con un paio di segretarie per ricevere le inserzioni, aveva preso contatto con una tipografia e organizzato una piccola campagna promozionale per far sapere della nuova iniziativa editoriale.
Da una mano all'altra, la testata del settimanale, fu un'altra sua trovata. E poiché per legge il direttore responsabile di una pubblicazione deve essere iscritto all'Albo dei giornalisti, contattò infine un pubblicista di modeste pretese e, depositata la sua firma presso il tribunale competente, ottemperò a tutte le necessarie formalità burocratiche. Così, in meno di un mese, una vaga intuizione si era trasformata in realtà commerciale.
I primi numeri, ancora di poche pagine, andarono in edicola gratuitamente, mentre le locandine riportavano il sibillino slogan: "Da una mano all'altra, il tuo sogno settimanale". Di lì a poco però il fascicolo incominciò ad aumentare di spessore e ad essere regolarmente venduto, sia in edicola sia su abbonamento. Il venerdì mattina alle dieci, il più delle volte, era già esaurito. Così in breve le due segretarie erano diventate sei e il giornaletto, che prima pubblicava tutto alla rinfusa, si era organizzato in numerose sezioni specializzate in ogni sorta di baratto, dalle inserzioni di chi voleva vendere o acquistare una villa al mare a chi cercava un numero da collezione di Topolino, finché comparvero anche, sotto il titolino "Annunci personali", offerte e richieste di massaggi.
Con l'affermarsi della pubblicazione, al Compressi parve opportuno differenziare il privato che desidera prendere contatto con qualche altro privato per concludere uno scambio o un affare di poco conto da chi, invece, tramite l'inserzione si ripromette un utile commerciale. In questo secondo caso, stabilì che l'annuncio non era più gratuito, pur essendo sempre a tariffe vantaggiose.
Il Ménoli, dopo aver acquistato la pubblicazione per un paio di settimane e averla letta dalla prima all'ultima riga, decise che la sua inserzione poteva rientrare nella categoria a pagamento sotto il titolino "Pubbliche relazioni". Accompagnato da Gisella, si recò dunque alla redazione, sita nell'elegante quartiere della Crocetta. Non gli fu difficile intendersi con la signorina che stava allo sportello. Aiutato dall'impiegata stessa, compilò l'annuncio e quindi passò alla cassa per versare il dovuto. Il testo invitava, ogni sabato sera, i "cuori solitari di tutte le età" a incontrarsi sul dragamine per una "piacevole cena con cucina di fiume"; bastava prenotarsi telefonicamente o tramite fax annettendo sintetiche note biografiche, per le quali si garantiva la "massima riservatezza": nome (accettabili però anche gli pseudonimi), sesso, luogo e anno di nascita, professione, più una minima nota personale come fosse "il segno zodiacale o il passatempo preferito", e ciò con l'ovvio "scopo di assortire meglio i tavoli". Dopodiché, lasciava intendere l'inserzione, il destino avrebbe fatto il resto.
Il successo fu immediato. A mezzogiorno del venerdì Gisella doveva già respingere le prenotazioni. Nel pomeriggio, mentre il Ménoli, bloccato al telefono, rispondeva: "Tutto esaurito per domani, se vuole vediamo nei giorni seguenti", la donna si divertì moltissimo a organizzare accoppiamenti giudiziosi, in parte sulla base dei pochi elementi in suo possesso ma più ancora facendo appello alle variegate esperienze umane maturate nella sua precedente occupazione.
Il sabato sera, benché il tempo fosse freddo e nebbioso, chi verso le 21 avesse sbirciato nella sala da pranzo dell'Italia avrebbe visto una scena inedita. Tutti i tavoli erano occupati, ognuno con la sua candela accesa e una rosellina nel piccolo vaso a centro tavola. Il garzone Capece, aiutato da Gisella e dal Ménoli in persona, trafelati, serviva affannosamente le portate ai personaggi più disparati: fantesche in libera uscita, eleganti professionisti, compunte zitelle inacidite, giovani vedove, grassi commercianti, pensionati malinconici, studenti segaligni e occhialuti.
Serviti anche i dolci e il caffé, il Ménoli alzò un poco il volume della musica di sottofondo. Erano classici del ballo liscio romagnolo. Subito qualche coppia aprì le danze, in un clima da sagra paesana.
"Che ti dicevo?" ammiccò Gisella al Ménoli, tutto concentrato a far scampanellare il registratore di cassa. "Hai visto com'è corto il passo dalla tovaglia al lenzuolo?".
"E io? Non ti avevo detto che insieme avremmo fatto fortuna? Altro che jazz e maghi, da questa sera l'Italia incomincia davvero a stare a galla. Del resto l'avevi letto nella mia mano: fortuna, soldi, tanti soldi. E poi che altro avevi detto?".
Gisella diede una scrollata di spalle, come per dire che la cosa non aveva nessuna importanza, ma anche per allontanare un pensiero sgradevole.
Non fu facile, all'una di notte, spiegare ai tiratardi che era arrivata l'ora di chiusura, che c'erano dei regolamenti da far rispettare. Soltanto alle tre, esausti, Gisella ed il Ménoli si ritrovarono soli, avvolti dal silenzio. La nebbia era fittissima: fuori non si vedevano neppure i lampioni del Valentino. Il dragamine avrebbe potuto essere chissà dove, anche in mezzo all'oceano Atlantico. Il Ménoli era così provato che non gli venne neppure in mente di proporre a Gisella di scendere a festeggiare sotto coperta. "Andiamo a prendere fiato", si limitò a dire. "Se tutto va bene, domani sarà un'altra giornata lunga".
"Non ti dimenticare - rispose asciutta la donna - che siamo in società".