Il museo che io sogno, però, dovrebbe essere diviso in due parti: una per il fascismo e un’altra, altrettanto ampia, per il nazismo. Dovrebbe essere un museo delle dittature del Novecento in questa parte d’Europa. Perché se è vero che gli italiani che vivono in Sudtirolo/Alto Adige devono ancora chiudere i conti con il regime di Mussolini e con i suoi simboli, è altrettanto vero che i sudtirolesi di lingua tedesca non hanno chiuso, sul serio, i loro conti con il nazismo; e che questa è una regione d’Europa dove l’ideologia nazista, se dovesse rinascere domani così come l’aveva concepita Hitler, avrebbe ancora qualche seguace. Non un grande seguito, ne sono sicuro: di persone irriducibili a quella follia ce ne sono tantissime anche lì. Ma la base per un consenso, seppure limitato, secondo me ci sarebbe.
Dietro a questo fatto ci sono delle ragioni precise. La prima è un residuo, neanche tanto piccolo, di quell’avversione nei confronti degli italiani di cui ho spiegato le cause e che nel 1939 è stata determinante nella vicenda delle opzioni. La seconda ragione, fondamentale, è il grande abbaglio per cui la maggior parte dei sudtirolesi diventati tedeschi che combatterono su vari fronti nella guerra di Hitler, credettero di combattere anche per la libertà della loro patria, perché continuasse a far parte della Grande Germania. Invece stavano combattendo una guerra di aggressione contro altri popoli, e morirono a migliaia senza rendersi bene conto di quell’errore. Hitler, l’assassino degli 8.025 sudtirolesi caduti nella sua guerra, e poi anche degli altri sudtirolesi che avevano cercato di opporsi alla sua follia, poté essere considerato allora, e può ancora oggi essere ricordato da qualcuno come un liberatore. E la sua sfida al mondo, il suo delirio superomistico, il suo rovesciamento di tutti i princìpi morali conservano ancora oggi, nel terzo millennio della nostra era volgare, un fascino perverso che attira emuli e seguaci non soltanto nei Paesi di lingua tedesca ma in ogni parte del pianeta.
In Sudtirolo/Alto Adige il nazismo non ha costruito monumenti, non ha fatto in tempo; ma ha lasciato un segno profondo, in quegli anni dal 1939 al 1943 quando, in seguito alle opzioni, sette tirolesi su otto diventarono cittadini tedeschi e sudditi di Hitler. E poi in quei venti mesi, dal 1943 al 1945, in cui il Sudtirolo/Alto Adige fu una provincia meridionale del Reich. Credo che ci sia ancora molto da documentare su quel periodo: tante cose che invece, in termini psicanalitici, rischiano di essere “rimosse”, cioè cancellate per sempre e dimenticate. C’è stato un campo di concentramento di una certa importanza vicino a Bolzano, e ci sono stati i “campi di transito”. C’è stata la partecipazione dei sudtirolesi alla guerra del nazismo e chissà, forse anche agli orrori del nazismo. C’è stata, e già ho avuto modo di accennarvi, una Resistenza sudtirolese. Infine: c’è stata, dopo la guerra, la stagione in cui i criminali nazisti cercavano in Sudtirolo/Alto Adige una via di fuga e un rifugio anche provvisorio. Un museo e un archivio delle dittature del Novecento in questa regione che ha dovuto conoscerle così da vicino e in modo così diretto, secondo me sarebbe la maniera giusta e appropriata per ricordare i cento anni che sono trascorsi dal trattato di St. Germain. Un’istituzione di quel genere, in provincia di Bolzano aiuterebbe tutti a chiudere i conti con la storia e a separare il passato dal presente per guardare avanti. Ma, come ben sapevano Erasmo da Rotterdam e Martin Luther King, le idee ragionevoli purtroppo non appartengono a tutti, e a qualcuno possono addirittura sembrare idee folli. Anche questo è possibile.