L’altro mio sogno, forse ancora più difficile da realizzare del primo, riguarda una coltivazione che in Sudtirolo/Alto Adige si fa da più di cento anni e che qui è più florida che altrove: quella delle fandonie storiche. Non tutti lo sanno, ma le fandonie si seminano, si innaffiano e in una parola si coltivano come i cavoli o le barbabietole, perché producano voti in tempo di elezioni. Il primo grande coltivatore di fandonie da queste parti è stato Ettore Tolomei, che però ai suoi tempi non raccoglieva voti: raccoglieva onorificenze, prebende, titoli nobiliari, incarichi parlamentari. Era il re delle fandonie storiche: le valli a sud del Brennero, in primavera fiorivano a perdita d’occhio nelle sue piantagioni e lui era l’uomo più felice del mondo. Raccontava le storie di Claudio Nerone Druso, figliastro dell’imperatore Augusto e brillante condottiero romano, che tanti secoli fa conquistò queste terre di qua e di là dalle Alpi fino al Danubio, e dappertutto dove passava dava un nome a quello che vedeva: un nome latino, poi naturalmente destinato a diventare italiano.
Tolomei appartiene al passato remoto delle fandonie storiche. Al posto del suo Druso nel presente c’è Hitler, che ha il vantaggio di essere un po’ più moderno e di parlare tedesco. Ci sono i nazisti liberatori: “Il Sudtirolo è stato liberato dalla Wehrmacht nel 1943”. E dopo Hitler e dopo i nazisti liberatori ci sono gli uomini che mettevano le bombe e che ammazzavano, gli eroi degli anni Cinquanta e Sessanta: “Sono loro i veri padri dell’autonomia di questa regione. Se non ci fossero stati, tutto sarebbe ancora fermo al 1946, all’accordo di Parigi mai rispettato”. La coltivazione delle fandonie storiche, oggi, produce voti che vanno a ingrossare i partiti tedeschi di estrema Destra. Si fa in terreni concimati con argomenti antichi ma sempre validi: le ingiustizie subite ai tempi del fascismo, la “corona di spine”, i simboli dell’oppressione che continuano ad essere presenti. Il monumento alla Vittoria, i fregi con il Duce a cavallo. Negli ultimi tempi, poi, ai concimi tradizionali se ne sono aggiunti di nuovi e più evoluti, che con garbo e in maniera velata alludono alle differenze “etniche” tra le persone. A superiorità e a inferiorità di tipo razziale…
Chi sia il padre delle fandonie di oggi non si sa. Forse i coltivatori sono molti, in tanti piccoli orticelli; o forse, se è soltanto uno, è il persornaggio segreto di questa storia, che abbiamo visto nascere nel 1928 e poi crescere e diventare adulto, fino a compiere le sue maggiori imprese negli anni Sessanta. L’odio ormai ha più di ottant’anni e può darsi che, come certi pensionati, dedichi la maggior parte del suo tempo ad una attività che senza affaticarlo troppo lo tiene in forma e gli permette di continuare ad essere utile ai suoi familiari, cioè ai fantasmi della vecchia Europa. Forse è lui il coltivatore delle fandonie storiche in Sudtirolo/Alto Adige.
Il mio sogno non è la fine delle fandonie, ci mancherebbe altro. Qualcuno che continuerà a raccontarle, e qualcuno che continuerà a crederci ci sarà sempre. Il mio sogno è la fine della loro coltivazione: la fine dell’odio. Questo è il mio secondo sogno, che in realtà è strettamente collegato con il primo, di un museo che documenti per tutti, e soprattutto per i giovani, il passato di questa regione.
Di un museo delle dittature del Novecento. La coltivazione delle fandonie storiche e dell’odio diventerà sempre più difficile se il passato cesserà di essere, com’è adesso, una materia che ognuno manipola a suo piacimento per dargli la forma che vuole.
Se il passato troverà la sua sistemazione definitiva in un luogo adatto.