Capitolo diciannovesimo
Die Brücke/Il Ponte

Il periodico con cui Alexander Lager ancora ragazzo esordì in politica si intitolava proprio così: «Die Brücke/Il Ponte».

Io ho incontrato Langer nel febbraio del 1983. Sapevo della sua battaglia contro le “gabbie etniche” e, allora, la condividevo. Il resto del suo pensiero, però, mi sembrava un po’ troppo vago e un po’ troppo astratto. Più vicino, forse, allo spirito dei Vangeli che alla logica “umana, troppo umana” delle vicende politiche.

Langer, allora, era un personaggio molto noto. Il suo nome, anche in Austria e anche in Germania, veniva immediatamente associato alla questione del Sudtirolo/Alto Adige; e questo, a mio parere, portava più danni che vantaggi, perché faceva credere che a Bolzano esistesse un forte partito della convivenza. Cosa assolutamente non vera.

Il partito di Langer: la Neue Linke/Nuova Sinistra era un piccolo partito presente nelle due città, Bolzano e Merano, e votato soprattutto (ma non soltanto) dagli italiani. Ricordo che un dirigente della Volkspartei, da me intervistato, lo definì: “Una maglia che non scalda”. Era una definizione impietosa e forse anche un po’ cinica, ma sostanzialmente esatta.

Ricordo che mi lasciò perplesso l’entusiasmo di Langer per alcuni dati che mi venivano via via mostrati nel corso del nostro incontro: per esempio, per la crescita dei matrimoni misti. Ora, io non ho mai creduto che i problemi di convivenza tra culture e popoli diversi si possano risolvere con i matrimoni. Di più: non ho mai creduto che dati di quel genere fossero davvero significativi rispetto alla questione di cui allora stavamo parlando. Anche se l’amore può tutto e vince tutto, come già dicevano gli antichi; a volte, produce più problemi di quanti ne risolve. Credo, e credevo già allora, che quello dei matrimoni misti in Sudtirolo/Alto Adige fosse un fenomeno soprattutto, se non esclusivamente, urbano: e che la realtà delle valli e dei centri minori fosse ben diversa. Nel novembre di quello stesso anno 1983, in Val Pusteria, mi capitò di parlare con un ragazzo italiano di vent’anni che avrebbe voluto sposarsi con una ragazza di madrelingua tedesca, e la ragazza con lui, e che stavano vivendo quella loro serissima relazione come una tragedia. Soprattutto la ragazza rischiava l’allontanamento dalla sua famiglia e dalla sua comunità per essersi messa, non con un drogato o con un delinquente (il fidanzato era un giovane senza grilli per la testa, con un lavoro e, se ben ricordo, con un diploma di geometra), ma addirittura con un italiano!

Chissà come sarà andata a finire anche quella storia…

Tra me e Langer non c’è stato “feeling”. Al contrario: gli attacchi più violenti e più velenosi, quando poi uscì nel 1985 il mio libro Sangue e suolo mi sono venuti proprio da lui e dalla sua parte politica. Sono stato accusato di essere il portavoce della Destra neofascista: ma non importa. Anche gli idealisti devono difendere il loro elettorato. Langer poi è morto suicida nel 1995, a soli quarantanove anni, e tutti abbiamo perso qualcosa perché era un’ottima persona e perché il Sudtirolo/Alto Adige aveva ancora bisogno di un donchisciotte come lui, non foss’altro che per bilanciare e per ostacolare in qualche misura la coltivazione dell’odio e delle fandonie. Ma il nome di quel suo periodico giovanile: «Die Brücke/Il Ponte», è forse quanto di più e di meglio rimane di lui. È stato il suo manifesto e il suo programma di vita.

Langer guardava lontano. Dopo quasi un secolo dal trattato di St. Germain, in una Europa che tenta di liberarsi dalla logica delle guerre e dalla logica dei confini, quelle due parole definiscono un futuro che, per il Sudtirolo/Alto Adige, non ha molte alternative possibili. Comunque vadano le cose, questa regione dovrà essere un ponte tra nord e sud, tra cultura tedesca e cultura latina, tra un passato che non può ripetersi e un futuro ancora da costruire. Cento anni fa una prospettiva del genere era impensabile, perché il Sudtirolo era un Paese tedesco di montagna, chiuso in se stesso e geloso delle proprie caratteristiche, delle proprie tradizioni, del proprio isolamento. L’arrivo degli italiani ha sconvolto un equilibrio millenario e ha aperto tre possibili prospettive. La prima: quella di soccombere agli invasori, rinunciando alla propria cultura e alla propria lingua, è stata superata. La seconda prospettiva: quella di ricacciare gli invasori per tornare alla situazione precedente il trattato, è abbastanza remota e potrebbe verificarsi soltanto in un contesto più ampio di ritorno generale al passato, con nuove guerre, nuovi confini, nuove migrazioni di popoli. La terza prospettiva, infine: la ricerca di un nuovo equilibrio, è la strada che fino a questo momento si è scelto di percorrere con l’autonomia. Gli italiani restano e diventano un po’ tirolesi. I sudtirolesi non diventano un po’ italiani, perché (sto per scrivere una cosa terribile) lo sono già. Poco e senza rendersene conto ma lo sono. Anche senza tirare in ballo molti dei loro cognomi: c’è qualcosa, nella loro cultura, che li rende diversi da altri popoli di lingua e di cultura tedesca. Qualcosa che viene da lontano: dagli etruschi, dalla coltivazione della vite, dal cielo chiaro del sud…

Il ponte funziona già nel turismo. I tedeschi, e anche gli italiani che trascorrono le loro vacanze in Sudtirolo/Alto Adige, ci vanno per trovarsi in un ambiente diverso dal loro, con dei paesaggi diversi da quelli a cui sono abituati, restando però tra persone che parlano la loro lingua e conoscono le loro usanze. Ma il ponte in futuro potrà funzionare di più e meglio anche in altri ambiti. Penso alla cultura, all’arte, agli scambi commerciali tra nord e sud…