La giornata successiva passò in un baleno, e verso le sei del pomeriggio Rita, usando il telefono della trattoria, compose il numero della signora bionda. La quale non sembrò per nulla stupita di sentirla e, senza dilungarsi in chiacchiere, le propose un appuntamento per il giorno dopo alle dieci nella sua abitazione, una villa in via Monte Rosa.
L’indomani mattina, Rita si preparò con la massima cura: i capelli freschi di shampoo sciolti sulle spalle, niente trucco a eccezione di un velo di rossetto sulle labbra, e indosso il suo vestito migliore. Alle nove e trenta raggiunse la fermata di viale Tunisia, dove salì sul tram numero 11 che l’avrebbe portata in piazzale Lotto, a pochi passi da via Monte Rosa.
L’indirizzo corrispondeva a una villa liberty su due piani, risalente ai primi anni del secolo. La facciata rosa pallido era interrotta da finestre dai vetri legati a piombo con motivi floreali, e il marrone scuro delle persiane ben si accordava con il colore dell’intonaco. Oltre il cancelletto in ferro battuto, due aiuole fiorite bordavano il breve percorso che conduceva al portoncino d’ingresso in legno massiccio, sormontato da un affresco riproducente una scena pastorale leggermente spinta, protagonisti due lascivi satiri intenti a sedurre alcune leggiadre e alquanto discinte ninfe.
Venne ad aprire la porta un’anziana, distinta domestica in divisa, che introdusse la ragazza in un’anticamera impreziosita da due quadri sullo stile dell’affresco esterno: scene pastorali, ma in questo caso serenamente bucoliche e per nulla sensuali. Dall’ingresso, la donna accompagnò Rita in una grande sala arredata con stile e leggerezza, dove ai mobili antichi, un cassettone, uno scrittoio, un piccolo armadio e un’angoliera, facevano da contrappeso un divano e poltrone moderne dall’aspetto comodo e confortevole, davanti alle quali stava un tavolino basso di cristallo, su cui erano appoggiati un posacenere, alcuni pacchetti di sigarette e una ciotola contenente caramelle e cioccolatini. Il pavimento, in parquet di rovere, era parzialmente ricoperto da un paio di antichi tappeti persiani.
Nel giro di pochi minuti si presentò la padrona di casa. Rita, senza darlo a vedere, studiò attentamente la donna che aveva intravisto appena alla trattoria: una signora di mezza età molto ben conservata, di media statura, dal corpo apparentemente ancora sodo, il volto fresco non segnato dalle rughe e i capelli di un bel biondo artificiale che sembrava autentico. L’abbigliamento, discreto e signorile, consisteva in un elegante tailleur blu scuro, camicetta di seta grigio perla e scarpe di vernice nera. Rita quasi arrossì pensando al suo abito modesto e di poco prezzo comprato alla Standa, che non riusciva però a sminuirne la sfolgorante bellezza.
Dopo i convenevoli d’uso, mentre le due donne sorbivano il caffè (quello vero, non un surrogato come in casa Grande!) servito dalla domestica, Giulia Vergani prese la parola: «Cara Rita, ti ringrazio per aver accettato di incontrarmi qui, in casa mia. Ma prima che io ti parli della mia proposta, mi farebbe piacere che mi raccontassi qualcosa di te e della tua vita, di cui non so niente».
La ragazza non si tirò indietro e rispose, con buona proprietà di linguaggio, riassumendo in poche e dignitose parole la sua esistenza e le sfortunate vicende che l’avevano accompagnata.
«Ne hai viste e passate di tutti i colori, poveretta» fu il primo commento della signora. «Ma non ti sei lasciata prendere dallo sconforto e hai saputo reagire, brava! A proposito, quanti anni hai?»
«Fra pochi giorni compirò i ventuno.»
«Ah, dunque sei quasi maggiorenne,» commentò la Vergani, con un inspiegabile moto di sollievo «anche se di viso sembri più giovane. Quanto sei alta, un metro e settanta?»
«Sì, più o meno» rispose Rita, un po’ sorpresa da quelle domande che non riusciva a inquadrare nel contesto di un colloquio di lavoro; ma per il momento non proferì verbo, nell’attesa che la signora venisse al dunque.
«Bene, da come mi guardi capisco che sei ansiosa di sentire che lavoro ti voglio offrire» riprese la Vergani. «Un attimo di pazienza e ci arriviamo, ti ho fatto venire da me per questo.»
Qui si fermò ed estrasse una sigaretta da un pacchetto di Turmac, dandole fuoco con un pesante accendino d’oro. «Ne vuoi una anche tu?»
«No, grazie, non fumo» rispose la giovane, precisando con franchezza: «E anche se mi piacesse non me lo potrei permettere, i soldi che guadagno bastano a malapena per mantenere la mia famiglia. Prendo però volentieri un cioccolatino, se posso» e, avuto l’assenso dell’ospite, scartò una pralina di Caffarel.
«Ti parlerò apertamente» riprese la Vergani. «Io gestisco una casa di incontri o, se preferisci, casa di appuntamenti, dove alcune belle ragazze, più o meno della tua età, si intrattengono con persone di sesso maschile. Pochi giorni fa una di loro mi ha lasciato per motivi familiari, e sto cercando la sua sostituta. Ho già visto alcune candidate, ma, te lo dico sinceramente, secondo me tu saresti la persona ideale per entrare a far parte della squadra. Ti può interessare?»
«Signora, se non ho frainteso mi sta proponendo di fare marchette?» chiese Rita senza tanti giri di parole, con il tono di chi pretende una risposta altrettanto chiara e senza sottintesi.
«Non hai peli sulla lingua, mia bella Rita, e questo mi piace, corrisponde all’idea che mi sono fatta di te. Ma, se mi consenti, forse “marchette” non è il termine corretto per definire questi rendez-vous, per dirla alla francese. Io non ti sto proponendo di fare la puttana in un casino, cioè di passare la giornata a salire e scendere le scale per sottostare a decine di rapporti, e chi capita capita... a fronte di un guadagno di poche centinaia di lire. Lasciami continuare» disse, bloccando un tentativo di interruzione di Rita. «Quando avrò finito, potrai dirmi la tua. Gli uomini che frequentano questa villa, chiamiamoli pure clienti, non sono più giovanissimi ma nemmeno vecchi decrepiti e bavosi, e, oltre ad avere un portafogli ben fornito, appartengono alla crema della società: industriali, dirigenti d’azienda, professionisti, politici, nobili, magistrati, artisti e altro ancora.»
«Ma siano quello che siano, sempre una cosa vorranno, immagino» non si trattenne dal puntualizzare Rita.
«Certo, non lo nego. Questi signori cercano sì un rapporto sessuale, ma non brutale e frettoloso come quello che puoi avere in una casa chiusa o con una che batte la strada: desiderano intrattenersi, in un ambiente discreto, con ragazze raffinate in grado di sostenere una conversazione sugli argomenti più disparati, dall’attualità alla letteratura, allo spettacolo, allo sport. Mi sono spiegata?»
«Si è spiegata benissimo, ma allora ha sbagliato persona, ammesso e non concesso che io accettassi la sua offerta» commentò senza mezzi termini la giovane. «Perché io, come le ho appena detto, sono una ragazza senza istruzione, e non credo di poter sostenere una parte come quella che lei ha descritto.»
«Cara la mia ragazza, non sei figlia di un marchese e non hai frequentato a lungo le scuole, ma, oltre che bella, mi sembri tutt’altro che stupida, e ti esprimi in un buon italiano. E comunque, non ti devi porre questi problemi, troveremo insieme gli strumenti per migliorare la tua cultura e metterti all’altezza dei nostri illustri amici.»
«Ne è sicura?» chiese scettica Rita.
«Fidati della signora Giulia... ma andiamo avanti. Ti ho detto a grandi linee in che cosa consiste il lavoro. Però è importante che tu sappia sia qual è l’impegno richiesto alle mie ragazze, sia qual è il compenso per le loro prestazioni.» E qui, a sottolineare l’importanza dell’aspetto economico, la Vergani si concesse una pausa a effetto, con accensione di una seconda sigaretta. «Cominciamo col dire che non c’è l’obbligo di essere sempre presenti dalla mattina alla notte, ma solamente quattro giorni la settimana, per circa sei ore, e mai di sera, salvo qualche rara eccezione. Perché, se è vero che gli incontri sono sempre programmati in anticipo, a volte capitano delle visite impreviste di clienti ai quali non si può dire di no. Inoltre, può succedere che una ragazza venga richiesta anche quando non è di turno. In entrambi i casi, io la contatto per verificare la sua disponibilità.»
«Scusi se la interrompo, ma nel mio caso come farebbe, visto che non ho il telefono?» chiese Rita, entrando inconsapevolmente nella parte della “ragazza”.
«Non ti preoccupare, penseremo anche a questo. E veniamo ai quattrini. Come ti ho anticipato, la mia casa è frequentata solo da gente facoltosa, molto facoltosa, che non discute sul prezzo da pagare per avere quello che desidera. Alle ragazze spettano, per ogni incontro, 5.000 lire. Il cliente ovviamente paga molto di più perché anch’io ci devo guadagnare, non ti pare? Detto questo, l’accordo prevede, per tutte voi, uno stipendio minimo garantito, cioè indipendente dal numero degli incontri, di 40.000 lire al mese. L’importo viene conguagliato a vostro favore nel caso vi spetti una cifra superiore in base al numero di prestazioni, ma la regola non si applica al contrario, cioè le 40.000 lire vi vengono comunque corrisposte, anche se ammetto che non è mai successo che una ragazza non abbia maturato almeno il diritto al minimo garantito.
«E veniamo all’altro lato della medaglia, cioè le spese che devi affrontare di tasca tua: quelle per l’installazione di una linea telefonica e per l’acquisto di un guardaroba all’altezza dello stile della casa. Visto lo stato delle tue finanze, che tu stessa hai dichiarato tutt’altro che floride, ti anticiperei io le somme necessarie, da detrarre successivamente dal tuo stipendio. Ultimo piccolo investimento, l’abbonamento al “Corriere della Sera”, per essere sempre aggiornata su quello che succede in Italia e nel mondo e poter così reggere il confronto con i nostri clienti.
«Come vedi, e non mi stancherò di ripeterlo, qui da me non si tratta solo di fare “marchette”, altrimenti non staremmo a perdere tempo e investire danaro in cose che nulla hanno a che fare con rapporti alla mordi e fuggi. E con questo, credo di averti detto tutto. Se hai domande, fammele senza paura.»
Frastornata dal fiume di parole, e di cifre, con cui la Vergani l’aveva sommersa, Rita rimase per qualche minuto in silenzio, ma la sua mente lavorava a pieno ritmo: il solo stipendio mensile minimo era più del doppio di quanto percepiva alla Trattoria del Sole, per un impegno di tempo inferiore alla metà di quello che dedicava al lavoro di cameriera, per quanto di natura... un po’ diversa. A questo punto, prima ancora che si ipotizzasse un suo inserimento nella “squadra”, toccava a lei mettere sul tavolo un particolare molto personale: «Supponendo che io accettassi la sua proposta, come la mettiamo con il fatto che, anche se le sembrerà incredibile, sono ancora vergine? Prima o poi bisogna pur cominciare, mi dirà lei, ma questa verginità non la vorrei buttare via...».
«A questo difetto possiamo porre rimedio, ragazza mia» disse la donna, accompagnando la frase con una bella risata. «E dalle tue parole, anche se non lo dici chiaro e tondo, mi rendo conto che sai di possedere una qualità di grande valore» continuò la navigata maîtresse, che colse subito il senso di quell’affermazione all’apparenza innocente. «Ci sono due modi per saltare il fosso: uno molto vantaggioso per tutti, l’altro decidendo di concederti a un fidanzato, se ce l’hai.»
«Non ho fidanzati, almeno per il momento, ma lei a cosa avrebbe pensato?» chiese Rita, pur avendo intuito dove la donna volesse andare a parare.
Giulia Vergani mise fine alla schermaglia nel modo più esplicito: «Non stiamo a girarci intorno, la verginità è considerata un bene prezioso e, come tutte le cose preziose, ha un prezzo molto alto. Non intendo metterti all’asta come una schiava, mi limiterò a proporre la cosa solo a un paio di clienti, molto ricchi, che so essere interessati all’argomento. È ovvio che in questo caso il tuo compenso sarebbe molto superiore a quello per una normale prestazione. Diciamo...» e la signora si fermò fingendo di riflettere sulla somma che aveva in realtà già in testa «...diciamo che potremmo arrivare per te a 45.000 lire, e ovviamente anch’io avrei la mia parte. Una somma non da poco, che ti consentirebbe, fra l’altro, di saldare buona parte dei debiti con la sottoscritta per le spese di telefono, abbigliamento eccetera eccetera... e ti rimarrebbe sempre in tasca un bel mucchio di bigliettoni. La parola adesso passa a te. Mi rendo conto che non è una decisione da prendere a cuor leggero, e capisco che tu ci voglia riflettere. Allora, a me piace mettere bene le carte in tavola: io vorrei che fossi tu la mia terza ragazza, ma non devi farmi aspettare troppo, perché, nel caso tu mi dicessi di no, dovrei trovare altre soluzioni. Anche se non ci metterei molto, perché c’è la fila di belle fanciulle davanti alla mia porta...» concluse con un velato avvertimento a non perdere l’occasione.
Terminato il colloquio, dopo aver promesso di farsi viva nel giro di un paio di giorni, Rita corse alla fermata del tram e arrivò trafelata e leggermente in ritardo alla trattoria, dove svolse con la consueta efficienza il suo lavoro servendo ai tavoli.
Meditò sulla proposta della Vergani anche nella pausa del pomeriggio e, finito il turno serale, dopo cena se ne andò a letto presto in compagnia della lavandaia parigina e di Napoleone, rinviando alla mattina dopo una riflessione approfondita sulla proposta che aveva ricevuto.
Alle otto e mezzo, in tranquilla solitudine, davanti a una tazza di caffellatte riempita col pane avanzato del giorno prima, Rita subito valutò gli aspetti economici dell’offerta. Se già il minimo che la signora garantiva era una fior di cifra, supponendo un’attività più intensa c’era di che far girare la testa. La famiglia Grande sarebbe salita su un altro pianeta: una serena e riposante vecchiaia per la nonna, la possibilità di continuare gli studi per i fratelli senza assilli di bilancio, e un tenore di vita che non si era mai sognata nemmeno di immaginare.
Nonostante la scarsa esperienza in materia, era consapevole del tipo di lavoro che l’aspettava. Per indorarsi la pillola si disse che lo avrebbe fatto in un ambiente elegante e rispettabile e, quanto agli uomini da ricevere, a sentire la signora appartenevano all’élite della società milanese. Ma il suo pragmatismo la portò a precisare senza pietà: “Sì, girala come vuoi e come ti fa comodo, ma alla fine sempre di allargare le gambe si tratta, anche se in una villa signorile e con un distinto e educato gentiluomo!”.
Dopo questa constatazione, pronunciò ad alta voce la frase decisiva: «E chi se ne frega, io le allargherò queste belle gambe, voglio diventare ricca. Basta con questa vita di stenti, perdiana! E se questo significa che sono una ragazza senza morale, una puttana, pazienza: in fondo, do via del mio, non rubo niente a nessuno. E se proprio non ce la faccio a resistere, sono sempre in tempo a tornare indietro: un posto da cameriera lo trovo quando voglio».
Toltasi il pensiero, non perse tempo, scese dal tabaccaio sotto casa e telefonò alla Vergani annunciandole in poche parole che accettava la sua proposta, compresa la ben retribuita perdita della verginità. Fu invitata a presentarsi alla villa l’indomani mattina per discutere gli ultimi dettagli.
Rita passò la giornata quasi in trance, servendo ai tavoli sia a mezzogiorno sia alle sette del pomeriggio, rovesciando anche qualche bicchiere sulla tovaglia, con grande stupore della signora Rosetta.
Tornata a casa, pensò se non fosse il caso di parlare a qualche amica, o amico, della sua prossima e poco ortodossa attività, ma rinviò la “confessione”: avrebbe raccontato cosa le era capitato ad accordo concluso con la Vergani, e non certo a tutti. Passò la serata in famiglia e verso le undici se ne andò a letto, in compagnia dei protagonisti di Madame Sans-Gêne.
Dopo una notte trascorsa con la serenità di chi ha fatto una scelta, buona o cattiva che sia, alle nove e mezzo Rita suonava nuovamente al campanello della villa di Monte Rosa.
Questa volta venne ad accoglierla la signora Vergani in persona, che l’abbracciò baciandola sulle guance. Poi, dopo averle dato il benvenuto nella “maison Giulia”, la accompagnò in un tour della casa mostrandole i salottini, il suo studio, le biblioteche con scaffali pieni di libri, e due bagni spettacolari con vasche in marmo e piastrelle decorate con fregi artistici. Le camere delle ragazze erano molto ben arredate, con letto a barca in noce, armadio Ottocento, divanetto e petineuse. Quella destinata a Rita, che sarebbe stata esclusivamente a sua disposizione, era abbellita da stampe che riproducevano scorci della Parigi ottocentesca.
La signora Vergani rassicurò poi la nuova adepta sui suoi timori legati alla mancanza di esperienza: «Il tuo imbarazzo e le tue incertezze di giovane alle prime armi saranno molto graditi, e non solo dall’avvocato che si è assicurato il “fiore della tua verginità”, per citare le sue parole: non tutti gli uomini desiderano avere rapporti con il classico “puttanone”, soprattutto i nostri ospiti, persone sofisticate che detestano la volgarità».
Per correttezza, senza che Rita lo avesse chiesto, le raccontò anche la sua vita: dopo una giovinezza non del tutto irreprensibile, passati i cinquanta era rimasta vedova di un conte molto più anziano («E adesso sai che sono una contessa, maîtresse ma contessa») e per arrotondare le entrate aveva deciso di aprire una casa di appuntamenti, che in breve tempo era diventata una delle più rinomate di Milano: «Le ragioni del successo della mia maison sono due: buone conoscenze in società e fiuto nello scegliere le fanciulle, tutte provenienti da ceti popolari, ma molto belle e dotate di classe innata».
Le presentò poi una delle ragazze, Carmen, una sensuale mora di origini siciliane; la seconda del “trio delle meraviglie”, come la Vergani definiva il suo staff, e cioè la biondina tutto pepe Giovanna detta Vanna, l’avrebbe incontrata più avanti.
La contessa anticipò poi la somma per fare, sotto la sua supervisione, i primi acquisti di abbigliamento, accessori e biancheria intima, e installare la linea telefonica. Fu concordato infine che Rita sarebbe stata disponibile dopo gli otto giorni di preavviso alla Trattoria del Sole.
Su suggerimento della contessa, Rita avrebbe detto, in casa e ad amici e conoscenti, che il suo nuovo lavoro consisteva in un posto di cameriera e barista in un locale della zona Fiera, lontano cioè da Porta Venezia e difficilmente controllabile.
Alla trattoria, indossato il grembiule, prima di iniziare a servire ai tavoli Rita chiese alla signora Rosetta se poteva parlarle e le comunicò che si sarebbe licenziata, non senza essersi profusa in ringraziamenti per tutto quello che aveva ricevuto da lei e dal marito da ormai diversi anni: «Vi sarò sempre riconoscente, ma mi è stata fatta un’offerta economicamente molto interessante e, anche se a malincuore, non ho potuto dire di no: le spese aumentano, i miei fratellini crescono e la nonna è sempre più stanca. Ma se non vi dispiace, verrò spesso a trovarvi e anche a darvi una mano, se ne aveste la necessità e se avrò il tempo per farlo».
«Grazie, Rita. Nella vita nulla dura in eterno, con un po’ di fortuna prima o poi capita un’occasione per migliorare la propria situazione. Se hai deciso così, avrai fatto bene i tuoi conti, e non provo nemmeno a tentare una controfferta. Vieni a trovarci quando vuoi... magari anche come cliente, così poi mi dirai se chi ha preso il tuo posto se la cava bene. D’accordo?»
La signora Rosetta non indagò troppo sul nuovo lavoro, anche se qualche sospetto le era venuto, avendo notato le manovre dell’amica contessa ed essendo al corrente della sua... professione. Pensò anche che, se il suo intuito aveva visto giusto, almeno la ragazza era finita in “buone mani”, cosa che non si poteva dire di altre giovani che avevano imboccato la stessa strada.
Stabilirono che Rita avrebbe garantito la sua collaborazione ancora per otto giorni, in modo da dare il tempo ai titolari di trovare una sostituta.
Terminato il servizio ai tavoli, la giovane tornò a casa e affrontò l’argomento con la nonna e i fratelli, che presero atto con piacere della notizia, soprattutto la nonna, alla quale la nipote disse che, grazie al miglioramento della situazione economica, lei avrebbe potuto finalmente dedicarsi senza affanni e ristrettezze all’economia domestica della casa. Meno semplice fu spiegare il motivo per cui sarebbe stato installato il telefono, ma Rita si trincerò dietro una richiesta del padrone del locale, che voleva avere la possibilità di contattarla in caso di imprevisti. Il fatto che lo stesso padrone se ne sarebbe accollato i costi mise a tacere le obiezioni e il telefono fu visto solo come un’utile novità.