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E venne la mattina che Rita si augurava fosse quella della resa dei conti. Si vestì in modo informale (la sua bella figura l’aveva già fatta): indossò una semplice camicetta bianca, gonna nera e sandali senza calze, alla faccia della réclame “Una donna senza calze è una donna qualunque”.

Ormai per lei si trattava solo di ascoltare, con la speranza che l’apertura di Giorgia preludesse a una ricca messe di informazioni utili.

La Vallenera era arrivata per prima all’appuntamento, con grande piacere di Rita (buon segno!) e aspettava davanti all’ingresso del locale.

Nonostante la giornata si preannunciasse piuttosto calda, la signora non aveva rinunciato al suo aplomb, vestendo un elegante tailleur grigio perla, camicetta di seta nera e scarpe nere con i tacchi, una mise che evidentemente per lei era una specie di divisa.

A una prima occhiata, Rita ebbe l’impressione di trovarsi di fronte a un’altra donna, più serena, lo sguardo limpido, la camminata elastica e sicura.

Ancora una volta, constatò che la somiglianza con Silvana Mangano era impressionante.

“Questa qui interpreterebbe molto meglio di me la parte della sosia alla maison, quasi quasi le chiedo se vuol venire a esibirsi in via Monte Rosa... a letto deve essere brava, se ha fatto perdere la testa al Rodolfo Valentino di Lambrate” si ritrovò a pensare con il sorriso sulle labbra.

Nemmeno il tempo di sorbire il caffè, e Giorgia Vallenera, senza alcuna introduzione, esordì cogliendo Rita di sorpresa: «Se oggi sono qui è merito, o colpa, di mio marito. Devo premettere che, dopo la morte di Valerio, i pedinamenti del suo giannizzero erano cessati: le poche volte che uscivo di casa, e solo per brevissime sortite, non mi sono accorta di essere seguita».

Rita annotò mentalmente la frase: il signor Ottavio De Rossi dunque si era tranquillizzato sulla fedeltà della consorte, una volta scomparso Valerio. Il che non era così ovvio, visto che in teoria non avrebbe dovuto conoscere il nome dell’amante di sua moglie. In quanto ad averlo ucciso, era un altro paio di maniche... Ma ancora non aprì bocca, lasciando che Giorgia continuasse a ruota libera.

«Ieri, quando sono tornata a casa dopo il nostro incontro, lui era già rientrato, e mi ha assalito come una furia: “Dove sei stata tutto il pomeriggio? Ti ho cercata due o tre volte e non c’eri mai, hai già trovato un nuovo amante?”. Ho mantenuto la calma e gli ho detto di aver preso il tè al Cova con un’amica, ma lui non mi ha nemmeno ascoltata, e ha continuato rincarando la dose e passando anche agli insulti, con gli occhi fuori dalle orbite: “Se credi di poter andare ancora in giro a fare la puttana, ti sbagli. Dovresti aver imparato che ci metto poco a sgomberare il campo da chi mi dà fastidio. E d’ora in avanti mi devi dire quando esci, dove vai e con chi... non obbligarmi a farti pedinare da Vincenzo”.» Dopo una pausa per dissetarsi con un bicchier d’acqua, la signora continuò: «Si rende conto di quello che mi ha detto quell’uomo? Comunque, spaventata dalla sua aggressività, nel tentativo di ammansirlo mi sono affrettata a promettere che gli avrei obbedito. In realtà le sue parole hanno ottenuto l’effetto opposto, vincendo le mie resistenze a vederla di nuovo, signorina Rita. Perciò ho fatto finta di cedere e gli ho addirittura dato l’indirizzo di questo locale, dicendogli che mi sarei vista con un’amica di mia cugina, invitandolo a controllare se non si fidava. Ottavio ha smesso di farmi domande e di imprecare, soddisfatto di avere riaffermato la sua supremazia. Come le dicevo all’inizio, è stato proprio il suo comportamento che mi ha convinto a telefonarle, non ne posso più di essere trattata come una schiava!».

Rita decise che era venuto il momento di intervenire: «E io le sono grata di averlo fatto. Ma finora mi ha solo raccontato cosa è successo ieri, anche se certe affermazioni di suo marito non vanno prese sottogamba. Ma sicuramente c’è dell’altro. Forza, ha fatto trenta, faccia trentuno! Che cosa ancora non mi ha detto?».

Giorgia Vallenera non si fece pregare: «Non sono state solo le parole a far nascere dei sospetti su mio marito. Prendiamo il giorno del delitto: me lo ricordo perfettamente perché, per una malaugurata coincidenza, era anche il mio compleanno. Di solito Ottavio mi riempiva di regali e mi portava a cena nei migliori ristoranti, ma quel giorno ho pensato che se ne fosse dimenticato, perché alle otto passate ancora non era rientrato, e non mi risultava fosse fuori Milano per lavoro. Non che la cosa mi preoccupasse: il mio disinteresse nei suoi confronti era ormai totale, e se non voleva festeggiare il mio compleanno tanto meglio, la torta che avevo comprato al Cova l’avrei mangiata con la servitù! È rientrato verso le nove con una faccia che faceva paura. Mi ha guardato con un ghigno sinistro apostrofandomi con il tono villano e arrogante che negli ultimi tempi è diventato la regola: “Cara la mia Giorgia, hai finito di spassartela, da oggi in avanti è inutile che tu vada a Lambrate a cercare il tuo bellimbusto”. Ho cercato di difendermi, fingendo di non capire di che cosa stesse parlando, e lui si è inviperito ancora di più, assestandomi per giunta uno schiaffo in piena faccia: “Non fare la finta tonta, ci ho pensato io a far sparire dalla circolazione il tuo bandito da quattro soldi”».

«Mi scusi» la interruppe Rita, dopo aver ascoltato quella che poteva essere interpretata come una mezza confessione. «Mi sta dicendo che, praticamente, suo marito ha dichiarato senza tanti sottintesi di aver commesso un omicidio? E lei non ha pensato di denunciarlo alla polizia?»

«Le dirò, in tutta sincerità, che la cosa non mi sembrava così chiara. L’affermazione di Ottavio, per quanto compromettente, poteva anche significare che si era limitato a “dare una lezione” a Valerio, intimandogli di non frequentarmi più. Solo quando ho saputo dalla radio e dai giornali quello che era successo, ha preso forma in me il sospetto che mio marito avesse commesso un reato molto più grave di una violenta minaccia verbale o fisica: ho cominciato seriamente a pensare alla probabilità che l’assassino fosse lui, ed ecco che le sue parole, di oggi e di ieri, hanno assunto un significato ben più pesante. Se non mi sono rivolta alla polizia, non è stato per proteggerlo, ma perché ero molto confusa, non sapevo che cosa fare, e poi ero in preda alla disperazione per la morte di Valerio.» Dopo queste parole, si prese la testa fra le mani e continuò: «E poi, mi vergogno ad ammetterlo, ma non volevo finire sulle pagine dei giornali bollata come la sgualdrina che ha tradito il marito, portandolo a commettere un omicidio. Ecco, gliel’ho detto, mi sono tolta anche questo peso dal cuore».

«E per non saper cosa fare, ha taciuto permettendo che andasse in galera una povera ragazza innocente?» la aggredì Rita, ma nel giro di pochi secondi si era già resa conto dell’inutilità del suo sfogo.

Dopo un attimo di silenzio, rientrò nella parte dell’investigatrice. Le dichiarazioni di Giorgia confermavano le sue supposizioni: era arrivato il momento di chiudere il cerchio. Perciò riprese la parola, coinvolgendo Giorgia nei suoi ragionamenti ad alta voce, per non cadere nel consueto monologo solitario: «Adesso stia attenta, voglio che ascolti quello che sto per dire e che mi interrompa se qualcosa non le torna. Riassumendo: se mettiamo insieme le frasi autoaccusatorie di suo marito e, soprattutto, il fatto che è rientrato a casa più o meno un’ora dopo l’assassinio del Valerio, non è un’ipotesi assurda ritenerlo l’autore del delitto, visto che aveva anche un movente per commetterlo. E fin qui ci siamo... ma non sarà facile dimostrarlo. Anche di fronte alla sua testimonianza, il signor De Rossi potrebbe sostenere sia che lei ha fatto confusione con gli orari, sia che le sue accuse sono il frutto di una mente malata; e bisogna riconoscere che, oggi come oggi, non ci sono prove sufficienti perché si debba prestare fede alla sua versione piuttosto che a quella che racconterà suo marito. Qui è necessario qualcosa di concreto e incontrovertibile».

Ordinato un altro caffè, dopo una breve pausa di riflessione, proseguì: «Mi aiuterò provando a immaginare che cosa è successo quella sera. Valerio è in casa e aspetta per le otto e mezzo/nove la sua fidanzata, probabilmente per comunicarle la fine della loro storia. Sappiamo che il signor De Rossi due giorni prima ha fatto pedinare la consorte dalla sua guardia del corpo, che l’ha vista entrare nel portone e, indovinandone il motivo, si è catapultato nel cortile per scoprire l’esatta ubicazione dell’appartamento, il “nido d’amore” dei due amanti. E questo lo so per certo, perché la portinaia ha sorpreso un tipo losco vagabondare nel cortile, subito dopo il suo ingresso. Acquisita l’informazione, è scattato il piano criminale del De Rossi: in qualche modo, come non ci interessa saperlo, suo marito ha scoperto che quella sera il Valerio sarebbe stato in casa, e ha deciso di fargli visita, scortato dal solito scherano, per costringerlo a mettere fine alla vostra relazione. Arrivato sul posto, ha distratto la portinaia con uno stratagemma che se vuole le racconterò più tardi, ed è salito al primo piano. E da qui in poi dobbiamo affidarci ancor di più alla fantasia. Personalmente, non credo che il signor De Rossi sia partito con l’intenzione di ammazzare l’uomo che se la faceva con sua moglie, mi scusi il termine. Dunque i due rivali in amore, davanti agli occhi del siciliano, si sono fronteggiati nell’appartamento: suo marito ha cercato di convincere il giovanotto a troncare il rapporto, ma il Valerio, oltre a essere davvero innamorato di lei, non era tipo da lasciarsi intimidire da nessuno, per cui lo ha sicuramente mandato a quel paese. A quel punto c’è stata una reazione non solo verbale da parte di Ottavio, i due si sono accapigliati, e allora probabilmente l’autista è intervenuto a dar manforte al suo padrone. È comparso un coltello, non si sa da dove e in mano a chi, e il giovane bandito se n’è andato all’altro mondo, colpito da uno dei due. Commesso il delitto, la coppia criminale se ne è andata senza essere notata da nessuno. Per loro fortuna ci ha pensato anche la mia amica Ines a metterli fuori pericolo, consegnandosi ingenuamente nelle mani della polizia come autrice dell’omicidio. Questa è solo la mia ricostruzione dell’accaduto, ma probabilmente è andata proprio così. Purtroppo, lo ripeto, non ci sono prove per dimostrarlo, a meno che...» e si fermò un attimo, ma il suo cervello lavorava a pieno ritmo, finché il viso improvvisamente le si illuminò.

Mentre Giorgia la guardava con un misto di stupore e ammirazione, non riuscendo a capire che cosa avesse in mente, Rita riprese con foga: «Che automobile ha suo marito?».

«Per i suoi spostamenti fuori città o per lunghi viaggi di lavoro usa l’Aurelia, per girare a Milano preferisce invece una vecchia Balilla nera, quasi sempre guidata dal Messinese, che ha anche il permesso di tenerla con sé, quando Ottavio non ne ha bisogno.»

«Benissimo. Tornando a quella sera, il signor De Rossi e il suo accompagnatore non sono certo arrivati a Lambrate in tram, ma senz’altro a bordo della Balilla, di cui la pregherei di farmi avere il numero di targa. Se questo è vero, e non ne dubito, bisogna assolutamente trovare qualcuno che abbia visto l’automobile parcheggiata, all’ora del delitto, davanti al portone dello stabile: questo sì metterebbe in seria difficoltà il suo consorte. Per saperlo, bisognerebbe interrogare tutti gli inquilini, cosa che io non posso fare, non appartenendo alle forze dell’ordine. Ma qualche sistema lo troverò. Comunque, cara signora Giorgia, direi che la nostra conversazione questa volta è stata molto utile a diradare la nebbia che mi impediva una visione chiara della dinamica del delitto. Mi dispiace per lei, ma credo proprio che suo marito sia il colpevole, diretto o indiretto, a seconda che abbia menato lui il fendente fatale al povero Valerio o che sia stato il siciliano. Mentre io cerco di inventarmi un modo per far proseguire l’indagine, ormai non più in prima persona, lei se ne stia buona buona e non dia a suo marito motivo di arrabbiarsi. Non parli più né del Valerio né della sua morte. Aspetti una mia chiamata... ma deve essere consapevole del fatto che, se l’inchiesta verrà riaperta ufficialmente, non si potrà evitare lo scandalo: i giornalisti si butteranno come avvoltoi su una storia così intrigante, senza riguardi per nessuno. D’altro canto, è un prezzo che vale la pena pagare: far finire in carcere un assassino e ridare la libertà a una povera ragazza innocente vale molto più di qualche articolo che dà in pasto al pubblico la sua vita privata. Aggiungo, ma la mia non è una minaccia, che se si rifiutasse di collaborare potrebbe essere accusata di complicità.»

«Se proprio non se ne può fare a meno, andrò dalla polizia o dai carabinieri a ripetere quello che le ho riferito, anche se non sono sicura al cento per cento della colpevolezza di mio marito...» disse Giorgia con una parziale marcia indietro rispetto ai suoi proponimenti iniziali. Rita ne prese semplicemente atto, senza preoccuparsene più di tanto.

Le due donne infine, dandosi appuntamento alla prossima telefonata, si salutarono con gli occhi lucidi per la commozione, seppure per motivi diversi.

L’incontro era durato moltissimo, e Rita arrivò a casa che già da un pezzo nonna e gemelli avevano terminato di pranzare. Dopo aver mangiato a sua volta, dato che non aveva impegni in Monte Rosa, fece una passeggiata fino ai Giardini Pubblici, dove si sedette su una panchina davanti alla grande vasca con fontana di fronte a palazzo Dugnani, e rivide al rallentatore il film della sua inchiesta. Stranamente non provava quella soddisfazione che si sarebbe aspettata, forse perché, pur avendo in mano delle carte vincenti, sapeva di non poter chiudere la partita in prima persona: era arrivata a un passo dal traguardo, mancava solo il guizzo finale... che non sarebbe però toccato a lei.

Ciononostante, non rinunciò a sviscerare le ultime evidenze del caso, arrivando per l’ennesima volta alla conclusione che le dichiarazioni di Giorgia non erano di per sé sufficienti a portare a una incriminazione del marito. Solo l’accertata presenza della Balilla sul luogo del delitto poteva mettere all’angolo l’accoppiata De Rossi-Messinese. Come ciliegina sulla torta, un’ispezione all’interno della vettura avrebbe probabilmente rinvenuto penne o piume appartenenti alla gallina protagonista della scenetta che aveva distratto la portinaia. Il tutto, a prova della presenza sul posto dei due all’ora dell’omicidio.

Rita si alzò dalla panchina con la certezza di essere quantomeno in possesso di elementi più che sufficienti a far riaprire il caso alla polizia, e questa, a ben guardare, era l’unica meta cui poteva tendere la sua indagine.

Ma chi avrebbe dato retta a una ragazza senz’arte né parte che pretendeva di essere stata più brava e perspicace di un intero commissariato? Non certo il commissariato stesso, che aveva trovato molto comodo incriminare Ines e non era disposto a fare marcia indietro. E nemmeno l’avvocato Fulgenzi, troppo pigro e sfiduciato per indossare i panni del guerriero, scendendo in campo in difesa di una causa che giudicava persa.

Alla ricerca di possibili appoggi, Rita si fece sfilare davanti agli occhi le immagini dei frequentatori della villa in Monte Rosa. Alcuni di loro erano dei pezzi da novanta nel settore della giustizia: due avvocati di grido, un magistrato, un docente universitario della facoltà di giurisprudenza... Ma già aveva disturbato il magistrato, a suo rischio e pericolo, per il permesso di visitare Ines in carcere. Non era il caso di sfruttare ancora il suo ascendente sui clienti per ottenere un altro favore... E forse era meglio non uscire così clamorosamente dal proprio ruolo, a scanso di probabili reazioni negative: una “ragazza della maison” che si rivelava pure un’investigatrice privata poteva diventare pericolosa per gente che aveva pur sempre qualcosa da nascondere... Pensa e ripensa, non le rimaneva che consultarsi con Leonida: “Non sarà un principe del foro, ma intelligenza, buonsenso ed esperienza non gli mancano: è l’unico che può darmi un’idea per risolvere il mio problema”.