XXI

La stessa notte, a letto, sdraiato accanto a Geneviève immobile, Christophe raccontò l’accaduto alla moglie.

Era disteso sulla schiena, con le braccia incrociate dietro la testa; parlava piano, con voce monotona e velata di ironia.

Geneviève lo ascoltava in silenzio.

Christophe cercò a tastoni una sigaretta sul comodino, l’accese e tirò lunghe boccate. Poi, con una risatina nervosa, chiese:

«Avete capito bene?».

«Sì» fece lei con un lieve sospiro. «E... tutto qui?... Non c’era nient’altro nei cassetti di vostro padre?».

«Niente di niente, mia cara».

Scoppiò a ridere, suo malgrado; Geneviève trasalì e chiese:

«Ma che cosa c’è da ridere, Christophe?».

«È buffo» rispose lui.

Stese il braccio nel buio, cercò la mano della moglie, la strinse.

«Allora?... Approvate la scelta di non mettere a frutto quest’ultimo regalo di mio padre?».

«Be’,» disse lei «che altro c’è da fare? Sarebbe meschino».

«La solita Madame de Fleurville» pensò Christophe sorridendo con amara ironia. «Ecco l’unico argomento che non mi è passato per la testa. Ma in fondo ho agito come se, invece, ne tenessi conto: la morale è salva».

Non poté trattenersi dal mormorare in tono mellifluo:

«Proprio così, cara. Ero certo che avreste condiviso la mia opinione...».

La sentì sospirare piano.

«Christophe...».

«Sì?».

Geneviève gli si avvicinò accarezzandogli con dolcezza il viso nel buio.

«Christophe, caro, i soldi non fanno la felicità».

«No, certo...».

«E poi così avete la coscienza a posto».

«Certo» ripeté lui con voce stanca. «E la stima delle persone perbene, non dimenticatelo...».

Prese la mano tiepida che gli sfiorava la guancia e la baciò con divertita tenerezza.

«Bisognerà vendere i mobili» fece sottovoce Geneviève.

«Sì, e anche la macchina».

«Un appartamentino di tre stanze...» disse lei pensosamente. «Ma ci vivremo felici, non meno felici di adesso».

Christophe poggiò la guancia sulla mano di lei e rimase a fissare il buio; solo un piccolo vaso d’argento, sul secrétaire di fronte al letto, luccicava nell’oscurità; il raggio di un faro d’automobile attraversò fuggevolmente la stanza; la pioggia batteva sul davanzale della finestra.

«Ecco» pensò Christophe. «Punto. Capitolo chiuso. Che cosa bisogna fare ora? Lasciare questa casa? Vendere i mobili? Per le spese, il funerale, l’onorario del medico e le tasse se ne andranno almeno cinquecento franchi. E poi, Dio mio, possiamo solo vivere, continuare così. “Non meno felici di adesso” dice Geneviève. Deliziosamente beffardo... Però, tutto sommato, ha ragione. Negli ultimi otto anni la mia vita è stata uguale a come sarà d’ora in avanti, ma senza quegli sprazzi che la rendevano in qualche modo tollerabile. Almeno non avrò più niente da sperare. Che liberazione» disse sottovoce.

Ma Geneviève non lo sentì.

«A che cosa pensa? Non sembra infelice. Anzi, non escluderei che, dietro la sua delusione, cominci a farsi strada un segreto compiacimento. Un appartamentino luminoso, io sempre a casa, alla catena – e che altro potrei fare? Una sola domestica, che lei potrà istruire e dirigere... Mi preparerà dei buoni pranzetti. Non mi mancherà nulla. Tutto sarà lindo e in ordine, i mobili lustri, e nelle stanze aleggerà un odore di cera e di stufato. Di che cosa mi lamento? È l’ideale, il sogno» mormorò soffocando nel guanciale un sogghigno feroce.

Geneviève trasalì.

«Ancora non dormite, Christophe?... Sembrate agitato».

«Ma no, nient’affatto, ve lo assicuro».

«È tardi. Bisogna riposare».

Esitò un momento, poi disse, in tono diverso: «Anche per Murielle sarà triste».

«Perché?».

«Ma... perché... dovrà tornare a vivere con il marito, no?... Noi non avremo i mezzi necessari...».

«Sì, sì, ho capito» rispose brusco Christophe. «Ebbene, se ne andrà, che cosa posso farci, io?».

S’interruppe perché gli si spezzò la voce. Murielle... Così non sarebbe rimasto più niente del passato... Sarebbe entrato, da vivo, in una tomba oscura, in un sepolcro vuoto e tetro, dove avrebbe potuto solo starsene chiuso ad aspettare con pazienza la morte.

Fu percorso da un brivido di angoscia e si chiese:

«La amo ancora?».

Pensò:

«No. È solo su me stesso che piango».