La scomparsa di Ettore Majorana, geniale fisico teorico italiano, è uno dei casi che più hanno affascinato e conquistato l’attenzione di giornalisti, scrittori, investigatori e lettori. E non solo in Italia.
Dal 1938, esattamente dalla sera del 25 marzo, per oltre sette decenni, «chi ha visto Ettore Majorana?» è una fatidica domanda che si sposta, come una pallina da flipper, dai giornali ai libri alle pellicole cinematografiche. All’indomani della sua sparizione «la Domenica del Corriere» scriverà: «Ettore Majorana, ordinario di Fisica teorica all’Università di Napoli, è misteriosamente scomparso dagli ultimi di marzo. Di anni 31, alto metri 1,70, snello, con capelli neri, occhi scuri, una lunga cicatrice sul dorso di una mano. Chi ne sapesse qualcosa è pregato di scrivere al R.P.E. Marianecci, viale Regina Margherita 66, Roma».
Molti parlano di suicidio. L’insano gesto si sarebbe consumato nella notte tra il 27 e il 28 marzo, durante il viaggio di ritorno da Palermo a Napoli. Tuttavia non è stato rinvenuto nessun corpo: la cosa risulta molto strana, perché le acque del golfo partenopeo restituiscono sempre i cadaveri degli affogati; così almeno sostengono gli esperti.
Nel 1975 Leonardo Sciascia dà alle stampe uno dei suoi libri più famosi, La scomparsa di Majorana. Anche lo scrittore siciliano respinge la tesi del suicidio. Secondo Sciascia, Majorana avrebbe trovato rifugio in un convento, che da molti viene identificato con la certosa di Serra San Bruno, in provincia di Vibo Valentia. 1 Anni prima, confidandosi con un amico del romanziere, un monaco avrebbe rivelato: «Tra i padri si trovava un grande scienziato!».
Ma perché Ettore sarebbe fuggito? Egli avrebbe «visto quello che i fisici dell’Istituto romano non riuscivano a vedere». 2 Ovvero, le future conseguenze devastanti della bomba atomica. Insomma: spaventato da ciò che lui stesso stava facendo, si sarebbe dato per morto e avrebbe cercato rifugio all’ombra di un semplice saio. «Qualcuno qui, in questo convento, si è forse salvato dal tradire la vita tradendo la cospirazione contro la vita – scrive Sciascia –, ma la cospirazione non si è spenta per quella defezione, il dissolvimento continua, l’uomo sempre più si disgrega e svanisce in quella stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.» 3 E ancora: «Se i morti sono, dice Pirandello, “i pensionati della memoria”, gli scomparsi ne sono gli stipendiati: di un più ingente e lungo tributo di memoria. In ogni caso. Ma specialmente in un caso come quello di Ettore Majorana, nel cui mitico scomparire venivano ad assumere mitici significati la giovinezza, la mente prodigiosa, la scienza. E crediamo che Majorana di questo tenesse conto, pur nell’assoluto e totale desiderio di essere “uomo solo” o di “non esserci più”; che insomma nella sua scomparsa prefigurasse, avesse coscienza di prefigurare, un mito: il mito del rifiuto della scienza». 4
Una ricostruzione senz’altro affascinante, soprattutto dal punto di vista morale, ma oggettivamente priva di sostanziali riscontri. 5 Non è la prima – come vedremo – e non sarà neppure l’unica.
Nel febbraio del 2015 i principali quotidiani italiani bombardano l’opinione pubblica con una raffica di titoli-fotocopia: Ettore Majorana vivo tra il ’55 e il ’59, Ettore Majorana, la Procura di Roma: «Era vivo tra il ’55 e il ’59» e ancora Ettore Majorana, il fisico vivo e residente in Venezuela negli anni ’50. La notizia fa sobbalzare sulla sedia.
Tutto nasce – come vedremo – dalla testimonianza di un ex emigrante italiano, il laziale Francesco Fasani, con il quale l’ormai non più giovane Ettore Majorana avrebbe intrattenuto un lungo rapporto di amicizia, immortalato da una fotografia che li ritrae insieme. È proprio l’esame della vecchia istantanea – eseguito dal Ris dei carabinieri – a fugare ogni dubbio: le fattezze di quel signore dal volto magro e i capelli radi corrispondono in tutto e per tutto a quelle del fisico siciliano. Non si tratta di letteratura, ma di incontrovertibili prove giudiziarie, suggellate da una precisa sentenza del Tribunale di Roma. A settantasette anni da quel misterioso viaggio in traghetto, il geniale allievo di Enrico Fermi, lo scomparso per eccellenza, il protagonista del più grande mistero italiano del Novecento è stato finalmente individuato in un luogo e un tempo esatti: nel Venezuela degli anni Cinquanta.
Una semplice sentenza, tuttavia, può non essere sufficiente a risolvere un caso, specie se tutti i potenziali indizi stanno dall’altra parte dell’oceano. La giustizia, come vedremo, si ritrova con le mani legate. Il cammino è stato tracciato ma i magistrati non possono più seguirlo: hanno fornito la chiave, ma non sono riusciti a individuare il forziere.
Il libro che state leggendo nasce dalla combinazione di questi tre ingredienti: un genio, una storia affascinante, una sentenza della magistratura.
Ben presto, bussando un po’ ingenuamente alle porte dei giornali e delle televisioni, ci siamo infatti resi conto di una cosa: nessuna testata ci avrebbe mai seguito in questa avventura.
Avevamo un piano molto semplice: raccogliere tutte le informazioni immagazzinate dagli inquirenti, partire per l’America Latina e verificare, luogo per luogo e nome per nome, quanto asserito dalla sentenza. Ci sembrava un iter naturale, quasi scontato. Se la giustizia aveva lavorato bene – e secondo noi lo aveva fatto –, di certo non saremmo tornati a mani vuote. Bisognava solo crederci, investirci qualche soldo e rimboccarsi le maniche. In palio, questa volta, c’era molto più di un semplice servizio giornalistico: si trattava di scrivere la nuova pagina di una grande storia. Ci bastò qualche giorno di lavoro per capire che avevamo imboccato la strada giusta.
Parlando di Majorana, Enrico Fermi ebbe a dichiarare: «Con la sua intelligenza, se avesse deciso di scomparire o di far sparire il suo cadavere, ci sarebbe di certo riuscito».
Oggi possiamo dirlo: persino lui qualche volta si sbagliava.