Un curioso e bizzarro ex professore di anatomia diabetico, che ora dirige una curiosa bottega di curiosità sulla strada costiera nei pressi di Reedsport vendendo i propri bizzarri articoli intagliati a mano nel legno di mirto, corregge gli intrugli di liquore proibito con le piccole bacche grigio-blu sepolcro raccolte dai fatali rovi di belladonna che crescono vicino alla sua bottega… «Un bel cocktail di belladonna» è quello che dice per placare le angosce degli increduli amici birraioli. «Quello che è cibo per un uomo è veleno per un altro».

Benché avesse il diritto di contestare la scelta dell’intagliatore in materia di cocktail, Teddy, barista part-time e proprietario a tempo pieno dello Snag, fra tutti gli uomini di Wakonda forse era quello che meglio poteva comprendere il principio che lo animava. Giacché i tempi di magra erano di gran lunga i più grassi per lui, le notti più scure le più luminose. Alla vigilia di Ognissanti aveva curato con l’alcol una miriade di avventori delusi, e se li sarebbe sognati se fosse stato Big Newton a spaccare la testa a Hank Stamper … e quella pioggia, che il giorno seguente aveva annegato nella disperazione i boscaioli scioperanti, aveva fatto trillare di gioia il suo registratore di cassa.

La reazione di Floyd Evenwrite alla pioggia fu leggermente diversa. «Oi, oi, oi». Si levò tardi la domenica mattina, tramortito dai postumi e costernato per l’effetto che la birra della sera prima avrebbe avuto sulle sue viscere. «Guarda come viene. Pioggia della malora! E cos’è che ho sognato? Qualcosa che si vedeva già che andava a finire molto, molto male…»

«Questo posto fa marcire i corpi come cadaveri» sentenziò Jonathan Draeger, spiando dalla finestra della sua stanza di motel la Main Street percorsa da un centimetro d’acqua nera.

«Piove» solo questo disse Teddy, studiando la trama cadente del cielo attraverso le tende di merletto accanto al suo giaciglio. «Piove».

Per tutta la brontolante notte quelle nuvole d’Ognissanti avevano continuato a srotolarsi su di loro dal mare – una burbera moltitudine, furiosa di aver dovuto attendere tanto, e piena di cupa determinazione a recuperare il tempo perduto. Rilasciando pioggia lungo il cammino si erano allungate sulle spiagge e sul paese, sui terreni coltivati e sulle basse colline, per impilarsi infine a ridosso del muro della Catena costiera con morbida e imponente abulia. Per tutta la notte. Con i loro carichi di pioggia alcune finirono per ammassarsi sulle cime dei monti e nella retrostante valle di Willamette, ma la gran parte, il grosso di quella moltitudine radunata e soffiata fin lì dalle lontane distese marine, rimbalzando sulle pareti rocciose cozzò pesantemente contro altre nuvole. Esplosero sul paese come laghi che entravano in collisione.

La guarnigione di verdi lance di gramigna, che si ergeva a sentinella al limitare delle dune, giaceva riversa al suolo, spianata dall’avanguardia delle nubi, e con le punte ingrigite delle lance indicava la direzione in cui era proseguito l’attacco.

Un torrente, che dalle dune ritornava al mare in misurati spasmi, come l’avanzare in cielo di gigantesche onde che correvano a infrangersi nell’entroterra… ai primi grigiori dell’alba aveva ripulito le spiagge da un’estate di detriti.

E su certa parte del litorale oregoniano si scorgono gruppi di alberi costieri perennemente piegati da un eterno vento, che soffia verso terra su tutte le spiagge dello Stato – interi boschetti di cedri e abeti soffocati, paralizzati in una posa d’ingobbita ritrosia come pietrificati dall’antica apparizione di una terribile Medusa nel fulgore di un lampo… e a mattina inoltrata di quel primo giorno dopo ottobre, i topolini dalla coda corta che abitavano tra le radici di quegli alberi erano strisciati fuori dalle loro case e, per la prima volta da che il paese aveva ricordo, stavano migrando a frotte verso est, verso terreni sopraelevati, consapevoli che cotanta pioggia avrebbe di certo innalzato il livello del mare inondando le loro tane…

«Oi me; i ratti stanno uscendo dai buchi. Stiamo freschi» così la pensava Evenwrite su una tale migrazione.

«I roditori si trasferiscono in paese per svernare con la marmaglia» stabilì Draeger cupamente, e annotò «Un uomo si giudica dai topi che frequenta» sul suo taccuino.

«Questa domenica forse farei meglio a scendere ad aprire prima» decise Teddy, e corse a vedere nello specchio del bagno se quella settimana era il caso di radersi.

All’ormeggio, quel primo giorno, i vecchi pescatori scandinavi studiarono il nero rivolgimento di nubi sopra le loro teste e caricarono in barca della gomena in più. Nella sua capanna nei pressi delle piane, Jenny l’indiana sciolse della pece, della cera di candela e un vecchio pettine tascabile al calore della stufa e usò la mistura come sigillante per certe perdite sul soffitto, una gomma cocente che premeva nelle crepe e nei fori con il largo pollice ispessito dalla vanga, intonando una litania in accordo col desolato brusio della pioggia. Nella Main Street i passanti correvano di tettoia in tettoia a capo chino, scartando pozzanghere, evitando schizzi. Tutti, dal primo all’ultimo, agitati e confusi nei movimenti come i topi fradici che uscivano dalle tane per mettersi in salvo: perfino il più stagionato dei muschiati cittadini non sapeva che pesci pigliare, perfino il più fidato degli spaccalegna, che si facevano solitamente un vanto di sopportare con laconica rassegnazione quel tempo disgraziato – «Non ci si bagna mai abbastanza per me!» – e i leggendari rovesci occorsi in passato, perfino tali veterani parevano scossi dall’improvvisa, risoluta ferocia di quel primo giorno di pioggia.

«Viene giù come la vacca che piscia sulla roccia liscia» si urlavano, incrociandosi. «Dieci vacche. Facciamo pure cento!» urlavano, scattando da tettoia a soglia di negozio, da soglia a tettoia.

«È un record, dice,» per tutto il pomeriggio allo Snag si assicurarono a vicenda davanti alle loro birre «un cazzo di record».

Eppure, quando al termine della giornata la radio sul banco di Teddy comunicò il calcolo delle precipitazioni, un record non era affatto. «Una decina di centimetri da mezzanotte». Non era neanche una cosa fuori dal comune. «Solo dieci centimetri? E basta? Per carità, è pur sempre un bel po’ d’acqua, ma se sentivi come veniva oggi col cavolo per ti parevan dieci, diecimila semmai!»

Solo dieci centimetri, pensò sarcastico Teddy, solo dieci innocui centimetrini.

«Avranno sbagliato» rifletté Evenwrite, interdetto. «Quei testoni giù alla guardia costiera da dove li pigliano certi dati, tirano a sorte? Puttana miseria, nel fosso dietro casa mia c’era almeno mezzo metro d’acqua già verso mezzogiorno! Chi glielo dice a quei testoni che son gli unici a saper misurare l’acqua?»

Dieci centimetri di pioggia – sorrise Teddy fra sé – e la paura nascosta durante l’estate ecco che rispunta dal giorno alla notte, più viva che mai. Fluttuava senza far rumore nella penombra delle sale del bar, come un piccolo e paffuto ragno palombaro in grembiule e camicia bianchi, calzoni neri e minute scarpe di cartapesta a punta, Viva e piena di colori e di forme nuove, che rassetta la propria ragnatela con distaccata ossequiosità. Ma colori e forme scaturiscono tutti dalla stessa radice di paura… Le sottili labbra scure acconciate in un sorriso affettato e gli occhietti neri che notavano ogni dettaglio entro i confini di quel pantano che era il suo locale – l’uomo che stuzzicava la fessurina del resto nel juke box, il trio seduto sul divanetto verso il fondo che spegneva cicche sul tavolo, il passo che si faceva sempre più strascicato, le lingue sempre più spesse… Notava tutto, tranne il banco di legno venato o la fila di bicchieri che lucidava costantemente. E quella radice ce l’abbiamo dentro tutti. Ce l’ho io, come ce l’hanno Floyd Evenwrite o Lester Gibbons. Ma io so una cosa. Io so che a farla germogliare non è stata la pioggia. Ma la semplice, pura ottusità. E di ottusità qui il suolo è naturalmente ricco.

Teddy si considerava una sorta di luminare in tema di paura e ottusità; del resto, le studiava da anni. Poteva contare su una fornitura costante di esemplari. Spostò furtivamente lo sguardo per inquadrare Jonathan Draeger, il funzionario sindacale che Evenwrite aveva chiamato al proprio fianco perché lo aiutasse a far fronte a quella follia dello sciopero, mentre compariva sotto l’arco dei neon d’ingresso con il cappello in testa e un soprabito azzurro chiaro sulle spalle. Teddy osservò i movimenti sicuri e poderosi dell’uomo mentre si levava cappello e soprabito. L’aveva notato la sera prima, e il suo pacato interesse per la zuffa l’aveva incuriosito. Come lui – e forse Hank Stamper – quel tale Draeger non sembrava appartenere alla stessa categoria degli altri. Aveva qualcosa di speciale che lo rendeva diverso. Anche Teddy si sentiva diverso dalla gente del paese, nel senso che pur albergando dentro di sé la radice della paura al pari degli altri, se non altro aveva l’accortezza e l’intelligenza di non alimentarla. Hank Stamper, dal canto suo, non era né accorto né intelligente, ma per qualche ghiribizzo della natura pareva completamente sprovvisto della capacità di provare paura. Di quel Draeger sicuramente poteva dirsi altrettanto, e anche di più… «Buonasera, giovani»; Draeger salutò la tavola più gremita e la sua assemblea di cittadini. «Tempo da lupi. Dieci centimetri allo stato attuale delle cose, si legge sul giornale…»

«Da dove li avranno tirati fuori quei numeri,» volle sapere Evenwrite «questi “dieci centimetri allo stato attuale delle cose”?».

Draeger appese cappello e soprabito, e prima di rispondere si passò con cura le mani sui calzoni imperlati di pioggia. «Dal Dipartimento meteorologico degli Stati Uniti d’America, Floyd» chiarì, rivolgendo a Evenwrite un sorriso comprensivo. È accorto, questo Draeger. E intelligente, si direbbe; questo lo rende di sicuro diverso. Forse pure impavido… «Perché lo chiedi, Floyd? Tu ne hai calcolati più di dieci?» ma c’è dell’altro.

«Ehm…» mugugnò Evenwrite al sentirsi rigirare la domanda, e fece spallucce. Aveva ancora i postumi della sera prima. E per la miseria non era poi così sicuro che quel maledetto gradasso di città, con la sua tintarella e suoi bei vestiti, avesse valutato a modo la gravità della situazione. «… Non ho detto di aver fatto i calcoli, signor Draeger».

«Certo, scherzavo».

Qualcosa lo rende diverso da questa marmaglia di stolti decerebrati, a parte me e pure Hank Stamper.

«Sembravano più di dieci, però» concesse quell’Arruffapopoli dell’Agente Immobiliare. «Ma lo sai come la interpreto io, Floyd? Lo vuoi sapere? Per me è stato il fattore shock, ecco cos’è stato. Le giornate di sole e il bel tempo che ci ha accompagnato quasi fino a novembre hanno agito da sonnifero, mi spiego? Poi d’un tratto, bum, ci è cascato il cielo addosso». Si buttò all’indietro sulla sedia e dalla gola gli sgorgò la sua solita risata affabile e spensieratamente rotariana. – «E ci siamo messi tutti a correre in tondo come tanti polli senza testa… Ah ah ah». Una risata studiata appositamente per scaldare i più gelidi anfratti nei cuori dei presenti; e forse infondere un poco di sicurezza nel più generale contesto di quelle compravendite di terreni. «Tutto qui. Niente per cui valga la pena di allarmarsi. Semplicemente ci siamo a messi a correre dicendo che il cielo ci stava cadendo sulla testa. Ah ah ah». Gli altri risero e concordarono con la sua accorta spiegazione; doveva esser stato quello, lo choc, la sorpresa… poi la risata si spense e Teddy li vide voltarsi con aria interrogativa verso il sorridente Draeger. «Lei non la interpreta così, signor Draeger?»

«Di sicuro è stato questo» li rassicurò quello, sotto lo sguardo vigile di Teddy. Tutti gli altri temono la notte, il buio fuori; so che è così…

«Io non ne sarei così sicuro» intervenne Evenwrite, abbassando lo sguardo sulle mani di Draeger sopra il tavolo; una riposava sull’altra – le unghie pulite, le cuticole in ordine – come due tronfi cani da concorso. Si guardò a sua volta le mani e le vide contorte e orrende come bastardini resi rossi e spelacchiati dalla scabbia – «Proprio no» – ma orrende o meno che fossero, col cavolo che si sarebbe affrettato a nasconderle sotto il tavolo!

«No? Allora quale altra spiegazione hai, Floyd?» Io li conosco, questi animali, lo so che hanno paura delle forze in agguato nel buio; per questo si comprano televisori e Buick con le luci verdi e rosse che lampeggiano sul cofano… per questo accorrono a frotte ai miei neon. Come insetti attratti dai lampioni, dal fuoco. Qualunque cosa, pur di uscire dal buio…

«Sì, Floyd, sembra che hai da sputare un brutto rospo».

«Sì, Floyd…»

Evenwrite contrasse la faccia in un compresso dedalo di orrifica concentrazione. Ce l’aveva, perdinci, una spiegazione migliore, se solo gli fosse riuscito di formularla a dovere. Aveva rimuginato tutta la notte su quella sensazione – quando lo spettacolo di Stamper che prendeva a mazzate quel gigante di Newton era finalmente svanito dalla sua coscienza – sospeso fra il sonno e la veglia, mezzo ubriaco nel tenebrore fitto della sua stanza, sforzandosi di individuare il motivo di quella persistente e malefica sensazione di minaccia, di decifrare quel monito sussurrato sopra il rumore della pioggia come da gelide labbra premute sull’orecchio – che cos’è che aveva sognato? Cosa diceva quel sussurro? – e verso mezzogiorno, sceso dal letto, gli era riuscito.

«Sentite» esordì, scegliendo con cura le parole. «Questo fatto che piove come Dio la manda e… questo spavento che ci ha colti tutti, ha a che vedere con ben altro che un semplice cambio di stagione. Per noi diavoli che lavoriamo nei boschi – e per voialtri che coi boschi in un modo o nell’altro ci mangiate – questa pioggia è uguale spiccicata a una bomba atomica».

Si costrinse a non guardare Draeger. Si leccò le labbra e proseguì.

«Per quanto ci riguarda, una pioggia così è l’equivalente di un tornado o un terremoto. E scamparla potrebbe essere altrettanto dura». Non voglio farla tragica, ma perdinci, devono rendersi conto… lui deve rendersi conto! «Se ci pensate un attimo, vedrete che ho ragione». Deve capire che questo non è uno di quei salotti pieni di gentiluomini che fumano la pipa che è abituato a frequentare, scarabocchiando nel suo taccuino come se avesse tutto lo stramaledetto tempo del mondo. «E capirete allora che se vi sto accendendo il fuoco sotto al sedere, è solo perché poi potrebbe essere troppo tardi».

Tutti bevvero un sorso per rinvigorirsi di fronte a quella minaccia cui, stando al monito nefasto di Evenwrite, ormai non avevano speranza di sopravvivere. Sì; loro rifuggono l’ombra per la luce; chi più, chi meno… Dopodiché, nell’istante in cui Evenwrite riaprì bocca per apporre il sigillo sulla propria teoria, la porta a vetri sbatacchiò e nemmeno a farlo apposta entrò Les Gibbons. Tutti si girarono a guardare la goffa danza di Les che si scrollava di dosso la pioggia. Evenwrite grugnì alla comparsa di quel fattore di disturbo, ma lui non se ne avvide; se ne stava lì a battersi il cappello fradicio sulla coscia e a godersi il silenzio d’attesa cui il suo ingresso aveva dato vita. «Quel fiume, gente, sale a vista d’occhio, ve lo dico. Boia cane! A momenti ci restavo secco. L’ho detto alla signora di non aspettarmi prima di mattina, se va avanti così. Qualcuno di voialtri dovrà farmi posto. Eh? Se non riesco a tornare».

Evenwrite, che lo osservava con aria seccata, all’improvviso s’illuminò cogliendo in quelle parole qualcosa che poteva far gioco alla sua causa. «Sei venuto in macchina, Les? Passando dal ponte di Scaler?»

«No di certo! Quel rottame non mi è più servito a niente da quando l’ho prestato al fratello piccolo di mia moglie. L’avrà fracassato del tutto. No, per questo dico che a momenti ci rimanevo: m’è toccato di dare un colpo di telefono a Stamper per farmi attraversare, e sapete cosa? Per un attimo ho pure pensato che il maledetto si rifiutava. Poi però ha mandato Joe Ben al posto suo, ché lui non c’aveva tempo da perdere, si vede, con un povero vecchio come me».

Evenwrite ritentò. «Ma qualcuno ti avrà pur portato a casa pas-sando da quel ponte ieri sera, Les… perché non hai chiamato lui?»

«Ma perché mi pareva un rischio, Floyd, no?! Praticamente l’acqua m’ha mangiato il cortile. Mai vista una roba così, manco nel quarantanove. Mi dava pensiero quel pezzetto di strada tra casa mia e il ponte. È che l’acqua non s’è mica assorbita, gente; tutta ’sta pioggia insieme dopo una gran secca–»

«E-satto!» Evenwrite batté entrambi i pugni sul tavolo con una tale, improvvisa violenza che Les barcollò all’indietro e finì addosso a una sedia. «Quello che cercavo di dirvi… esatto!» Perdio, adesso vediamo se la mia non è la spiegazione migliore. «Forse lei non lo sa, Draeger, ma voi ragazzi, voi lo sapete, se vi fermate un secondo a pensarci, cosa può fare tanta acqua su un terreno secco come un osso! Cosa potrebbe significare per il trasporto del legname, per la filiera tutta, se non ci diamo una svegliata, e in fretta anche. Suvvia!»

Annuì come per chiudere il discorso, e li lasciò a riflettere su quanto detto. Les si rialzò con imbarazzata rigidità, immobilizzato dalle gambe di una seggiola ribaltata e dalla veemenza del messaggio di Evenwrite. Così infiammato non l’aveva mai visto. Nessuno di loro. Lo fissarono in un silenzio sconcertato; Prima di continuare Floyd fece una smorfia, come alcuni si schiariscono la voce:

«Perché questa, ragazzi, non è soltanto pioggia… è il principio di un’esecuzione». E detto ciò, prese e si allontanò dal tavolo strofinandosi la nuca grassoccia. Al bancone, si voltò. «Un’esecuzione! Una schifosa lama di coltello che sta sbudellando le strade su questo versante della valle! Chi vuole scommettere che lo sperone di Breakleg è ancora in piedi? A chi va di farsi un giretto su dalle parti di Pacific Camp o Feeny Creek? Ve l’ho detto, brutti testoni» – girando il suo, di testone, per guardarli uno alla volta – «e ve lo ripeto, se non corriamo ai ripari questa cazzo di settimana, questa merdosa settimana del cazzo, sciopero o non sciopero, picchetti o non picchetti, vedrete se non passeremo il resto di questo stramaledetto inverno a farcela fino a Eugene ogni lunedì mattina per riscuotere l’assegno di disoccupazione!».

Diede le spalle agli uomini e rimase così per qualche tempo, sentendosi i loro sguardi addosso, e quello di Draeger su tutti. Be’, come spiegazione dovrebbe bastargli.

Si aspettava che Draeger facesse un commento, ma il silenzio che aveva creato teneva e quindi decise di spingerlo al limite. A ogni singulto le sue spalle s’alzavano e abbassavano. Altra strofinata di nuca. E quando tornò a girarsi, quella palla di gomma rossa che si ritrovava al posto della faccia era segnata da solchi di sfiducia e affaticamento. Dallo specchio del bar Teddy lo guardò Tutti come insetti spaventati riavviarsi verso il tavolo … e fra tutti il più spaventato è Evenwrite.

«Ragazzi… voglio dire… questa storia la conoscete, no? Sapete di che parlo, di cosa cazzo vado discorrendo da una settimana a questa parte! E li ho avvertiti prima ancora, signor Draeger, gliel’ho dette le mie paure…»

Quello che fa più il duro, il coraggioso, e quello che ha più paura delle forze in agguato nel buio… è Evenwrite.

«Fino a ieri ho tenuto segreto il rapporto, volevo esser sicuro di riuscire a recuperarne un’altra copia…»

Gibbons, là, ha l’aria spaventatissima, ma quello è troppo scemo per aver paura quanto sembra.

«Fino a ieri pomeriggio voialtri credevate che ce la stessimo cavando bene. Non vi siete degnati di muovere il culo quando vi ho detto degli Stamper, vero? Avrete pensato: “Teniamo duro un altro po’”. Avrete pensato: “La WP non può andare avanti ancora a lungo; i tronchi gli servono. Per i lavori di primavera avrà bisogno di una bella catasta pronta”. Pensavate che li tenessimo per le palle, eh? Perché una compagnia che smercia in legname non va da nessuna parte, pensavate, senza legname da smerciare! Vi dicevate: “Vabbè, Hank Stamper batte il ferro finché è caldo, ma a noi che ci frega. Vivi e lascia vivere. Mica puoi incolpare uno perché ci tiene a portare a casa la pagnotta”, avete pensato questo, non è così?» Tacque per fulminarli con lo sguardo; si augurava che Draeger notasse che uno dopo l’altro – pure l’Agente Immobiliare e quel tale suo cognato – abbassavano gli occhi sotto il suo sguardo accusatorio. Willard Eggleston, lì di fianco a Gibbons, forse è spaventato quanto Floyd Evenwrite, anche se si tiene dal fare tante storie. «Sissignore… “mica puoi incolpare uno perché ci tiene a portare a casa la pagnotta”, avete pensato».

Floyd aveva iniziato a rilassarsi sulla sedia. Poi balzò in piedi di nuovo. «Ma il punto è proprio questo, diavolo d’un diavolo! Per tutto questo tempo non stava portando a casa la pagnotta onestamente. Lo incrociavi per strada ed era tutto sorrisi e strette di mano, ma ci stava tagliando la gola, come adesso quella pioggia ci sta tagliando fuori dal mondo!»

Tutti a parlare di pioggia e percorsi stradali quando il punto è il buio; se ora spegnessi le luci, creperebbero d’un colpo dal primo all’ultimo, ci giurerei…

Ora Evenwrite si preparava ad arrivare al culmine; si era quasi accucciato e aveva ammorbidito la voce, un po’ come faceva Spencer Tracy quando sferzava con la frusta i mandriani per farli scattare. «E lasciatemelo dire, non si scappa: se non troviamo il modo di convincere il nostro furbone a rompere quel… quel subdolo accordo che ha firmato con la Wakonda Pacific, se non mettiamo alle strette quei culi lardosi dei proprietari, come intendevamo fare scioperando – facendoli correre in tondo giù a Frisco e LA perché gli servono i tronchi e gli serve il legname entro la primavera e quindi non hanno neanche il tempo di tirare a ribasso sul prezzo che imponiamo – e se non lo facciamo subito, prima cioè che un paio di settimane di rovesci riducano le strade in condizioni irrecuperabili, tanto vale che voi e le vostre mogli iniziate a far la bocca alle quaranta ore settimanali che paga lo Stato, o cominciate a cercar lavoro in un tutt’altro settore!» Fece un cenno di tetra inappellabilità col mento e, finalmente, si voltò trionfante verso la seggiola isolata rispetto al gruppo, là dove Draeger assisteva a mo’ di regista disinteressato a un’audizione. «Non la vedi anche tu così, Jonny?» – rosso in viso di soddisfazione e madido di sudore per la troppa vicinanza alla stufa. «Non è con queste esatte parole che riassumeresti la nostra posizione?»

Teddy stette a guardare. Draeger sorrise piacevolmente, non lasciando trapelare nulla di ciò che pensava dell’esibizione. Tutti quanti tranne questo signor Draeger. Scrutò nella pipa con sguardo assorto. «Cosa suggerisci, Floyd?» Questo Draeger è del tutto diverso. «Eh, Floyd? Cos’è che ci stai proponendo?»

«Un picchetto! Propongo di andare a picchettare tutt’intorno alla segheria. Dovevamo farlo già la settimana scorsa, ma ho voluto aspettare che arrivasse».

«Per cosa protestiamo?» domandò Draeger. «A livello legale non siamo–»

«Al diavolo la legge!» proruppe Evenwrite, incapace di contenersi – non tanto quanto si sarebbe detto dal tono di voce, ma comunque sì, ormai bando alle ciance! «Che si fotta la legge!» Draeger, moderatamente sorpreso da quell’esplosione, si paralizzò col fiammifero acceso sopra il braciere della pipa. «Che diamine, Jonathan, dobbiamo riprenderci il nostro lavoro!»

«Ma certo, certo…»

«Dobbiamo trovare una soluzione».

«Forse…» Draeger si accigliò un poco, aspirando dalla pipa con energia. «Prima di tutto, pensi di averli degli uomini disposti a starsene al gelo per tutto il giorno?»

«Vacca, come no! Les! Arthur, tu? I Sitkins anche, che non sono qui ma garantisco io. E poi il sottoscritto».

«Prima che ti butti in questa umida – oltre che illegale – faccenda, vorrei suggerire una cosa, se posso permettermi».

«Cristo Gesù–!» Come se non avessi già aspettato tutta la settimana che ti decidessi a far qualcosa per guadagnarti lo stipendio. «Ci fa comodo, un bel suggerimento».

«Perché prima non andiamo a parlare con Stamper? Forse potremmo risparmiarci un’acquata».

«A parlare con Hank Stamper? L’ha visto ieri sera com’è che parlano gli Stamper, selvaggi che non sono…»

«Ieri sera ho solo visto un uomo che, provocato alla morte, alla fine cedeva e dava una bella lezione a un bullo; a me non è parso un comportamento così irragionevole…»

«Irragionevole è il suo secondo nome, Jonathan; è come parlare con un cartello stradale… forse che non ci sono andato già a parlare, la prima volta che ho avuto per le mani quel primo rapporto? E cosa ne ho ricavato? Altro che ragionare! La dinamite, mi ha tirato».

«Sì, però vorrei farmi un giro su e vedere se è disposto a riconsiderare la sua posizione. Tu e io, Floyd…»

«Lei e io? Che mi venga un accidenti se salgo fin lassù di notte».

«Eddai, Floyd, o i ragazzi penseranno che hai paura del buio…»

«Jonathan… forse non ha capito. Quello vive dall’altra parte del fiume, tanto per dire, e di strade da percorrere non ce n’è».

«Qualcuno ha una barca che possiamo affittare?» domandò Draeger, rivolto alla sala.

«C’è Mama Olson» farfugliò Teddy, schivando lo sguardo omicida di Evenwrite. «Mama Olson giù al conservificio, signore, lei ce l’avrà una barca a motore da affittargli».

«Ma piove» gemette Evenwrite.

«Avrà sicuro anche roba impermeabile da prestarvi» aggiunse Teddy, un tantino sconcertato dalla propria improvvisa sfrontatezza. Leggero come un fantasma fece il giro da dietro il banco per azionare l’interruttore sul telefono a gettoni. Dopodiché, con un sorriso arrendevole, tese il braccio stringendo il ricevitore in mano. «Può chiamarla da qui».

Vide Draeger rivolgergli un educato cenno di ringraziamento e alzarsi dalla sedia. Gli passò il telefono con una semi-riverenza. Sì. Non capisco ancora in che modo, ma sento che questo Draeger non è un uomo ordinario. È evidentemente scaltro e oltremodo sensibile, non c’è dubbio. E mi spingerei a dire, impavido. Teddy fece un passo indietro e lì rimase, con le piccole mani infilate sotto il grembiule, a guardare come tutti attendevano in rispettoso silenzio mentre Draeger otteneva il numero di Mama Olson dall’operatore e inoltrava la chiamata, come cani che in muta e incondizionata obbedienza al padrone attendono la sua mossa successiva. Ma c’è dell’altro; sì, qualcosa di incredibilmente unico…

Riguardo all’assunto che quello che è cibo per un uomo è veleno per un altro, si potrebbe altresì dire che quello che per un uomo è croce per un altro è delizia, e che l’eroe di un uomo può finire per rivelarsi anche il suo più grande impedimento.

E nella mente di Evenwrite iniziò a profilarsi il sospetto che l’eroe atteso da tempo per risolvere quella seccatura con gli Stamper avrebbe finito in realtà per rivelarsi un impedimento fastidioso quanto la seccatura che era venuto a risolvere.

Lui e Draeger stavano risalendo con determinazione il fiume a bordo di una barca dall’aria affatto solida, con un motore fuoribordo dall’aria ancor meno affidabile. La pioggia si era placata, assestandosi sulla cadenza usuale che avrebbe tenuto per tutto l’inverno… non più pioggia, ma onirica patina grigio-azzurra che invece di rovesciarsi sulla terra l’accarezzava, tramutando gli alberi in pazienti ombre spettrali e producendo un dolente, placido e caloroso rumore simile a un sospiro, udibile lungo l’intero corso dell’ampio fiume. Un suono amichevole, perfino. Non c’era niente di minaccioso, dopotutto. La solita vecchia pioggia, che se non benvenuta era quantomeno accettata, come una vecchia zia ingrigita che veniva in visita ogni inverno per trattenersi fino a primavera. Uno imparava a conviverci. Imparava a riconciliarsi con certi piccoli inconvenienti e non se ne dava più pensiero. Si ricordava che la zia faceva le bizze o s’incattiviva di rado, non era il caso di prendersela, e se poi diventava un peso e si tratteneva più del dovuto ci si poteva allenare a non badarle, o se non altro a non prendersela.

Questo stava cercando di fare Evenwrite, mentre risaliva con Drae-ger il fiume sulla lancia scoperta che avevano noleggiato da Mama Olson. Per ora era riuscito a ignorare le effettive gocce di pioggia ed era quasi riuscito anche nell’intento di non prendersela per quel vento carico d’umidità, ma per quanto si sforzasse proprio non poteva far finta di nulla mentre un rivolo d’acqua gli colava sulla nuca e gli finiva nei pantaloni. A voler essere ottimisti avrebbero impiegato un’ora a raggiungere casa Stamper dall’ormeggio al pontile di Mama Olson, il doppio del normale, e solo perché non si era fatto lo scrupolo di controllare la marea e prendere una corrente favorevole.

Se ne stava ingobbito accanto al motore, chiuso in un silenzio glaciale; inizialmente se l’era presa con Draeger per aver suggerito di compiere quell’insensata visita di cortesia al signor Stamper; dopodiché si era infuriato con se stesso, e non solo per aver scordato di controllare la marea, ma anche per aver insistito con Draeger affinché raggiungessero la casa via fiume, invece che guidare fino a lì e strombazzare per farsi venire a prendere da Stamper e trasportare sull’altra sponda. («Come minimo non viene a prenderci quando arriviamo lì» aveva detto a Draeger quando quello aveva proposto di prendere l’auto. «E se anche viene, magari poi non ci riporta» – perché lo sapeva, lo sapeva che Hank non vedeva l’ora di avere un’occasione del genere per mostrarsi umile e servizievole, un vero pasticcino, il bastardo!) – infine aveva diretto tutto il suo rancore su Mama Olson, che gli aveva prestato un impermeabile così stramaledettamene zeppo di buchi da infradiciarlo dalla testa ai piedi, pacchetto di sigarette compreso. (Ma stai fresco se aspetti di sentire Floyd Evenwrite supplicare, che siano cicche, fiammiferi o quel telone di plastica su cui s’è piazzato quello mentre io son qui zuppo fino al midollo!)

Draeger sedeva a prua, a stento visibile nell’oscurità vorticante, con la pipa rovesciata per non farle prendere acqua e apparentemente ostinato a non dire nulla per rendere il tragitto più piacevole. (Ora che ci penso, mai che il bastardo se ne esca con qualcosa di diverso dal solito «Parliamone»! Ormai ne ho fin sopra i capelli.) Come avesse fatto a diventare il campione della classe operaia per Evenwrite rappresentava ancora un mistero. Era tutta apparenza. Da che era arrivato in paese, per giunta con una settimana di ritardo, non aveva combinato un corno per lo sciopero – si limitava a gironzolare, lanciando qua e là cenni del mento e sorrisoni come un cretino. (Una cosa sola fa – è buffo – cioè scribacchiare continuamente su quel suo libricino.) Non si era minimamente informato su come fosse andata la riunione che aveva decretato la cessazione dei lavori (solo che hai la buffa sensazione che fosse già tutto scritto), né sul morale dei lavoratori dopo un lungo sciopero, né tantomeno sul fondo per l’assistenza ormai quasi a secco, come su altre questioni di cui Evenwrite si era preparato a render conto. (Manco fosse convinto di saper già tutto quel cavolo che c’è da sapere senza doversi scocciare a chiedere a dei fessi come noi!) Una cosa, però, doveva riconoscergliela, (si credeva che, siccome è amico di qualche coglione laureato al college a Washington o vattelappesca, arrivava qui e noi correvamo a baciargli i piedi…) ed era l’impressionante sangue freddo che dimostrava nella gestione degli operai, (… ma sta fresco). Floyd ammirava inoltre il modo in cui li teneva in riga, e aveva subito messo in chiaro che comandava lui (mi tocca prendere esempio) e gli altri dovevano limitarsi a ubbidire (l’unica, se vuoi farti rispettare e insegnare a rigar dritto a un branco di teste di legno).

Così, tra sbuffi di rabbia e bronci, ammirazione e odio, attese per tutto il viaggio silenzioso che Draeger dicesse qualcosa, solo per avere la scusa di grugnirgli in faccia e dimostrargli che a Floyd Evenwrite gl’importava assai di lui e di cosa aveva da dire, nemmeno se fosse stato il presidente degli Stati Uniti gli sarebbe importato!

Nel buio comparvero le luci della casa. «Merda» dichiarò alfine Evenwrite senza esser stato interpellato, tramutando la parola in una generale, onnicomprensiva accusa. Deglutì sonoramente: aveva freddo, non pregustava certo quell’incontro e smaniava per una sigaretta a tal punto che il fumo della pipa di Draeger gli stava facendo salire le lacrime agli occhi.

Assicurarono la lancia a un pilastro del pontile e si ritrovarono immersi in una tenebra soffocante, che gli rammentò della torcia che ancora giaceva sul sedile anteriore della sua auto. «Stramerda» disse Evenwrite, stavolta a voce più bassa. Draeger chiese se non fosse il caso di farsi venire a prendere con una lanterna, ma Evenwrite pose il veto: «A me non mi ci becchi a supplicare per un po’ di luce» e aggiunse con un secco bisbiglio, «Come minimo non ce la porterebbero».

Ora che le luci di navigazione della barca erano spente e la finestra della cucina era nascosta da un fitto groviglio di rovi, c’era un buio tremendo. Ogni fiammifero che provavano sfrigolava e subito si spegneva, come l’avessero pizzicato fra due invisibili dita bagnate; persero ogni speranza di luce e si avviarono alla cieca sulla scivolosa e sciabordante pedana di legno, sentendo il fiume ritrarsi pian piano nella notte. Evenwrite fece strada un centimetro alla volta, tastando le assi coi piedi e tenendo le braccia ben tese davanti a sé. Rimasero entrambi in perfetto silenzio, come zittiti da quella pioggia intransigente, finché Evenwrite non picchiò la fronte contro un palo; che un qualsiasi oggetto della notte fosse riuscito a superare la doppia guardia delle sue braccia tese gli parve talmente inconcepibile che pensò di essere stato preso a mazzate da un nemico in agguato. «Sporco bastardo!» esclamò, mulinando le braccia verso il misterioso assalitore. Il quale vestiva una cotta di gelida e viscida poltiglia e gusci di cirripedi. «Oh!» gridò, stavolta a tutta gola, e dalle fondamenta della casa schiumò un nero plotone di bestie sovreccitate che latrando lo caricò senza pietà. «Oh Signore santissimo» mormorò l’uomo, nell’udire l’incorporeo branco riversarsi sulla pedana con un gran tonfare ritmico di assi e ticchettio d’unghie e ringhi e uggiolii. «Oh Gesù».

Mollò il palo e gettò le braccia intorno a Draeger, aggrappandoglisi con sfacciato terrore. «Aiuto, aiuto, accorruomo!»

Il raggio luminoso della torcia di Joe Ben li trovò così, avvinghiati a vacillare nella pioggia con i cani che li accerchiavano in un tripudio di giubilo e affettuosità. «Guarda un po’ chi c’è» esclamò Joe Ben, bonario. «Floyd Evenwrite e il suo spasimante, direi. Seguitemi, gente, che dentro c’è un bel fuoco scoppiettante».

Inebetito, Evenwrite strizzò le palpebre nella luce, sempre più certo che le sue peggiori previsioni circa quell’uscita si sarebbero avverate senza meno.

«Date retta!» continuò Joe. «Qualsiasi cosa stiate facendo, verrà meglio al caldo».

Draeger si districò dalla stretta di Evenwrite e ricambiò il sorriso di Joe. «Grazie, non ci faremo pregare». E accettò l’invito con la stessa allegria con cui gli era stato inoltrato.

In salotto Viv servì del caffè caldo. Il vecchio lo allungò con del bourbon e offrì loro dei sigari. La figlia maggiore di Joe era tanto preoccupata che potessero pigliarsi un malanno da restarci secchi – «Tutti bagnati là fuori ad abbracciarsi per un po’ di calore» – che trascinò lì una gran pila di coperte.

Evenwrite rifiutò ogni cosa e patì in silenzio l’umiliazione di quell’irridente ospitalità. Draeger non patì affatto; accettò caffè corretto e sigaro, complimentò Joe Ben per la deliziosa prole e il vecchio Henry per la qualità di ciò che fumava, e umilmente chiese a Viv se fosse tanto gentile da versargli un cucchiaino di carbonato di sodio in mezzo bicchiere d’acqua tiepida: «Per uno stomaco capriccioso».

Bevuta la sua acqua frizzante, Draeger domandò se potessero disturbare Hank Stamper per qualche minuto – avevano una proposta da fargli. Joe l’informò che Hank in quel momento era fuori, sull’argine, a controllare la tenuta delle fondamenta. «Vi va di aspettarlo qui? Potrebbe metterci un po’ – o preferite uscire a fargli la vostra proposta sotto la pioggia?»

«Ma per l’amor del cielo, Joe» lo rimbrottò Viv. «È un incubo là fuori. Può pure rientrare un secondo. Vado a dargli una voce…»

Draeger sollevò una mano. «La prego, signora, non si disturbi. Usciamo noi a parlargli». Incapace di credere alle proprie orecchie, Evenwrite rimase a guardarlo a bocca aperta. «Non mi piace interrompere un uomo al lavoro».

«Perdinci, Draeger, ma che va dicendo?»

«Floyd…»

«Ma, Cristo, qui c’è la stufa… e lei vuole prendere e–»

«Floyd».

Si avviarono con Joe Ben dietro a mo’ di usciere, che agitava la torcia qua e là a ritmo con il frenetico soliloquio in cui si era lanciato circa l’improvviso rovescio, le frane, il fiume in piena e per caso Floyd si era baloccato con la dinamite, di recente? Giunti zigzagando in fondo alla pedana trovarono Hank in mantella e pantaloni impermeabili, con l’impugnatura di una lanterna stretta fra i denti, che picchiava su un legno per fissarlo bene a quella che all’apparenza poteva essere una traversina ferroviaria portata in quei giorni dalla corrente, che andava così a unirsi all’informe rinforzo. Un lato del viso era ancora tumefatto dalla rissa, e l’estremità di un cerotto che copriva una ferita sul mento si era staccata e penzolava inutilmente. Evenwrite presentò Draeger, e Hank gli strinse la mano. Evenwrite attese un istante che fosse Draeger a comunicargli il motivo della loro visita, ma quello arretrò dalla luce e Floyd si rese conto che sarebbe toccato a lui porre la cazzo di domanda! Inghiottì a vuoto e partì. Ascoltando, Hank si tolse la lanterna di bocca.

«Vediamo se ho capito bene» disse, una volta che Evenwrite ebbe terminato. «Dovrei entrare in casa, chiamare la Wakonda Pacific e dirgli che poi per quei novecentomila e rotti metri cubi di tronchi che gli ho tagliato non se ne fa più niente, e per mostrare un po’ di riconoscenza voi ragazzi mi darete una mano a smerciare il mio legno altrove?»

«Oppure» azzardò Draeger «compriamo tutto noi direttamente».

«Voi chi? Il sindacato?»

«E alcuni suoi compaesani».

«Figuriamoci. Ma il punto è, signor Draeger – e Floyd, tu lo sai – che non posso proprio farla una cosa così. Non sta a me decidere, non è tutto mio, ma di diversi di noi».

Evenwrite fece per ribattere, ma Draeger lo anticipò. «Hank, la veda così». La sua voce era neutra, non foriera di vile minaccia né di sollecita supplica: Evenwrite si avvide che Hank lo studiava con attenzione. «La vita di diversi di voi giù in paese dipende dalla riapertura di quella segheria».

«Eh!» sbottò Evenwrite. «Perciò come stavo appunto per dire, una cosa così, Hank, non la puoi non fare, nossignore, se vuoi ancora chiamarti cristiano. Un paese dipende da te. Un paese in-te-ro, il tuo, di paese, la gente con cui sei cresciuto, con cui giocavi a palla… e le loro mogli e i loro figli! Hank, bello, io ti conosco; questo qui che ti parla è il vecchio Floyd, ricordi? Io lo so che non sei uno di quei culi lardosi di Frisco o LA, tu non lo succhi il sangue a un compare. E non lascerai questo paesello di uomini, donne e bambini a fare la fame per tutto l’inverno per foderarti le tasche».

Hank abbassò lo sguardo, divertito e un poco imbarazzato dalla retorica di Evenwrite. Ma scosse la testa fra un sorriso e una scrollata di spalle. «Non moriranno di fame, Floyd. Al massimo qualcuno salterà un paio di rate del televisore o–»

«Che tu sia dannato, Stamper–!» Evenwrite s’intromise di forza tra lui e Draeger. «Siamo in difficoltà e tu lo sai. E ti sbagli se pensi che continueremo a mangiare merda per te».

«Non lo so, Floyd». Sempre scuotendo la testa, Hank guardò giù, verso le estremità ciondolanti del cavo in cui stava avvolgendo il legno. Da un dito gli colava lentamente del sangue lungo il braccio. «Non so cosa dirti. In difficoltà ci sono anch’io. La nostra impresa, tutta la baracca, dipende da quei tronchi lassù in segheria».

«Hank, non potrebbe rimandare e vendere più avanti?» domandò Draeger. «Quando lo sciopero si sarà concluso?» Una voce davvero singolare, doveva concedere Evenwrite, una cosetta pura e insapore, come mangiare neve o bere acqua piovana…

«No, signor Draeger, non potrei; ma Floyd qui gliel’ha mostrate tutte le ricerche che ha fatto? Io sono il primo a essere con le spalle al muro. Sul contratto si legge consegna entro il Ringraziamento; o gli portiamo giù quei tronchi per il Ringraziamento o l’accordo è annullato. Non rispettiamo i termini e il prezzo pattuito salta. Ci possono pagare quello che gli pare. Addirittura potrebbero non pagarci proprio, se gli piglia lo sghiribizzo – fanno causa per frode e addio tronchi».

«Non te li possono portar via, i tronchi! Diamine, lo sai benissimo–»

«Possono eccome, Floyd».

«Nessuna corte o giudice lo permetterebbe!»

«Sì, invece. Non si può mai sapere. E se anche ci rinunciano, che ci faccio con venti acri di legname a mollo nel fiume? Quella catapecchia di segheria che ci ritroviamo riesce a malapena a gestirne un quarto, e lavorandoci giorno e notte per tutto l’inverno… e anche così, poi magari non riusciamo a smerciarlo, tutto quel legno tagliato».

«Lo smerci, lo smerci». Floyd ne era sicuro.

«E come? Le grosse compagnie hanno già chiuso tanti bei contratti con le varie imprese edili».

«Accidenti, Hank, usalo quel dannato cervello» Evenwrite era carico di improvviso entusiasmo. «Venderai ai gruppi cui voleva vendere la Wakonda Pacific. Ti torna? Sì che ti torna. In primavera gli servirà materiale da costruzione e, zac, spunti tu e fai piazza pulita! La tagli fuori la Wakonda e, siccome a quel punto non avrà legno, non potrà onorare i contratti e tu allora potrai vendere ai terzisti al doppio del prezzo! To’, bell’e fatto». Si voltò verso Draeger con un sorriso trionfante. «Che ne pensa, eh, Jonny? Eccola qua, la soluzione. Com’è che non c’ho ragionato prima? Com’è

Draeger scelse di lasciar cadere la domanda nel vuoto, mentre alzando gli occhi dal dito ferito Hank li spostò sull’espressione euforica di Evenwrite con evidente aria di scherno. «Non ci avrai ragionato, Floyd, per lo stesso motivo per cui non ragioni che se adesso do modo alla WP di rimettersi al lavoro, poi sarà in grado di rispettare i contratti e saremo punto e capo».

«Come sarebbe?»

«Seguimi, Floyd: tu non vuoi che venda alla WP, perché così la WP tornerà a rimboccarsi le maniche e ad abbattere alberi da sola. Giusto? E a tagliarseli pure. Come da contratto».

«Non capisco…» Evenwrite aggrottò la fronte, e un rivolo d’acqua gli sgorgò dal solco gettandosi a capofitto giù dal naso.

«La storia è questa, Floyd». Hank ritentò, con pazienza. «Io non posso vendere ai terzisti che la WP non ha saputo accontentare, perché se voi ragazzi tornate al lavoro e–»

«Oh, Floyd, ma com’è che non ci arrivi?» Il piatto era troppo ricco perché Joe Ben se ne restasse a guardare. Si slanciò nella luce con gli occhi che brillavano. «Non capisci? Allora senti me. Se noi non rispettiamo il nostro contratto per farvene buscare uno vostro a voi, finisce che poi loro onorano i loro contratti con i terzisti con cui noi, a sentir te, dovremmo trattare se–»

«Alt, alt–»

Hank si sforzava di non lasciar trasparire la gran voglia che aveva di ridere. «Quello che Joe Ben sta cercando di dire, Floyd, è che se noi vi lasciamo tornare al lavoro, voi ci distruggete la piazza».

«Eh sì, Floyd, è chiaro? Be’, proprio chiaro, mi rendo conto, non è. Dunque, se noi vi lasciamo tagliare il loro legno, poi quello che noi puntavamo a vendere a loro…» Riprese fiato e provò a ricominciare da capo, ma subito cedette a uno scoppio di risa nasali.

«Affanculo» ringhiò Floyd.

«… oppure, se noi accettiamo di non dare a loro» – era il genere di enigmi che potevano tenere impegnato Joe per giorni – «il nostro legno, come ci state chiedendo voi, allora poi voi gli date il vostro–».

«Fanculo». Evenwrite s’ingobbì sulla lanterna e serrò le mandibole. «Fanculo tutto, Joe Ben».

«Potete sempre vendere legname» disse semplicemente Draeger.

«Già!» Evenwrite intravide un’opportunità per riconquistare terreno perduto. Afferrò Hank per il braccio. «Per questo dicevo affanculo. Potete sempre vendere legname».

«Be’…»

«Che ti venga un accidente, Hank, sii ragionevole…» Tirò un altro bel respiro, preparandosi a lanciare un nuovo attacco all’ostinatezza di Hank, ma Draeger lo interruppe bruscamente: «Che dobbiamo dire alla gente giù in paese?».

Hank distolse di scatto lo sguardo da Evenwrite; qualcosa nel tono di Draeger aveva spogliato la situazione di ogni umorismo. «Che dovete cosa

«Che dobbiamo dire alla gente giù in paese?» ripeté Draeger.

«Be’, m’interessa assai cosa gli dite. Non vedo–»

«Si rende conto, Hank, che la Wakonda Pacific è di proprietà di una compagnia di San Francisco? Si rende conto che l’anno scorso la vostra comunità ha visto sfumare un guadagno netto di novecentocinquantamila dollari?»

«Non vedo perché–»

«Sto parlando dei suoi amici, Hank, colleghi e compaesani. Floyd mi dice che ha servito in Corea». La voce di Draeger è calma… «Ci pensa mai che la stessa lealtà che doveva al Paese oltreoceano la deve anche qui, in patria? Lealtà verso amici e conoscenti minacciati da un nemico forestiero. Lealtà verso–»

«La lealtà, Cristo santo… la lealtà

«Proprio così, Hank. E credo che lei sappia di cosa parlo». La confortante pazienza di quella voce era quasi ipnotizzante… «Lealtà nel senso più basilare del termine, patriottismo vero, la spinta generosa, sincera, umana che sentiamo arrivare da qualche parte dentro di noi – e che forse per troppo tempo lei ha soffocato – ad aiutare un prossimo caro in difficoltà…»

«Ascolti… mi ascolti, signore». La voce di Hank era tesa. Spinse da parte Evenwrite e avvicinò la lanterna al volto dai tratti decisi di Draeger. «Questa generosità, questa lealtà, io ce l’ho quanto gli altri. Se arrivassimo alle strette con la Russia lotterei finché ne ho. E se l’Oregon dovesse arrivare alle strette con la California, lotterei per l’Oregon. Ma se qualcuno – Biggy Newton o il sindacato dei boscaioli o qualcun altro – mette alle strette me, allora io lotto per me! A conti fatti, sono patriota di me stesso. Me ne frego se l’altro è mio fratello e mi sventola davanti la bandiera a stelle e strisce intonando quella merda di inno!»

Draeger sorrise tristemente. «E che fine fa lo spirito di sacrificio, il vero banco di prova del patriota? Se davvero crede a quello che dice, Hank, il suo è un patriottismo a dir poco debole, la sua lealtà egoistica–»

«Lei la pensi pure come le pare, io vado avanti per la mia strada. Ai miei amici e conoscenti potete dire che Hank Stamper è un bastardo dal cuore di pietra. Potete dirgli che di loro m’importa quanto importava a loro di me ieri sera al locale».

L’uno sostenne lo sguardo dell’altro. «Potremmo,» disse Draeger con lo stesso sorriso triste «ma sappiamo entrambi che sarebbe una fandonia».

«Sì, una fandonia!» sbottò Evenwrite, dai meandri onirici della sua rabbia. «Perché avreste comunque del legname da vendere!»

«Cristo santissimo, sì, Floyd!» Hank si girò verso Evenwrite, sollevato di avere ancora qualcuno cui gridare in faccia. «Avrei comunque del legname da vendere, certo. Ma svegliati! Usala quella testa di cazzo che ti ritrovi! Guarda!» Strappò la torcia di mano a Joe Ben che ancora rideva e la puntò sul fiume agitato; l’acqua nera si avvolse intorno al fascio di luce come a un solido pilastro. «Lo vedi come tira? Guarda! Dopo un solo giorno di pioggia! Secondo te ce la faccio a tenerlo a bada tutto un inverno così? Ora ti dico una cosa, Floyd, amico mio, così almeno non hai fatto il viaggio a vuoto. Una cosa che farà cantare quel cuore stitico che c’hai dentro. Non è manco detto che riusciamo a rispettarla, quella consegna, c’hai mai pensato? C’è ancora una mezza zattera da completare prima di iniziare la discesa. Altre tre settimane, e di lavoro che più di merda non si può; per finire ci toccherà salire su al parco statale; su per certe pettate che te le raccomando, e tutto a braccia! Come sessanta, settant’anni fa, visto che lo Stato non ci dà il permesso di salire con ruspe e verricelli per paura che ce li fumiamo, i suoi cazzo di alberi. Tre settimane di acqua fino agli occhi e tronchi spaccati a mani nude, e forse manco ce la facciamo. Ma ci faremo il culo, vero, Joby? Voialtri statevene pure lì a parlare di uomini, donne e bambini, amici e conoscenti e lealtà e tutte quell’altre stronzate finché le vacche non vi rientrano nella stalla, avanti, parlate dei televisori che quest’inverno vi pignoreranno, e dei poveri disgraziati che non avranno da mangiare… ma perdio, se mangiano non sarà certo perché a me, a Joe Ben o a qualcun altro dei nostri gli è venuta voglia di giocare a Babbo Natale! M’importa un corno dei cari amici e conoscenti giù in paese, quanto a loro di me». Si fermò. Gli si era riaperta una ferita sul labbro, e vi passò sopra la lingua con esitazione. Per un istante, nel cerchio di luce zafferano della lanterna, gli uomini stettero in attesa, senza guardarsi.

Poi Draeger disse, «Andiamo» e Floyd Evenwrite disse, «Sì, dove esiste ancora un briciolo di fratellanza», e si riavviarono nel buio sulla pedana. Evenwrite udì una risata soffocata alle loro spalle – «Stracciamo il contratto nostro per far contenti voi, ché tanto poi c’abbiamo comunque la legna da vendere» – e Hank che si univa. «L’arrogantello succhiacazzi» disse. «Lui ancora non lo sa, ma gli tocca una bella sbassata di cresta».

«Uh-uh» concordò Draeger, ma era evidente che i suoi pensieri fossero altrove.

Giunti alla barca, Evenwrite schioccò le dita. «Per la miseria. Dovevamo chiedergli–» E tacque. «No, no, che Iddio mi fulmini se mai lo farò».

«Che cosa dovevamo chiedergli, Floyd?»

«Niente. Lasciamo perdere».

«Niente?» Draeger sembrava divertito e di umore migliore di quando si era imbarcato in quella stupida impresa. «Dovevamo chiedergli niente?»

«Sì, niente… perché me lo potevo immaginare. Me lo potevo immaginare che era come parlare a un paletto. Non dovevamo venire. C’era da immaginarselo e basta. Esatto, proprio così: niente, dovevamo chiedergli».

Evenwrite svolse la corda nera con cieche dita gelate e montò sulla lancia. «Cazzo» borbottò fra sé, avviandosi a tentoni in fondo alla barca. «Dovevo chiedere comunque; più che no non poteva dirmi. E magari si decideva, anche solo per fare il bastian contrario. Se non altro questo viaggio valeva la perdita di tempo…»

Draeger riprese il suo posto a prua. «Non è stata una perdita di tempo, Floyd,» disse, gioviale «affatto». Poi, come ripensandoci: «Cos’è che dovevi chiedergli?».

Evenwrite diede un furioso strattone alla cordicella del motore. «Le sigarette! Dovevamo chiedergli le sigarette, ecco cosa».

Avviò il motore e dal buio ruotò la luce di navigazione verso la torbida coltre di pioggia, immettendosi sul fiume giusto in tempo, realizzò con un grugnito, per avviarsi controcorrente.

Quando Teddy rivide Evenwrite e Draeger attraversare la strada diretti allo Snag, tutti gli altri se ne erano già andati. Dal suo nascondiglio di luci colorate accanto alla vetrina studiò con velata intensità i loro movimenti dopo che furono entrati nel locale: Floyd è a disagio. Evenwrite toccava la fradicia rovina dei propri vestiti pizzicandola con aria nervosa e stizzita. È cambiato da quando è uscito dai boschi per entrare nel mondo dei colletti bianchi, come un pollo che iniziava la muta e smaniava per sbarazzarsi dell’urticante seccatura delle penne, ma allo stesso tempo temeva di ritrovarsi nudo. Un tempo finiva il turno che sembrava un animale, zuppo ed esausto e affatto preoccupato per questo; uno stupido animale, ma un animale sereno… Infine sospirò e si allentò la cintura, per sedersi senza che i pantaloni bagnati lo tagliassero in due… Adesso è solo stupido. E spaventato. Alla solita paura del buio se n’è aggiunta una peggiore: la paura di cadere. Dopo aver intrecciato le pingui dita sullo stomaco per provare a nascondere il rigonfiamento che cresceva costantemente da che si era votato al mondo dei colletti bianchi, Evenwrite sospirò ancora di sconforto e disgusto, poi gettò uno sguardo turbato all’altro capo del tavolo, dove Draeger era ancora intento ad appendere con cura il soprabito. «Occhei, Jonathan… occheeei». E peggio ancora, è troppo stupido per rendersi conto di non essere abbastanza in alto da farsi male se cade.

Draeger abbandonò il soprabito e, senza premura, si passò le mani sui calzoni per levare un po’ d’acqua; quando fu soddisfatto, scostò una sedia dal tavolo e si accomodò posando una mano sull’altra di fronte a sé. «Okay?» disse, Questo Draeger, invece, occupa una posizione di un certo rilievo, tanto in ordine e composto quanto Evenwrite era sconvolto. «Okay cosa, Floyd?» Perché allora lui non sembra spaventato?

«Cosa?! Occhei che cazzo facciamo adesso puttana la miseriaccia, ecco cosa, occhei? Significa che sto aspettando, Jonathan. Cristo, è una settimana che aspetto che si faccia vivo e faccia qualcosa per guadagnarsi lo stipendio… Ho aspettato ieri quando mi ha detto di star buono e studiare la situazione, e ho aspettato oggi quando si è incaponito a voler fare una gitarella su dagli Stamper, ma adesso voglio sapere cos’ha in mente di fare

Draeger infilò la mano nel taschino davanti della giacca per prendere la tabacchiera. «Pensi di poter aspettare che abbia caricato la pipa?» chiese gradevolmente. «E ordinato da bere?» Floyd alzò gli occhi al cielo ed emise l’ennesimo sospiro. Teddy scivolò fuori dalla sua tana per prendere l’ordine al tavolo. «Vorrei un whisky, se possibile,» disse Draeger, sorridendogli «per riavermi dalla nostra umida gitarella. Tu, Floyd?»

«Niente, no» rispose Evenwrite. Draeger disse «Uno» poi, solo con le labbra, aggiunse «I.W. Harper’s», e Teddy tornò a dissolvendosi nel baluginio di luci. Niente paura del buio, né di cadere… come se sapesse qualcosa che noi non sappiamo.

«Allora, Floyd». La pipa di Draeger si ridestò in una nuvoletta di fumo. «Esattamente, cos’è che ti aspetti che faccia? A sentirti, direi che vorresti che ingaggiassi una banda di scagnozzi dei nostri e tornassi lassù a dar fuoco a tutto quanto gli Stamper possiedano». E rise un poco.

«Non è pensata male, per quanto mi riguarda. Andiamo lì e gli bruciamo tutta la sua merda d’impresa, la segheria, i camion, tutto».

«Sei rimasto agli anni Trenta, Floyd. Da allora abbiamo imparato un po’ di cose».

«Sì? Perché a me non sembra. Negli anni Trenta almeno ottenevano dei risultati, erano dei duri…»

«Tu dici? Non ne sarei così sicuro. Non i risultati che volevano, comunque. Spesso capitava che quei duri ne ricavassero solo di far intestardire ancora di più la controparte – ah, eccoci…» Spostò il braccio per dar modo a Teddy di posargli davanti il bicchierino di whisky. «Grazie – e, oh, Teddy – mi porterebbe anche un bicchiere d’acqua?» Tornò a guardare Evenwrite e proseguì. «E, in questo particolare caso, Floyd – a meno che non abbia proprio capito un tubo di Hank Stamper – non mi viene in mente una cosa che farebbe più intestardire la controparte che bruciargli “tutta la sua merda d’impresa”…» Sollevò il bicchiere e sorrise al suo contenuto ambrato con aria meditabonda. «No, dubito che esista un modo peggiore di affrontare quest’uomo…»

«Non ti seguo».

«Io dico di sì. Tu quest’uomo lo conosci meglio di me. Se volessi mandarlo a destra invece che a sinistra, per farlo obbedire ti piazzeresti alle sue spalle con una frusta?»

Evenwrite ci pensò su un attimo, poi sbatté una mano sul tavolo. «Perdio, sì che lo farei! A costo di… a costo di alzare un polverone…»

«E un polverone alzeresti, e bello grosso anche. Un bel polverone che costerebbe a parecchi. Anche se alla fine ottenessi quello che volevi. Perché è evidente che da quest’uomo non si può ottenere nulla con la forza. La forza fisica lui la domina. Tende a reagire come un pugile. Risponde colpo su colpo».

«Occhei, ooocchei! Sono stufo di pensare a cosa farebbe Hank Stamper. Voglio sapere lei cos’ha in mente, ora che l’ha squadrato così bene».

Teddy spinse un piccolo bicchiere d’acqua sulla tovaglietta di fronte a Draeger e si fece indietro, non visto, vigile. Cos’hai in mente? «A essere franco, Floyd, secondo me non c’è da fare altro che aspettare» disse – Che cosa sai che noi non sappiamo? – e scolò il whisky.

«Fanculo!» esclamò Evenwrite. «Gliel’ho detto, abbiamo aspettato anche troppo! Oi me, Draeger, ma ci sente? M’ha ascoltato, mentre dicevo di questa pioggia? Non possiamo aspettare ancora, o fra un po’ di lavoro non ce ne sarà più per un cazzo di nessuno, che le venga un accidente, lo vuole capire?»

Evenwrite sembrava sul punto di scoppiare in lacrime, tante erano la rabbia e la frustrazione. Mai gli era capitato per le mani uno così! Cos’ha, signor Draeger? In tanti anni di cimatori sbronzi, mastri d’ascia pigri, misuratori statali imbroglioni e senza vergogna e committenti che volevano il lavoro per ieri quando era umanamente impossibile finirglielo per domani – Cos’hai contro il povero, stupido Floyd, signor Draeger? – in tanti anni che aveva a che fare con dei figli di puttana del genere, mai glien’era capitato uno altrettanto irragionevole! Cosa sai? O se non altro uno che lo frustasse tanto. «Lo vuole capire o no?» Doveva essere il circondario; del resto, non gli aveva sempre tenuto testa a quei figli di puttana, là fuori nella boscaglia?

Draeger ingoiò un sorsino d’acqua e appoggiò il bicchiere. «Lo capisco il discorso del maltempo, Floyd; mi rincresce di aver dato l’impressione di non voler alzare un dito; mi rendo conto che ti trovi con le spalle al muro, per così dire… ma quando dicevo di aspettare, intendevo evitare di prendere provvedimenti che possano rendere il signor Stamper ancora più ostinato».

«E fino a quando? Fino alla primavera? All’estate?»

«Finché non saremo riusciti a fargli capire che la posizione che sta tenendo nuoce ai suoi amici». Aveva estratto una penna biro dal taschino e ne stava esaminando la punta.

«Hank Stamper non ha amici» borbottò Evenwrite; poi, nel tentativo di riassumere i vecchi modi da mastro boscaiolo, domandò con asprezza: «Quindi mi sta dicendo che non ha nemmeno un piano per raddrizzare la faccenda?».

«No, un piano no» rispose Draeger. «Non ancora, almeno».

«Aspettare? Eh? Soltanto questo?»

Draeger stava tracciando scarabocchi sulla tovaglietta, assorto nei propri pensieri: «Per il momento sì» disse.

«E com’è che non ci abbiamo pensato prima, eh? Doveva venire un laureato che s’intasca ogni anno diecimila dei nostri verdoni a spiegarcelo… che roba!» E poiché Draeger non dava cenno d’aver sentito. «Oh be’, se tanto per lei fa lo stesso, mi sa che io e i ragazzi acchiappiamo la frusta e questo cavallo proviamo a farlo girare nella direzione che ci conviene, nel mentre che lei aspetta».

Draeger alzò gli occhi dai suoi ghirigori. «Prego?»

«Ho detto che io e i ragazzi ce la sbrigheremo da soli. Semplice. Noi, coi nostri modi da vecchi somari».

«Ovvero?»

«Intanto un picchetto. Come dovevamo fare subito…»

«Legalmente non è–»

«Legalmente un paio di palle!» sbottò Evenwrite, perdendo temporaneamente le staffe. «Secondo lei Hank Stamper chiamerà gli sbirri? E quelli vengono? Mh?» Sentiva la frustrazione ricominciare a montare, ma stavolta per placare l’imminente sbotto di rabbia chiuse gli occhi e prese un bel respiro; non c’era bisogno di far capire al bastardo che gli stava dando sui nervi. «Perciò sì… intanto… cominciamo con un picchetto». Non c’era bisogno di comportarsi da selvaggio… doveva ficcargli in quella testa di cazzo che Floyd Evenwrite sapeva anche essere freddo e distaccato, in qualunque stramaledetta circostanza! «E chi vivrà vedrà».

Draeger lo osservò per un momento, con il suo sorriso triste sempre sulle labbra, poi scosse la testa. «Immagino che non ci sia molto che possa dire per–»

«Per farmi aspettare un altro po’? No». Scosse la testa di rimando, pacifico e risoluto come non s’era mai visto. «Non c’è». Sissignore, padrone di sé come i pezzi migliori dell’intera banda… non fosse stato per un leggero pizzicorino alla gola, un principio di raffreddamento che molto probabilmente si era buscato nel gelo su quella barca della malora. Puttana miseria!

«Non ti pare che così facendo» voleva sapere Draeger «appagheresti soltanto il tuo naturale istinto di rappresaglia?».

Evenwrite si schiarì la voce. «A me–» e stava iniziando a spiegargli – in modo del tutto pacifico e con assoluta padronanza di sé – cos’era che perdio gli pareva nello specifico, quando realizzò di non ricordare affatto se «rappresaglia» indicava una cosa tosta, tutta d’un pezzo, o al contrario, molle e sfatta. «A me mi» – e «appagare», chi diamine l’usava mai? – «pare che visto il… le circostanze…».

Tuttavia mantenne il distacco; non si lasciò cogliere dal panico. Chiuse gli occhi, inspirò a fondo ed esalò un sospiro che rivelasse a chiunque fosse interessato che era semplicemente sopraffatto dal disgusto per quella conversazione… ma nel bel mezzo del sospiro avvertì in fondo alla gola il pizzicore di poco prima: oh no! Non qui; non adesso! Non poteva starnutire proprio adesso che aveva preso un gran bell’abbrivio! Serrò i denti. Strinse le labbra. La faccia gli si gonfiò, sporgendo rossa e disperata dal colletto madido, come un’antebellica camera d’aria che protrudeva da una fessura nella gomma un attimo prima di scoppiare… non adesso!

Perché dovete sapere che Floyd detestava starnutire al chiuso. Sin da piccolo soffriva di una starnutazione tale da far girare chiunque nel raggio di un chilometro in virtù del solo volume, e come se non bastasse i suoi starnuti – in primo luogo e al di là della loro potenza acustica – si distinguevano come forieri di un messaggio, sempre il solito, energico e invariabile: in pratica era come se, nel mentre che faceva tutt’altro, si fermasse e – con quanto fiato aveva in gola – urlasse eh… eh… CCIÙÙÙ! Nel bosco una tale clamorosa dichiarazione generava fischi e risa, e perfino un poco di inconfessato orgoglio. Nel bosco. Ma chissà come, in altri luoghi non funzionava altrettanto bene. In chiesa, o alle assemblee, quando sentiva arrivarne uno era sempre combattuto tra lasciarlo uscire – nella speranza che i presenti non cogliessero il messaggio, o che lo scusassero – e ricacciarselo in gola. Ciascuna soluzione aveva i suoi contro, questo era certo. D’altronde c’era da aspettarselo. Ma stavolta patì i contro di entrambi contemporaneamente, perché mentre cercava di soffocare la prima metà, la “eh”, dietro le labbra tese al massimo, la seconda, il «CCIÙÙÙ», eruppe al massimo della sua nitida potenza in una nube di saliva che, come pioggia sottile, andò a depositarsi su tutto il tavolo.

Teddy, che stava tornando dietro il banco, si fermò a osservare il comportamento di Draeger in quella situazione. L’uomo lanciò uno sguardo interrogativo all’altro capo del tavolo, dopodiché ripose la penna nel taschino e afferrò un tovagliolo da cocktail, con il quale procedette a tamponarsi senza furia un punto preciso sulla manica del soprabito. «Certo, Floyd,» proseguì amabilmente «ognuno ha diritto alla propria opinione» – come se nulla fosse successo.

Teddy annuì, favorevolmente colpito, e terminò di fare il giro del bancone – Di quali informazioni è in possesso, che gli danno un tale vantaggio sugli altri? – ed Evenwrite, asciugandosi un occhio lacrimante con la nocca del pollice, desiderò che per quel giorno fosse tutto e, perdio, potesse tornarsene a casa, dove i vestiti non lo avvincevano così e un povero cristo poteva starnutire in pace.

«E, Floyd, sappi una cosa». Draeger posò il tovagliolo e rivolse a Floyd un deciso e rassicurante cenno del capo. «Io mi auguro che tu e “i ragazzi” abbiate successo con questo approccio, per così dire, frontale. Perché, in confidenza, niente mi recherebbe più gioia che chiudere questa faccenda e fare ritorno al Sud; vedi,» confessò in un sussurro di simulato riserbo «quassù mi viene il piede d’atleta. Ma, ahimè, avendo pagato una settimana in anticipo in albergo, e nell’eventualità che il vostro approccio non dovesse rivelarsi vincente, credo che mi tratterrò nei paraggi… A te sta bene?».

Evenwrite annuì. «Mi sta bene» rispose, senza partecipazione né voglia alcuna di riacquistare il tono di cupa determinazione di poco prima. Il recente aborto di starnuto sembrava averlo prosciugato di ogni energia. Gli lacrimavano gli occhi, e ora lo percepiva con nitidezza, quel raffreddore che gli ribolliva nelle profondità dei polmoni come un vulcano risvegliato; voleva solo andare a casa a farsi un bagno caldo con un po’ di Vicks VapoRub sciolto nell’acqua. Solo questo voleva. Ne aveva avuto abbastanza di discussioni… «Sì, d’accordo, Draeger. E, come ha detto lei, se il nostro approccio non funziona, vorrà dire che verremo a chiedere aiuto». … Dovevano solo aspettare l’indomani che si riprendesse, e perdinci gliel’avrebbe fatta vedere lui a quei bastardi!

Draeger si alzò. Raccolse la tovaglietta su cui aveva scarabocchiato e la studiò sorridendo, dopodiché la posò ed estrasse il portafogli dalla tasca. «Piove ancora; hai l’auto qui? Posso darti un passaggio fino a casa con la mia…»

«No. Lasci stare. Sto a pochi isolati da qui».

«Sei sicuro? Guarda che non è un disturbo. E hai l’aria di uno che–»

«Nah, son sicuro».

«Molto bene, allora». Draeger s’infilo il soprabito e alzò il colletto. «A domani, direi».

«Ci sta. Se ho qualcosa da riferire. Sì, a domani».

Avviandosi verso l’uscita, Draeger si fermò ad allungare a Teddy una banconota da un dollaro per la bevuta e gli disse di tenere il resto. Evenwrite mugugnò un «’Notte» e si chiuse la porta alle spalle. Teddy andò a rioccupare il suo posto dietro il bancone, accanto alla vetrina. Osservò i due uomini andare ognuno per la propria strada, con la groppa striata della luce dei suoi neon. Quando le striature sbiadirono sotto la scura pioggia battente, Teddy fece il giro del bancone per andare a chiudere la porta a chiave e abbassò la tapparella con la scritta «CHIUSO» stampata sopra. Spense le tre luci fumose del soffitto e gran parte dei neon, lasciandone solo alcuni per la notte. In quel lucore sottomarino compì un giro silenzioso del salone staccando i flipper e la pista da bowling dalla corrente, spegnendo il jukebox gorgogliante, pulendo i tavoli, vuotando i posacenere in una grossa latta da caffè. Di ritorno dietro il bancone si tolse il grembiule e lo lasciò cadere nel sacco per la lavanderia, che l’aiutante di Willard Eggleston sarebbe andato a ritirare il lunedì mattina. Rimosse le banconote dal registratore di cassa e le aggiunse all’involto che conservava dentro una grande lampada a forma di conchiglia, dove avrebbero atteso fino al giorno adibito al versamento in banca, una settimana dal lunedì venturo. Fece scattare l’interruttore sotto il banco, il quale accendeva la spia luminosa dell’allarme antifurto su ciascuna porta, vetrina e grata. Cosparse i battiscopa di polvere antiscarafaggio. Spense i ventilatori del riscaldamento a olio e ridusse l’olio a uno sgocciolio…

E solo allora, dopo che si fu guardato intorno ruotando su se stesso nella luce rosso-ambrata per assicurarsi di aver sbrigato tutte le faccende possibili, solo allora andò al tavolo cui erano seduti a vedere che cosa avesse scritto Draeger sulla tovaglietta.

Le tovagliette dello Snag erano rettangoli di cartoncino ondulato su cui compariva la sagoma groffata di un cimatore colto nell’atto di completare un lavoro, con la cima dell’albero che iniziava a inclinarsi e lui a calarsi giù aggrappato alla fune. Teddy sollevò la tovaglietta alla luce. A un primo sguardo gli sgorbi di Draeger apparivano alquanto ordinari: l’albero era a strisce oblique come un palo di barbiere – quante volte l’aveva visto fare? – gli occhi del boscaiolo erano anneriti e aveva la barba, e nel cielo di carta erano abbozzati degli elementi popcorneschi a simulare le nuvole… Poi, in un angolo, notò tre righe di una scrittura aguzza, precisa, talmente piccola che avrebbe potuto benissimo non farci caso:

Teddy: Temo che tu mi abbia servito un Bourbon De Luxe al posto di un I.W. Harper’s. Ho pensato di farti un piacere portandolo alla tua attenzione.

Teddy fissò l’iscrizione in fremente, attonito stupore, Ma chi sei? Chi sei? finché non gli bruciarono gli occhi dallo sforzo e la tovaglietta prese a tremargli fra le mani, come in virtù di un vento rosso che all’improvviso spazzava il locale vuoto.

Nel bagno di casa sua, seduto sul cesto della biancheria in mutande e canottiera, Evenwrite attendeva che, goccia dopo goccia, la vasca si riempisse. Di quei tempi s’impiegavano ore. Dovevano procurarsi uno scaldabagno nuovo, era un po’ che lo dicevano. A pensarci bene – sospirò, guardandosi intorno – erano tante le cose che dovevano ricomprare, perfino il barattolo di Vicks era vuoto da un pezzo.

I suoi guadagni avevano subìto un forte calo da quando aveva accettato il ruolo di capo della circoscrizione; la paga era ben inferiore a quella sui cui aveva potuto contare come principale testa d’ariete della Wakonda Pacific. Ma, quant’era vero Iddio, non si sarebbe tenuto il posto al sindacato lavorando contemporaneamente nei boschi, come facevano tanti funzionari a livello locale. A voler tenere in piedi entrambe le cose non se ne ricavava un tubo. E lui teneva troppo a entrambe per rischiare.

Benché lo pagasse a caro prezzo, si faceva un punto d’orgoglio del fatto di avere nel sangue sia il lavoro sul campo che in ufficio. Il nonno era stato una figura di spicco agli esordi del sindacato dei lavoratori industriali, l’IWW. Era un amico stretto di Big Bill Haywood; appesa alla parete della sua stanza c’era una foto che li ritraeva insieme: due soggetti baffuti, con una grossa spilla bianca su cui si leggeva CITTADINO INDESIDERATO appuntata al bavero della giacca, che tenevano fra loro l’immagine rotonda di un gatto nero tutto denti, simbolo della loro lotta al potere costituito. Suo nonno aveva dedicato la vita al movimento sia nei fatti che nella pratica: dopo anni di militanza come coordinatore sindacale, nel 1916 era rimasto ucciso durante il massacro di Everett mentre difendeva il diritto dell’operaio alla libertà di parola in quella cittadina dello Stato di Washington. Trovandosi priva di mezzi, la nonna era tornata in Michigan dalla famiglia insieme al giovane figlio, il padre di Floyd. Ma la progenie di un martire del movimento operaio non poteva durare a lungo nel caro, docile Michigan, non con la lotta che ancora infuriava. Dopo qualche mese il ragazzo era fuggito alla volta dei boschi del Nord, di quel lavoro per cui il vecchio aveva dato la vita.

Compiuto il ventunesimo anno d’età, questo pel di carota dalla corporatura robusta e tozza – la gente lo chiamava Pomo, per via di quella testa che alloggiava sulle massicce spalle stondate senza l’ausilio del collo – si era scolpito addosso la reputazione di essere una delle più feroci creature sparachiodi e fissabullette dei boschi, sia in qualità d’infaticabile boscaiolo che senza batter ciglio macinava lavoro dall’alba al tramonto, sia come campione dei lavoratori, un visionario dalla bocca tonante, un capo banda di cui il suo vecchio – o perfino lo stesso Big Bill Haywood – sarebbe andato fiero.

A quarantun anni il nostro pel di carota era ormai un alcolizzato dei bassifondi con il fegato marcio e il cuore spezzato, di cui nessuno al mondo andava più fiero.

Il movimento dei Wobblies era ormai morto, andato, schiacciato dalle fragorose collisioni tra Federazione Statunitense del Lavoro e Congresso delle Organizzazioni Industriali, e veniva additato come comunista (malgrado si fosse impegnato a combattere l’avanzata dell’«Alba Rossa» più delle altre due organizzazioni messe insieme); i benamati boschi di Pomo Evenwrite, dove un tempo l’aria era pulita e fragrante di pino, soffocavano nei fumi di scarico, e i fieri e infaticabili boscaioli per cui aveva tanto lottato venivano soppiantati da giovanotti imberbi che avevano appreso l’arte del disboscamento sui libri di testo, fumavano il tabacco invece di ruminarlo e dormivano tra lenzuola candide come la neve, neanche fossero convinti che gli uomini del mestiere avessero sempre fatto così.

A quanto pareva non restava altro da fare che sposarsi e annegare i tristi ricordi nell’alcol.

Floyd non aveva mai conosciuto Pomo, il giovane mangiafuoco dalle spalle larghe, non di persona almeno, benché spesso lo sentisse più vicino di quell’avvilito guscio vuoto che si aggirava barcollante fra le ombre disadorne della baracca a tre stanze in cui alloggiavano a Florence, che invece puntava solo a bere e morire. Certe sere, al rientro dal turno di manutentore della caldaia su alla segheria, suo padre faceva ben più che bere e morire. Forse certe sere qualcosa riusciva a svellere un antico ricordo sepolto nel suo cuore, o era testimone di una qualche ingiustizia capitalista che riaccendeva in lui quel fuoco che inghiottiva un tempo, fatto sta che si sedeva in cucina a rievocare il passato col giovane Floyd e gli spiegava come l’avrebbero gestita loro, perdio, una simile ingiustizia ai bei tempi andati, quando l’aria era ancora pulita e il movimento regnava! Allora in quelle sere così speciali il liquore da due soldi, che solitamente non produceva altro che silenzio e infine sonno, ridestava lo zelota sopito dietro le sbarre blu venoso della sua carne malata, e Floyd scorgeva il giovane Pomo Evenwrite levarsi dal torbido e farsi avanti per fissarlo dai due spioncini della cella, scuotendo le infernali sbarre blu come un leone pazzo di rabbia.

«Ascolta, figliolo, la questione è semplice» riassumeva il leone. «Ci sono i Pesci Grossi come loro e i Pesci Piccoli come noi. Si capisce subito chi sta con chi. Di Pesci Grossi ce n’è pochi; loro è il mondo e tutta la pagnotta. Noi Pesci Piccoli siamo milioni, e coltiviamo il grano e moriamo di fame. Quelli, i Pesci Grossi, pensano di fregarci perché si credono superiori a noi Pesci Piccoli – solo perché magari un morto gli ha lasciato un bel gruzzolo e possono permettersi di pagare i Pesci Piccoli per coltivare il grano al posto loro, al prezzo che vogliono loro. Bisogna tirarli giù a mazzate, capito? Bisogna ficcarglielo in testa che valgono quanto noi! Che tutti valgono! Tutti coltivano il grano! Tutti mangiano! Fine della storia!»

Poi s’alzava e barcollava per la stanza ruggendo a pieni polmoni:

«Da che parte stai?

Da che parte stai?

Quando c’è da lottaaare…

Dimmi, tu da che parte stai?»

In occasione di quelle rare e frastornanti visite del leone, la madre di Floyd e le sue due sorelle inorridivano. Le due sorelle imputavano al diavolo quei violenti sbotti di nostalgia; la madre asseriva che fosse colpa del diavolo, d’accordo, ma di un diavolo giunto in forma di bottiglia senza etichetta! Il giovane Floyd però sentiva che c’era sotto qualcosa di ben più potente di un Uomo Nero uscito dalla Bibbia, o dalla bottiglia che fosse; quando il passato del padre compariva ruggendo nelle vecchie storie dei torti che avevano raddrizzato battendosi per orari meno massacranti e vite più lunghe, e nelle vecchie canzoni su certe irrealizzabili utopie che avevano lavorato per realizzare, sentiva il suo giovane sangue ruggire di rabbia e da lontano vedeva risorgere quelle sfolgoranti utopie impresse negli occhi accecati dal whisky del padre – e lui non aveva toccato una goccia.

Naturalmente quelle notti di passione erano una rara occorrenza. E, come la madre e le sorelle, anche Floyd a suo modo disprezzava il mentecatto invasato che li teneva prigionieri della povertà, quella crosta d’uomo che sera dopo sera si stordiva con l’alcol per non sentirsi addosso le smaniose dita dei fantasmi di tutti i sogni mai sbocciati e degli ideali estinti, ma come odiava l’uomo, altrettanto amava il visionario che aveva sognato quei sogni e forgiato quegli ideali – benché sapesse che quel giovane visionario era responsabile per la crosta d’invasato mentecatto che odiava.

Il padre era deceduto che lui stava al primo anno di superiori, bruciato vivo in cima a un monte. Era arrivato a un punto tale che l’alcol lo rendeva incapace perfino di badare a una caldaia. Dopo un lungo inverno senza impiego fisso, certi vecchi amici gli avevano procurato un lavoro come vedetta antincendio sul rilievo più alto della contea. Era partito d’umore ottimo. Tutti nutrivano buone speranze che la solitudine di quelle altezze e le tirate di un mese senza avere accesso ad alcun genere di alcolico avrebbero liberato il vecchio Pomo dalle sue smanie, e forse l’avrebbero perfino avviato sulla strada della guarigione. Ma quando era giunta alle rovine fumanti della cabina d’osservazione, la posse dei pompieri aveva scoperto non solo quanto si sbagliassero quegli amici, ma altresì da cosa fosse scaturito l’incendio: tra le ceneri della capanna avevano rinvenuto i resti esplosi di un alambicco improvvisato. Ogni contenitore disponibile – dalla caffettiera al gabinetto chimico – era colmo di una poltiglia fermentata di bucce di patata, lamponi, orzo selvatico e una decina di specie diverse di fiori. Il tubo per la condensa era stato confezionato tramite un complicato accostamento di cartucce di fucile vuote e private dell’ogiva. La fornace era fatta di pietra e fango. La caldaia era stata ricavata con tubi di stufa sagomati col martello. L’accrocco nel suo complesso stava insieme in virtù di una profusione di bullette, punti metallici e pura, inimmaginabile disperazione…

A quanto pareva gli amareggiati fantasmi dei vecchi sogni e ideali, per quanto smarriti, erano stati capacissimi di arrampicarsi fin sulla montagna più alta del Paese.

Dopo il funerale le due sorelle abbandonarono casa alla volta di una terra più pia, e la madre, che aveva passato gli ultimi anni di vita del marito a nascondergli i barattoli di frutta sotto spirito, cominciò a tirare fuori le bottiglie dai loro nascondigli e riprese il discorso esattamente da dove il marito l’aveva lasciato. Floyd riuscì nell’impresa di sostenere la madre nella sofferenza e portare a termine il college (arrivò solo fino a metà dell’ultimo anno, a dire il vero, giusto il tempo di chiudere la stagione di football). L’unica cosa che gli garantiva tempo e denaro sufficienti era un nebuloso accordo stretto con certi zingari, i quali trasportavano carichi di tronchi talmente ingenti su camion talmente vetusti che nessuno dei membri del sindacato osava nemmeno avvicinarsi e nessun agente della polizia statale li avrebbe mai lasciati in pace, perciò le corse avvenivano clandestinamente, in zone non battute fra il terreno degli zingari e la segheria, e nell’oscurità più assoluta.

«Faccio il crumiro!» era solito esclamare Floyd nella notte, mentre carico come un mulo e a fari spenti percorreva una strada di montagna dove dietro ogni sperone di roccia lo attendeva una volante della polizia di Stato e la morte incombeva oltre il bordo stretto della via. «Faccio il crumiro per una banda di zingari del cazzo che non rientrano nei parametri del sindacato! Che mi dici adesso, eh, Pesce Piccolo

Sperava che il suo vecchio lo sentisse. Sperava che il bastardo si rivoltasse ubriaco nella tomba, a sentire il figlio pronunciare simili eresie. Perché dopotutto non era forse colpa sua – e pure del sindacato – se passava una notte sì e una no in quel modo, a rischiare l’osso del collo? Nessuno dei suoi compagni, i cui padri tenevano i piedi ben piantati per terra – nemmeno quelli cui era morto il padre in un incidente stradale – doveva correre rischi del genere per sopravvivere, perché nessuno di loro aveva un genitore altrettanto invasato. Pertanto non era forse colpa del vecchio invasato se per tre ore a notte percorreva al buio un serpente di strada, quando invece avrebbe solo dovuto pensare a riposarsi in vista della grande partita dell’indomani?

Il quesito che non si poneva mai, tuttavia, era perché non avesse lasciato la squadra per trovarsi un lavoro normale dopo la scuola. Non si era mai concesso il lusso di domandarsi perché ritenesse tanto importante rotolarsi per tre ore al giorno su un campo di melma schifosa cercando di fare il culo a tutti quei bastardi saputelli per cui avere un padre alcolizzato era un crimine federale… Questo no, non se l’era mai chiesto.

Un volta mollato il liceo Floyd andò dritto a cercarsi un lavoro nei boschi. Un lavoro alla luce del sole! Niente più chiari di luna per Floyd Evenwrite! E siccome si sarebbe fatto impalare piuttosto che unirsi ai Teamster o a qualche altra stramaledetta organizzazione sindacale solo per poter portare un camion, il lavoro nei boschi era l’unica alternativa che gli restava. Non essendo membro di un sindacato doveva farsi il mazzo doppio per non soccombere ai periodi di inattività. Anzi, covava sentimenti antisindacali talmente pronunciati che presto fu notato dagli alti papaveri – vetusti spaccalegna ancora convinti che un uomo dovesse farsi da solo, e al diavolo le varie organizzazioni! – e quei volponi non impiegarono molto a scorgere in quel roscio giovane e nerboruto uno spiccato potenziale da capomastro. Dopo due anni era diventato supervisore al taglio – dalla fune a strozzo a supervisore in soli due anni – e nel giro di un altro anno era il capomastro che sovrintendeva alle operazioni.

Le prospettive apparivano rosee. Prese in moglie una ragazza di una delle famiglie più politicamente influenti della contea. Comprò casa e una buona automobile. Importanti figure della comunità, proprietari di segherie e direttori di banca, iniziarono a chiamarlo «campione» e «Rosso», lo invitavano a unirsi a società di servizi e a prendere parte alle raccolte fondi per dare agli indiani strutture abitative decorose. La fortuna stava indubbiamente girando dal verso giusto.

Ma certe notti… un alto ruggito lo teneva sveglio, e poi c’erano giorni in cui a un collega veniva rifilato un pacco da qualche culo grasso che non era mai uscito dall’ufficio se non per recarsi in banca e allora Floyd, in preda a una furia cieca, si ritrovava a tormentarsi le grosse mani rosse, e nelle grosse orecchie rosse gli risuonava l’antico canto di battaglia:

Da che parte stai?

Da che parte stai?

In questa guerra per la vita e la libertà,

tu da che parte stai?

Gradualmente si sorprese a parteggiare sempre meno per i dirigenti e sempre più per gli operai. E perché accidenti non? Capomastro o no, non era anche lui un operaio, alla fine della fiera? E figlio del figlio di un operaio, per giunta? Non ci guadagnava niente a spremere gli uomini per aumentare la produzione; a lui non spettava una fetta quando alla fine dell’anno si distribuivano i dividendi; lavorava le sue ore, riscuoteva il suo salario e come qualsiasi altro poveraccio pativa il lento logorio del mestiere sulla propria pelle, sull’unico strumento che avesse un qualche valore per i proprietari. Allora perché diavolo non avrebbe dovuto ascoltare la voce degli operai? Non che fosse pronto a buttarsi tra le braccia del sindacato – di quella merda ne aveva avuta a sufficienza per una vita intera, grazie tante, per cui si sarebbe limitato a pagare la sua quota, apporre una firma su un foglio e incrociare le braccia – ma ahilui quanto lo faceva imbestialire vedere un uomo, mettiamo un vecchio segantino o simili, un uomo che per quindici cazzo di anni era rimasto fedele alla stessa cazzo di compagnia! messo a riposo dall’ultima trovata meccanica… quello sì che gli faceva ribollire il sangue nelle vene!

Il ruggito del leone prese a risuonargli sempre più forte nella mente, tanto che non gli riusciva più di impedire ai proprietari di sentirlo. Quelli non avevano intenzione di lasciarlo andare – era un capomastro troppo valido – ma a furia di tirate contro il trattamento ingiusto riservato agli uomini avevano iniziato a raffreddarsi nei suoi confronti; smisero di chiamarlo «campione» o «Rosso», e le società di servizi cancellarono il suo nome dalle loro liste. Ma quel ruggito lo udivano anche altri. Un giorno, verso mezzodì, i suoi uomini si erano radunati intorno all’isolato ceppo su cui stava consumando il suo solitario pasto – erano sei, ed erano saliti dalla radura dove il resto della squadra rideva e scherzava davanti a qualche panino e thermos di caffè – per dirgli che loro, la squadra, i tre quarti della popolazione locale, avevano discusso e all’assemblea prevista per l’indomani avrebbero volentieri votato per lui, casomai avesse voluto prendere in considerazione di diventare presidente. Per qualche istante Evenwrite era rimasto preda di un muto, inaspettato stupore: volevano votare per lui, un capomastro, il loro capomastro, ed eleggerlo presidente della sezione locale? Poi si era levato in piedi, si era tolto il casco della compagnia e l’aveva gettato a terra, annunciando con le lacrime agli occhi che non solo l’avrebbe preso in considerazione, ma che avrebbe lasciato il lavoro seduta stante!

«Lasci?» gli avevano chiesto più tardi i proprietari alla segheria. «Non capiamo, Floyd, perché lasci?»

«I miei uomini mi vogliono come presidente».

«Sì, questo è chiaro, ma non vuol dire che tu debba lasciare il posto; non c’è ragione…»

«Bene, allora se la parola non vi piace, mettiamola così: smetto di sgobbare per voi per iniziare finalmente a sgobbare per me stesso!»

Perfino adesso, quando gli capitava di ripensarci, gli si inumidivano gli occhi. Mai nella vita era stato tanto fiero di se stesso. Si era recato a quella prima assemblea con la testa alta e le spalle dritte pensando, adesso per la miseria gliela faccio vedere io, a quelli che hanno sparato al nonno perché difendeva i suoi diritti di americano, a quelli che negli anni Trenta hanno relegato con l’inganno l’IWW a un ignobile sedile posteriore, che hanno condannato quel disilluso di mio padre a una vita riprovevole e una morte umiliante, che non hanno esitato a mettere me – uno scolaretto! – al volante di un camion stracarico anche se non avevo neanche lontanamente l’età, solo per potersene andare in giro ogni anno su una decapottabile diversa grazie ai soldi che gli ho procurato rischiando la pelle! Quelli che si credevano migliori, i Pesci Grossi… cazzo, se gliel’avrebbe fatta vedere!

Eppure, dopo oltre un anno, cos’aveva fatto? Che cos’aveva da mostrare alla gente? Gli occhi s’inumidirono sempre più, e di nuovo avvertì il graffio ammonitore di un principio di mal di gola. Si lasciò cadere a peso morto giù dalla cesta dei panni e bevve un sorso d’acqua per placare il pizzicore, dopodiché si sfilò mutande e canottiera ed entrò nella vasca. Non era piena, né l’acqua era calda come piaceva a lui – mancava anche il caro vecchio Vicks – ma se la sarebbe fatta andar bene. Si rilassò all’indietro con un sospiro, impaziente di ritrovare la comodità che lo confortava sempre dopo una lunga giornata nei boschi. Solo che l’acqua non era calda abbastanza.

Mentre se ne stava lì con gli occhi chiusi, la scena allo Snag rispuntò fra i suoi pensieri. Draeger. Dio se era difficile prenderlo alla sprovvista. Non si capacitava che fossero dalla stessa parte. Per quanto si sforzasse non riusciva proprio a immaginarsi un Jonathan Bailey Draeger al cuore dell’azione ai tempi in cui i radicali conquistavano a duro prezzo le loro prime, terribili vittorie… non ce lo vedeva a distribuire volantini con gli zoccoli ai piedi, o a spaccare teste e rischiare la vita, ascia e giratronchi alla mano, per guadagnarsi il diritto di salire su una cassa di legno e dire la propria o di ottenere strumenti più sicuri, che non ti facessero ammazzare prima del tempo, no, non ce lo vedeva neanche a compiere un piccolo e beffardo atto di ribellione, come ad esempio sfoggiare con fierezza una spilla e proclamarsi uno di quelli che il presidente Teddy Roosevelt aveva bollato come cittadini che, pur non colpevoli di alcun crimine, erano comunque «indesiderati» agli Stati Uniti d’America. Non era il tipo, Draeger, tedioso saputello che di sicuro non aveva mai calzato un paio di scarponi chiodati in vita sua, o brandito una bipenne sentendosi sprofondare a ogni colpo nell’alcol della sera prima che ancora gli sciabordava in testa, né tantomeno si era mai seduto sotto la luce di una lampada a scavarsi con un ago nelle dita stanche per rimuovere barbigli e rovi e schegge di legno di cedro… no, Jonathan Bailey Draeger non era quel genere di uomo.

Senza preavviso il pizzicore gli divampò nuovamente in gola. Stavolta non tentò di soffocare lo starnuto. Lo lasciò ruggire tra le pareti della casa in tutta la sua fragorosa magnificenza; forse avrebbe svegliato tutti, ma se non altro avrebbero saputo chi era che vagava come un pazzo a quell’ora; avrebbero capito che il vecchio era rientrato. Lo starnuto si lasciò dietro una scia di formicolii che gli invase braccia e cosce. Uno starnuto degno di questo nome produceva lo stesso effetto di un amplesso. Non lasciava indifferenti, insomma.

Dopo qualche istante Larry, il figlio di quattro anni, comparve sulla soglia del bagno strofinandosi la chioma rossa e umida nel punto in cui aveva premuto contro il cuscino. Evenwrite lo guardò storto.

«Eddai, puzzolina… non è questa l’ora per mettersi a girare».

«Ciao, papi» disse il piccolo, con la voce impastata dal sonno. Si avvicinò alla vasca e studiò le bolle sulla rigida peluria che, dalle massicce spalle, ricadeva sul petto e sul ventre del padre come un mantello di spesso muschio arancione. «Mi sono svegliato perché ti ho sentito» spiegò.

«Ti scappa la pipì?» lo interrogò Evenwrite.

Il piccolo ci pensò su un attimo, sempre fissandogli la peluria, poi scosse la testa. «No».

«Sicuro?»

«L’ho già fatta».

«Bravo».

«Dove sei stato, papi?»

«Papi è stato a discutere di lavoro con un signore».

«Hai vinto?»

«Non era mica una partita a poker, puzzola. Ora fila a letto».

«La pipì l’ho fatta prima di andare a dormire».

«Bene, bravo ragazzo. Ora a letto».

«Buonanotte, papi».

Il piccolo si allontanò strascicando i piccoli piedi piatti, con le spalle rotonde che compivano una lieve rotazione a ogni passo: una parodia in miniatura della camminata orsesca di Evenwrite. Quando sentì le molle del materasso cigolare, Floyd allungò una mano e chiuse la porta perché la luce, o un altro starnuto, non svegliasse anche gli altri fratelli. Scivolò nell’acqua fin sopra le labbra. Le orecchie erano sommerse. Giusto il naso spuntava per permettergli di respirare. Richiuse gli occhi. Ho vinto?, si chiese, sogghignando con affetto di quell’imitazione infantile di una domanda che la moglie gli avrebbe posto assai diversamente: per lui la mia vita fuori di casa è un’unica, grande partita a carte. E a pensarci bene non è che questo, perché scommetti di continuo su un risultato migliore di quanto i presupposti lascino sperare. Bluffi quando non hai niente in mano, vai rilassato quando ti senti in vantaggio…

Mentre sonnecchiava tornò col pensiero a Draeger. Una cosa si ripromise, una soltanto: ai miei figli non gli andrò raccontando di una fazione o l’altra… perché… oramai… le cose si son messe in un modo che non si può mai sapere…. chi è Pesce Grande e chi il Piccolo… chi sta dalla parte di chi… o chi vince… men che meno chi vorresti che vincesse…

Evenwrite aveva convocato per mezzogiorno dell’indomani, lunedì, i due taciturni fratelli Sitkins, Howie Evans, Mel Sorenson e Les Gibbons. Quelli giunsero appena in tempo, tranne Les, per gli hamburger di cervo con patate. Notarono i cartelli preparati da Evenwrite per il picchetto, poggiati al muro come armi prima di una battaglia.

«Accomodatevi, ragazzi» disse Evenwrite ai quattro uomini. «Mangiate un po’ di zuppa di pesce. Aspettiamo un po’ che arrivi Les, poi via che si va. Boia,» – strizzò loro l’occhio sopra la carne – «con questo sciopero, se non era per tutto il salmone ungulato che acchiappavo, chissà a quest’ora dov’eravamo».

Non rise nessuno. «’Sto picchetto,» disse Howie «sicuro che Draeger lo sa?».

«Come la morte» rispose Evenwrite, con gaudio. «Gliel’ho detto ieri sera che era capace che facevamo da soli, se stava lì ad aspettare un altro po’…»

«Mmh». Howie tentennava. «Alla signora non gli andrà giù se faccio qualcosa d’illegale–»

«Fanculo la legalità! Una volta tanto facciamo la cosa giusta, la legalità può andare a farsi fottere!»

«E che mi dici di Hank?»

«Che ti dico? Cosa può fare? Cosa potrà mai fare se ci trova a picchettare?»

«Non lo so» farfugliò Howie, alzandosi. «Non si può mai sapere…»

Mezz’ora dopo i picchetti marciavano avanti e indietro di fronte all’ufficio della segheria. Orland Stamper uscì e stette a guardarli un momento, poi scomparve di nuovo nel mulino stridente.

«È andato a riferire a Hank» disse Howie, per nulla entusiasta.

«E anche se fosse?» ribatté Evenwrite. «Howie, tu lo sopravvaluti quel bastardo…»

Quando arrivò il camion con i tronchi, Hank e Joe Ben scesero dalla cabina prima che il massiccio veicolo procedesse a riversare il suo carico nel fiume. Da sotto il casco i manifestanti spiavano guardinghi Hank e il suo piccolo amico, che sedevano sulla panchina del porticato a godersi la parata. Trascorse una mezz’ora. Hank fumava con il sorriso sulle labbra, i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani penzoloni tra le gambe; Joe Ben dispensava musica con la sua radiolina a transistor. Alla fine, con grande sollievo di Howie, videro Hank girarsi a bisbigliare qualcosa a Joe che scoppiò a ridere, poi dal porticato si precipitò a un pick-up malridotto e partì alla volta del paese. Quando il camion dei tronchi ricomparve, Hank augurò a tutti un piacevole pomeriggio e montò in cabina. Per quel giorno non lo rividero più.

«È fatta» gracchiò Evenwrite quella sera, rincasando con un barattolo di Vicks nuovo. «Gli servono rifornimenti. Non possono mandare avanti l’attività, senza rifornirsi. E quale fornitore, quale camionista che si rispetti avrà il coraggio di superare il nostro picchetto carico di benzina, olio o pezzi di ricambio, eh? Domani o dopodomani ve ne accorgerete».

Se ne accorsero l’indomani. Arrivando alla segheria, Floyd e i suoi uomini vi trovarono in effetti una troupe televisiva di Eugene con tanto di telecamera portatile, due fotografi inviati dal Register Guard e Jenny l’indiana. E quella sera in prima pagina campeggiava il titolo SCIOPERANTI SORPRESI DA MISTERIOSO MATRIMONIOe lo sposo felice quale sarebbe? E il telegiornale delle sei e un quarto mostrò la fotografia di una robusta donna dal volto come igname arrostito, bardata di mantella e stivali da mungitura come il resto dei manifestanti, che come loro marciava in fila reggendo un cartello attaccato a un bastone. I cartelli dichiaravano: INGIUSTO INGIUSTO. Quello di lei: FRESCA DI NOZZE. Il giorno seguente nessuno si offrì di presenziare al picchetto.

Si diedero appuntamento allo Snag, stavolta. Dietro il bancone, completamente assorto nella lucidatura di un bicchierino da liquore, Teddy prestava a malapena ascolto agli ordini che gli arrivavano.

«Che strategia proponi stavolta, Floyd?» Draeger era entrato senza che nessuno se ne accorgesse; era vicino al bancone e apriva un giornale. «Niente fuoco, mi auguro».

«Stia a vedere, perdinci. Siam stufi di scherzare. Lei stia solo a vedere».

«Bene» disse Draeger affabilmente, e si accomodò. «Poi fatemi sapere come va». Allisciò il giornale davanti a sé e vi si sporse sopra. «Un bourbon» disse, senza alzare gli occhi. «I.W. Harper’s». Già Teddy l’aveva versato.

«Dunque» sussurrò distintamente Evenwrite dal proprio tavolo. «Facciamo verso le dieci. Io chiamo Sitkins. Tu, Mel, chiami Howie e glielo chiedi. Alle dieci, allora». Seduti in cupo silenzio intorno al tavolo, gli uomini confermarono con un cenno del capo continuando a masticare bordi di bicchieri, senza sognarsi di turbare la serietà calata su di loro come il buio fuori per farsi beffe delle bevute annacquate di Teddy. La discussione proseguì fino a che non fu l’ora di cena.

Quella sera una mezza dozzina di uomini risoluti dal cuore impavido si riunì nel soggiorno di Evenwrite intorno a una cassa di Olympia, a ordire un piano per recarsi di nascosto alla segheria degli Stamper e tagliare i cavi d’acciaio che tenevano insieme i tronchi perimetrali della zattera. «Li facciamo calare a valle come una mandria di cavalli selvatici!» esclamò Les Gibbons, picchiando sul pavimento accanto a sé con una bottiglia di birra. «E magari nel mentre che scendono ci tirano pure giù il covo, a quei ratti sudici

«E per farli partire magari ci buttiamo nel mezzo qualche candelotto, così». Evenwrite sentiva già il cuore martellargli nel petto.

«Ben detto! Ora sì che iniziamo a ragionare!»

«E pure un paio nella segheria, proprio». Sissignore, quello era il modo giusto di fare le cose, superato o no che fosse!

«Questo è parlare!»

Gibbons batté un altro colpo a terra. «E allora si va a dirgliene o fargliene

«Fargliene, puttana la miseria! Commando, siamo! Forza, andare!»

Riuscirono ad aprire una zattera prima che la viscida valanga di tronchi facesse precipitare Evenwrite e due dei suoi nelle gelide acque nere. I tre sfortunati commando furono trascinati via nelle tenebre, e dopo poco li si udì berciare e imprecare da un groviglio di arboscelli sferzati dalla corrente cui si erano aggrappati, troppo lontani dalla terraferma per arrischiarsi a nuotare, troppo infreddoliti per attendere che uno degli altri scendesse in paese a procurarsi una barca a motore. Non restava altro da fare che entrare in segheria e telefonare a qualcuno in grado di offrire celermente soccorso.

«Che gli diciamo?» mormorò Howie Evans mentre, fradicio e ingobbito, componeva il numero sul telefono a muro della segheria illuminato dalla torcia.

«Digli che abbiamo bisogno di aiuto urgente o tre uomini moriranno!»

«Ma… i tronchi?» sussurrò Howie, coprendo il ricevitore con la mano.

«McElroy è già fuori a legarli. Nel buio magari non si accorge che ne manca qualcuno».

Sopraggiunse Hank, più che mai pronto ad aiutare. Con l’ausilio della torcia lui e Joe Ben individuarono i tre uomini nello spoglio boschetto. I tronchi ossuti dei gracili arbusti sbatacchiati dalla corrente emettevano un sibilo frusciante, che li faceva apparire infreddoliti e miserabili come gli uomini tremanti che vi si aggrappavano. Tutti e tre attaccarono a parlare non appena la barca guadagnò la sicurezza della terraferma; ciascuno si era creato la propria complessa e perfettamente logica scusa per il fatto di trovarsi fuori a quell’ora tarda, così distanti dal paese e così prossimi al terreno del nemico, ma poiché Hank non chiedeva spiegazioni né dava cenno di volerlo fare, optarono saggiamente per il silenzio, riconoscendo che un alibi o una scusa di qualunque tipo sarebbero stati accolti con probabile condiscendenza, indifferenza perfino, e di certo senza fiducia alcuna.

«Ragazzi, mi sembrate un po’ sbattuti, eh, Floyd… venite dentro che mettiamo su un caffè».

«No» declinò Evenwrite. «No grazie. Dobbiamo–»

«Ad averne vi offrivo qualcosa di più forte. Peccato. Joby, di brandy o bourbon non ne abbiamo, vero?»

«Temo di no. Non qui almeno. Ce n’è in casa, però, se volete–»

«Fa niente. Tanto dobbiamo andare».

«Mannaggia. Mi dispiace quando non posso accontentare i miei ospiti. Facciamo così: tornate domani sera e vediamo se riusciamo a farci trovare più preparati».

I tre attendevano in fila come bambini davanti alla scrivania del preside. «N-n-no, grazie, Hank» balbettò Les. «Ehm ehm non vorremmo disturbare».

«Perdio, Les, dovresti farci l’abitudine a quest’acqua».

«Eh, vero? Be’, non sto manco a dirti quanto ti dobbiamo. Comunque. Meglio che andiamo».

«Chi c’è in macchina ad aspettarvi? Qualcuno degl’altri? Floyd, glielo dici tu che mi spiace di essermi fatto trovare impreparato, eh? E digli anche ci procuriamo sicuro un goccio di brandy per la prossima volta».

Floyd trascorse tutta la giornata successiva immerso nella sua vasca, e svuotò anche il barattolo di Vicks. Arrivò giovedì prima che si decidesse a ritentare. Da solo stavolta, guidò fino al ponte di Scaler e parcheggiò l’auto in una stradina appartata; mentre gli uomini del governo discutevano con John Stamper nel piccolo capanno, sgattaiolò sul loro lato cieco con un martello e un sacchetto di chiodi da dieci penny. Riuscì a piantarne quattro sotto la corteccia dei tronchi prima che il rumore della porta che si apriva lo rispedisse a nascondersi tra le frasche. Lì attese sotto la pioggia, tremando e mordendosi il labbro, finché il furgone si riavviò su per la strada e fece ritorno con un nuovo carico; a quel punto uscì di nuovo per piantare qualche altro chiodo. Sapeva di dover minare in quel modo centinaia di tronchi per esser sicuro che almeno uno finisse sotto i denti della sega circolare, dal momento che gran parte dei tronchi sarebbe stata riunita in una zattera da inviare giù alla Wakonda Pacific. E se anche si fosse danneggiata qualche lama della Wakonda, poco male. Quegli stronzi se l’erano cercata.

Sgobbò tutto il giorno, e quando calò il crepuscolo si congratulò con se stesso per il meticoloso lavoro. Si ritrascinò in macchina e tornò in paese. Consumò qualche avanzo freddo in cucina, dopodiché uscì di nuovo per andare a sentire se allo Snag fosse già giunta voce di un guasto alla segheria Stamper. Era giunta. Insieme alla notizia che tutti gli operai erano in procinto di essere spediti a lavorare nei boschi per il resto dell’anno. «McElroy dice che Joe Ben gli ha detto» fu informato dal primo che vide «che Hank ne aveva già un mucchio di legno tagliato, e che gli serviva solo una scusa per spostare la squadra nei boschi e metterla all’opera per la WP».

Evenwrite non disse niente; rimase chiuso in un gelido silenzio mentre si chiedeva perché la notizia non lo sorprendesse più di tanto.

«E sai che ti dico?» aggiunse l’uomo. «Sai che pensiero abbiamo fatto, io e un sacco d’altri?»

Floyd scosse lentamente la testa. «No. Che pensiero avete fatto?»

«Che è stato Hank Stamper in persona ad architettare apposta ’sto guasto. Uno scherzo del genere è proprio roba da lui».

Evenwrite concordò e si voltò per andarsene. Aveva quasi raggiunto la porta quando si sentì chiamare. Draeger usciva dai bagni in quel momento, abbottonandosi la giacca. «Aspetta, Floyd…» Senza parlare, e ancora per nulla sorpreso, osservò l’amabile volto dell’uomo farsi sempre più grande via via che avanzava tra le due file di divanetti. «Solo un attimo». Come quelle riprese frontali dei treni nei film. «Ho qui una cosa per te». Fece una sosta a un divanetto per prendere qualcosa poi ripartì, non tanto come un oggetto davvero in movimento, ma più come uno di quei fermo immagine di treni proiettati su uno schermo, che si allargava e continuava ad allargarsi senza in realtà muoversi di uno schifoso millimetro. «Prima è passato Hank Stamper, ti cercava…» Finché non occupava tutto lo schermo con il suo rombo e all’improvviso te lo ritrovavi sopra che manco s’era mosso; non lo sentivi nemmeno. «Ha lasciato un regalo per te».

«Mh?» Floyd si riscosse dalla sua fantasia. «Un regalo?»

«Ecco. Hank Stamper mi ha chiesto di dartelo. Ha detto che è passato da te ma non c’eri, così è venuto allo Snag. Tieni».

Con lo sguardo fisso sul nodo di carta in cima, Floyd afferrò per il collo la sagoma di bottiglia chiusa nel sacchetto che Draeger gli stava porgendo.

«Non lo apri? Hai di certo più ritegno di me. Quando vedo un regalo vado ai pazzi finché non scopro cos’è. È la differenza fra un uomo sposato è uno scapolo, presumo…»

«Lo so già cos’è» disse Floyd, in tono piatto. «È una bottiglia. Quindi Hank Stamper entra e dice “Date questo a Floyd Evenwrite”? È andata così?»

«No. Ha detto a me di dire a te – ah, come ha detto già? Mi sfuggono le parole esatte, ma dev’essere stato qualcosa tipo – resterai sorpreso–»

Floyd rimase a guardarlo scervellarsi per richiamare alla mente il messaggio, tanto sicuro che non se lo ricordasse quanto che lui sarebbe rimasto sorpreso del contrario. «Ah sì, ha detto, “Consegni a Floyd questo brandy con i miei più sinceri ringraziamenti”. O qualcosa del genere. Be’, non lo apri? C’è dell’altro nel sacchetto. Ho sentito un tintinnio…»

«No, penso che non lo farò. So anche cos’è quest’altra cosa. Sono chiodi».

«Chiodi? Chiodi da carpentiere?»

«Esatto».

Draeger sorrise e scosse la testa in divertita incredulità, poi strizzò l’occhio a Teddy. «Mica facile inquadrare i ragazzi da queste parti, eh, Teddy?»

«Sissignore». Dubito che al mondo esistano ragazzi che lei non riesca a inquadrare, signor Draeger…

Il sabato sera successivo portò con sé un nuovo carico di folla di prim’ordine. La lunga sala pulsava di fumo azzurrino e delle incalzanti note blues della chitarra di Rod (Teddy era stato costretto a offrirgli tre dollari e mezzo a testa in più per convincerli a suonare; benché infatti la valanga di disperazione non ostacolasse la vendita di alcolici, eliminava del tutto frivolezze quali le mance, che di solito rappresentavano il grosso degli introiti per il gruppo); la musica scorreva abbondante come la tristezza e libera come la birra scura alla spina. Da quando il grigiore plumbeo di novembre era calato dalle nubi, i clienti erano sciamati verso l’attraente esca dei neon lampeggianti come falene in un tramonto di luglio. Teddy scivolava senza sosta dai tavoli ai divanetti al bancone con la solita gommata premura – un pingue, silenzioso scalpicciare che era più che altro l’antitesi del movimento – vuotando posacenere, riempiendo bicchieri, intascando moneta spiccia con furtiva maestria, apparentemente sordo, quella sera, alla stantia accusa di aver versato liquore scadente nelle bottiglie vuote di Jack Daniel’s. Suddetta accusa gli veniva mossa con una tale regolarità – «Che ti scoppi quel culo grasso, Teddy, che merda ci hai propinato adesso!» – che talvolta temeva di perdere le staffe e urlare ai quattro venti quanta verità c’era in quello che i suoi cari idioti consideravano alla stregua di uno scherzoso rimprovero.

«… lo sai, Teddy, che non sono tipo da lamentarmi se annacqui il liquore buono con dell’altro da due soldi, lo sai; a me mi fai felice con niente, non ho i gusti difficili o altre paturnie – ma per la madonna non m’allungare il bourbon col dopobarba che divento una bestia!»

E gli uomini ridevano allungando il collo, chi da un divanetto, chi dal fondo del locale, per godersi la vista del rossore che gli divampava in faccia a quelle battute. Oramai era diventato un rituale che si ripeteva una, se non due volte a sera. A dire il vero ultimamente questa cosa d’essere accusato di allungare l’alcol buono col dopobarba aveva iniziato a dargli così sui nervi che ci stava addirittura facendo un pensierino. Non che avrebbe fatto differenza: così com’era certo che nessuno avesse intravisto la verità nel proprio dileggio, lo era del fatto che fra i suoi clienti non ce n’era uno che fosse abbastanza istruito da distinguere più che la temperatura d’un liquido. Quando gli veniva rammentato, quella consapevolezza lo riempiva in egual misura di rabbia (Non hanno il diritto di diffondere tali ignominiose calunnie senza prove!) e dello sdegno necessario a ridimensionare la rabbia stessa (’Sti deficienti, se solo sapessero…).

Di recente, però, messo di fronte all’accusa, sentiva di non esser più capace di gestirla, quella rabbia: le ciglia gli sfarfallavano, arrossiva e cominciava a borbottare timorose smentite, il tutto mentre balbettando si riprometteva, Mai più Ten High per questi deficienti. Non se lo meritano! E manco Bourbon De Luxe. D’ora in avanti il Jack Daniel’s glielo tiro fuori da un bel barattolo di frutta sotto spirito, e speriamo che ci lascino gli occhi! – pur ovviamente continuando a scusarsi a voce alta, «Son mortificato, signore», e offrendosi di rimediare con un’oncetta e mezzo di qualche altro liquore offerto dalla casa. «La prego, signore, mi lasci–»

Il deficiente di solito liquidava sbrigativamente l’offerta – «Nah, Teddy, lascia stare, lascia stare. Diamine, sei così carino quando arrossisci che quasi quasi vale la pena di bere dopobarba» – e, assai di frequente, lasciava qualche spicciolo sul bancone con una sorta d’inquieta magnanimità. «To’, comprati un gelato».

E gli uomini ridevano. E Teddy scivolava via sulle scarpe vivaci con un sessanta centesimi di mancia stretti nel pugno e un debole sorriso tirato come una tenda a nascondere la boccata d’odio, per andare a rintanarsi in fondo al bar dove, imbronciato, ferito, furente, attendeva il sollievo che la luce risanatrice dei suoi neon sempre gli recava. Lì era la sua pace, il suo santuario, l’unica consolazione nella sua solitaria esistenza senza amici. E negli ultimi tempi, malgrado l’attività andasse a gonfie vele e nonostante la solida convinzione d’esser superiore ai sempliciotti terrorizzati che popolavano il mondo, sempre più spesso sentiva il bisogno di ricorrere al suo ronzante conforto: c’erano notti, dopo essere rimasto in piedi a capo umilmente chino sotto la pioggia di saliva di uno dei suoi habitué, trasformato in cabarettista dall’alcol, in cui doveva restarsene in convalescenza per mezz’ora e oltre in quel lato del locale, sorridendo con una mano leggera sul bancone, come qualcosa che avrebbe beneficiato della protezione di un guscio – mezz’ora, ci voleva, prima che il pulsare delle luci dissipasse del tutto la sua furia. In quei frangenti sembrava il Teddy di sempre, che salutava ogni nuovo avventore con il solito contegno formale, che giochicchiava con la lunga catenella del portachiavi che gli attraversava la voluminosa protuberanza del grembiule, che diceva l’ora se interrogato in proposito… e se anche qualcuno dei suoi clienti si fosse dato pena di osservarlo con attenzione, mentre stava lì col viso assente che si tingeva di diverse sfumature di rosso e arancio e magenta– «Teddy, tu e i tuoi stramaledetti tentacoli, vieni fuori da quel buco e versami nel bicchiere un po’ di quella robina trasparente che c’è dentro la bottiglia di gin Gilbey, da bravo…» – anche così, avrebbero attribuito il colore solo ed esclusivamente ai neon pulsanti.

Ma quella sera, a dispetto dell’insolito accumulo di brutali insulti, Teddy passò poco tempo a recuperare le forze alla luce dei suoi neon. Primo, era troppo indaffarato: la scoraggiante notizia che la squadra della segheria Stamper al completo era stata trasferita nei boschi gli stava facendo erogare liquore a un ritmo pari solo a quello tenuto la sera della zuffa Stamper-Newton; e a questo giro non aveva chiamato la cameriera del Sea Breeze a dargli una mano. Pertanto era davvero troppo indaffarato per concedersi il lusso di andare a mettere il muso sotto le lampade a ogni uscita infelice di qualche deficiente. Primo.

E secondo, non sentiva il bisogno del balsamo della sua luce come al solito: non solo si lasciava deliziosamente cullare dalla nota grave d’ansia che s’innalzava da ciascun tavolo, intrecciandosi al fumo – «Teddy, diobono, roba da pazzi…» «Sissignore, signor Evenwrite». «Qui c’è qualcosa che non va…» – e blu si congelava nell’aria sopra l’intera sala… ma già dal pomeriggio era in uno stato di frizzante eccitazione per via di una telefonata che aveva ricevuto da Jonathan Draeger: dopo avergli comunicato che chiamava dalla lontana Eugene e che aveva bisogno di un favore – «Verrò la sera; vedi se riesci a tenermi lì e fuori dai guai Floyd Evenwrite finché non arrivo, ti va?» – l’aveva mandato completamente in tilt aggiungendo, «Glielo mostriamo noi a questi caproni cosa si può ottenere serbando un poco di saggia pazienza, eh, Ted?».

Per il resto del pomeriggio e la sera quella piccola intimità gli era brillata in petto. Noi, aveva detto Draeger, noi! Una parola che, pronunciata da cotanto uomo, sfolgorava più che tutti i neon dell’Oregon messi insieme!

Evenwrite si presentò dopo cena, poco prima delle sette, con la faccia più rossa del solito e il fiato merlettato di brandy. «Eh sì, così non va…» ribadì, col viso che si accartocciava in un’espressione terribile.

«Cosa non va, signor Evenwrite?»

«Mh?» Evenwrite guardo su, sbattendo le palpebre come un ebete.

«Ha detto che qualcosa non andava…»

«Eh perbacco se non va. Nel mio bicchiere! Che credevi?»

Per tutta risposta Teddy abbassò le ciglia e guardò la zampa dalle dita a salsicciotto e le nocche arrugginite appoggiata sulla fine grana del bancone. Accanto a quella mostruosità la sua stessa mano arricciata – eternamente bluastra per via delle tante ore passate a mollo nell’acqua lavando i bicchieri, la carne aveva assunto la trasparenza di quando la si lasciava a lungo in salamoia – appariva ancora più blu e piccola che mai. Attese timidamente, con il capo chino in una posa di abietto e persistente imbarazzo. «Cosa c’è di strano, signore, nel suo bicchiere…?»

«Be’, tanto per cominciare è vuoto, ecco cosa. Potresti riempirlo, intanto. Aiuterebbe».

Teddy produsse una bottiglia e riempì il bicchiere; Evenwrite lo prese e cominciò ad avviarsi verso il suo tavolo.

«Oh. Farebbero cinquanta centesimi, signor Evenwrite».

«Cinquanta centesimi! Mi stai dicendo che chiedi anche dei soldi per questa robaccia? Mica volevo berla, Teddy, pensavo piuttosto di farmici lo shampoo».

Teddy riabbassò lo sguardo. Gli uomini al tavolo di Evenwrite risero, accogliendo col solito gaudio quel siparietto comico che Teddy portava nelle loro cupe chiacchiere d’affari. Lo stesso Evenwrite sghignazzò, schiaffando sul bancone una moneta da cinquanta come se schiacciasse una cimice. Assaporando una nuova, squisita e particolarissima paura intravista nel cataclisma emotivo in atto sul volto di Evenwrite, Teddy raccolse lo spicciolo con delicatezza e lo portò al registratore di cassa, Questa, signor Draeger, è una cosa che ti distingue sia da me che dai caproni: rigirandoselo fra le dita con il tipico compiacimento del fine conoscitore… Io la paura la rifuggo solo, mentre tu la provochi pure.

A tutti i tavoli radunati intorno a quello cui stava tenendo banco Evenwrite la conversazione seguiva all’incirca il medesimo canovaccio, partendo da un «non ce l’aspettavamo da Hank Stamper, che fregasse i suoi come ha fatto» – «Dal vecchio Henry forse sì, ma Hank è sempre stato un bravo figliolo» – passando per un «E che cazzo! Che vi aspettavate, da una mela caduta da quell’albero? Solo perché Hank non se ne sta tutto il tempo a blaterare che ci vuole un’armatura di piombo per riuscire in questo settore, mica vuol dire che non è sangue dello stesso sangue», per chiudere con un «Non c’è due modi di vederla: Hank Stamper la sua l’ha detta, adesso va solo raddrizzato».

Evenwrite era disponibile a farsi carico di quest’ultima manovra. «E quidd strepitò, balzando in piedi e catalizzando per un momento l’attenzione del locale con occhi vitrei e rossi come due caramelle, e un naso tappato che di più non si poteva «io e qualchedun altro addremo su a dargli una bella raddrizzata, al caro Hakk Stamper!» S’asciugò il naso sulla manica e aggiunse, «Perdio c’addiamo adesso!».

Seguì un turbinio di cenni d’approvazione, «Sì, giusto… seduta stante…», ma Teddy sapeva che il bar era troppo accogliente e luminoso, e fuori era troppo freddo e deprimente perché il turbinio diventasse azione. Servivano molta più retorica e alcol prima che Evenwrite riuscisse a convincere un manipolo di qualsiasi portata a seguirlo sotto la pioggia. Eppure, visto come si stavano mettendo le cose, sperava–

La porta si spalancò e, a mo’ di risposta al desiderio incompiuto di Teddy, fece ingresso Draeger. Non se ne avvide quasi nessuno oltre a lui, ipnotizzati com’erano dagli occhi iniettati di sangue e dal parlato nasale di Evenwrite. Draeger si tolse cappello e soprabito e li appese accanto alla porta, poi si accomodò a un tavolino libero nei pressi del calorifero a olio. Alzò un dito e solo con le labbra disse, «Uno» a Teddy, poi si girò a guardare la nuca di Evenwrite rilassarsi e tendersi nell’impeto di quella chiamata alle armi.

«È troppo tempo che addiamo menaddo il can per l’aia con loro, per restare nel giusto, per far le cose per bene… ma, vi domaddo, loro sono stati giusti con doi? Si sono comportati bene?»

Nuove grida e grattar di sedie sul pavimento. Ma, reggendo in mano un whisky e un’acqua, Teddy sbirciò da sotto il paralume delle ciglia il viso sereno, comprensivo di Draeger e vide che non era più preoccupato di finire investito da una rivolta di quanto non lo fosse lui. Se c’è qualcuno qui che può scatenare una rivolta, non è Floyd Evenwrite. Posò i bicchieri sul tavolo; Draeger assaggiò il liquore e gli sorrise.

«Il bio vecchio» stava urlando Evenwrite «diceva seppre che se il lavoratore vuole qualcosa, il lavoratore deve prendersela… Dico bede? Diamide, se dico bede…»

Draeger scolò il resto del suo whisky, poi rimase a studiare i riflessi di luce colorata sul vetro con Evenwrite che andava picchiando il pugno sui tavoli, imprecando e incitando gli uomini, il volto infiammato d’alcol diluito e presunto potere.

«Che dite, eh? Chi ci sta? Eh? Eh?» La maggior parte rispose che sì, ci stava, ma nessuno si mosse. «Chi ci sta? Eh?! Addiabo su e–» strizzò gli occhi, concentrandosi, perché perdio ce l’aveva sulla punta della lingua. «E… e ci… ci–»

«Buttiamo nel fiume come un branco di castori?» Da Evenwrite le teste si girarono verso Draeger. «Ci assiepiamo sull’argine a lanciare sassi? Floyd, già che hai il raffreddore».

Evenwrite non volle girarsi verso la voce. L’avrebbe ignorata, ora, sebbene l’avesse attesa per tutta la sera. Afferrò il bicchiere vuoto e lo fissò in cagnesco come se quelle parole calme, profonde fossero scaturite dalla sua bocca di cristallo.

«Usa la testa, Floyd» proseguì Draeger. «Se anche trovassimo una via legale per farlo, non mi sembra il caso di incitare questa gente ad assaltare la casa come un’orda di pazzi usciti da un film western, perché tanto per cominciare–»

«Aridagli con ’sto legale?!» gridò Evenwrite al bicchiere. «Che c’ettra ora?»

«–perché» riprese Draeger «tanto per cominciare, non riusciremmo ad attraversare il fiume in gruppo. A meno che non pensi che Stamper sia disposto a portarci due o tre alla volta. Ora, io questo tizio non lo conosco benissimo» – sorrise alla sala – «ma dopo quello che ho sentito sul suo conto, non mi offrirei volontario per andare a chiedergli se per favore può traghettare sulla sua sponda un numero sufficiente di noi da costituire un’orda. Certo, tu potresti convincerlo, Floyd. A quanto pare sei più abile di me in questo genere di trattative».

Gli uomini risero ma con titubanza, sorpresi dal calmo eloquio dell’uomo. Rimasero a guardarlo mentre si baloccava con il bicchiere, seduto in disparte al suo tavolo. Poi, siccome, non diceva più niente, la folla tornò a rivolgere l’attenzione su Evenwrite, che ancora strangolava nel pugno il bicchiere vuoto. Quello avvertì i loro sguardi brucianti sulla schiena: merda. Se la stava cavando bene finché era spuntato fuori quel bastardo; alla grande, anzi. Ma Draeger l’aveva di nuovo reso lo zimbello del paese, e che fosse dannato se sapeva come c’era riuscito. Ci ragionò un po’ su, poi si arrese e incanalò la propria frustrazione verso Teddy, chiedendogli un giro gratis sulla base del fatto che per quanto aveva tracannato quella sera doveva esser già sbronzo marcio se di liquore schietto si trattava, o no? Teddy gli versò da bere senza commentare. Senza neanche chiudere gli occhi, Evenwrite bevve tutto d’un sorso e fece schioccare le labbra con aria pensierosa. «Piscio di piccione» stabilì, e sputò in direzione della sputacchiera. Nuova ondata di risate, sempre titubanti. Gli sguardi rimbalzavano dal presidente al rappresentante, in attesa della mossa successiva. Draeger sembrava non badare al silenzio cui il suo intervento aveva dato adito; era assorto sul bicchiere che si rigirava in mano, con occhi pazienti come il sorriso. Evenwrite si appoggiò al bancone del bar. Era consapevole della posizione scomoda in cui si trovava. Ce l’aveva messo Draeger. Si massaggiò la nuca, poi di colpo infranse il silenzio lanciando il bicchiere verso il recipiente d’ottone fissato a un’estremità del banco ed esclamando «Piscio di piccione» per la seconda volta. Si levarono altre risa e così, riacquistata un po’ di sicurezza, Evenwrite si voltò verso Draeger. Pendeva appena da un lato e aveva gli occhi molto lucidi. «Bene, Jonathan Bailey Draeger, dato che è tutta testa, settiamo cosa cazzo farebbe lei. Perché è stato lei a consigliare questo sciopero, in foddo. O sbaglio? Allora dato che è tutta testa, settiamo cosa propone per cavarci d’impaccio. Io non sono che uno stupido segattino! A noi stupidi non ci paga nessuno, infatti. Ma lei, lei che è tutta testa–»

Draeger posò il bicchiere sul tovagliolo steso sulla superficie di formica; produsse un rumore attutito ma corposo, clic, come di qualcosa di distante ma anche molto vicino, un suono udito sott’acqua. «Siediti, Floyd, calmati–»

«Oh ho. Calmati lo dice a qualcun altro, Jonathan Bailey Draeger. Vuole restare sul legale? Va bene, ma lo sa lei come lo so io cosa ci sarebbe da fare. Possiamo star qui a sgolarci tutta la notte, tanto lo sappiamo! Io che sbraito di dargli addosso a quello Stamper sono un imbecille, certo… ma mai quatto lei che ci ha tirato dettro a uno sciopero che manco le avevamo chiesto

«Floyd, veramente a sentir voi lo scorso agosto stavate tutti morendo di fame».

«A sentir lei lo scorso agosto ce la cavavamo senza scioperare!»

«Ti spaventa la fatica, Floyd? Hai paura di perderti un paio di mesi di stipendio?»

Draeger parlava ancora a voce così bassa che quasi non si poteva dire per certo che la voce uscisse da lui. La voce di Evenwrite allora crebbe, per sopraffare il silenzio che Draeger aveva imposto alla sala. «No, non ho paura di perdermi un paio di mesi di stipendio! È già successo. A tutti, qui dentro. Abbiamo già scioperato in passato, e tenuto duro. Teniamo duro da prima che arrivavano i Wobs a darci man forte. E siamo pronti a tenere duro ancora, vero, ragazzi?» Annuendo fece girare lo sguardo fra gli uomini e gli uomini annuirono con lui, con lo sguardo fisso su Draeger. «Diamine se lo faremo. Non ci spaventa la fatica e non abbiamo paura di perderci un paio di mesi di stipendio, ma nemmeno di sgroppare se ci frustano a sangue!»

«Floyd, si–»

«E legalmente, se vuole proprio saperlo, ne stiamo pigliando da tutti! Scudisciate a destra e a manca». Smise di parlare con Draeger e, asciugandosi il naso, si rivolse ai suoi uomini. «È da mo’ che voglio riscuotere. Non era il periodo giusto per scioperare; lo sapevamo tutti – nel pieno dell’inverno, perdio, sai quanta grana c’era nelle casse del sindacato – ma Draeger ha pensato bene che se questo giochetto gli riusciva, capace che stavolta lo chiamavano ai piani alti, un cazzo di re diventava o chissà che… così ci ha preso a noi–»

«Floyd…»

«Cazzo, Draeger, lei sì che è tutto testa–»

«Floyd».

Clic. Di nuovo quel lieve, misurato tocco del vetro sul tavolo, lieve quanto un’alzata di cane. Le teste scattarono nuovamente verso Drae-ger. Ah, ora capisco… Dietro il suo bancone Teddy era ammirato da cotanto potere e tempismo… Sai aspettare. Da quando hai aperto bocca… guardali, questi idioti, come ti si fanno incontro senza neanche alzarsi dalla sedia, attirati dalla tua voce come particelle metalliche da una calamita…

«Floyd… Orland, il capomastro della segheria Stamper, non ti abitava proprio di fianco?»

… tesi come corde di violino; ciò che dici non fa differenza. Perché anche tu sei una forza, ed è questo che conta. Non ciò che dici. Come certi giorni è una forza Walker, il Prete Guaritore. Ma nemmeno, perché tu ne sai più di Fratello Walker e del suo Dio messi insieme…

«E Sitkins, tu e tuo fratello, ho sentito che i vostri figli sono in classe con alcuni dei piccoli Stamper. Ricordo di averlo sentito dire a qualcuno. E be’, quelli non sono semplicemente dei bambini, come i vostri?»

… Tu lo sai cos’è – la gelida forza in agguato nel buio – che smuove la gente. E sai che non servono tamburi, chitarre e musica d’organo per far ballare gli idioti. Tu sai che il Dio di Fratello Walker è un Dio di paglia, un fantoccio da agitare in faccia al vero Onnipotente…

«E le donne degli Stamper non sono pur sempre donne? Preoccupate come qualsiasi altra che la casa sia in ordine per accogliere gli ospiti? Interessate all’acconciatura più in voga? – e, ragazzi miei, le avete viste alcune? – Stamper, sì, ma pur sempre donne?»

… un feticcio, e nemmeno potente come altri feticci quali L’Opinione del Sempliciotto della Porta Accanto e Le Grandi Imprese da Compiere… ognuno dei quali non è neanche lontanamente potente e terribile quanto la Forza che li ha creati, la Paura che li ha creati.

«Uomini… Floyd… ci sono un paio di cose di cui tener conto, che cioè non fa alcuna differenza sotto che nome vanno – dalla vita desiderano le stesse cose che desiderate voi, le stesse cose per cui voi uomini lottavate quando abbiamo messo insieme questo sindacato, le stesse che desiderate adesso… perché è la natura».

… è la natura delle bestie cercare protezione nel gruppo. Tamburi e chitarre non servono. No. È sufficiente avere intorno gente che questa paura la provi, proprio come a qualsiasi calamita per essere una forza è sufficiente del ferro da attirare.

«Io sto dalla parte del cuore umano, non della violenza…»

… giusto, sbagliato, buono o cattivo non contano niente, conta solo la forza d’attrazione. Ancora un attimo e gli idioti non ascolteranno più, si lasceranno semplicemente trascinare. Non serve che pensino. Sarà la natura del loro timore a farli convergere. Come sfere di mercurio che corrono a farsi inglobare da una più grande. Piccole sfere di mercurio inglobate da una più grande, poi da una più grande ancora, che infine diventano un’unica sfera, e non c’è ragione di aversene a male, non c’è da spaventarsi, perché fa tutto parte di un insieme più grande che diventa sempre più grande nella sua corsa sulla terra per andare a gettarsi in un oceano di mercurio…

«Ed ecco cos’ho fatto negli ultimi quattro giorni a Eugene – a beneficio di tutti, senza ricorrere alla violenza, senza spargimento di sangue… ho attinto ai fondi della tesoriera sindacale…»

… e tu, signor Draeger, lo sai. Per questo sei speciale. E perché questa forza tu hai il coraggio di usarla. Io mi limito a inginocchiarmi al cospetto del vero Onnipotente; tu lo usi. E sei uno spettacolo da guardare…

«Dove vuole andare a parare, Draeger?» chiese Evenwrite, colto all’improvviso da nuova stanchezza.

«Non basterà, probabilmente» proseguì Draeger, come se non l’avesse nemmeno sentito «ma sono certo che qualche uomo d’affari del posto, che abbia un piccolo capitale a disposizione e buon occhio per gli investimenti, sarà in grado di supplire alla carenza di denaro…».

«Dedaro per cosa, Draeger?»

Draeger gli rivolse un sorriso triste. «Te ne sei buscato uno come si deve, eh, Floyd? Peccato, stavo appunto per dirti che dovremmo indire un’altra gitarella sul fiume per scambiare altre quattro chiacchiere col signor Stamper».

«Alt, fermi tutti! Conosco il mio pollo, se non ha cambiato idea una settimana fa, figuriamoci se la cambia adesso–» Evenwrite lo guardò strizzando le palpebre. «Dedaro per cosa?, ho chiesto».

«Acquisiremo la Stamper Enterprises in toto, Floyd, armi e bagagli, baracca e burattini–»

«Mica vedde, quello» ribatté Evenwrite, con un filo di disperazione. «Hakk Stamper? Nah…»

«Io dico di sì. Ci ho parlato al telefono. Ho abbozzato qualche cifra che sarebbe uno sciocco a non considerare–»

«Ha detto di? Hakk Stamper

«Non ancora, no, ma non vedo cosa potrebbe impedirglielo. Non riceverà mai un’offerta migliore». Draeger tornò a rivolgersi agli altri, stringendosi nelle spalle. «Non stiamo parlando di bruscolini, ma sapete com’è, ci teneva per le palle, per dirla come Floyd. Va comunque tutto a nostro vantaggio: l’attività sarà gestita a livello locale, con l’affiancamento del sindacato; gli investitori si spartiranno i profitti; la Wakonda Pacific finirà con le spalle al muro…»

Teddy ascoltava quella voce attutita, distante, fra un pensiero e l’altro e, dietro la sua barricata di arcobaleni, cadeva perdutamente innamorato.

Evenwrite si appoggiò al bancone, sobrio tutt’a un tratto. Non prestò ascolto alle domande concitate che seguirono, né ai piani ottimistici di Draeger. Per un po’ la prospettiva di un secondo viaggio in barca lo riscosse dal suo torpore, ma quando alzò la testa per protestare vide una tale contentezza negli occhi degli altri che non ebbe il cuore. E quando Draeger partì alla volta del capanno di Mama Olson, si mise il cappotto e docilmente lo seguì.

Una volta in strada prese a scuotere la testa ripetendo, «Hakk Stamper… non vedde».

«Che differenza fa?» disse Draeger, tutto giulivo. «Mica andiamo a fargli un’offerta».

«E cosa, allora?»

«Due passi, Floyd. Una passeggiata. Ho pensato che forse sarebbe stato più credibile se ci fossimo avviati verso il molo…»

«Credibile? Ma di che parla? Hakk Stamper non crederà mai che siamo saliti fin lassù solo per–»

«Ma sarà l’unico a non crederci, Floyd». Rise sotto i baffi, sicuro di sé. «Ad ogni modo, giochi a cribbage? In due è l’ideale. Dai, ho la plancia su nella mia stanza d’albergo… a insegnarti ci vorrà giusto il tempo di una “gitarella in barca”».

Intanto nel bar, dal suo angolino vicino alla vetrina, Teddy è l’unico a vederli tornare indietro dal molo e infilare l’ingresso laterale dell’albergo. Sei una forza, una forza. Annuisce lentamente quando vede accendersi la luce in una delle stanze superiori. Neanche il signor Draeger avesse voluto svelargli il trucco: Lo sa che mi piazzo sempre qui… eh sì, è una vera confidenza! «Noi» mi dicesti… «noi» – e sente il molle corpicino gonfiare oltre misura mentre l’ammirazione e lo stupore iniziali assurgono ad amore e oltre – a adulazione, a venerazione.