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Discesa verso l’ignoto

 

«La nostra discesa si svolse come una staffetta costantemente interrotta. Io andavo avanti un tratto, per trovare la via. Günther arrivava poi, quando io lo chiamavo, per fermarsi nel punto dove mi aveva raggiunto, e aspettare che io perlustrassi il tratto successivo. Inizialmente il terreno si rivelò piuttosto semplice, dopo circa 1000 metri di dislivello invece si trattò di passare fra seracchi e crepacci. Poiché Günther a quel punto riusciva solo a scendere, fui obbligato a evitargli qualsiasi tratto di risalita, e questo si rivelò quasi impossibile man mano che progredivamo verso il basso.»

Reinhold Messner, 2009

 

 

«È probabile che Kuen non mi abbia capito bene. A quella quota, con il vento, e dovendo superare una distanza di un centinaio di metri, è assolutamente possibile che si verifichino dei malintesi.»

Reinhold Messner

 

 

«Era impossibile superare la distanza che ci separava dalla forcella Merkl. Verso il punto in cui mi trovavo io la cresta era caratterizzata da cornici di ghiaccio strapiombanti. Superare un tratto del genere a una quota di 7900 metri si traduce in un suicidio. Se si cade in questo tratto non si trova nulla che possa frenare il volo, per migliaia di metri.»

Felix Kuen

 

 

«Il contatto vocale aveva chiarito un particolare: nemmeno Kuen riusciva a salire il tratto fino a noi.»

Reinhold Messner, 2009

 

 

«Fu la speranza, delusa, di poter essere soccorsi dopo quel bivacco micidiale, a farci tergiversare a lungo. Non era stata l’ambizione a spingerci verso il versante Diamir, bensì solo l’istinto della sopravvivenza. Poiché nessuno poteva aiutarci, cercammo di aiutarci da soli.»

Reinhold Messner, 1970

 

 

«È fuori di dubbio che Kuen e Scholz ci avrebbero aiutato se ci fosse stata anche una remotissima possibilità di farlo. Dal momento però che i due più forti del team non erano riusciti a salire fino a noi, non c’era più alcuna speranza che altri potessero farcela.»

Reinhold Messner, 2009

 

A quel punto ci restava una sola via d’uscita: il versante Diamir. Durante l’inverno avevamo studiato il Nanga Parbat con grande attenzione. Uno scrupolo per noi del tutto ovvio. Avevamo letto diversi libri. Ne conservavamo un ricordo preciso, e tutto questo ci tornò molto utile in quel frangente. Al primo sguardo riuscii a riconoscere la conca Bazhin. Un notevole vantaggio quando non si hanno altre vie d’uscita. Avevo ben in testa lo sviluppo della via Mummery, così come conservo l’esatto ricordo di tante altre pareti e linee. Il tentativo risaliva al 1895. Ritenevo che avremmo potuto affrontarlo anche senza grandi ausili tecnici. Ero anche sicuro che, scendendo, Günther sarebbe stato meglio, inoltre entrambi ci auguravamo di incrociare qualche pastore più a valle.

Questa discesa verso l’ignoto mi spaventava molto. Eravamo troppo esperti per non provare paura. Osammo solo perché non esisteva altra possibilità. Verso le undici cominciammo la nostra discesa sul versante Diamir. Per noi si trattava di una questione di vita o di morte. Non avevamo una corda. Non avevamo nessun’altra possibilità.

In seguito uno dei nostri compagni ha bollato come scelta superficiale quella di optare per quella discesa, giudizio a posteriori suffragato dalla constatazione che Günther non aveva fatto ritorno. Non è necessariamente vero che chi subisce l’incidente sia per forza più imprudente di chi ce la fa oppure di chi agisce in modo più riflessivo. Bisognerebbe conoscere molto bene la situazione prima di esprimere giudizi.

Reinhold lancia un ultimo sguardo alla vetta, poi giù nel canalone Merkl. Non c’è nessuno. Sul volto un’espressione disperata.

Reinhold: Non ha senso aspettarli.

I due si avviano, arrampicando in discesa su pendii di neve. Con la schiena rivolta alla parete.

Non ci muovevamo a caso, andando avanti dritti, diritti davanti a noi non saremmo arrivati lontano. Dovevamo individuare la via migliore, l’unica possibile. Ero ben consapevole del fatto che senza corda non avrei potuto aiutare Günther.

Reinhold (preoccupato): Cosa dici, ce la facciamo a superare le rocce laggiù?

Günther: Io dico di sì.

Reinhold: Non è così sicuro.

Günther: In effetti, non c’è niente di sicuro.

Continuano a scendere entrambi.

Non è che una discesa di quel tipo la si scelga, come uno sceglie un lavoro. Non riuscivo a reprimere la sensazione che qualcosa di ineluttabile stesse per accadere. Solo il movimento contribuì ad attenuare questa sensazione sgradevole.

Günther e Reinhold in discesa. Lungo le rocce sommitali. La neve è molle. Reinhold precede e batte la traccia, regolare, mentre cerca di individuare la via migliore. Poi si ferma ad aspettare Günther, che lo segue lento.

Sotto si era scatenato un temporale violento. Sulla destra e sulla sinistra.

Neve a grani, poi inizia a grandinare. Tuoni e fulmini, le nubi si addensano nella conca del Diamir, si formano banchi di nebbia. Non si riesce a capire come si sviluppi la via, non si vede il precipizio che da qualche parte deve ben cominciare.

All’improvviso la nebbia si squarcia, l’abisso spalanca le sue fauci scure. La parete precipita per più di duemila metri verso la valle Diamir.

È stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita. Non riuscivo più ad aspettare, volevo assolutamente vedere come sarebbe andata a finire.

Di nuovo Reinhold scende, precedendo il fratello, per poter analizzare la via al successivo squarcio nella nebbia.

Mi augurai che il passaggio fosse libero.

Reinhold aspetta. Günther è rimasto indietro, fa fatica a distinguerlo nella foschia. Scende lentamente. Ogni passo, ogni presa deve essere studiata. Un errore sarebbe sufficiente, un solo errore. Ogni movimento è ragionato, probabilmente già pensato nel subconscio.

Poi Günther arriva.

Reinhold: Come va?

Günther: Com’è più avanti?

Reinhold: Dai che ce la facciamo.

Lo guarda.

Reinhold: Hai fame?

Günther: No.

Reinhold: Devi mangiare qualcosa.

Günther: Ho sete.

Reinhold: Vuoi del Multibionta?

Sono pastiglie effervescenti.

Günther: Hai dell’acqua?

Reinhold: Sì, ma mangiaci insieme del concentrato, ne ho ancora un po’ in tasca.

Gliene dà.

Günther: Grazie.

Reinhold cerca nelle tasche, nella giacca trova due confezioni di Multibionta. Svuota un tubetto, riunendo in una sola confezione tutte le pastiglie. Rimette in tasca il tubetto pieno. In quello vuoto mette una pastiglia e un po’ di neve. La stringe fra le mani nude e ci alita sopra.

Günther: Tu hai già bevuto?

Reinhold continua ad alitare, la tavoletta vitaminica si scioglie un poco alla volta.

Ci vollero almeno dieci minuti per ottenere un po’ di acqua, un sorso o due.

Günther beve con gli occhi chiusi.

Gli ha fatto molto bene.

I due proseguono la discesa.

Riuscimmo a trovare il passaggio fra le due grandi zone di seracchi, arrivammo sul ghiaccio vivo, continuammo a scendere, puntando alla costa di roccia sotto di noi.