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L’ultimo attacco

 

«28 maggio 1970. Giovedì. Per la prima volta abbiamo usato il verricello per trasportare i carichi al campo III. Reinhold ha seguito la salita perché il trasporto è rimasto bloccato tre volte.»

Felix Kuen, diario

 

 

«Poi vennero i giorni determinanti sulla montagna. In realtà io fui costretto al campo base, sofferente per una polmonite, ma avevamo comunque gli apparecchi ricetrasmittenti, il nostro sistema di comunicazione che permetteva il collegamento fra tutti i campi. Ci parlavamo due o tre volte al giorno.»

Karl M. Herrligkoffer,
Bunte, 28 luglio 1970

 

 

«Non appena i Messner ebbero preparato la tenda ci si infilarono dentro.»

Felix Kuen

 

 

«Reinhold (...) fissò la scala. (...) Io mi ero sicuramente affaticato troppo, tanto che anche il giorno dopo non ebbi la forza per dare una mano nell’organizzazione del nuovo campo. Reinhold e Günther non ci aiutarono nelle ricerche, montarono subito la loro tenda nella nuova zona prevista per il campo IV.»

Felix Kuen, diario, 23 giugno 1970

 

 

«Questa volta Reinhold ci aiuta persino a spalare il tratto dove pianteremo la tenda.»

Felix Kuen, 24 giugno 1970

 

 

«Ciò che in Himalaya fa la differenza è la cooperazione fra caratteri con un’impostazione simile, è il lavoro collettivo, che obbedisce non all’ambizione personale, bensì solo e unicamente ai grandi obiettivi.»

Willy Merkl, in: Karl Maria Herrligkoffer, Willy Merkl, Ein Weg zum Nanga Parbat, Bergverlag Rudolf Rother, Monaco, 1936. Tratto da: Tim-Oliver Süsser, Nanga Parbat 1953. Trattazione scientifica dell’argomento: Alpinismo e cinema – sulla base della spedizione al Nanga Parbat del 1953. Lavoro svolto nell’ambito del primo esame di stato per l’abilitazione all’insegnamento. Justus-Liebig-Universität, Gießen. 2005, pag. 52 sg.

 

Al campo base Elmar e Werner salutano gli altri.

Sono partiti prima di noi.

Günther e Reinhold sono ancora indaffarati con i loro zaini.

Facciamo attenzione a non dimenticarci nulla di importante.

Di tanto in tanto alcuni partecipanti alla spedizione lanciano uno sguardo ai partenti.

A quel punto erano in pochi a credere a un successo.

Günther e Reinhold si dirigono alla tenda cucina.

È stato il nostro ultimo pasto al campo base.

Fanno ritorno dopo un po’, prendono i loro zaini, salutano i compagni. Da qualche parte qualcuno ride, molto forte.

Alcuni erano molto scettici riguardo a questa partenza.

Reinhold lancia un’occhiata alla tenda del capo. Karl c’è. È gentile.

Volevo solo dirgli che intendevamo fare ancora un tentativo, volevo solo dirgli che eravamo pronti a partire.

Günther scavalca la recinzione del campo base, Reinhold gli corre dietro. Si gira per un ultimo sguardo. Il campo è lì, tranquillo, colorato, nella luce dell’imbrunire. Arriva qualcuno che si sbraccia, li invita a fermarsi.

Si trattava di Max. Lo faceva sempre, andava dietro a chi stava partendo. In origine per lui era stato previsto il ruolo di amministratore del campo base, quindi si spostava frequentemente fra i campi. Eravamo tutti molto attaccati a lui.

Arrivano anche tre portatori.

I portatori d’alta quota. Sono sempre stati ben disposti nei nostri confronti.

Strette di mano, saluti.

Günther e Reinhold partono. Salgono rapidi. Arbusti fra i quali si sviluppa un sentiero a malapena riconoscibile, che loro però individuano senza difficoltà, l’hanno già percorso varie volte.

Nessuno dei due poteva immaginare che stavamo per percorrere quel sentiero per l’ultima volta.

Si vedono ancora per un attimo, di schiena: di tanto in tanto si fermano, parlano fra loro, osservano la parete.

Dopo mezz’ora ci trovammo su nella grande conca, alla base della parete Rupal.

Günther: Guarda!

Indica dall’altra parte il Rupal Peak. Che è illuminato dai colori del tramonto. Günther scatta una foto.

Di nuovo uno sguardo alla parete. C’è ancora un po’ di nebbia. Poi si dissolve, all’improvviso. Per un attimo la vetta si libera.

Non me lo sarei aspettato, è completamente libera: l’avevo immaginato, ma non avrei mai pensato che sarebbe avvenuto così in fretta.

Coni di valanga alla base della parete. Due punti che salgono. A distanza ravvicinata: neve sporca, non compatta, orme irregolari, scarponi che salgono. Ogni passo tiene. Günther: tranquillo, sguardo al terreno. Lo stridio della neve sotto le suole. Di tanto in tanto si fermano. Muti segni di assenso. È così che si sostengono a vicenda.

Stava per calare la notte quando arrivammo al campo I. Elmar, Werner e dodici portatori erano già lì.

Elmar appronta i carichi per la mattina. Reinhold lo aiuta a pesare, tutt’intorno i portatori. La notte è limpida e stellata.

All’una di notte io, Werner, Günther e dodici portatori siamo partiti dal campo I. Uno dei portatori ben presto si è dovuto fermare.

Una colonna che sale alle prime luci dell’alba. Superando il cono di deposito di una valanga raggiunge le rocce Wieland. Traversa pendii molto ripidi, procedendo obliquamente in salita sulla sinistra.

In quel tratto finimmo nella neve farinosa altissima. Proseguire nella salita sarebbe stato troppo pericoloso. Perciò tornammo indietro. Gli zaini li lasciammo appesi alle corde fisse. In mattinata rientrammo al campo I.

Un’inquadratura della tenda dei portatori. Stanno sdraiati uno di fianco all’altro, avvolti nei sacchi e nelle coperte.

La mattina successiva lasciammo che i portatori salissero prima di noi.

Werner, Günther e Reinhold faticosamente risalgono verso le rocce Wieland. Le orme del giorno precedente sono dure, ghiacciate. I tre si muovono rapidi. Apparentemente senza sforzo. Appena prima delle rocce Wieland alcuni portatori tornano indietro.

Un portatore: Niente zaino.

Reinhold fa loro capire che devono continuare a salire, fino al punto in cui hanno lasciato gli zaini il giorno precedente.

Quando arrivammo realizzai perché erano tornati indietro. Mancavano tre zaini. Durante la notte una slavina doveva averli travolti.

Gli zaini appesi al cavo di acciaio. Sono pieni di neve, sono due metri più in basso rispetto al giorno prima. I portatori mostrano a Reinhold gli anelli che sono rimasti appesi ai cavi. I sahib distribuiscono gli zaini. Tre portatori rimangono senza carico. Aiuteranno a battere la traccia. Due gambe pestano una fossa nella crosta fragile. Le seguono due gambe, altre due, altre due...

Si vede la colonna dei portatori che sale lungo le rocce Wieland, davanti stanno i sahib. Sono loro che liberano le corde dalla neve e battono la traccia.

Günther: Adesso batto un po’ io la traccia.

Reinhold: Magari più su.

Al ghiacciaio Wieland rimando indietro i tre portatori senza carico. Dovrebbero cercare i tre zaini precipitati.

La colonna si avvicina al campo II. Delle tende non si vede più niente. C’è solo la punta di una, non più lunga di un dito, che emerge dalla neve. Tutti si danno da fare.

La situazione pareva decisamente complicata, ma non del tutto disperata.

Werner e Günther spalano la neve. Di continuo portano alla luce qualcosa: corde, conserve, pentole. Le tende sono strappate, i picchetti piegati. Reinhold cerca di rappezzarle con il nastro isolante.

Dopo ore di duro lavoro il campo II era stato reso di nuovo agibile. Anche i depositi erano stati liberati. Il tempo pareva rimettersi. La mattina successiva salimmo al campo III. Felix e Peter ci seguirono dopo poco.

Reinhold sulla ripida parete di ghiaccio. Controlla le corde fisse, che sono state messe durante i primi tentativi. Le valanghe potrebbero averle danneggiate.

Le condizioni sulla parete di ghiaccio erano buone. Nei tratti piani era molto impegnativo battere la traccia. Del «Campo dell’Argano» non restava più alcun segno visibile. Anche le tende del campo III erano completamente coperte di neve. La nostra era strappata in più punti. All’una l’avevamo rimessa in sesto.

Peter e Felix continuano a spalare neve fuori dalla caverna. Anche la loro tenda è collassata. Poi estraggono i materassini gonfiabili e li stendono al sole. Più tardi il cielo si rannuvola nuovamente.

Io speravo ancora in un bollettino meteorologico favorevole.

Peter e Felix, entrambi impugnano una pala. Stanno lavorando.

Non era certo facile dover ricominciare ogni volta da capo. Certo, eravamo ben abituati alla quota, ma a cosa serve tutto ciò, quando per giorni e giorni si sprecano le proprie forze per spalare la neve.

È il 22 giugno. Il tempo è estremamente incerto. Tormenta.

Solo a sera schiarì.

 

Pulsa la vita al campo III. Fuori è ancora scuro. Qualcuno accende una candela fissata con una cinghietta di cuoio a uno dei paletti della tenda. I movimenti sono goffi e lenti. Gerhard, Günther e Reinhold sono sdraiati nei sacchi, uno accanto all’altro.

Non avevamo alcuna voglia di alzarci.

Günther accende il fornelletto. Scalda una lattina di frutta sciroppata. La fiamma del fornelletto è alta. I tre sono di nuovo nei loro sacchi. L’ingresso della tenda è pieno di brina. Uno di loro apre la cerniera del sacco, si siede, si massaggia le gambe e inizia a vestirsi. Davanti alle tende c’è Felix. Si mette i ramponi.

Richiedeva una grande forza di volontà sfilarsi dai sacchi tiepidi.

Günther: La frutta cotta è calda.

La lattina passa di mano in mano.

Tutti e tre si vestono. Günther e Reinhold arrotolano il sacco e lo legano sopra lo zaino pieno, che è depositato all’ingresso della tenda.

L’avevamo già preparato la sera prima. Lo zaino leggero, della marca francese Millet, era pieno come un uovo, e anche pesantissimo.

Günther, Gerhard e Reinhold strisciano fuori dalla tenda. Uno dopo l’altro. Felix è già pronto, cammina avanti e indietro sullo spiazzo antistante. Peter e gli altri tre si mettono i ramponi. Ognuno in un punto diverso. Si parla poco. In cielo splende la luna. Fa molto freddo.

Felix parte. Traversa sulla sinistra, aggancia la maniglia alla corda fissa e sale. Si fa molta fatica a battere la traccia.

Adesso anche Reinhold è pronto. Sale seguendo le orme di Felix. Dopo un centinaio di metri lo sostituisce nel duro lavoro di battitura. In questo tratto la parete è piuttosto piana, le corde sono sepolte sotto lo strato di neve fresca. Più in basso seguono Günther, Peter e Gerhard. Anche Günther passa oltre Felix.

Da un dosso di neve traversano verso sinistra sulle rocce.

Le corde fisse, che alcune settimane fa Peter e Felix avevano messo in questo tratto, erano ancora in ordine; anche gli ancoraggi erano tutti a posto.

Ghiaccio vivo. Inquadratura della suola degli scarponi. Solo il tratto anteriore delle punte frontali prende. I ramponi incontrano il ghiaccio vivo durissimo.

Più su dovetti sostituire delle corde fisse. Una slavina le aveva travolte.

Reinhold arrampica su una parete molto ripida di ghiaccio vivo, procedendo obliquamente verso l’alto sulla sinistra. Al di sotto la parete precipita in modo impressionante.

Non riuscii a superare la spaccatura del grande seracco verticale. Il vento aveva strappato via la scala di corda.

Reinhold aspetta. Poco dopo arriva Günther, più tardi Felix. Tutti e tre paiono indecisi.

La prima volta è andato Felix da primo su questa parete di ghiaccio. Anche al secondo tentativo avremmo voluto che andasse lui da primo.

Peter e Gerhard non sono ancora arrivati.

Felix: Dovrebbero esserci ormai.

Reinhold: Hanno zaini completamente diversi.

Reinhold arrampica sulla meringa verticale. Lo si sente respirare.

Arrampicata estrema sul ghiaccio a 6600 metri di quota. Veramente estenuante.

Peter e Felix montano la leggera tenda Hiebeler al di sotto di un piccolo crepaccio.

Si fermarono appena al di sopra della meringa, là dove nel 1968 era stato allestito il campo IV.

Günther e Reinhold in salita, con zaini pesantissimi. Nebbia, neve che non tiene, le due figure che progrediscono con fatica.

Continuammo a salire. Montammo la tenda in un crepaccio periferico. Almeno così era protetta dal sole. Siamo rimasti in quella tenda per un paio di giorni, durante i quali scrissi febbrilmente il mio diario.

 

Campo IV (6600 metri), 23 giugno 1970

Da un’ora siamo entrambi nella tenda montata in una specie di caverna di ghiaccio. Peter e Felix sono più giù, al vecchio campo IV, e cercano le tende.

Al mattino arrivammo veloci al grande seracco. Alle sette mi trovavo già lì. Non c’era la scala. Di nuovo ci tirammo su lungo le corde. Abbiamo trovato le cose sepolte nella neve, poi io e Günther siamo saliti verso il primo crepaccio periferico sul ghiacciaio Merkl.

Nebbia e tormenta hanno reso vana la ricerca di un punto ideale dove allestire il campo. Nel crepaccio periferico abbiamo scavato un buco e adesso siamo qui. Fa freddo. Arriveranno Peter e Felix, o no?

Questa notte sarà gelida.

 

Campo IV, 24 giugno 1970

Alle sette Werner, Hansi e Gert ci hanno già svegliato. La notte è stata fredda e non siamo riusciti ad andare oltre il dormiveglia.

Durante la mattinata sono arrivati Peter e Felix. Consultazione riguardo alla collocazione più adeguata del campo. Le tende vengono montate entrambe nel crepaccio periferico. È il posto più sicuro in zona. Se domani arriva un telone di copertura anche il campo IV diventerà piacevole.

Fino a questo momento ho trovato io tutte le collocazioni per i campi, li ho organizzati e almeno in parte ho montato le tende. Mi piace sempre più cercare i siti per i campi.

La sicurezza viene prima della comodità, e con un po’ di costanza si può costruire dappertutto una bella «casa».