Prologo

1807

All'Accademia per Signorine di Mrs. Upton, una voce cominciò a circolare subito dopo il tè: era arrivata una nuova allieva. Qualcuno aveva intravisto la carrozza parcheggiata fuori, nera lucente, con uno stemma sullo sportello. Ben presto le chiacchiere divennero febbrili: doveva trattarsi della figlia viziata di un duca o addirittura di una principessa straniera.

Si sbagliavano. La dodicenne Sophie Graham era un'orfana ed era la nipote del Visconte Makepeace, non un duca, né un dignitario straniero. Inoltre, non voleva avere nulla a che vedere con lui e il visconte ricambiava il sentimento appieno. Dopo nemmeno una settimana dal suo arrivo nel tetro maniero in Lincolnshire, l'uomo aveva dichiarato che sarebbe stata mandata a scuola il prima possibile.

In quel momento, perciò, Sophie era seduta silenziosa nell'ufficio di Mrs. Upton, mentre il nonno cercava di costringere la direttrice ad accettarla.

«Il problema, milord, è che di solito non accetto nuove studentesse a metà corso» tentò di spiegare Mrs. Upton. Era una donna abbastanza alta, vestita alla moda, con colori tenui e senza fronzoli, che non sembrava affatto intimorita da Makepeace. Sophie provò un rispetto istintivo nei suoi confronti.

«Dovete. I suoi genitori sono morti di una qualche febbre presa per strada.» L'uomo guardò torvo Sophie, che contraccambiò lo sguardo senza alcuna espressione. «Non le hanno lasciato niente, ma l'hanno abbandonata alla mia carità. Ha bisogno di un'influenza femminile e di qualcuno che le insegni un mestiere.»

«Milord, siamo un'accademia per signorine» ribatté Mrs. Upton sottolineando l'ultima parola. «Non insegniamo mestieri, ma belle arti e buone maniere...»

«Non mi importa che cosa le insegnerete. È una bambina senza regole, trascurata da quegli inetti dei genitori. Non voglio una monella del genere intorno.»

La direttrice guardò Sophie, che rimase silenziosa. Non era una monella e i suoi genitori non l'avevano trascurata. Desiderava tuttavia essere accettata da Mrs. Upton e perciò non contraddisse le odiose bugie del nonno. «Milord, le nostre studentesse provengono dalle migliori famiglie d'Inghilterra. La nostra reputazione si fonda sulla mia personale promessa che ogni signorina qui presente possiede carattere e atteggiamenti sopraffini.»

Il visconte scoppiò in una risata rabbiosa. «Ho capito! Mio figlio è scappato con una cantante d'opera... francese, per di più! È quello che volete sapere? Il buon sangue non dovrebbe mescolarsi mai con il ceppo plebeo. Be', la bambina per metà è volgare e non possiamo farci niente, ma porta il mio nome e ciò, madam, è superiore a qualunque tenore manteniate qui.» Osservò la stanza sobria con ovvio disprezzo. «La vostra accademia mi è comunque stata raccomandata e vorrei concludere questa faccenda il prima possibile. Ditemi quali sono le vostre condizioni.»

Mrs. Upton era rimasta impassibile durante quell'invettiva, ma ora lanciò un'occhiata indagatrice verso di lei. Alla fine qualcosa, nella sua espressione o nelle parole del nonno, dovette dissipare i suoi dubbi. Sophie era certa che si trattasse del denaro. Non la biasimava; anzi, sperava che avrebbe estorto al visconte una cifra enorme, perché avrebbe pagato qualsiasi somma pur di sbarazzarsi di lei, come le aveva reso ben chiaro nelle tre settimane in cui era stata lasciata alle sue cure.

«Trenta percento, milord» dichiarò la direttrice. «Per una maggiorazione del trenta per cento sulla nostra retta normale, credo che potremo trovare posto per lei.»

«Accetto.» Il nonno afferrò il bastone e si alzò a fatica dalla poltrona. «Il suo baule è qui fuori.»

«Volete visitare la struttura?»

«No» ribatté dirigendosi all'uscita. Il piccolo baule di Sophie era già stato rimosso dal veicolo e abbandonato sul vialetto di ghiaia. Lord Makepeace si infilò i guanti, le sopracciglia bianche e cespugliose piegate in un cipiglio feroce. «Pagherò per la tua istruzione finché non raggiungerai la maggiore età» borbottò rabbioso. «Non un giorno in più. Sarà meglio che impari qualcosa di valore qui, perché non sarai di certo una mia responsabilità.»

«Non ho mai chiesto di esserlo.» Sophie sollevò il mento e lo guardò negli occhi. «Addio.»

L'uomo la fissò per un istante prima di tirare su con il naso. «Sei orgogliosa, eh? Non ne hai motivo. Se non portassi il mio nome, saresti insignificante come tua madre.» Quindi salì in carrozza e gridò al valletto di partire. Il veicolo si mise immediatamente in moto. Il visconte non si voltò mai indietro.

«Vi mostro il dormitorio, Miss Graham.» Mrs. Upton riempì il silenzio imbarazzato. La pietà nella sua voce era debole, ma percepibile. «Sono sicura che vostro nonno si calmerà quando vedrà con quanta diligenza lavorerete.»

«Non è vero. Qualunque cosa faccia, non ne sarà mai appagato. Sono contenta che sia partito.» Sophie attese che la carrozza oltrepassasse il cancello per accertarsi che l'uomo in effetti se ne fosse andato. «Non mi metterei a piangere se cadesse nell'imboscata di alcuni briganti e venisse ucciso.» Si girò verso la direttrice sbigottita. «Vi ringrazio per avermi accettata, madam. Prometto di essere un'ottima studentessa.» Le regalò quindi una riverenza perfetta, degna della migliore ballerina di Mosca... dalla quale in effetti l'aveva imparata.

Mrs. Upton l'accompagnò dentro e mandò un'insegnante a chiamare Miss Eliza Cross e Lady Georgiana Lucas. «Per quest'anno dividerete la stanza con loro. Sono due signorine gentili e dalle buone maniere.»

«Hanno la mia età, madam?» Aveva avuto raramente la possibilità di fare amicizia con coetanee.

«Sono entrambe nel secondo anno di studio. Le bambine della vostra età di solito sono al quarto, ma siccome finora non ho avuto l'opportunità di valutare l'istruzione che avete ricevuto, è meglio che cominciate da qui.» La donna la guardò incerta. «Immagino che abbiate ricevuto una certa istruzione, Miss Graham.»

«Sì, madam.» La infastidiva essere ammessa nella classe più bassa, ma si trattenne dall'informare la direttrice che parlava un ottimo francese e un po' di italiano, che amava la matematica e la geografia, che sapeva ballare e che suonava il pianoforte da quando aveva quattro anni. Voleva conquistarsi tutti in quell'accademia e le sarebbe tornato utile riservarsi delle belle sorprese.

Lady Georgiana arrivò per prima, alta quanto Sophie, ma bionda e sottile. Miss Cross si affrettava alle sue spalle, senza fiato e un po' agitata. Era più bassa e più in carne della compagna, con i tratti del volto comuni, così come quelli dell'altra erano belli.

Sophie sorrise a entrambe. «È un vero piacere conoscervi. Spero che diventeremo amiche.»

Miss Cross sorrise nervosamente mentre Lady Georgiana la guardò con occhio indagatore, come per dire: vedremo. Sophie non se la prese. Anche lei sarebbe stata circospetta al posto loro, ma aveva ereditato il fascino del padre e la determinazione della madre, perciò si accinse a conquistarle.

Doveva. Per nessun motivo sarebbe tornata a Makepeace Manor, dove il nonno regnava nel suo silenzio arcigno. Aveva trascorso l'infanzia nelle capitali d'Europa, seguendo la carriera operistica della madre. La morte dei genitori aveva sconvolto quella vita felice sebbene nomade, lasciandola alla mercé di un uomo che sembrava deciso a ritenerla responsabile di ogni affronto commesso da loro. Sophie aveva intuito presto che morire era forse stato il peccato peggiore del padre, poiché aveva nominato il visconte come suo guardiano nel testamento. Se ci fosse stata la maniera di revocare quel testamento e di lavarsi le mani di lei, era certa che Lord Makepeace lo avrebbe fatto. Mandarla a scuola era stata l'alternativa migliore.

Un'accademia per signorine non era certo emozionante come l'Europa, ma le offriva l'unica cosa che non aveva mai avuto in vita sua: una dimora fissa. Lungo l'interminabile vialetto di Mrs. Upton, Makepeace l'aveva informata che avrebbe alloggiato alla scuola anche durante le vacanze, a meno che non fosse stata invitata a casa da una delle altre ragazze. Sophie poteva sopportare le vacanze a scuola, ma desiderava tanto avere delle amiche.

Eliza e Lady Georgiana mostravano grande potenzialità a tale riguardo. La prima era timida e dolce, il tipo di amica che sarebbe stata sempre leale. La seconda, invece, era il tipo di persona che tutti ammiravano e rispettavano.

Non ci volle molto per scoprire che Eliza era la figlia unica di un uomo ricco ma senza legami nel ton, mentre Georgiana proveniva da una delle famiglie più nobili d'Inghilterra, poiché era la sorella molto più piccola del Conte di Wakefield.

Dopo cena, le allieve si ritirarono nelle loro stanze per studiare.

Sophie stava leggendo la lezione di francese, la lingua di sua madre, sollevata di sapere che c'era almeno una materia nella quale non sarebbe stata indietro, quando il bisbiglio delle compagne di stanza colse la sua attenzione.

«Provaci ancora» esortò Georgiana. «Imparerai.»

«Ci sto provando» rispose Eliza angosciata. «Davvero, è solo che...»

«Sono le addizioni?» domandò Sophie, osservando il foglio sul quale lavoravano.

«Sono così difficili per me» bisbigliò Eliza, la vergogna scritta sul suo volto.

Lei sorrise. «Posso aiutarti.» Rovistò nel baule e tirò fuori un mazzo di carte.

Lady Georgiana sollevò le sopracciglia. «Con il gioco d'azzardo?»

Sophie sbuffò. «Non è gioco d'azzardo, se non ci sono scommesse. Ma le carte sono un modo eccellente di esercitarsi con le addizioni, le probabilità e tanti altri conti matematici.» Distribuì le carte. «In questo gioco bisogna addizionare il valore delle carte. Devi fare la somma velocemente e decidere se vuoi aggiungere un'altra carta.»

«Le signorine non dovrebbero giocare a carte.» Lady Georgiana sedette tuttavia in fondo al letto, osservando il mazzo con curiosità.

«Davvero?» Sophie rimase sorpresa. «A Parigi tutte le signore giocano. E a Londra... mio padre diceva che le uniche persone più appassionate al gioco d'azzardo rispetto alle dame inglesi sono i gentiluomini.»

Lady Georgiana sbuffò una risata sorpresa. «No!»

«Oh, sì.» Sophie non aggiunse che suo padre lo sapeva perché aveva giocato con tutte loro. Quando sua madre aveva cominciato a perdere la voce per via di una malattia purulenta alla gola, avevano abbandonato l'Europa ed erano tornati in Inghilterra, dove lui aveva sfruttato il suo fascino e il suo nome ai tavoli per sostenere la famiglia. Lei lo aveva aiutato a esercitare l'aria di chi finge di giocare in maniera spensierata quando in realtà calcolava le probabilità a ogni mossa.

Eliza si avvicinò. «Mi aiuterà davvero?»

«Ma certo!» Sophie indicò le carte. «Quanto vale in tutto questa mano? Fai la somma dei numeri.»

«Sei» rispose Eliza, fissando il quattro di cuori e il due di fiori.

«E adesso?» Sophie aggiunse alla fila un sette di cuori.

«Tredici» rispose l'altra lentamente.

«Bene! E adesso?» Uscì un otto di quadri.

«Venti...» Eliza esitò. «Ventuno.»

«Molto bene.»

«Così è molto più divertente che sommare i numeri su un foglio» dichiarò Georgiana ridendo allegra. «Dove hai imparato?»

«Da mio padre.» A Sophie non sfuggì l'occhiata che le due bambine si scambiarono. «Lui e mia madre sono morti. Mio nonno non mi voleva, perciò mi ha portato qui.»

«Oh, ma è orribile» commentò Eliza.

Lei riuscì a sorridere. La morte dei suoi genitori era orribile. Suo nonno era orribile. Mrs. Upton invece era sicuramente l'aspetto meno orribile della sua vita in quel momento. «Preferisco essere qui che con lui. Voi due preferireste essere a casa?»

Eliza trasalì. «Anche mia madre è morta, quando ero piccola. Mio padre mi ha mandata qui per imparare a essere una signora. Mi manca, ma...»

«Anche mio fratello voleva sbarazzarsi di me» spiegò Georgiana. «Ma come te, preferisco stare qui. È un tipo strano, mio fratello. Sono contenta che non mi desideri con lui.»

Sophie sorrise. «L'Accademia di Mrs. Upton per le Indesiderate

Georgiana scoppiò a ridere, mentre Eliza rimase a bocca aperta. «Ma che orrore...» Tuttavia raggiunse l'amica ai piedi del letto.

Sophie diede altre carte e insieme si esercitarono allegramente con le addizioni. Pian piano cominciò a insegnare alle compagne anche le regole del gioco e come calcolare le probabilità. La sicurezza di Eliza crebbe finché non arrivò a sommare le carte velocemente quasi quanto Georgiana.

«Che cosa dovresti fare con questa mano?» le domandò Sophie.

Eliza osservò le carte, un dieci di fiori e un cinque di cuori. «Ne prendo un'altra, perché quasi la metà delle carte ha un valore di sei o meno?»

«Esattamente! Stai andando proprio bene» la rassicurò Sophie, nell'istante stesso in cui la porta venne spalancata.

«Signorine!» esclamò Mrs. Upton. «E questo che cos'è?»

Eliza impallidì; Georgiana fece una smorfia e sospirò. Si alzarono tutte e tre in piedi.

La direttrice attraversò la stanza con passo deciso e scostò il lembo della coperta che Sophie aveva d'istinto gettato sopra le carte. «Gioco d'azzardo» disse con un tono di voce profondamente deluso. «Questo è un comportamento sconveniente per delle signorine.»

«Ma non stavamo giocando d'azzardo» spiegò Sophie. «Nessuna di noi ha soldi da impegnare.»

La direttrice non sembrò divertita. «La vostra è una distinzione molto sottile, Miss Graham, ma che non accetto. Non solo il gioco è immorale, ma espone al contatto con gente di pessima caratura e mette a rischio reputazione e ricchezza. Nessun gentiluomo rispettabile vorrà essere legato a una signora che giochi d'azzardo. Riconoscerà in lei una pericolosa predisposizione alla dissolutezza e non vorrà essere ritenuto responsabile delle sue perdite.»

«E se dovesse vincere?» mormorò Sophie.

Mrs. Upton le lanciò un'occhiata di ammonimento. «Ogni giocatore d'azzardo che pensa in quel modo è destinato a perdere. È l'attrattiva della vincita che lo spinge a rischiare somme di denaro sempre più grandi, finché non manda in bancarotta se stesso e la famiglia. Quante sono le possibilità di avere successo in ogni partita, Miss Graham?»

Sophie non rispose. Ricordava fin troppo bene le notti in cui suo padre era tornato a casa tardi, rattristato perché non aveva vinto abbastanza.

«Il gioco d'azzardo ha distrutto tanti uomini di buon partito» continuò Mrs. Upton. «Non potete nemmeno immaginare quanto sia anche peggio per una donna. Ricordate le mie parole, signorine: il gioco d'azzardo porta alla rovina. Evitatelo a ogni costo.»

«Sì, madam» bisbigliò Eliza lacrimosa.

«Sì, madam» le fece eco Georgiana.

Mrs. Upton sollevò un sopracciglio. «Miss Graham?»

Sophie stava per scrollare le spalle, ma si trattenne in tempo. «Sì, madam.»

La direttrice la fissò. «Poiché ancora non conoscete le nostre regole, Miss Graham, questa volta lascerò passare. Ma non disobbedite ancora.» Raccolse le carte e uscì spegnendo la lampada.

«Mi eserciterò sulle addizioni in un altro modo» disse Eliza mentre si mettevano tutte a letto. «Mio padre rimarrebbe sconvolto se Mrs. Upton dovesse scrivergli che ho giocato d'azzardo. Spera che un giorno sposerò un gentiluomo, perciò devo essere una vera signorina. Se solo le addizioni non fossero così importanti per gli uomini...»

«Non lo sono» dichiarò Georgiana dal suo letto. «A nessun gentiluomo interessano le addizioni. Non vogliono nemmeno discuterne con le loro segretarie, che si occupano di tutti i conti.»

«Una partita a carte non ha mai fatto male a nessuno. E poi non stavamo giocando d'azzardo.» Sophie ringraziò tra sé e sé che Mrs. Upton avesse confiscato un vecchio mazzo di carte e non quello di suo padre. Si sarebbe battuta come un animale per tenersi quel mazzo, o uno qualsiasi dei pochi ricordi che aveva dei genitori, e allora avrebbe rischiato di essere cacciata dalla scuola e rispedita alla mercé di Lord Makepeace.

Un'ondata di tristezza la invase al pensiero dei genitori. Solo quattro mesi prima erano stati ancora vivi e in salute, le loro finanze in difficoltà, ma la loro famiglia comunque felice. E poi era sparito tutto. Tisi, aveva detto il dottore; era stata fortunata a non essere stata contagiata anche lei.

Fortunata. Come odiava quella parola!

Si sforzò di prendere un bel respiro. Tutto nella vita era questione di scelte. La felicità dipendeva solamente dai propri sforzi, perché il destino raramente era generoso. Sophie lo aveva imparato presto e non lo avrebbe mai dimenticato. Non si poteva contare sulla fortuna.

«Ma Mrs. Upton non insegnerebbe le addizioni se non fossero utili a una signora» insistette Eliza, ignara del tormento interiore di Sophie. «Dovrò trovare un'altra maniera di impararle, anche se spero davvero che non dovrò apprendere pure le probabilità...»

Georgiana ridacchiò. «Perché le probabilità sono molto alte che troverai un bel marito, Eliza, che ti tratterà come una duchessa, sia che tu sappia fare quadrare i conti di casa oppure no.»

«Lo spero» rispose l'altra pensosa. «Poiché non ho la tua bellezza o l'intelligenza di Sophie, non posso correre rischi.»

Sophie tirò su la coperta fino al mento, mentre le amiche dibattevano della questione. Quel semplice commento – essere non solo stata chiamata intelligente, ma anche con il suo nome di battesimo – le aveva sprigionato un inaspettato calore dentro. Era sola al mondo ormai, con i genitori morti, il nonno paterno che era un orco e la famiglia materna nel Continente. Sapeva di avere uno zio e forse dei cugini da qualche parte, ma nessuno di loro l'avrebbe aiutata.

Non aveva una famiglia che valesse la pena conoscere, ma delle amiche vere e oneste sarebbero state un ottimo punto di partenza. E aveva la netta sensazione che lei, Eliza e Georgiana fossero destinate a diventare ottime amiche.